venerdì, settembre 11, 2020

Camilleri, l'opinione antitetica

 (Alida Pardo)


Ci deve essere qualcosa che non capisco in Camilleri. Forse una di quelle antipatie inconsulte che a volte si manifestano, inspiegabili, e rimangono attaccate al pensiero come una colla velenosa. Il suo aspetto fisico non lo ha favorito, ma questa non sarebbe una spiegazione: e allora Ungaretti? E Alda Merini?

Tutti sappiamo cos’è il colpo di fulmine, l’innamoramento irresistibile e irragionevole. Io ho provato la stessa cosa per Camilleri, ma al contrario. Un contro-innamoramento, un anti-innamoramento. Una sorta di black out comunicativo me l’ha fatto rigettare alla terza pagina del primo libro assaggiato, quando ho sentito la sua lingua assolutamente falsa. E la lingua è tutto per uno scrittore. Quella di Camilleri non corrisponde a nessun dialetto, nessun autentico siciliano ci si riconoscerebbe: è marcatamente “sicula” ma inventata, è stantia, forzata, greve. Lì è avvenuto il corto circuito. Non posso giudicarlo quindi come scrittore.


Però ho avuto un’esatta percezione del mito di Camilleri. Il suo Montalbano è soprattutto un personaggio televisivo apprezzatissimo e citato anche dalla mia parrucchiera che ha fatto un pellegrinaggio fino alla “sua” casa. Una casa che dovrebbe fare inorridire gli ecologisti e i magistrati che combattono contro gli abusi edilizi.

Ho visto alcune puntate della serie, conosciuta in tutto il mondo, mentre mio marito si rifugiava nella sua camera, lui è molto più schizzinoso di me. Ma non è che mi abbiano incantato. Ho apprezzato le magnifiche ambientazioni, i raffinati interni primo Novecento, la bravura dell’attore protagonista, il bel tratteggio dei suoi due collaboratori.

Ma questo è il fumo. L’arrosto sono le trame talora improbabili e contorte; i personaggi spesso caricaturali; le macchiette ripetute fino allo sfinimento, senza pudore (“La porta mi scappò”). Ammesso che la struttura dei “gialli” sia ben congegnata e che io ne sottolinei i difetti anche solo per antipatia, non ho mai capito perché si debba pagare questo prezzo. Perché cedere inspiegabilmente al consenso dell’Italia di Pappagone?

In un ambiente provinciale da far mancare l’aria, con le strade costantemente vuote, statico e deserto come un fondale di teatro, rappresentativo di una bellezza trascorsa e immobile, in una parola falso, si svolgono le complicate vicende di “masculi” di tutte le età ed estrazione sociale e “picciotte” (o “settantine”) che si amano, si odiano, si ricattano, fanno spudoratamente sesso, si uccidono, parlando una lingua sconosciuta e fasulla il cui significato, più che “ammucciato” è irritante. Ogni episodio è contrassegnato da litanie di dubbio gusto: la rappresentazione dei notabili delle Forze dell’Ordine, descritti come inverosimili imbecilli; le tirate del medico legale a suon di turpiloquio e rottura di “gabbasisi” con nauseanti abboffate di cannoli; il rapporto di Montalbano con la fidanzata nordica e ingenua, francamente stucchevole.


Forse ciò che maggiormente non sono riuscita a digerire nei telefilm di Montalbano è la sua concezione della donna. L’ostentazione imbarazzante del corpo femminile mi pare al limite dell’offensivo, col suo erotismo greve, ammiccamenti pronunciati, accavallamenti di gambe, allusioni insistenti. Le tette esplosive, i sederi che ondeggiano, gli spacchi nelle gonne mi sembrano espressione di una sessualità primitiva e assomigliano più alle fantasie masturbatorie di un vecchio che all’ironia di Woody Allen il quale a ottant’anni immagina magnifiche giovani donne nel suo letto. Tutte le donne di Camilleri sono corpo e solo corpo. O domestiche. Oppure (la fidanzata di Montalbano) gattine stucchevolmente gelose, carine, conformiste, buoniste, occasionalmente invadenti e soprattutto cretine. Mai anima, mai testa, mai passione, mai poesia.

Forse c’è un costante intento grottesco. Una continua strizzata d’occhio. Forse consiste proprio in questo il merito di Camilleri? Non so. Continuo a dire “non so”. So invece che ciò che ha incantato gli altri mi fa fuggire.

Non riesco a dire “de mortuis nil nisi bonum”. Ma mi piace ricordare Camilleri nel suo lungo, colto, commovente fino allo strazio “Dialogo con Tiresia”. Camilleri era anche altro da ciò che abbiamo visto con “Il commissario Montalbano”.


Expressioni, blog dell'autrice