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venerdì, settembre 11, 2020

Camilleri, l'opinione antitetica

 (Alida Pardo)


Ci deve essere qualcosa che non capisco in Camilleri. Forse una di quelle antipatie inconsulte che a volte si manifestano, inspiegabili, e rimangono attaccate al pensiero come una colla velenosa. Il suo aspetto fisico non lo ha favorito, ma questa non sarebbe una spiegazione: e allora Ungaretti? E Alda Merini?

Tutti sappiamo cos’è il colpo di fulmine, l’innamoramento irresistibile e irragionevole. Io ho provato la stessa cosa per Camilleri, ma al contrario. Un contro-innamoramento, un anti-innamoramento. Una sorta di black out comunicativo me l’ha fatto rigettare alla terza pagina del primo libro assaggiato, quando ho sentito la sua lingua assolutamente falsa. E la lingua è tutto per uno scrittore. Quella di Camilleri non corrisponde a nessun dialetto, nessun autentico siciliano ci si riconoscerebbe: è marcatamente “sicula” ma inventata, è stantia, forzata, greve. Lì è avvenuto il corto circuito. Non posso giudicarlo quindi come scrittore.


Però ho avuto un’esatta percezione del mito di Camilleri. Il suo Montalbano è soprattutto un personaggio televisivo apprezzatissimo e citato anche dalla mia parrucchiera che ha fatto un pellegrinaggio fino alla “sua” casa. Una casa che dovrebbe fare inorridire gli ecologisti e i magistrati che combattono contro gli abusi edilizi.

Ho visto alcune puntate della serie, conosciuta in tutto il mondo, mentre mio marito si rifugiava nella sua camera, lui è molto più schizzinoso di me. Ma non è che mi abbiano incantato. Ho apprezzato le magnifiche ambientazioni, i raffinati interni primo Novecento, la bravura dell’attore protagonista, il bel tratteggio dei suoi due collaboratori.

Ma questo è il fumo. L’arrosto sono le trame talora improbabili e contorte; i personaggi spesso caricaturali; le macchiette ripetute fino allo sfinimento, senza pudore (“La porta mi scappò”). Ammesso che la struttura dei “gialli” sia ben congegnata e che io ne sottolinei i difetti anche solo per antipatia, non ho mai capito perché si debba pagare questo prezzo. Perché cedere inspiegabilmente al consenso dell’Italia di Pappagone?

In un ambiente provinciale da far mancare l’aria, con le strade costantemente vuote, statico e deserto come un fondale di teatro, rappresentativo di una bellezza trascorsa e immobile, in una parola falso, si svolgono le complicate vicende di “masculi” di tutte le età ed estrazione sociale e “picciotte” (o “settantine”) che si amano, si odiano, si ricattano, fanno spudoratamente sesso, si uccidono, parlando una lingua sconosciuta e fasulla il cui significato, più che “ammucciato” è irritante. Ogni episodio è contrassegnato da litanie di dubbio gusto: la rappresentazione dei notabili delle Forze dell’Ordine, descritti come inverosimili imbecilli; le tirate del medico legale a suon di turpiloquio e rottura di “gabbasisi” con nauseanti abboffate di cannoli; il rapporto di Montalbano con la fidanzata nordica e ingenua, francamente stucchevole.


Forse ciò che maggiormente non sono riuscita a digerire nei telefilm di Montalbano è la sua concezione della donna. L’ostentazione imbarazzante del corpo femminile mi pare al limite dell’offensivo, col suo erotismo greve, ammiccamenti pronunciati, accavallamenti di gambe, allusioni insistenti. Le tette esplosive, i sederi che ondeggiano, gli spacchi nelle gonne mi sembrano espressione di una sessualità primitiva e assomigliano più alle fantasie masturbatorie di un vecchio che all’ironia di Woody Allen il quale a ottant’anni immagina magnifiche giovani donne nel suo letto. Tutte le donne di Camilleri sono corpo e solo corpo. O domestiche. Oppure (la fidanzata di Montalbano) gattine stucchevolmente gelose, carine, conformiste, buoniste, occasionalmente invadenti e soprattutto cretine. Mai anima, mai testa, mai passione, mai poesia.

Forse c’è un costante intento grottesco. Una continua strizzata d’occhio. Forse consiste proprio in questo il merito di Camilleri? Non so. Continuo a dire “non so”. So invece che ciò che ha incantato gli altri mi fa fuggire.

Non riesco a dire “de mortuis nil nisi bonum”. Ma mi piace ricordare Camilleri nel suo lungo, colto, commovente fino allo strazio “Dialogo con Tiresia”. Camilleri era anche altro da ciò che abbiamo visto con “Il commissario Montalbano”.


Expressioni, blog dell'autrice

 

 

sabato, maggio 30, 2020

Esce 'Bomba' Atomica', di Mercadini

Il 23 giugno, per i tipi di Rizzoli. 

Nel video, lo scrittore-entertainer ci narra in breve i contenuti dell'opera. 

Conoscendo Roberto Mercadini, si tratterà di sicuro di una lettura piacevole... nonostante le conseguenze catastrofali dell'invenzione. (Beh, sappiamo tutti che l'energia atomica - o nucleare - fece... e fa... tanti morti.) 

Un romanzo-saggio o saggio romanzato, come ci spiega lui stesso. Insomma: un docuromanzo.



  Per approfondire l'argomento (a latere ma anche in maniera specifica), consiglio questi eBook [presenti su Amazon]:






domenica, luglio 14, 2019

I racconti di Emiliano Angelini

Emiliano Angelini
Memorie dal Futuro
racconti

(Sottotitolo: ‘I migliori racconti di Emiliano Angelini’)

Rill - Riflessi di luce lunare






Le radici di tutti i possibili mondi futuri attecchiscono già nell’oggi, questo è chiaro, e, nella dozzina di racconti che compongono la raccolta Memorie dal Futuro, si ha l’impressione di essere confrontati con molti, addirittura troppi elementi del tempo presente. Questo o quel paesaggio in rovina e questa o quella situazione grottesca possono benissimo trovare posto nell’oggi. ‘Trovano’ posto nell’oggi, spesso. Riconosciamo gli scorci, riconosciamo il contesto e la circostanza: un po’ perché ci pare di averli visti in qualche film, ma massimamente perché, con le debite distanze di secoli e di carico di tragedia, siamo già stati protagonisti e/o visitatori di una di queste dimensioni.
Che, ci tengo a sottolinearlo, non appartengono tutte a un tempo a venire. Anzi: come nel caso di Il messaggio (più fantasy che SF), l’atmosfera è spesso malinconica, quasi inerente a un’America e a un’Europa crepuscolari, marca Anni Cinquanta.
Ma atteniamoci alla fantascienza: i luoghi sono quelli che conosciamo, non ci sono dubbi; solo lievemente mutati o come guardati attraverso uno specchio distorto. Come dopo un’indicibile catastrofe.
Anche sfogliando le pagine che trattano di vita “sociale”, di interazione tra umani, abbiamo un forte senso di déja-vu. Purtroppo. Purtroppo, sì, perché il futuro (il futuro vero e quello immaginato da Emiliano Angelini) non riserva nulla di piacevole per l’homo sapiens.
Parlo a bella posta al singolare (“futuro” anziché “futuri”) poiché tutte le tessere del puzzle formano una sola realtà e, se è vero che la realtà è varia e complessa, è possibilissimo immaginare ogni singolo racconto come il capitolo di un unico romanzo distopico.
Per me Angelini non è un novello Bradbury, come molti hanno sostenuto; per me è il Kafka dell’odierna letteratura fantascientifica. La sua intelligenza traspare non solo dalle trovate fulminanti, ma anche dall’abilità con cui riesce a esprimere concetti, a raccontare una storia senza sciupare una parola più del necessario. Non per niente è ritenuto uno dei migliori autori che abbiano partecipato al Trofeo Rill ed è stato tra i co-vincitori del premio SFIDA, indetto dalla stessa associazione!
Potrebbe senz’altro lavorare come sceneggiatore per il cinema...




L’ultimo giorno buono dell’anno (titolo ispirato a una canzone dei Cousteau) trasuda amara, cinica poesia. E il quadro dipinto dallo scrittore pescarese ci fa riflettere a quanti pochi anni (e non anni-luce!) dista l’estinzione del nostro pianeta e dell’humani generis.
Migrazione è un’altra storia che così bene sa esprimere il distacco, la lontananza. Siamo esseri minuscoli nell’universo, eppure capaci di distruggere l’unico posto accogliente di cui abbiamo conoscenza. Ci saranno razzi per portare nello spazio i nostri discendenti, ma parecchi saranno costretti a rimanere quaggiù, nell’ex Eden trasformato in Inferno.
Liberaci dal Male è sicuramente il racconto che più me lo ha fatto accostare a Kafka. Un Kafka moderno, sicuro. È narrazione condita con particolari piacevolmente orridi. Ma, attenti! Non si parla di futuro qui, ma di ieri prossimo. Dei giorni nostri, addirittura. E il piacere diventa... dispiacere.
Stesso discorso vale per il racconto Bogey: mondo presente. A propos di cinema e di scrittura cinematografica...
L’immagine riflessa è un vero horror thriller. Ma, per classe ed eleganza, degno di un H. G. Wells.
Morte prematura è il mio racconto preferito. Troppo bello per rivelarne anche un solo particolare.
Memorie della sabbia ha un’ambientazione esotica, similmente a Liberaci dal Male, ma la storia è profusa del senso di mistero e di cose irrimediabilmente perdute così come lo è, ad esempio, L’ultimo giorno buono dell’anno.
E passiamo a Bilancio familiare, uno dei racconti migliori e anche più conosciuti di Angelini. Breve quanto basta e raggelante sia per rapidità d’esposizione sia per il contenuto. Il mondo, ragazzi miei, sta andando in questa direzione. Facciamocene una ragione!
“Il Patriarca. Così lo chiamavano. Nessuno conosceva il suo vero nome. Forse, ironizzava qualcuno, neppure lui era più in grado di ricordarlo.” Il protagonista di Le cose che perdemmo nel fuoco (altro titolo suggestivo!) ne passa di cotte e di crude... No, nessun dramma di sangue: appena un “incubo culturale”. Con la partecipazione straordinaria di un grande maestro delle arti figurative.
Ufficio Rettifiche Genesi si inserisce nello stesso filone di Bilancio familiare. Rende tristi e nel contempo fa venire voglia di ribellarsi alla scienza più malvagia, alla perfida burocrazia, a...
Il racconto dal titolo Il messaggio è genuinamente, assolutamente bradburiano. Sembra di camminare, insieme alla protagonista, su un pianeta di ombre che incombono invadenti... mentre invece, per altre persone, si tratta di un pianeta di luce.
La stazione - pagine finalmente venate di speranza - evoca in una certa qual maniera le celebri Cronache del dopobomba...



***



Anche se è uno “scrittore pigro” (come pare che abbia affermato lui stesso), cercate di procurarvi tutti i papiri che portano la firma di questo scrittore. Potreste ‘sentire’ di aver scoperto un Philip K. Dick nostrano e, se no, avreste comunque tra le mani un “Original Angelini”.





lunedì, luglio 08, 2019

'24 scatti' - Recensione


Anna Belozorovitch
24 scatti
romanzo

Besa Editrice


Anna Belozorovitch è una scrittrice interessante. Già iniziando la lettura di questo suo lavoro in prosa si capisce che il suo è un linguaggio innovativo, pur rimanendo elegante ai limiti del classico (una classicità moderna, certo). L’autrice, nota anche come poetessa, usa frasi del genere:

”... scese lentamente col corpo verso il letto...” (anziché: “si inchinò verso il letto”); “tentando di alzare le palpebre pesanti verso l’ampia finestra...” (anziché: “rivolgendo gli occhi dalle palpebre pesanti verso la finestra...”).

Ogni cosa, in queste pagine, è movimento fluido.
“Lei sorrise e lui la seguì sorridendo” (ma i due non si stanno spostando, non stanno andando in qualche dove: l’una è sdraiata, l’altro le sta accanto; altri avrebbero scritto, più sbrigativamente: “lei sorrise e lui fece altrettanto”).





Il “lei” e il “lui” della vicenda sono Mara e Marino: un’assonanza di nomi non del tutto casuale. Proprio questa corrispondenza, proprio l’armonia di sillabe, serve a sottolineare l’ineluttabilità dell’unione del binomio in questione. Pur se nulla - come abbiamo accennato - sembra poter essere definitivo e scontato. Infatti persino un volto, addirittura un volto dolce, può trasformarsi all’improvviso in una maschera tragica.
Belozorovitch è sempre cosciente della plasticità del mondo e se ne fa portavoce. La Mara del romanzo ovviamente è la stessa scrittrice... almeno in parte. Così ci sembra di intuire. D’altronde: come potrebbe essere altrimenti? Trattasi di donna libera, che procede sicura su una strada scelta da lei medesima... anche se è una strada che si presenta non scevra di ostacoli. Marino, di contro, ci appare fin dall’inizio come un tipo problematico, fin nei gesti, fin nelle pose; addirittura nel fisico. Abbiamo dunque la contrapposizione tra semplicità, quasi “trivialità” (la donna, animale autosufficiente, capace a volte di un peccato veniale) e un essere scostante, ombroso, angoloso (il maschio suo compagno, comunque innamorato).



Le storie di Anna Belozorovitch si evolvono con scioltezza, con agilità quasi ipnotica, punteggiate di flashback. Ci si ritrova a vivere un frammento antecedente all’oggi nei più minimi particolari, eppure il lettore non arriva a stancarsi: un carattere o uno scorcio paesaggistico, un individuo oppure una casa vengono abilmente descritti con pennellate rapide e precise.
Ogni capitolo (e il primo inizia con “2”, non con “1”!) contiene riflessioni - traslate in gesti e parole - sull’amore, il vero grande miracolo dell’interagire tra umani. Ci sono silenzi, ma anche essi hanno un loro perché: come in un film neorealista o in un’opera dell’esistenzialismo francese.
Intorno alla coppia di protagonisti si attorcigliano le fotografie di situazioni, luoghi e personaggi ‘alia’ che hanno fatto di loro quel che sono. E il lettore vuol saperne di più. È come se un rullino fosse già stato sviluppato mentre altri stessero ad attendere di essere tirati fuori dal cassetto ed esternati, rivelandoci nuovi particolari. Il passato è una girandola mai veramente trascorsa. I giorni finiti sono composti da dagherrotipi in movimento che, più efficaci di un calendario, segnano il passo della nostra esistenza.
Il media della macchina fotografica (o “fotocamera”, come viene più propriamente chiamata nel libro) non è stato scelto alla cieca. Belozorovitch è una scrittrice di “scatti”, di “istantanee” che, messe in fila, vengono a formare una narrazione a tratti complessa - com’è complessa, o ad ogni modo eterogenea, o forse è meglio dire composita, la vita. Siamo di fronte alla nuova lady della letteratura intelligente. 



La storia narrata in 24 scatti è a spirale. Prima è lei - Mara - a sembrare totalmente persuasa di sé e padrona del proprio destino, ma a poco a poco (complici le foto “nascoste” nel rullino) ci viene suggerito che la donna possa essere depositaria di qualche mistero labirintico. Che sia responsabile di chissà quale colpa...
L’incombente operazione di sviluppo che servirà a rendere visibili le immagini latenti nella pellicola dovrebbe risolvere l’intrico.
Dovrebbe.


Lasciatevi incantare anche voi da questo bel romanzo che trasuda autenticità. 24 scatti è un prodigio. E ancor più lo è l’autrice.


Recensione pubblicata su Progetto Babele


martedì, ottobre 03, 2017

La Trabanteide - racconto online

(in onore dell'Unità Tedesca)


***





Peter Patti

 

L A      T R A B A N T E I D E



Nell’aprile del 1990, Hans Aberle si apprestò a compiere il suo primo viaggio verso il capitalismo.
Hans, capo turno di cella frigorifera in un’industria di alimentari di Grimma, era solito incontrarsi con i suoi amici nella locanda Testa di leone, dove, con l’appressarsi della stagione calda, la discussione si accentrava sempre più sulle ferie da andare a trascorrere possibilmente nella Germania Ovest.
«Quattordici giorni, forse tre settimane per visitare i miei parenti “dell’altra parte“ e poi torno», sentiva gli altri dire.
Soprattutto, vaneggiavano di acquisire questo o quel bene di consumo che finora era stato fuori dalla loro portata: interi caschi di banane, un videoregistratore, un’automobile potente e scintillante... Intanto però la loro paga rimaneva modesta, mentre i prezzi si catapultavano alle stelle.
La Cortina di Ferro era caduta sei mesi prima, causando la chiusura di molte fabbriche dell’ex DDR. L’oste del Testa di leone (già Taverne Marx & Engels) non concedeva più crediti, e non è che la birra avesse un sapore migliore solo perché Grimma apparteneva ora alla Repubblica Federale Tedesca. Così, gli amici di Hans finivano spesso con lo stancarsi delle consuete fantasticherie e, amareggiati, stavano a rimuginare in silenzio tra i fumi dell’alcol, prima di tornarsene a casa: chi a piedi, chi in bici e chi col Trabant.
Il Trabant è l’unico veicolo che fu prodotto nella Germania Orientale, e per decenni rappresentò il fondamentale oggetto di culto di quello che fu, per autodefinizione, il "socialismo realmente esistente“.
Per Hans, gli incontri al Testa di leone si andavano vieppiù trasformando in un’esperienza triste e tormentosa. Quei volti grigi, affranti, depressi! E gli scambi di battute senza cuore, scolorite!
«Buonasera.»
«Forse.»
La tavolata, un tempo spensierata e rumorosa fino a sfiorare l’osceno, assomigliava ormai a un’adunata di becchini a lutto. Voglia di parlare, confidarsi, sfogarsi. Ma spesso le bocche rimanevano chiuse. Volevo dire... Sì, continua! No, di’ tu! Dica lei! Non volevi...? Pensavo che fossi tu, che fosse lei, che... Con sfumature di imbarazzo.
L’oste si spazientiva: «Ehi! Nessuno ordina un’altra birra? Non avete sete nemmeno stasera, eh?»
Poteva capitare, ovviamente, che ogni tanto si sviluppasse una conversazione normale, o l’abbozzo di una conversazione:
«Sapete chi ho incontrato? Il Dieter. È tornato ieri con la moglie. Ora vivono a Brema. Staranno qui tre giorni e poi se la squaglieranno di nuovo. Sono venuti in BMW...»
«Ma va’ là. Com’è che il Dieter ci ha il biemmevù, che l’è via solo da sei mesi?»
«Lo sappiamo tutti che l’è via solo da sei mesi, che stai a contarcela? Ma io non ci ho mica le patate sugli occhi e l’ho visto bene il Dieter dentro il suo biemmevù . Ci ho parlato pure!»
«Beh, e a noi che ce ne cala del biemmevù?» interloquiva Hans.
Occhiate incredule si posavano su di lui. «Che ce ne cala, dici? Quella sì che l’è una signora macchina, mica i nostri Trabbi
“Trabbi“: diminuitivo di Trabant.
«Ma finitela, che il Trabbi l’è proprio ottimo e ci ha pure la pelle più dura di tutte quelle automobili “dell’altra parte“», perorava Hans.
Un circolo di facce diventava un circolo di facce che si scuotevano da destra a sinistra a destra a sinistra a. «Hansi, caro Hansi, sùzzati mo' un’altra bionda che così ci fai un piacere al Leone e ci lasci in pace pure a noi con le tue strullate.»
E “Hansi“, ubbidiente, suzzava la sua bionda e non aggiungeva altro.
A lui il Trabbi non dispiaceva punto. Benché a quest’automobilina affibbiassero di continuo epiteti offensivi (“elettrocartone“ era solo uno dei numerosi nomignoli), era fiero di possederne una.
Per chi non ha mai avuto la ventura di imbattersi in un Trabant, spiegheremo qui che si trattava di una piccola utilitaria dall’aspetto austero e nel contempo sbarazzino, una scatoletta le cui intercapedini erano imbottite di matasse di cotone e altro materiale non bene identificato. Quando nella Repubblica Democratica Tedesca fu avviata la produzione in serie del “modello popolare“, le strade dell’emisfero occidentale erano solcate da quattroruote altrettanto minuscole: i maggiolini della Volkswagen, le Cinquecento con gli sportelli che si aprivano controvento, Mini Morris, Messerschmidt e persino BMW dall’abitacolo angusto e la linea breve. Nella forma e nelle dimensioni, dunque, il Trabant rispecchiava lo standard di quegli anni (il primo satellite sovietico aveva appena cominciato a gravitare intorno all’orbita terrestre... “Trabant“ significa, appunto, “satellite“). Il suo design veniva giudicato «elegante e armonioso».
Ma l’epoca del maggiolino, della duecavalli e di altre vetture a formato ridotto era tramontata da un pezzo, e intanto il Trabbi non mutava di un iota. Certo, la vetturetta della DDR vantava eccellenti valori di frenata e di accelerazione, ma non offriva nessunissimo comfort; per tacere del fattore sicurezza, che era uguale a zero: uno scontro frontale a 40 km/h bastava perché si fracassasse completamente.
A partire dagli anni Ottanta, voci maligne provenienti dalla Germania Ovest imputarono al Trabant addirittura la responsabilità maggiore per i malanni che affliggono la natura. Comunque fosse, Hans Aberle rimaneva indifferente alla congerie di chiacchiere. E, ora che la Guerra Fredda era finita, era più che mai deciso a lasciarsi alle spalle la Turingia e la Sassonia. A bordo del suo Trabant.



Le ferie arrivarono e lui, come annunciato, si mise in viaggio. Imboccata l’autostrada nei pressi di Karl-Marx-Stadt (una città che era in procinto di riacquistare il suo antico nome: Chemnitz), si diresse per prima cosa a Gera. Gera rappresentò una sorta di bivio: da lì avrebbe potuto continuare per Jena, Gotha e Eisenach, e invece preferì l’altra soluzione, quella che lo portava a Hof e che era anche la via più breve per accedere alla Germania Occidentale dal vecchio territorio della DDR.





...

martedì, febbraio 12, 2013

Amanti dell'horror?

Comprate e fate comprare...




franc'O'brain - Antologia sborror Vol. 1, Skuro Connection - eBook Kindle

Le narrazioni ivi contenute spaziano da puro splatter a umorismo nero. franc'O'brain, svezzatosi più con la fantascienza che con Poe e Lovecraft, ci offre 19 racconti che potrebbero benissimo diventare la "stoffa" di altrettanti film...
E' horror? Chiaro! Ma lo stesso autore preferisce definire il suo genere "sborror" (TM)...

domenica, gennaio 13, 2013

Antologiaaaaaaaa... analisi logica...


Per la serie: Voi chiedete, io rispondo


Your Question:
Dopo aver letto questo testo che è in questo sito: http://www.comprensivo-pieveanievole.it/PDF/materiali%20didattici/V3_U04_Il_romanzo_di_formazione.pdf

potete fare una specie di lavoro?? ora vi spiego....dovete fare 4 domande a risposta multipla seguendo 4 punti.....(a risposta multipla significa : a; b; c; d)

I 4 PUNTI:

1. Fare un’inferenza diretta, ricavando un’informazione implicita da una o più informazioni date nel testo e/o tratte dall’enciclopedia personale del lettore.

2. Cogliere le relazioni di coesione (organizzazione logica entro e oltre la frase) e coerenza testuale.

3. Ricostruire il significato di una parte più o meno estesa del testo, integrando più informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse.

4. Sviluppare un’interpretazione del testo, a partire dal suo contenuto e/o dalla sua forma, andando al di là di una comprensione letterale.

QUINDI OGNI DOMANDA DEVE ESSERE DI UNO DI QUESTI 4 PROCESSI GRAZIE MILLEEEEE


My Answer:


"inferenza"???

"organizzazione logica entro e oltre la frase"???

Guarda, il tuo prof o la tua prof dev'essere uno/una psicopatica. Ancora queste cose fate a scuola??? Rompicapi per futuri disoccupati internati in manicomio? Ma questi schiavetti del Bürokretinismus pensano forse che i grandi scrittori, quando prendono la penna in mano, muoiano dalla voglia di fare l'analisi logica (o, meglio, illogica) delle proprie frasi?

Povera Italia! Ecco perché siamo la Nazione più derelitta dell'emisfero occidentale! 


sabato, settembre 15, 2012

Bologna di nuovo in lutto. Stavolta è toccato a Roberto Roversi

ll signore della guerra

Il signore della guerra è
padrone del mondo. Il signore
della guerra è padrone del mondo? È
padrone del mondo?
Appoggio l'orecchio sulla terra
mi brucia il suo respiro misterioso
alzo gli occhi e un cielo turbato
grida sulle mie spalle come
una spada che cala.
Fra sabbie mari di onde
fra sole luna tempesta nebbia
               di neve
I'avventura dell'uomo non ha tregua
inquieta luce
ape inesorabile impazzita.
Rintanato nella caverna
ma salvato dalla speranza
ritornerà sui grandi fiumi con vele
gonfiate dalla voce di un bimbo
              bambina che ride.


(Da: Se tutti i mari del mondo fossero inchiostro.
Edizioni Cooperativa Culturale Centoggi, 1996)


Oggi, 15 settembre 2012, scrive Lorenzo Jovanotti su Twitter:
se n'è andato il grande Roberto Roversi un innumerevole poeta . Scrisse anche "chiedi chi erano i beatles".


Già. Se ne stanno andando tutti i migliori. Anche se Roversi, grande uomo di lettere, era alquanto vetusto e certamente stanco di trascinarsi in questo presente che sempre meno sa guardare al futuro, un futuro di cui lui auspicava una "visione larga". Si è spento nella sua Bologna, dove era venuto al mondo il 28 gennaio 1923.

"Quello che serve è una visione larga del futuro, che riconosca passato, che ce lo faccia leggere, e che lo voglia cambiare."



Oltre a essere scrittore e poeta, fu libraio: dall'immediato dopoguerra, e fino al 2006, aveva gestito a Bologna la Libreria Palmaverde, in via de’ Poeti, autentico fulcro della poesia giovanile della città, un eremo frequentato da Gadda, Bertolucci, Volponi, Calvino, Ungaretti.
La libreria era specializzata in antiquariato: conteneva non solo volumi antichi (20.302 libri solo dell'Ottocento e del Novecento!), ma anche manifesti del periodo risorgimentale, 282 testate di riviste sia storico-culturali che di attualità degli anni 1960-1980, carte geografiche del XVIII e XIX secolo, migliaia di opuscoli della Poesia Visiva italiana del Novecento e diversi ritratti incisi e litografati.

"Nessuno è mai solo con un libro in mano": è il motto che questo straordinario intellettuale forgiò per definire lo spirito della maratona di lettura "Ad alta voce", di cui fu il principale ispiratore.
Firmò inoltre molti testi di canzoni (per Lucio Dalla ma non solo) e diresse il giornale di estrema sinistra Lotta Continua.

 "Quando corre Nuvolari, quando passa Nuvolari, la gente arriva in mucchio e si stende sui prati." (Leggi: "Roberto Roversi, Nuvolari e la poesia")

Nel 1943 - a vent'anni - Roversi si arruolò tra i partigiani combattendo la Resistenza sulle colline piemontesi.  Grande amico di Tonino Guerra (anche lui scomparso quest'anno; così come sono purtroppo scomparsi quest'anno Lucio Dalla e lo scrittore e autore teatrale Stefano Tassinari), nel 1955 aveva fondato con Pier Paolo Pasolini e con Francesco Leonetti la rivista Officina. Nel 1961 diede alla luce una nuova rivista, Rendiconti. Di entrambe fu anche editore. Attorno alla metà degli Anni Sessanta compì una scelta destinata a segnare profondamente la sua attività letteraria: smise di pubblicare con i grandi editori, limitandosi esclusivamente a fogli fotocopiati distribuiti autonomamente e a collaborazioni con piccole riviste autogestite.
Agli Anni Settanta risale l'incontro artistico con il concittadino Lucio Dalla: Roversi collaborò come paroliere agli album Il giorno aveva cinque teste (1973), Anidride solforosa (1975) e Automobili (1976), molto apprezzati dalla critica, firmando i testi di canzoni come "Coyote", "Un'auto targata TO", "Tu parlavi una lingua meravigliosa", "Ulisse coperto di sale", "Anidride solforosa", "Nuvolari", "Due ragazzi" e "Il motore del 2000". Successivamente collaborò anche con gli Stadio (suo, ad esempio, il testo di "Chiedi chi erano i Beatles", ma anche le parole delle canzoni "Maledettamericatiamo" e "Doma il mare, il mare doma" dedicata a Maradona).
Nel 2006 la Libreria Palmaverde ha chiuso i battenti. Dopo oltre 50 anni di attività, Roberto Roversi e l'inseparabile moglie Elena hanno deciso di ritirarsi a vita privata. Tutti i libri sono stati acquistati da Coop Adriatica. Parte di essi sono stati venduti. Quelli invece di maggiore interesse sono stati donati a biblioteche.
Appena un anno dopo (nel 2007, dunque), i Roversi hanno subìto la tragica scomparsa, causata da un tumore, del figlio, Antonio, Sociologo e Professore Ordinario all'Università di Bologna.
Nel 2010 il poeta ha dato alle stampe - in cinquanta esemplari fuori commercio - la versione integrale del poema "L'Italia sepolta sotto la neve".
Recentemente, le edizioni Pendragon hanno ristampato tre dei suoi testi teatrali (Unterdenlinden, Il Crack e La macchina da guerra più formidabile) sotto la cura del professor Arnaldo Picchi, e hanno pubblicato il fino ad allora l'inedito La macchia d'inchiostro.
La famiglia di Roberto Roversi ha fatto sapere che per volontà del defunto non si terrà alcuna cerimonia funebre, neppure in forma privata, e non verrà allestita una camera ardente. 




Italia Italia Italia.
 Dice: il Che mi è caro e non è morto mai.
 Dice: in tanti lo fischiano io continuo a cantarlo.
 È il mio eroe di Alamo
 e la vita è battaglia all’ultimo sangue
 alle volte capita di dover fare
 di potere rischiare e di dover cadere.
 Hanno memorie rapide e leggere
 i mandarini di casa nostra.
[...]
Le miserie d’Italia maledizione d’Italia numero otto
 una volta gli aranci oggi una nuvola nera
 dove il mare ora l’onda si ferma nel rosso del fuoco tramonto
 dove la speranza intera e uomini pescatori di spade
 oggi pervade la landa un’idea di miseria dolore
 ho visto molte ombre nel corso di questa giornata
 ho potuto contare le orme
 ricordo in Italia minuetti sui piedi danzanti
 ariette napoletane in un cielo di Giove
 oggi crateri a Palermo vulcani a Milano
 con voli improvvisi di morte
 inesorabile fato questa antichissima Esperia
 nel fango non ha destino il futuro.
 Ammanettati con piccole catene d’oro
 simulacri di uomini tomba ridono liberi a Roma.
 Sono difesi da pietre porte di una città devastata.
 Solo il fucile d’oro è arbitro di queste contese
 se canta da usignolo
 sarà un nuovo mattino.

Da: Roberto Roversi,  Trenta miserie d’Italia
[Quarta parte de “L’ Italia sepolta sotto la neve”],
Sigismundus, Ascoli Piceno, 2011





Lettere d'amore a Diotima (sull'11 settembre 2001)

"20 settembre
Venti settembre partono/ i bombardieri di Bush per la giustizia infinita/
Dan Rather piange/ piange Dan Rather nello show in tivù/
Militari americani danno/ via libera alla partenza dei caccia/
per l'operazione giustizia/ giustizia finita infinita - Dan Rather/
piange/ È cominciata la giustizia infinita.

19 settembre
I Taliban: no a Bush/ Bush:prepariamoci a soffrire/ questa guerra non sarà breve/
Voglio Bin Laden vivo o morto

17 settembre
Cia: torna la licenza di uccidere/ Cheney: la guerra potrebbe durare anni/
L'incubo della guerra pesa sui mercati

16 settembre
Soldati d'America pronti a colpire

15 settembre
Bush prepara l'attacco/ Poteri di guerra al Presidente/ sapremo essere implacabili/
Blair: con quei nemici rischio atomico

14 settembre
Guideremo il mondo alla vittoria/ sugli aerei diciotto dirottatori

13 settembre
LA Nato dice siamo in guerra

12settembre
Attacco all'America/ L'Europa brucia 810mila miliardi
Adieu mon amour".


Roberto Roversi sull'infanzia:
"L'infanzia è come un'alba fresca e lucente, bagnata di guazza e toccata via via dal brivido del sole. Quanto straordinaria fantasia essa ci potrebbe offrire, e ci offre, per ripulire il nostro mondo; e noi, ripeto, la soffiamo via, con una frettolosa carezza, distratti e preoccupati".

E con ciò, torniamo a petardo al twitter di Jovanotti:
se n'è andato il grande Roberto Roversi un innumerevole poeta .
 

Del cantante, lo stesso Roversi aveva detto, in un'intervista all'agenzia stampa La Stefani:

"C'è un grande filosofo contemporaneo che ho già citato facendo ridere mezzo mondo. Ma l'ho citato con serietà in testi abbastanza seriosi: è Jovanotti che canta 'Penso positivo perché son vivo, perché son vivo': sembra Kant, Hegel, Leibniz, non oso dire Platone o Aristotele. Questa è la massima che i giovani dovrebbero portare con loro. Non con superficiale ottimismo, ma con generosa, drammatica volontà di superare le difficoltà".




venerdì, maggio 18, 2012

Ora su Amazon - 'Transits'

 Un giovanotto viene assunto in una ditta importante ("la" ditta, ormai...) e deve confessare a se stesso di non meritarsi tanto onore. Tanto più che non sa proprio che fare, dentro a quel comodo ufficio che gli hanno assegnato con, nella stanza accanto, una splendida segretaria personale. Così, comincia a esercitarsi con i videogiochi...   L I N K

Per chi volesse leggere (gratis) la versione alleggerita, e duque non il romanzo bensì il suo "imprinting", ovvero la novella Transits in versione .html, il link è questo.

sabato, aprile 21, 2012

Ora su Amazon - 'Città dell'Alfabeto'




Fantascienza post-apocalittica.

Più precisamente, questo romanzo, ambientato nell'onnivora Alphabet City (odierna New York), rientra nella SF distopica (non utopica!). Alvo, il protagonista, deve districarsi tra le insidie della megalopoli - capitale di entrambi gli emisferi - che si estende sull'East Coast statunitense. La Terra sembra ormai essere controllata da un'unica multinazionale. Ma... è proprio la Terra, questa?








"Un tempo il mondo era un insieme di pochi, solidi insiemi. Poi la bussola si mise a roteare impazzita, le singole unità vennero scaraventate in giro e formarono uno sconnesso mosaico di brandelli e cocci incompatibili tra di loro, una matassa in cui invariabilmente ci si smarrisce. Nessun schema da poter seguire, la perdizione come status effettivo. E, al centro di tutto, l'Impastatrice, elevata oramai a ruolo di madre irreprensibile, caritativa nella sua azione distruttiva; l'enorme bocca un buco nero."

......E-book


martedì, aprile 17, 2012

Ora su Amazon - 'I Canachi'


Un affresco poetico e sconvolgente dell'emigrazione italiana in Germania. Marco, un giovane alla guida di una vecchia 2CV, alle prese con amori, amicizie e... specialità culinarie.


......E-book


domenica, gennaio 22, 2012

Addio al grande Consolo



Viveva a Milano dal 1969, ma è sempre rimasto un siciliano doc, uno di quei siciliani profondamente dediti alla cultura e all'impegno civile e che non possono perciò non odiare la mafia. Nei suoi libri, raccontava la Sicilia che non si rassegna, ma, direi, soprattutto la Sicilia già rassegnata (leggasi ad esempio le splendide ma anche dure pagine su Palermo in 'Le pietre di Pantalica') e, fin dalla pubblicazione de 'Il sorriso dell’ignoto marinaio' (suo secondo romanzo: quello che lo consacrò nel Parnaso dei nostri maggiori scrittori), è stato amato e riverito anche dalla critica - almeno da quella non compromessa con l'imprenditoria qualunquista e fascista, anzi 'sfascista'. Eh già, perché Vincenzo Consolo, nato a Sant'Agata di Militello (Messina) nel 1933, era uno di quegli intellettuali "scomodi" che scelgono di stare dalla parte delle classi non privilegiate; non a caso, aveva iniziato la carriera lavorando nel quotidiano palermitano 'L'Ora', foglio che fu portavoce appunto di quelle classi e che più tardi, nel capoluogo cementificato a morte, sarebbe stato costretto a dichiarare fallimento.


"Palermo è una Beirut distrutta da una guerra che dura ormai da quarant'anni, la guerra del potere mafioso contro i poveri, i diseredati della città. La guerra contro la civiltà, la cultura, la decenza." ('Le pietre di Pantalica')

Consolo osservava i poveri, gli umili; indagava, li studiava... così come studiava la lingua italiana, di cui salvò le forme e i vocaboli più eleganti. Si dice - e ne ha accennato lui stesso - che prediligesse lavorare più sulla prosa che sull'invenzione narrativa; ma il suo italiano, magistralmente incastonato di sicilianismi e aulismi, evoca immagini di forza tale ('Retablo', 'La ferita dell'aprile', 'Di qua dal faro'...) da risultare esse stesse narrazione, tasselli di un mosaico che forse non sono proprio romanzo 'tout court', ma non corrispondono neppure all'antiromanzo. E' sempre il cronista, il giornalista, a trasparire dalle sue pagine. Del resto, Consolo amava attingere dalla realtà e, nei suoi libri, anche quelle che possono sembrare invenzioni fantastiche sono in verità fatti di cronaca, piccoli avvenimenti quotidiani, grandi momenti storici celati in polverosi diari che la sua intelligenza investigativa riusciva a scovare. Al contrario di Verga e dei veristi, lui credeva nella Storia e nel suo potere educativo; la Storia come paradigma morale e bussola per l'uomo moderno, non come arido assemblamento di vicende stantìe. In un'intervista rilasciata alla RAI, asserì: "Soltanto la letteratura può trattare, oltre che dell'aspetto storico, anche dei sentimenti dell'uomo, delle passioni..."
La letteratura: sua grande passione fin da bambino. Amava Pirandello e Sciascia, era un esperto di Verga, Tomasi di Lampedusa e Vittorini, ma conosceva anche i non-siciliani: Alberto Moravia (incontrato personalmente a Lipari) e, 'in primis', Italo Calvino. Mentre gli intellettuali del Gruppo ’63 proclamano la necessità di rompere i nessi semantici e quelli sintattici, Consolo accoglie il suggerimento etico e razionalistico di Calvino di “dare ordine al caos”; opta sì per una sperimentazione, ma per una sperimentazione che, appoggiandosi alle radici della lingua, riesca a impregnare di 'lirismo' anche le circostanze e gli eventi più squallidi.
A Milano si trovava per lavoro: faceva il giornalista alla RAI e poi - o durante - il consulente editoriale della casa editrice Einaudi; ma lui la metropoli lombarda l'aveva conosciuta in precedenza, avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica. Si può affermare che fosse uno dei tanti siciliani emigrati; con loro, condivideva il "destino d'ogni ulisside di oggi": quello di "tornare sovente nell'isola del distacco e della memoria e di fuggirne ogni volta, di restarne prigioniero..." Cercava in Sicilia, anno dopo anno, decennio dopo decennio, il segno di un cambiamento, di un miglioramento... ma invano. La regione natìa, per quanto bella, sembrava - e sembra - vittima dell'incantesimo di una malvagia Circe...

Due episodi emblematici dalla sua vita: nel 1993, fresco di Premio Strega (lo ha vinto con 'Nottetempo, casa per casa'), dichiarò di voler fare le valigie e abbandonare Milano se mai il leghista Marco Formentini ne fosse diventato sindaco. Altre polemiche suscitò il suo rifiuto, nel 2002, di recarsi al Salone del Libro di Parigi, dove l'Italia era Paese ospite, poiché non voleva "rappresentare un governo [quello Berlusconi] che non ha nulla a che spartire con la cultura". Insieme a lui, si rifiutarono Umberto Eco, Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri.

Stanco di fare la spola tra Nord e Sud, Vincenzo Consolo aveva dichiarato recentemente che gli sarebbe piaciuto tornare per sempre sull'isola dov'era nato.
Desiderio rimasto incompiuto: lo scrittore si è spento ieri a Milano. Aveva 78 anni.

«Barone, ma a chi sorride quello là?», chiede il servitore Sasà al Barone Mandralisca, indicando la tavola riproducente il "Ritratto di ignoto" di Antonello da Messina.
«Ai pazzi allegri come voi e me, agli imbecilli!»

(Da 'Il sorriso dell'ignoto marinaio')

mercoledì, gennaio 19, 2011

A Bologna si parla del poeta Adriano Spatola

Adriano Spatola (1941 – 1988) fu un importante esponente del Gruppo 63.
Ora, l’Associazione culturale Club di Fantomas,
in collaborazione con l’Archivio Maurizio Spatola,
organizza un incontro-dibattito sul poeta.


Dove:

A Bologna, Teatrino di Fantomas, via Vinazzetti 1/3

Quando:

lunedì 24 gennaio 2011
alle ore 20,30


L'evento avrà il titolo

Da "Bab Ilu" e "Malebolge" a "Tam Tam"
Adriano Spatola faber di poesia

e vi parteciperanno, con Giorgio Celli (presidente del Club di Fantomas) e Maurizio Spatola, alcuni tra i protagonisti di quella stagione letteraria e artistica, docenti e critici:
Prof. Renato Barilli, Carlo Marcello Conti, Giuliano Della Casa, Eugenio Gazzola, Beppe Landini, Prof.ssa Niva Lorenzini, Carlo Negri, Giulia Niccolai, Maurizio Osti, Gian Paolo Roffi, Carlo Alberto Sitta, Alberto Tomiolo, Franco Vaccari, William Xerra, Davide Argnani.

L’evento a più voci è organizzato in omaggio all’opera e alle iniziative di un poeta che proprio a Bologna iniziò il suo multiforme percorso creativo. Dall’incontro del ventenne Adriano Spatola con il Docente di estetica Luciano Anceschi fondatore de “il verri”, scoccò la scintilla che nel volgere di pochi anni avrebbe condotto il giovane scrittore attraverso le esperienze del Gruppo 63 della Neoavanguardia e dello sperimentalismo, ad aprire la strada verso la Poesia Totale e a farsi egli stesso, da allievo, maieuta. Alle sue prime riviste collaborò attivamente anche il Prof. Giorgio Celli il cui contributo è stato fondamentale nella progettazione del Parasurrealismo, il movimento che propose fra il ’64 e il ’67 una rielaborazione del Surrealismo “a freddo”, mutuandone cioè tecniche e stilemi ma non i proclami ideologici.
Il critico e storico della letteratura Eugenio Gazzola è autore del libro Al miglior mugnaio , ed. Diabasis 2008, sugli anni di Mulino di Bazzano località della provincia parmense dove attorno alla rivista "Tam Tam" diretta da Adriano Spatola e Giulia Niccolai si creò una vera e propria “repubblica dei poeti”.



ADRIANO SPATOLA nasce a Sapjane in Istria il 4 Maggio 1941 e muore a Sant’Ilario d’Enza (Reggio Emilia) il 23 Novembre 1988. Dopo gli studi al Liceo classico Galvani di Bologna si iscrive al corso di laurea in Filosofia presso la Facoltà di Lettere. Nel 1961 pubblica la sua prima raccolta di poesie, Le pietre e gli dei, presso l’editore-tipografo Tamari di Bologna. Nel 1962 dirige la rivista di poesia “Bab Ilu” (ne usciranno due numeri) fondata in collaborazione con Miro Bini, Giorgio Celli, Gianni Cerati, Carlo Negri e Alberto Tomiolo. Nell’ Ottobre '63 partecipa a Palermo al convegno fondativo del Gruppo 63. Nel 1964 Pubblica presso Feltrinelli il romanzo sperimentale L’Oblò. Fra il '64 e il '67 collabora a Reggio Emilia alla rivista “Malebolge” con Giorgio Celli, Corrado Costa, Claudio Parmiggiani, Antonio Porta e altri. Del 1965 sono i due libretti di poesia concreta Poesia da montare e Zeroglifico, editi a Bologna da Sampietro. Nel 1966 pubblica con Scheiwiller (Milano) la raccolta di poesie L’ebreo negro. Nel 1968-69 è a Roma alla redazione di “Quindici”, ultima rivista del Gruppo 63. Nel 1968 fonda a Torino con il fratello Maurizio le Edizioni Geiger. Nel 1969 pubblica con l’editore Rumma di Salerno il saggio Verso la poesia totale, di cui uscirà nel 1978 una seconda edizione ampliata presso l’editore Paravia di Torino nella collana diretta da Luciano Anceschi. Nel 1971 fonda a Mulino di Bazzano con Giulia Niccolai la rivista "Tam Tam" e pubblica con Geiger le poesie di Majakovskij. Raccolte di versi successive Diversi accorgimenti (Geiger 1975); La composizione del testo (
Cooperativa scrittori 1978); La piegatura del foglio (Guida 1973); La definizione del prezzo (Tam Tam/Martello 1992 postumo). Fra il 1981 e il 1984 dirige la rivista romana “Cervo Volante”.


Per interviste: prof. Giorgio Celli: 338/8424901

Addetto stampa: Claudio Beghelli: 329/3231640

Sito internet: www.clubdifantomas.it

giovedì, gennaio 08, 2009

Rossana, by franc'O'brain

Un racconto horror su un tema che fondamentalmente appartiene alla fantasy amorosa: fanciulla del popolo sposa nobiluomo. Non è una storia dei tempi passati, ma attuale. Ci sono, ancora oggi, aristocratici di antiche casate che trascorrono il loro dasein rinchiusi in improbabili dimore signorili. Barone Bodoni ("Barone" di nome e di fatto) è uno di questi. Peccato che abbia qualche difettuccio di troppo...!


Leggete e/o scaricate Rossana, l'ultimo pulp internettiano (o 'racconto sborror', come lo definisce lui) di franc'O'brain. Il file è in formato .doc.

domenica, ottobre 05, 2008

Il precario

La ruota gira, gira, gira... Sopra c'è il cielo di un blu ellenico, segato dalla 'silhouette' di un uccello che stride; sotto ci sono fili d'erba elettrici, e anch'essi stridono. E la ruota gira, gira...

Quel giorno, uscendo, Vanz [Venanzio] ebbe un trip bestiale: vide gente attaccata a strani aggeggi, forse minicomputer con cuffie. Non capì. Probabilmente non avrebbe mai capito. Uguale se si trattava di apparecchi comunicatori o per la ricezione di musica: lui non avrebbe mai permesso che il suo cervello venisse shakerato da tanto elettrosmog in una sola volta. Aveva, del resto, altri problemi. Ma non era il solo, come gli suggerì il suo trip: altri si affrettavano verso un appuntamento non dissimile da quello verso cui lui stava andando, in un qualche ufficio-sgabuzzino del Centro Controllo Lavoro. Alcuni - i più, in verità - gironzolavano a coppie o a gruppi, fermandosi ogni tanto di botto per tirare fuori l'aggeggio portatile e gettare uno sguardo al display.
Mentre raggiungeva l'automobile, Vanz si volse indietro: aveva l'impressione che qualcuno lo pedinasse, e che quel qualcuno non potesse essere altro che il suo amico o presunto tale Dario. Si fermò addirittura per scrutare meglio tra le facce e non-facce, tra i corpi e gli ectoplasmi che affollavano le strade. Ma di Dario nessuna traccia. E perché poi l'amico o presunto tale avrebbe dovuto seguirlo? Lo ignorava. Presumibilmente la sua era solo paranoia, l'inizio di qualche forma di pazzia...
Entrò nel Centro Controllo Lavoro pensando a Dario, che tra l'altro abitava a due passi da lui, e a come Dario per anni avesse fatto il filo a Rosalba, prima che lei si decidesse a mettersi con Vanz. L'amico o presunto tale non sembrava averne fatto un dramma. "In fondo è una fortuna che stia con te anziché con qualche stronzo idiota" aveva commentato. In diverse occasioni erano persino usciti insieme, tutt'e tre, e Dario aveva riso e scherzato; per strada, in pizzeria... Parevano ormai secoli! Dario era sempre stato pronto ad accompagnarli in macchina qua e là... Aveva, insomma, allargato sui due innamorati le sue benevole ali, ali leporelline. Ma Vanz aveva notato nell'amico o presunto tale attimi di perplessità astio rancore. Quello lì aveva ali pipistrelline, piuttosto, altroché! Aveva colto, soprattutto negli ultimi tempi dell'idillio o presunto tale, sguardi sfuggevoli tra Dario e Rosalba...
- 45! - urlò la voce dell'impiegata.
Era il suo numero, ma non si mosse.
- Che c'è? Cos'hai? Stai male? - gli chiese qualcuno. Quel qualcuno, insieme ad altri individui presenti nella vasta, fredda sala d'attesa del CCL, Centro Controllo Lavoro, puntò gli occhi addosso a Vanz. Lui, che aveva bretelle stars-and stripes e un berretto con su scritto 'I love N.Y.', non diede risposta. Se ne stava sulla sua sedia a stringere tra le dita il bigliettino con il numero che avevano appena chiamato.
- Ma cos'ha? - chiese l'impegata facendo capolino dalla porta, rivolta agli altri disoccupati in attesa.
- La vita lo ha stancato - rispose un uomo sui cinquant'anni; lui stesso aveva un volto che esprimeva rassegnazione.
- Se è stanco, dovrebbe tornarsene a dormire - osservò la donna, acida. Poi ripeté, istericamente: - 45!
Vanz continuò a non muoversi.
- 46! - esclamò allora lei, e un altro disgraziato, sventolando il bigliettino corrispettivo, si mosse verso la porta aperta.
L'impiegata lo fece entrare e l'uscio sbatté.
Il cinquantenne sospirò, alzandosi. Pian piano, si avvicinò al pallido ragazzo che, tra i risolini, gli sbuffi e i commenti ironici dei vicini di sedia, proseguiva a fissare inespressivo la parete dirimpetto, tappezzata con poster dall'aria vagamente sovietica che reclamizzavano i vantaggi di questa o quell'altra scuola professionale. - Tutto bene? - gli chiese il cinquantenne, ponendogli una mano sulla spalla.
Vanz sembrò non udire. Ma avvertì il contatto di quella mano e, spettralmente, si sollevò e si incamminò verso l'uscita.
- Ehi, ma dove...?
Fuori era estate. Tanto sole e un leggero vento. La città brulicava di presenze variopinte. Soltanto la facciata del palazzo in cui era locato il CCL si innalzava grigia e cadaverica. Il ragazzo si trascinò come trasognato lungo un marciapiede in ombra, fino a raggiungere l'auto parcheggiata. Tirò fuori le chiavi da una tasca dei calzoni, aprì la portiera e, toltosi il berretto, si mise al volante. Per una buona mezz'ora l'auto seguì il traffico del centro; poi si lanciò a manetta sulla superstrada, con i finestrini laterali abbassati.
120... 140... Poteva andare più veloce? Veramente non lo sapeva. Veramente questa non era la sua macchina: gliel'aveva imprestata suo padre. E veramente gli era indifferente sapere quanto indicava il contachilometri: tanto, non sarebbe mai stato tanto veloce da poter riacciuffare i suoi sogni.
Oh, e che sogni! Aveva delirato di un mondo tutto verde con il cielo azzurro e il mare pieno di pesci, e una capanna su una scogliera, e dentro la capanna lui e Rosalba, oppure un'altra ragazza come Rosalba. Una vita tranquilla, sana e, sopra a ogni altra cosa, al sicuro dalla 'longa manus' dei potenti. Invece...
Invece era stato catturato dagli ingranaggi del sistema. Dopo aver interrotto gli studi universitari per non dover più sentire suo padre lamentarsi di quanto gli costava mantenerlo, si era adoperato per trovare un lavoro, uno qualsiasi. Del resto, anche Rosalba aveva fatto pressione affinché lui si sistemasse. Quanti anni aveva avuto quando si era buttato a capofitto nello stravagante show della "vita"? 21, 22. Ora ne aveva 26. Aveva alle spalle un lungo precariato, con tutto quanto ne consegue: la vergogna, l'infamia e le offese dentro e fuori squallidi uffici che non servono a nulla. O, per essere più precisi, servono proprio a questo: a tenere a bada i perdenti cronici, a non far alzare troppo la cresta ad eserciti di illusi.
I suoi sogni: tutte frottole! Nessuno poteva aiutarlo. I cosiddetti consulenti delle agenzie interinali: personaggi truffaldini pieni di prosopopea. Amici ed ex commilitoni: narcisi che si approcciano al magma caotico dell’esistenza con l'entusiasmo di pasciuti zombi. Finanche quel buono a nulla di Dario era riuscito a "sistemarsi": faceva le consegne per una ditta di elettrodomestici e oggi era fiero possessore di una carta di credito.
Vanz non possedeva nulla e non aveva nessun posto dove andare. La "magione" paterna, in cui lui così malvolentieri si rifugiava dalle iniquità del mondo, non era che una una gabbia sospesa tra cielo e terra; ottavo piano di un casermone popolare, con il traffico della vicina circonvallazione che faceva tremare le pareti e onde di cherosene che arrossavano le nuvole impigliatesi sulle antenne, sui trasmettitori, sui ripetitori. Non aveva un bel niente. Nemmeno Rosalba era più presente (e forse, per davvero, a quest'ora lei e Dario formavano una coppia); il ricordo dell'amata: polvere di sborra sul maglione.
Ma c'è, o potrebbe esserci... qui, oltre la periferia della periferia... guarda quella prateria in miniatura, ad esempio!... c'è, o potrebbe esserci, in mezzo a questi flash che ogni tanto lui coglie con pupille tenebrose... un'oasi dove andare, dove nascondersi, per non dover più sentire il genitore chiamarlo "lavativo".
Occhieggiando nello specchietto retrovisore, si accorse che un furgone grigio gli si era attaccato alle costole, o più precisamente al cofano. Vanz accelerò sensibilmente per scrollarselo di dosso, ma il pedinatore non mollò la presa. Un senso di panico si impossessò di lui nel riconoscere la faccia che, dietro il parabrezza scuro, gli ghignava sardonicamente.
"Dario!"
Nessun dubbio ormai: la sua presunta paranoia aveva finalmente un nome. Ma che diavolo gli era preso al presunto amico, al compagno di giochi dell'infanzia, al vicino di casa che negli ultimi mesi, anzi anni, si era reso latitante e che probabilmente gli aveva soffiato la donna che prima Vanz aveva - in un certo senso - sgraffignato a lui? "Ce l'ha con me? Spia tutti i miei movimenti?"
Diede ancora più gas e dopo qualche minuto il furgone iniziò gradualmente a rimpicciolirsi nello specchietto.
"Uff! Maledetto...!"
Asciugandosi il sudore, tornò a concentrarsi sulla strada. Alla sua destra apparve all'improvviso un luogo straordinario, a lui sconosciuto: una cittadina, anzi un borgo; un borgo cristallino, sviluppato nel classico nucleo detto a “cuneo” o a “fuso d’acropoli” su uno sperone tufaceo, con il castello nel punto più alto a farne da testata.
Infilò l'uscita quasi senza rallentare. "Ecco il posto dove voglio vivere" si disse, percorrendo la salita. Un paese antico, quasi completamente tagliato fuori dai retaggi della modernità. Scegliersi come abitazione una baracca, per chiudersi in un fortilizio di sconoscenza voluta, in un silenzio denso come la melma...
All'improvviso, una curva a sinistra, nemmeno tanto stretta. Chiunque altro l'avrebbe imboccata agevolmente, ma non a 80 o a 100 all'ora.
La macchina si cappottò. Si ribaltò dapprima sull'asfalto, poi nel maggese. Una, due, tre volte. Il cranio di Vanz si infranse mentre la sua autovettura, o meglio l'autovettura paterna, si riduceva a un ammasso di lamiere contorte ancor prima di entrare in fase di rullaggio. Finalmente la macchina si fermò: stette per qualche secondo in sospensione cardanica e poi si capovolse con le ruote oscenamente all'aria.
Le folate di vento cessarono all'improvviso e subentrò una calma piatta, terrificante.
Mentre si rendeva conto di provare dolore in tutto il corpo, Venanzio vide qualcuno chinarsi su di lui. L'odioso ghigno di Dario gli stridette nel cervello insieme a un uccello che volava a bassa quota.
Singultò, un occhio spalancato che si beve il cielo, l'altro mezzo chiuso che fissa di sguincio i fili d'erba secca.
E intanto la ruota gira, gira, gira...

franc'O'brain (alias Peter Patti)