Zerovirgolaniente

Il blog di Peter Patti

venerdì, febbraio 15, 2013

Asteroidi e meteoridi


Una piccola lezione 'cosmologica'

Ogni giorno numerosi meteoridi entrano nella nostra atmosfera. Se raggiungono la superficie terrestre, li chiamiamo meteoriti.
Un asteroide invece è ben diverso... O no?



         Simulazione della NASA: l'asteroide "2012 DA14" sfiora il nostro pianeta  


Un meteorite si disintegra al di sopra delle montagne dell'Ural e i suoi spermii feriscono e spaventano gli abitanti di sei luoghi abitati. Qualche ora dopo, l'asteroide 2012 DA14 manca di poco la Terra... Due eventi troppo vicini per non causarci un'ansia da apocalisse fantascientifica. 
Ma tra i due fenomeni non c'è collegamento. 


Gli asteoridi
sono perlopiù corpi celesti innocui. Hanno un diametro che va dai 10 metri ad alcune migliaia di chilometri. Risalgono alla "preistoria" del nostro sistema solare e sono fatti della stessa materia primigenia dei pianeti.
La maggior parte degli asteroidi si muovono su un'orbita stabile tra Marte e Giove. Alcuni seguono tuttavia un percorso ellittico (l'ellisse, come si sa, è un circolo imperfetto), posseggono una sigla ben precisa giacché sono tutti catalogati e vengono continuamente "sorvegliati". Secondo la NASA, esistono al momento circa 500.000 asteroidi la cui orbita è "prossima alla Terra".
L'asteroide 2012 DA14 è in parte sfuggito a tale controllo assiduo; è stato infatti scoperto solo nel febbraio 2012. Ha un diametro di 45 metri e transiterà a 27.500 chilometri da noi e a una velocità di 8 chilometri all'ora.



Quando gli asteroidi si scontrano nello spazio, si creano "schegge" che si fiondano in diverse direzioni: i meteoridi (= le meteore). Lo stesso nome viene dato dagli scienziati ai "pezzetti" di pianeti (che si staccano per via della gravitazione) e ai - chiamiamoli così - "sassi ribelli" che si separano dalle code delle comete.
I meteoridi, o le meteori, penetrano quotidianamente nella nostra atmosfera, ma da essi non scaturisce nessun pericolo; quasi mai. Poiché sono velocissimi (fino a 100 km. al secondo), di regola si disintegrano ad alta quota. Ma i più grossi di questi bolidi possono arrivare a sopravvivere all'impatto con l'atmosfera terrestre e a creare danni seri... vedi i meteoriti di stamani nella regione di Cheljabinsk (Russia).

Accade raramente, ma accade.




peter patti alle 6:52 PM Nessun commento:
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martedì, febbraio 12, 2013

Amanti dell'horror?

Comprate e fate comprare...




franc'O'brain - Antologia sborror Vol. 1, Skuro Connection - eBook Kindle

Le narrazioni ivi contenute spaziano da puro splatter a umorismo nero. franc'O'brain, svezzatosi più con la fantascienza che con Poe e Lovecraft, ci offre 19 racconti che potrebbero benissimo diventare la "stoffa" di altrettanti film...
E' horror? Chiaro! Ma lo stesso autore preferisce definire il suo genere "sborror" (TM)...
peter patti alle 3:00 PM Nessun commento:
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sabato, febbraio 09, 2013

Remembering Asparokov

Chissà che fine ha fatto Saverio!
Questo mio cugino milanese venne in visita da noi, con i suoi genitori, nell'estate dei miei sedici anni. Non so che cosa si aspettava di trovare: forse un'accozzaglia di poveri ignoranti; e io naturalmente sarei stato il pulcino più dimesso e più deficiente della tribù. Invece quella fu per lui la stagione più sorprendente della sua vita; e forse la più bella.
Dopo aver appurato che non eravamo i "terún" che aveva creduto di incontrare, si spaparazzò nel nostro appartamento e saggiò subito le mie conoscenze culturali. Scoprimmo di avere tanti interessi in comune, e gusti non dissimili. La passione per i libri e per il rock, ad esempio. Lui mi iniziò alla musica di Neil Young, io gli fornii la chiave per entrare nell'universo dei Genesis. I Pink Floyd e Thomas Pynchon li scoprii grazie a lui, lui scoprì Henry Miller e Anthony Burgess col mio apporto.

Purtroppo, Saverio aveva un qualche complesso di inferiorità che lo spingeva di continuo a doversi affermare sugli altri, perfino nelle occasioni meno opportune. Vedeva un avversario in chiunque: anche un bambinetto poteva risultare temibile ai suoi occhi. Si accaniva a voler dimostrare la propria presunta superiorità pure quando sarebbe stato più saggio mettersi in disparte lasciando un po' di respiro al prossimo. Gli insegnai le regole degli scacchi e, subito dopo averle fatte sue, pretese di vincere ogni partita. Se non ci riusciva, metteva su una faccia da funerale. Ogni cosa per lui si trasformava in una gara, in una sfida, in un confronto armato; la vita stessa era un'unica, interminabile battaglia. Da me imparò a rilassarsi un po', a sorridere, e a discutere come un essere umano invece che come un robot frigido; ma non sono sicuro che il mio esempio gli abbia modificato definitivamente il carattere. In fondo, lui abitava in una città in cui la competizione è ragione stessa di vita... Comunque, in me trovò qualcosa di più di un buon parente: trovò un amico. Gli prestavo gli albi di Alan Ford e non me la prendevo troppo se "dimenticava" di restituirmeli. Ogni giorno era per noi un giorno di felicità e di spensieratezza.

Quell'estate, ovunque fossimo - al mare o nel cortile della nonna -, fu costellata di episodi divertenti e risate a crepapelle. Saverio si cibava praticamente di solo parmigiano (ne mangiava a chili), io di aria e di... esprit artistique. Quando gli venne la varicella, gli altri lo evitarono come fosse un appestato, mentre io ero l'unico a tenergli compagnia, ignorando a bella posta il pericolo di contagio.
Dopo che se ne fu tornato al Nord, iniziammo una fantastica corrispondenza, che durò anni. (Dovrei avere ancora alcune delle sue lettere, da qualche parte.) Fondammo perfino una rivista dal nome Fall Out, piena di critiche d'arte, di recensioni e di articoli a sfondo filosofico (lui era seguace di Auguste Comte, io propendevo per Marx e Bakunin).
L'estate che seguì la sua prima, storica visita, ci recammo in campeggio a Linosa. Convinsi Roccus, il mio "gemello" degli anni d'oro, ad accompagnarci. Il nostro soggiorno sull'"Isola delle Tartarughe" (da Roccus ribattezzata, non a sproposito, "Isola dei Ramarri") fu tanto piacevole quanto, purtroppo, allucinante. Quasi un paradigma della nostra esistenza futura. Ma questa è un'altra storia.
Per tornare al mio primo incontro con Saverio: dopo che scoprimmo di possedere entrambi velleità calcistiche (anche il suo cuore era neroazzurro), ci dilettammo a usufruire di ogni spiazzo libero per giocare al pallone. Un giorno, su un litorale sabbioso, mentre ci scambiavamo passaggi da trenta metri, mi chiese a bruciapelo: «Lo sai chi è Asparokov?»
«Certo», ribattei. «Il centravanti della Bulgaria.»
Questo sembrò stupirlo piacevolmente, più di tutto il resto. «Però! Ma guarda il cugino...» esclamò. O, più precisamente: «Talèèèè 'u cusci'...»



Poco dopo aver compiuto il mio diciottesimo anno d'età, mi invitò a casa sua. Presi il treno e andai a Milano. Con mia sorpresa, scoprii che Saverio frequentava il circolo parrocchiale di quella sordida periferia («altrimenti non incontri nessuna ragazza») e che montava una moto di - suppongo - piccola cilindrata. Una 'Caballero'. Pazze corse per il centro della metropoli, con me in posizione precaria sul sedile posteriore. Una volta, mentre stavamo fermi a un semaforo, ci si accostò un'automobile con dentro tre burloni. Ci guardavano ridendo, e ad un tratto uno di loro interpellò mio cugino così: «Olà, Caballero! Tu spagnolo?» Inspiegabilmente, Saverio si oscurò in volto, e per tutta la giornata non ci fu verso di fargli passare il nervoso.

Non credo che fosse felice. Sua madre lo teneva sotto torchio, gli imponeva di abbassare il volume del radioregistratore (suonava fino allo sfinimento Déjà-Vu di Crosby, Stills, Nash & Young o Ummugumma dei Pink Floyd), di spegnere la luce, di lasciare in pace la sorella, ecc. Lo trattava alla stregua di un fannullone. Di questa mia zia mi è rimasto un ricordo indelebile soprattutto perché, alla vigilia della mia partenza, mi cacciò in mano, quasi a forza, una banconota, dicendomi di andare a comprarmi un paio di pantaloni nuovi (ero andato là con un solo paio di jeans). Il ricordo di quella scena riesce a imbarazzarmi ancora oggi.

Sono trascorsi eoni da allora, e io ho fatto - letteralmente - tanta strada, mentre mio cugino, che pure sognava di altre terre e addirittura di altri continenti («Frank, rasiamoci la testa e andiamo in un monastero del Tibet!»), è rimasto ancorato alla sua esistenza piccolo-borghese (dopo il diploma è andato a lavorare nella stessa fabbrica dei genitori...). Non sono state l'età e la distanza fisica a separarci, ma i destini differenti. Ancora oggi, ogni tanto, mi sorprendo a chiedermi, nei momenti più strani:

Chissà che fine ha fatto Saverio!



peter patti alle 7:42 AM Nessun commento:
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domenica, febbraio 03, 2013

Sei Nazioni - L’Italrugby ripete l’impresa: Francia nuovamente abbattuta!

Grandissima prestazione della squadra di Brunel che come nel 2011 supera i Bleus per 23-18 nel match valido per la prima giornata del Sei Nazioni 2013. Le mete di Parisse e Castrogiovanni e i calci e le giocate di classe di Orquera (Man of the match) decidono una sfida in bilico sino all’ultimo minuto

La Gazzetta intitola: "L'Italia più bella di sempre"!

peter patti alle 7:11 PM Nessun commento:
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venerdì, febbraio 01, 2013

Pensierino scurrile del venerdì pomeriggio

Oggi venerdì: come diceva Mozart, Leckt mich am Arsch! Leccatemi il cü!



Una ditta con così tanti idioti sopra come sotto dovrebbe esporre un cartello, per tenere lontano le persone capaci e oneste.

Questo (il lamentarsi di dover stare gomito a gomito con estranei dal QI sottozero e assolutamente insopportabili) è forse qualcosa che molti disoccupati non capiscono. Loro di sicuro reputano tale disgrazia un'inezia, al cospetto della possibilità di guadagnare un tot per sopravvivere mese dopo mese, anno dopo anno.
Il fatto è che bisogna in realtà rivalutare l'importanza del lavoro dipendente... (Dipendente da chi? da uno o più cretini che guidano l'azienda, dipendente dalla crisi locale e/o globale, dipendente dalle capriole del mercato, ecc.) Il lavoro dipendente può arrivare a uccidere; e, comunque, ci ruba la vita, ci sottrae tempo insieme alle risorse (fisiche e intellettive) nostre proprie. 
L'unico lavoro che andrebbe fatto è quello a base indipendente; e un lavoro che davvero serva alla comunità.



peter patti alle 4:25 PM Nessun commento:
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