Visualizzazione post con etichetta libro. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta libro. Mostra tutti i post

domenica, agosto 27, 2023

In memoria del batterista jazz Giampiero Prina ("Nimba")

 Una vita purtroppo breve (1957-2002), ma ricordata con affetto e a tratti con malinconia da numerosi amici e colleghi musicisti 

Nimba è un volume a cura di Carlo Verri


Non occorre essere un conoscitore del jazz per trovare piacere in questo libro, che è l'omaggio a uno dei batteristi migliori che abbiamo avuto in Italia. Il fatto poi che Nimba - Giampiero Prina - 1957-2002 sia uscito per la Scivales Music, casa editrice di un musicista (Riccardo Scivales), ne aumenta il valore. 

L'idea nasce da Carlo Verri, amico di Giampiero e fotografo legato al jazz: Verri ha voluto raccogliere pensieri e ricordi attorno alla cara persona scomparsa. Così, su oltre 130 pagine si dipanano episodi, particolari, tracce di vita... le asserzioni di dozzine e dozzine di persone che hanno conosciuto Prina; memorie ora tenere, ora non scevre da dettagli tecnico-biografici che farebbero la gioia di ogni musicologo.

Il libro è stato fortemente voluto anche dal pianista/compositore/didatta jazz Claudio Angeleri, che collaborò spesso con Prina e lo ebbe anche fra i pregiati docenti del suo CDpM-Centro Didattico produzione Musica - Europe.



Sostanzialmente Prina sulla batteria era autodidatta, eppure è riuscito a diventare uno dei drummer più apprezzati non solo in Italia ma in Europa. Al conservatorio aveva seguito studi regolari di clarinetto e sassofono. E se la cavava bene anche al pianoforte e al vibrafono... 

La lista di nomi di coloro che su queste pagine hanno lasciato la loro testimonianza fa rilucere gli occhi degli appassionati del jazz (e della buona musica)!


Nimba, il libro sul grande Giampiero Prina, si può ordinare qui: Amazon.com, Amazon.it

 Go!


Le fotografie a corredo delle varie narrazioni sono molto belle e richiamano l'atmosfera di club fumosi (non solo a Milano) e di stanze piene di quadri, arte, conversazioni interessanti... la cornice dell'evoluzione di Prina.


Inserisco qui sotto alcuni stralci delle tante attestazioni di stima per il percussionista e per l'uomo Giampiero Prina: note estemporanee che rappresentano altrettanti reperti esistenziali; brani di vita di un personaggio umano, colto, disponibile. Ho preso delle frasi e dei capoversi qua e là, quasi a caso. Ma sono dozzine, centinaia di ricordi, aneddoti...



Adrianne West:

Un grande musicista con un incredibile senso dello humor, divertente e allo stesso tempo capace di grande concentrazione… semplicemente fantastico!


Tullio De Piscopo:

Giampiero mi ha sempre colpito per la sua serietà e la determinazione nella musica jazz. Penso sia stato un punto di riferimento per il genere e un grande supporto per tanti musicisti sia italiani che stranieri come Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Gianni Basso, Renato Sellani, Claudio Angeleri, John Taylor, Phil Woods, Mitchel Forman, Buddy Collette, Sam Rivers per citarne solo alcuni.


Daniele Panetta:

«Hey Dani, proviamo in questo modo. Esci dalla stanza e poi rientra improvvisamente emettendo dei suoni che esprimano tutta la rabbia che hai in corpo. Ad ogni tuo urlo corrisponderà un colpo delle mie bacchette. Poi proviamo con la malinconia ed altri stati d’animo e vediamo che succede…»

Questo fu l’approccio alle prove che stavamo facendo per quello che sarebbe stato il CD Duets, che purtroppo non abbiamo fatto in tempo a registrare.


Furio Di Castri:

È stato solo all’inizio del 2000 che Dado Moroni ci ha proposto di suonare in trio. Ricordo un concerto e una splendida session in Rai, di cui conservo gelosamente la registrazione come un bene prezioso. Quel trio avrebbe potuto fare grandi cose. L’empatia era totale. Giampiero era maturato con lo studio dell’armonia e della composizione ed era diventato un musicista ancora più straordinario. Sereno, attento, propositivo e con un grandissimo senso melodico. Aveva occhi dolci e profondi e un sorriso delicato che ispirava serenità e calore. Di poche parole, lasciava sciogliere la sua riservatezza in una grande forza espressiva e riusciva a trasfondere con leggerezza il dramma che stava attraversando. Era una persona unica, ed è passato nella nostra vita come un alito di vento fresco e salvifico.


Lino Patruno: 

Purtroppo Giampiero aveva un male incurabile e le cure a cui si sottopose furono vane. Ci lasciò a 45 anni, affranti e commossi.

Aveva iniziato studiando percussioni giovanissimo presso la “Civica Scuola di Musica” di Milano (e anche il clarinetto) e dopo poco tempo era già sui palcoscenici e nelle sale d’incisione con alcuni fra i grandi musicisti italiani, fra i quali ricordiamo Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Carlo Bagnoli, Massimo Urbani, Gianni Basso, Larry Nocella, Flavio Boltro, Dado Moroni, Paolo Tomelleri…

Con il passare del tempo ebbe l’occasione di suonare anche con alcuni grandi del jazz: Joe Venuti, Harry “Sweets” Edison, Milt Jackson, Buddy Collette, Tony Scott, Benny Golson, Jon Faddis, Gary Burton, Sam Rivers, James Moody, Sal Nistico, Bob Wilber, Slide Hampton, Barry Harris…

Attivo anche come insegnante, tenne seminari didattici a Siena Jazz, ad Asti e in Messico. Si esibì in Svizzera, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Tunisia, in Austria e negli Stati Uniti.

Uno straordinario talento musicale strappato prematuramente alla vita, ma ancora oggi ricordato con l’affetto di molti che difficilmente lo dimenticheranno.


Massimo Caracca:

Mi parlava spesso delle sue esperienze più recenti; ne citerò un paio qui di seguito. La prima riguardava una serata in un noto locale jazz milanese alla quale partecipai. Alla fine del concerto, mi parlò della difficoltà di essere filologici con uno specifico stile. Quella serata, infatti, era nata come bebop, ma in realtà fin dai primi assoli il linguaggio e il fraseggio erano stati contaminati con altri stili più recenti. In tal senso, mi fece notare quanto fosse impossibile poter suonare solo in un determinato stile in un periodo storico diverso. La seconda esperienza fu ad Umbria Jazz, accompagnando Gary Burton e Milt Jackson nello stesso concerto: in tale occasione, Giampiero palesò l’approvazione dei due interessati nelle scelte di aver accompagnato in modo libero Gary Burton, e invece più sobrio e lineare Milt Jackson.

Il percorso fatto con Giampiero è stato fondamentale per la mia crescita come persona, musicista e maestro.


Carlo Magni:

Lo conobbi nella scuola di musica dove insegnavo, il CDpM di Bergamo. Avevo già nella mia discografia alcuni vinili di gruppi che lo vedevano protagonista alla batteria e mi avvicinai, con il timore reverenziale di chi sa di avere davanti ancora una lunga strada da percorrere. Detto francamente, ero un pivello!

Trovai davanti a me un uomo dal cuore grande, disponibile e con un desiderio d’imparare e di migliorare sempre. Non mi balenava l’idea di chiedergli se avesse piacere a suonare in uno dei miei gruppi. Come ho detto, stavo imparando l’arte del jazz e mi sembrava un azzardo e, forse, anche un insulto, fargli una proposta del genere. Inaspettatamente, però, un giorno in cui stavamo registrando un album (era il lontano 1995), uscendo dalla sala d’incisione per una pausa, me lo trovai davanti con le bacchette in mano. Aspettava il classico allievo che dà buca. Presi coraggio e mi buttai: «Giampiero, perché non registriamo un brano improvvisato?» Mi attendevo una risposta del tipo: «No, non è il momento. Me lo dovevi dire in anticipo». E invece Giampiero era entusiasta dell’idea! Io ero euforico ma, allo stesso tempo, preoccupato di fare una brutta figura! Con Riccardo Fioravanti al contrabbasso, nacque così Impro nr° 2, poi pubblicata nel CD In Side Out, e iniziò una collaborazione.



I quadri e le poesie di Giampiero Prina (era bravo anche come pittore e come poeta) arricchiscono il libro, che contiene anche alcune ricette e uno spartito. Documenti che rendono più compiuto il ritratto dell'uomo e artista.

giovedì, agosto 10, 2023

Recensione di 'Together we stand'...

 ...'divided we fall'


di Nicola Randone


Pink Floyd The Wall (il film)



Questo è un libro che si deve leggere e far leggere. Io personalmente ne ho regalato una copia a mio fratello e l'ho raccomandato a molti miei conoscenti. Together we stand, divided we fall (che Randone ha scritto con il contributo di Nino Gatti) è un'analisi critica compiuta da un musicista; dunque abbiamo da una parte molti dettagli tecnici interessanti, tuttavia il grosso del volume è costituito dalle osservazioni di un grande fan dei Pink Floyd e del rock in generale, perciò possiamo stare certi che qui c'è dell'entusiasmo genuino, c'è il cuore, c'è la sensibilità di chi sa cogliere sentimenti e sfumature poetiche.



La storia la sappiamo: il film diretto da Alan Parker uscì nel 1982 e fu immediatamente un successo, sulle ali della fama del 'concept album' The Wall. L'ispirazione è ovviamente quella della straordinaria narrazione su pentagramma incisa sul doppio disco pluripremiato; inoltre ci si serve qui dell'interpretazione sentita e dunque credibile di Bob Geldof nei panni di una rock star in forte crisi. È un film tradizionale? No, come sappiamo. È un insieme - un vero mix - di linguaggi espressivi. Pink Floyd The Wall visualmente è basato in gran parte sulle animazioni di Gerald Scarfe, costruite su disegni iconici che nel frattempo hanno fatto scuola. (La scelta cadde su Scarfe non in maniera casuale: nel Regno Unito, era già noto come fumettista satirico.)



Nicola Randone fa un lavoro anche di ricerca linguistica, illustrandoci le espressioni idiomatiche e quelle inconsuete (per noi non-inglesi) contenute nell'opera.


>> A proposito dell'uso dei "modi di dire" in THE WALL, che abbiamo già avuto modo di riscontrare In the Flesh? nell'espressione "space cadet glow", è chiaro che l'autore Roger Waters non sia il classico paroliere che gira sempre intorno alle stesse parole ma che, da uomo inglese tutto d'un pezzo, ami servirsi della tradizione linguistica della sua terra proprio come uno scrittore colto. Non a caso, chi mastica un po' d'inglese e non ha alcuna difficoltà a comprendere il testo cantato di gruppi come i Led Zeppelin o i Deep Purple, quando si trova davanti a un testo di Roger deve spesso ricorrere al vocabolario. <<


Per questo motivo Randone ha analizzato anche l'etimologia dei modi di dire: per arrivare a una più profonda comprensione dell'opera. Oltre alla descrizione dei singoli capitoli, anzi: delle singole scene della pellicola, ci sono un mucchio di informazioni particolareggiate sul periodo in cui le singole canzoni sono state composte, per quale occasione, in quale situazione esistenziale di questo o quel componente della band, cosa vogliano dire veramente e, come c'è da aspettarsi, vengono scandagliati i retroscena dietro alle sequenze del film, gli incidenti sul percorso, le curiosità, i contributi di questo o quel membro della troupe, le scelte artistiche e di montaggio fatte da Alan Parker e dai suoi collaboratori...


Il lettore può così "gustarsi" Pink Floyd The Wall anche se non ha il DVD sottomano, rivivendo nel proprio spirito il racconto in tutte le sue nuances e persino imparando qualcosa di più circa i Pink Floyd. All'interno del gruppo, infatti, si erano già innescati quei meccanismi che avrebbero ben presto portato alla separazione di/da Waters...


Libro assolutamente da avere! 








 

lunedì, marzo 28, 2022

Musicista e autore di libri sul jazz: Riccardo Scivales



Pianista e compositore; nonché uno dei più apprezzati trascrittori di brani pianistici jazz a livello internazionale: è Riccardo Scivales. I suoi libri di piano jazz sono stati pubblicati negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Italia fin dagli Anni Novanta. Più tardi Scivales ha fondato una propria casa editrice e li ha ripubblicati, dopo che il vecchio editore ha chiuso l'attività per andare in pensione. Oggi presentiamo: Storie di vecchi pianisti jazz. Sottotitolo: ...e di come funzionava la loro musica.



  "Quando improvviso, penso in termini di sonorità, non di accordi o melodia. Alcune tra le mie cose possono non avere una continuità armonica convenzionale, ma se suonano bene e hanno coerenza ritmica, le faccio."

(Dick Wellstood)


 Link Amazon


La passione è contagiosa. Un grande pianista e tastierista contemporaneo, Riccardo Scivales (noto come leader del gruppo di progressive rock Quanah Parker, oltre che di Mi Ritmo), si è dedicato a un notevole lavoro di divulgazione - in italiano e in inglese -; e, inutile specificarlo, con questo Storie di vecchi pianisti jazz è riuscito a risvegliare in noi la fiamma dell'ardore per quel tipo di musica che vive in una dimensione estemporanea e improvvisativa, per la storia - che non è solo biografia - di tanti eroi dei tasti bianchi-e-neri e per le varie tecniche esecutive. 


   Video: Marco Fumo suona "Squeeze me", un brano di Thomas "Fats" Waller e Clarence Williams nella versione che ne dà Willie "The Lion" Smith e nella trascrizione di Riccardo Scivales.


Questo è il primo volume della Scivales Music self-publishing house, intanto arrivata a cinque titoli, e vi incontriamo i migliori protagonisti del repertorio pianistico afroamericano. Buona parte dei quali (e dovremmo vergognarcene!) erano a noi sconosciuti o avevamo di gran lunga obliati.

 Riccardo Scivales

Il libro, che contiene diverse trasposizioni (di note che, originariamente, non nascono per essere fissate su uno spartito!), si rivolge ai professionisti del genere, ma riesce a catturare - e ad ammaliare - anche chi non ha mai toccato uno strumento in vita sua. Ovviamente è indispensabile che il lettore abbia una conoscenza di base o nutra comunque un reale interesse per il jazz... e per la musica tout court.


   
    
Dall'alto in basso: Art Tatum, Thelonious Monk e il "re del mambo", Mario Bauzá


Storie di vecchi pianisti jazz ci immerge fin da subito nell'atmosfera dell'America degli Anni Venti, con Eubie Blake (il quale fu il primo musicista ad apparire in un film sonoro, quattro anni prima di Al Jolson) e, come dice anche la descrizione (il sotto-sottotitolo), ci farà fare un viaggio fino a Thelonious Monk e dintorni, passando per Duke Ellington ("dal ragtime all'astrazione") e la Latin Music. Il libro è ricco di aneddoti e contiene un centinaio e passa di esempi musicali trascritti.

Jelly Roll Morton, Willie "The Lion" Smith, Duke Ellington, Thomas "Fats" Waller, George Gershwin... Art Tatum... Nat "King" Cole, John Dickson "Peck" Kelley, Johnny Guarnieri, Monk... e tutti gli altri: artisti straordinari che rifiutavano le convenzioni, spesso non senza rischiare di brutto, e che si imbarcarono in una vera e propria ricerca anche esistenziale, chi gettandosi anima e corpo su uno stile come lo swing, chi arrivando a sperimentare "una cosa dell'altro mondo" come il bebop... spesso concorrendo tra di loro in bravura (in velocità o in profondità oppure in entrambe le cose), a chi riuscisse ad andare più lontano, a chi riuscisse a inventare di più.


   Video: lo stride di James P. Johnson

    Video: Charlie & Eddie Palmieri, qui con Ismael Quintana


Troviamo, nel volume in questione, uno panoramica sull’evoluzione dello "Spanish tinge" e del Latin Jazz, dai suoi albori ai favolosi mambos di Mario Bauzá. Inoltre, uno studio approfondito (con applicazioni pratiche) circa i moduli poliritmici usati nell’improvvisazione pianistica afrocubana e Latin Jazz, desunti dall’opera di due colonne portanti: Charlie ed Eddie Palmieri. Infine, un utile saggio-guida sulle modalità e gli intenti "di una delle pratiche fondamentali per ogni studente e studioso di jazz, cioè la trascrizione nota-per-nota di brani e assoli tratti dalle incisioni originali dei maestri di riferimento".


Un excerpt da Storie di pianisti jazz:

Zurigo, Tonhalle, 30 novembre 1934. Concerto dell'orchestra di Louis Armstrong. Al pianoforte, Herman Chittison, un pianista statunitense, venticinquenne, recentemente approdato in Europa (dove ha già inciso alcuni dischi a Parigi). Inframmezzati ai dodici brani eseguiti da Armstrong e della sua orchestra, il programma del concerto prevede una decina di assoli di Chittison. Tutto procede come stabilito, finché Chittison conclude il suo primo set di assoli e Armstrong si fa avanti sul palco per annunciare i titoli dei brani successivi, eseguiti dall'intera orchestra. Ma a questo punto il pubblico lo interrompe, gridando a viva voce: "Lascia suonare Chittison! Vogliamo sentire il pianista!" E Armstrong, sebbene riluttante, non può far altro che acconsentire a questa richiesta... Oltre che nell'effettivo talento di Chittison, una spiegazione a questo insulto ad Armstrong può essere ricercata anche nel fatto che in quegli anni il pianoforte "jazz" o "pseudo-jazz" (sia che si trattasse di Fats Waller, di Lee Sims, di Charlie Kunz o di Raie Da Costa) era apprezzato dal pubblico europeo (composto prevalentemente da appartenenti al ceto medio e alto borghese) più di qualsiasi altra espressione musicale afro-americana.

(Dal capitolo dedicato a Herman Chittison, 'L'eleganza e il brio'.)

 

[ Per inciso, Chittison fu un idolo giovanile sia di Monk che di Horace Silver, e fece una grandissima impressione anche sul giovane Chick Corea. ]

 

  

        Tutti i libri dell'Autore su Amazon


Altri link:

Articolo - in inglese - di Becca Pulliam su The Syncopated Times: "Riccardo Scivales Transcribes the Stride Masters"

Qui una bella presentazione/recensione di Storie di vecchi pianisti jazz sul blog MAT2020: https://mat2020.blogspot.com

... e qui (video su YouTube), un esempio di come suonavano i pazzi, originalissimi pianisti narrati in Storie di vecchi pianisti jazzEllington, Monk, ecc. hanno attinto a piene mani da loro. 

Altro esempio su video: trascrizione di Riccardo Scivales di un capolavoro assoluto di James P. Johnson, avveniristico per l'epoca in cui fu composto: click!  


Canale YouTube della Scivales Music

  

Quanah Parker (band)  


Riccardo Scivales su Facebook


       

 

 

    Breve bio di Scivales

Riccardo Scivales ha insegnato per molti anni (1999-2009) Storia del jazz e della musica latina al TARS (ex DUTARS) dell'Università di Venezia.

Ha scritto circa trecento programmi radiofonici sul jazz per RadioTre (RAI-Radiotelevisione Italiana).

Numerosi suoi saggi, articoli e recensioni sulla musica jazz e afrocubana sono stati pubblicati su importanti riviste musicali come The Piano Stylist, Keyboard Classics, Piano TodayMusica Jazz, Ring Shout, Musica Oggi, Jazz, Blu Jazz, Rassegna Veneta di Studi Musicali, Venezia Arti, Il Sismografo, e Il giornale della musica.

Molti suoi libri sono stati pubblicati prima negli Stati Uniti e più tardi anche in Italia con l'etichetta Scivales Music. Oltre ai volumi firmati con il proprio nome, ha scritto, con Enrico Intra, la raccolta di brani Jazz Piano Repertoire (Scivales Music, 2021) e il libro L'improvvisazione è improvvisata? (M&P/M’O, 2022). Enorme successo sta avendo il suo nuovissimo metodo PLAY… LATIN PIANO LIKE A PRO! (disponibile su Amazon) che tra le altre cose include 23 sue composizioni, molte delle quali si possono ascoltare su YouTube suonate da pianisti e band un po’ di tutto il mondo.

Come pianista e compositore, ha lavorato per diverse produzioni teatrali.

Negli anni ha collaborato con vari musicisti della scena veneziana.

Dal 1981 è il pianista/tastierista e compositore del suo gruppo rock progressivo Quanah Parker e dal 1995 del suo gruppo afrocubano Mi Ritmo.

Ha contribuito all'orchestrazione della prima italiana del musical di George Gershwin Lady, Be Good! (come rivisto da K. Cazan, K. Farrell e D. Sturrock. Venezia, PalaFenice, 2000).

Numerosi brani “Classic Latin” di Riccardo Scivales sono stati spesso eseguiti in programmi di concerti insieme a brani di Piazzolla, Ginastera, de Falla, Rodrigo, Ponce, Gardel, Ellington, Gershwin, J.S. Bach, Schubert, ecc.

 

 Uno dei libri in inglese di Scivales 
 


mercoledì, dicembre 16, 2020

'Pick & Rock' - il basket e la musica

Giuseppe Catani

PICK & ROCK

Quando la musica va a canestro

arcana, 2020

 



(Articolo già pubblicato su Progetto Babele Rivista Letteraria)

 

Ma vai un po’ a discutere con uno alto 2 m...”

 

Il basket e la musica. Binomio magico, che, davvero, non avremmo mai preso in considerazione senza la lettura di Pick & Rock.

La pallacanestro è uno sport non da tutti né per tutti, e chi lavora a questa recensione ha visto risvegliarsi certe pulsioni "sportive" solo durante la lettura del libro di Giuseppe Catani. Come potevo dimenticare di essere stato, da piccolo, grande fan della Simmenthal di Milano (oggi: Olimpia Milano) e di aver giocato anch'io a basket, dapprima alle medie, dove passavo per un giocatore promettente (ma non se ne fece nulla, come spesso accadeva e accade nelle scuole italiane) e, durante e in seguito, nel cortile della casa di un amico, insieme ad altri ragazzini ma anche a qualche adulto, dove c'erano due bei canestri piazzati in alto su due grezzi muri dirimpetto con, sotto le suole, un bello strato di cemento armato?

 


Quando si ha a che fare con un libro a tema (che so io... La battaglia di Solferino, La vita segreta dei ragni, quello sugli alberi di Natale o un tomo sulla filosofia di Heidegger...) uno crede già di sapere a cosa va incontro e solitamente sceglie in anticipo se avventurarsi nella lettura o meno. Spesso si tratta di materiale arido, di argomenti attinenti a una materia speciale e per specializzandi, di blablabla tecnico. Ma poi si scopre che alcuni sono scritti in maniera passionevole, calorosa addirittura, e che contengono notizie curiose e interessanti, fino a riuscire a infiammare l'interesse del più malcapitato dei lettori. Nel caso di Pick & Rock c'è anche la musica, non solo la pallacanestro, e chi scrive qui si ritiene più un musicologo che un letterato: quindi non sono mancati (né mancheranno per voi, ve lo assicuro) i momenti "oh!" e "aaah!" durante la lettura.

 

Breve carrellata di visioni e sensazioni: il rumore delle scarpe da basket che "strisciano" sul parquet... le tante scene di film americani con neri (o anche bianchi) che sudano in un campetto tutto recintato... e i rapper, naturalmente.

 

I vari capitoli di Pick & Rock sono pezzi giornalistici usciti negli ultimi anni per dailybasket.it, sito che - come suggerisce il nome - è dedicato al gioco della palla a spicchi.

 

 Kobe Bryant

"La musica va a canestro", sì, e ci sarebbe tanto da dire sull'argomento. Ignoravamo anzitutto questo legame particolare tra la pallacanestro e il mondo delle sette note nei suoi diversi generi, sia indie sia rapper, sia in ambito di musica leggera sia di cantautorato. Si comincia nel libro con una carrellata di riferimenti italiani e si procede con i nomi grandi (e meno grandi) della musica angloamericana, con storie gustose di giocatori professionisti che si sono cimentati nel canto, con la rivelazione che Dan Peterson (che per quasi un decennio allenò la squadra di Milano) suonava la chitarra ed era un grande intenditore della country music, con gruppi semisconosciuti od obliati che fecero dediche apparentemente improbabili a personaggi della pallacanestro... Un esempio di questi ultimi sono i Grog di Reggio Calabria, che hanno scritto un brano per Kareem Abdul-Jabbar, gigante della NBA dalla biografia particolare e fervido amante del jazz.

Ovviamente, a ogni capitolo il lettore va a guardare, curioso, su Youtube o Spotify, per ascoltare il brano di cui si parla, e si imbatte in artisti che gli sono familiari e in altri tutti da scoprire. Spesso l'autore lega una situazione o un evento "cestistico" a una data canzone o gruppo. E... lo sapevate che anche Baglioni scrisse e cantò una sorta di ode a questo sport? La canzone si chiama "Il pivot". Sono andato a controllare (sì, esiste!) e me la sono pure goduta su internet.

E un altro Claudio, Claudio Lolli, bolognese purosangue, "si è sporcato le mani con il basket, usandolo come metafora di una vita che fugge, che ha bisogno di uno schema nuovo, che riesca a fermare il movimento prima della deriva". Il brano in questione, in cui Lolli accenna allo sport della palla a spicchi, è "La fotografia sportiva".

 

 


Pick & Rock è un libro di piacevole lettura e che strapperà qualche "oh!" e "aaah!" persino a chi ha poca o nulla confidenza con l'una o l'altra materia.

È, in primo luogo, un viaggio attraverso l'Italia tutta, quell'Italia che vive un po' lontano dai clamori, che ama il parquet dei palazzetti grandi e piccoli e non il prato o la terra battuta dei campi e campacci di calcio, e che apprezza la buona musica. Ci spostiamo così da Bologna a Caserta, da Cremona in Ciociaria, sporgiamo la testa a dare una sbirciatina nelle periferie che ci appartengono o ci appartennero (da Nord a Sud) per, infine, volare negli USA, alla corte di "Re" Michael Jordan... e dell'ormai compianto Kobe Bryant. Un viaggio entro coordinate che sembrano da sogno, ma esse fanno parte della realtà e di tutto ciò che eravamo da ragazzi, dove il playground, anche quello all'italiana, il cortile o campetto dunque, era, ed è, un luogo dell'anima.

E ora, se volete scusare... Mi sono procurato una palla da basket e scendo a fare qualche palleggio giù in strada. Con le cuffie in testa.

 

***

 

A proposito: non sarebbe male una bella compilation in formato digitale di tutti i brani nominati nel libro! L'autore ci ha già pensato?

 

 


  

Intanto, il pivot segna a tutto spiano (“Tre in fila ne azzeccò”) anche se a un certo punto ha bisogno di riposo e quel “Poi ci fermammo un poco nel cortile / odor di cena e di tv” indica forse un time-out oppure, più semplicemente, che qualcuno si è rotto di starsela lì a menare e non vede l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. Non prima di aver salutato con un’azione da manuale: “Con una finta si smarcò / io svelto gli passai [licenza poetica] / e lui schiacciò di forza”. È l’apoteosi. I due archiviano la gara e immaginano, con un’indubbia punta di frustrazione, che il pubblico sia lì ad applaudirli: “Sotto il cerchio / parve quasi di sentir le gradinate / che tremavano e gridavano per lui / e anch’io battei le mani per quell’ultimo canestro”.

Il pivot se ne va, porta via il pallone, che è suo (“Il pallone sotto il braccio / e se ne andò”) e, chissà, la partita potrebbe essere giunta a conclusione non per sopraggiunta stanchezza ma per colpa di quel lungaccione antipatico, scappato via con la palla: figurarsi se poteva lasciarla a qualcuno. Ma vai un po’ a discutere con uno alto 2 m...

 

(Dal capitolo in cui si parla di "Il pivot", di Claudio Baglioni.)

 

 

 

 

Il libro Pick & Rock su Amazon (clicca!

 

 

 

peter patti

sabato, maggio 30, 2020

Esce 'Bomba' Atomica', di Mercadini

Il 23 giugno, per i tipi di Rizzoli. 

Nel video, lo scrittore-entertainer ci narra in breve i contenuti dell'opera. 

Conoscendo Roberto Mercadini, si tratterà di sicuro di una lettura piacevole... nonostante le conseguenze catastrofali dell'invenzione. (Beh, sappiamo tutti che l'energia atomica - o nucleare - fece... e fa... tanti morti.) 

Un romanzo-saggio o saggio romanzato, come ci spiega lui stesso. Insomma: un docuromanzo.



  Per approfondire l'argomento (a latere ma anche in maniera specifica), consiglio questi eBook [presenti su Amazon]:






sabato, gennaio 04, 2020

Capitolo 2 e Capitolo 3 di 'Transits'

 Da: Transits, romanzo (quanto?) distopico


2

Il plico con dentro il contratto definitivo d'assunzione mi arrivò via UPS.
«Non firmare!» mi esortò Allen.
Come al solito il mio compare sedeva in mutande su un tappetino lercio, sotto la lampada che penzolava nuda dal soffitto, in mezzo alla folta vegetazione che conferiva all'appartamento le sembianze di una serra. Era ben pasciuto ma, come me, eternamente affamato. Nonostante ciò, si incaponiva a non voler ingerire carne, ovvero "ciccia e tessuti animali", come diceva lui. La flora che gli cresceva tutt'intorno costituiva praticamente la base della sua alimentazione.
«Se firmi», aggiunse, «vendi l'anima al diavolo.»
Lo guardai incuriosito. La sua non poteva essere una psicosi da trip. Allen non si faceva mai di pillole. Per quanto possa sembrare strano, lui era nato così. A meno che... «Hai bevuto?» gli chiesi.
Effettivamente negli ultimi tempi aveva sviluppato un'insana attrazione per i superalcolici. Ci assomigliavamo anche in questo.
«Ho cannato qualcosa», rispose in maniera vaga. Poi m'investì: «Che intenzioni hai? Cambiare fronte? Prostituirti? Entrare nei meandri di affari oscuri, pacchetti azionari di dubbia provenienza e capitali riciclati?»
«Smettila di sclerare. Ho solo l'intenzione di lavorare, né più, né meno. Qualcuno deve pur pensare all'affitto, no? Ti assicuro che si tratta di un posto comodo e pulito. Sei ore al giorno per cinque giorni alla settimana. Mi pagheranno per giocare al computer e chattare con i colleghi.»
«La Kosmos Enterprise è un'opera di Satana!» incalzò lui. «Dietro la facciata delle attività economiche, questa multinazionale esercita un rigido controllo su tutto e tutti. Tut-ti. Anche su chi si illude di rimanere fuori dal gioco. E, scientemente, influisce sul nostro rapporto con la gente e con il potere. Intanto, nel caso tu non te ne fossi accorto, ha già ridefinito i concetti di proprietà privata, ricchezza, povertà... oltre ai valori morali.»
«Beh, allora possiede poteri divini!» dissi ridendo. «Ma tu che puoi saperne, amigo?»
Allen sollevò il suo triplo mento, accennando al laptop. «Lo so, invece. Monitorizzo la realtà, io: tramite Hypernet e alcuni contatti. Contatti telematici ma pure in carne e ossa.» E soggiunse, al di sopra della musica (Jimi Hendrix vibrava colpi d'ascia all'impazzata): «Avrei preferito apprendere che lavi i cessi del MacDonald's, piuttosto! Anche se, in sostanza, ogni ditta è una filiale della Kosmos, ormai. Tutta un'unica organizzazione. Ma non ti chiedi come mai hanno preso te, te che sei un picchio di nessuno?»
«Forse apprezzano le mie qualità.»
«Attento, Pat. Attento, ragazzo mio. Con quelli non si scherza! È un organismo troppo grosso.»
«Quelli? Hanno dunque un'identità precisa? E chi sarebbero, secondo te?»
Anziché rispondermi subito, Allen si accese la pipa, con i gesti ponderati che sempre accompagnavano tale rito. Emise un paio di sbuffi verdastri prima di riprendere a parlare. «Alla guida della K.E.-Europe risulta essere un certo "Mister Info", spalleggiato da alcuni vecchi hacker. Gli hacker occupano posti preminenti nell'intelaiatura mondiale della Kosmos. Dopo essere stati assunti, e dunque risucchiati dal sistema, questi ex ribelli ed ex fricchettoni sono diventati dei cybersauri. Persino le strutture inferiori... i sottopalchi, per così dire... sono sostenute da rivoluzionari della prima ora che hanno scelto di stare al gioco: gente che un tempo era come noi e che oggi si gongola nel nuovo ruolo. Traditori che si sono venduti in cambio di automobili veloci, ville con giardinieri e ferie ai tropici.»
La luce se ne andò, ma si riaccese subito. Un fenomeno naturale, nei nostri fetidi bassifondi.
Allen sbirciò nervosamente verso il frigorifero, dove conservava i suoi preziosi libri, e quando l'elettrodomestico, con un sospiro, un sibilo e un peto si rimise in funzione, tornò a squadrarmi con aria di sfida. «Nient'altro che dei venduti», rimarcò.
Scossi piano la testa. Venduti, già. Auto veloci, vacanze ai tropici... ma non è quello che desiderano tutti? Allen litigava sempre con mezzo mondo. Purtroppo per lui, era il mezzo mondo ad avere ragione. Avrebbe dovuto smetterla una volta per tutte di ripetere come un pappagallo le astrazioni di fanzine illegali, molte delle quali (stampate su plastotables, chiaramente, non su cellulosa) stavano sparpagliate sul pavimento, disposte a corona intorno al suo tappetino da yogi.
Impugnai la biro, dicendo: «La tua è una lotta controvento, amigo. Mettiti nella cabeza che gli anni Settanta non torneranno più. È vero, quello fu un periodo speciale, in cui anche i loser e i solitari si muovevano come fossero i protagonisti di un film. Almeno così mi è stato raccontato, dato che, come sai, io sono nato più tardi. Buon per te che hai potuto vivere di persona quell'Età dell'Oro. Il Terzo Millennio però è cominciato da un pezzo». E, detto ciò, scrissi il mio nome in calce al contratto: Patrizio Ferroni. Con tanto di svolazzi.









3

Entrai nella mensa con passo deciso. Dietro al banco c'erano alcune servitrici con cresta e grembulino bianco che si preoccuparono di caricarmi il vassoio di vivande: farfalle allo zafferano con gamberetti, beefsteak e torta alla crema e pinoli. Tutta roba marca Fruity Shock, ma dall'aspetto appetitoso. Cercando con lo sguardo una sedia vuota, notai con stupore che qualcuno mi faceva dei cenni: un tizio con la chioma selvaggia e il pizzetto da moschettiere. Mi appressai al suo tavolo, che era occupato da un campionario di quelli che si potrebbero definire "eterni teen-ager". Mentre ancora appoggiavo il vassoio sul ripiano di teflon, cominciarono a presentarsi: Adriano, Enrico, Anna, Celestina... E i loro cognomi! Niente di più banale: Vasapolli, Pagnotti, Mantovan... Per fortuna tra di loro usavano soltanto i nomignoli: Pussyboy, Fool, Johnny Blue, Colgate... Quest'ultimo apparteneva a una brunetta tuttacurve alla quale sorrisi estasiato.
«Salve, Patrizio!» esordì Colgate, come se fossimo amici di vecchia data. «Superato il momento difficile?»
Arrossii, mentre scivolavo su una sedia. Come facevano a...? Si vedeva? In effetti, dire che mi sentivo insicuro sarebbe un semplice eufemismo. Se devo essere esplicito, l'angoscia mi divorava. Non riuscivo a capacitarmi che la Kosmos Enterprise mi avesse accettato e temevo che da un momento all'altro qualcuno si accorgesse dell'errore e mi scaraventasse fuori. Boccheggiai in preda all'imbarazzo, ma i presenti si affrettarono a rassicurarmi: «All'inizio è stato lo stesso anche per noi. Io per esempio, dopo essere stato assunto», mi disse Pussyboy, ovvero il tizio con il pizzetto, «ho sofferto di cefalea di tensione, crampi addominali e così via».
«A chi lo dici!» intervenne Protia, una ragazza con il viso incorniciato da un caschetto di capelli neri e con un inconfutabile problema di girovita. «In me, l'ansia di sapermi una novellina si è manifestata con difficoltà a prendere sonno e spiccata tendenza all'ipocondria.»
Coro di risolini.
«E questo perché ignoravamo in che cosa consistessero le nostre mansioni», concluse Colgate.
La guardai. Aveva un corpo impeccabile e gli occhi velati da un leggero make-up. «E ora invece lo sapete?» inquisii, afferrando le posate.
«Più o meno. Ma presto lo saprai anche tu.»

     

                       




Iniziai a mangiare, rimuginando su quest'ultima asserzione.
«Già», disse un altro tizio, uno con la pronuncia gallica. Era alto e dinoccolato e aveva sulla mascella tracce di barba mal rasata. «E lo saprai grazie ad Aleph.»
«Aleph? E chi è?» chiesi a bocca piena.
«Il computer centrale», rispose Fool (cravatta infallibilmente perpendicolare e jeans comprati al Sisley Twenty-Twenty).
Colgate tornò a sorridermi. «Aleph. Hai colto l'allusione letteraria? Secondo Borges, Aleph è il punto "dove si raccolgono senza confondersi tutti i luoghi della terra".»
«Beh, sì, Hypernet», dissi con un'alzata di spalle.
«Punto it, punto com, punto org...» si mise a enumerare Protia, e gli altri risero.
«No, Hypernet è ancora niente», mi spiegò Fool. «Aleph, "the blessed machine" come dicono qui, ha ben altre funzioni.»
«A proposito di funzioni», feci, un po' irritato: «sono proprio ansioso di scoprire come si giustifica la mia presenza in questo luogo».
«Non hai una laurea e neppure aderenze sosciali, vero?» intervenne il tizio dinoccolato.
«Uhm. Io veramente...»
«Non devi mica vergognarti», tornò a rivolgermisi Colgate. «Siamo tutti nelle medesime condizioni, credimi.»
Lanciai un'occhiata circolare. E così, anche loro erano dei pivelli. Mi era parso infatti che fossero un po' strambi, e certamente inadatti a un lavoro di rilievo presso una company come la Kosmos. Ma la mensa sembrava pullulare di gente simile: neo-yuppies che indossavano abiti "vintage" ed esibivano capigliature singolari o altre particolarità discordanti. Un ammasso multirazziale, peraltro. C'era una ragazza di colore molto carina qualche tavolo più in là che stava a dialogare con un discendente dei vichinghi. E, in fondo alla sala, individuai Marilinda, in compagnia di altre impiegate o segretarie che fossero (quasi tutte bionde come lei). Notai che si era tinta le unghie dei piedi a tutti frutti, in neon. Beh, d'altronde cos'altro poteva fare per tutto il santo giorno la dipendente di un "boss" come me?
«Prima di entrare qui», ricominciò Colgate, «eravamo quel che comunemente si dice dei "falliti al cubo". Prendi il mio caso. Non facevo che bighellonare per tutte le orge della città.»
«Io invece ero presente a ogni party technorock», spiegò Fool.
«Mentre io non facevo un bel nulla», ammise candidamente Protia, la mora.
«Io idem», dichiarò Pussyboy. «Ero il classico segaiolo. Ma mi ha salvato la K.E. Accadde in una lontana estate densa di umori, di provocazioni femminili, di mutande stese al sole...»
La sua teatralità suscitò qualche altra risatina.
«E tu?» domandai al dinoccolato dall'accento francese.
L'uomo mi rivolse un'occhiata stanca prima di decidersi a sbottonarsi: «Insegnavo alle écoles moyennes. Alle scuole medie. Matematica».
Lo guardammo tutti con aria di commiserazione.
«Henri è, a conti fatti, il più qualificato di noi», osservò Colgate.
«E anche quello dal passato più squallido», commentò lo stesso Henri.
«Ma allora», insistei, «se la nostra matrice comune è essere nati perdenti, perché ci troviamo qui?»
Fu Johnny Blue a rispondermi: «La mia teoria... ma è solo una teoria, bada bene... è che fungiamo da materiale di sperimentazione».
Sussultai. «In che senso?»
«Siamo cavie, più o meno. Attraverso noi viene misurato l'eventuale grado di resistenza nelle Paludi del Non-Tempo... almeno a quanto mi pare di avere inteso.»
Dopo una pausa relativamente lunga, che mi servì a finire la torta, confessai di non aver capito un tubo.
«Capiremo meglio, tutti quanti, quando passeremo alla Fase Due. Per te ciò significa un'attesa di... vediamo... di circa tre anni.»
«La Fase Due di che cosa? Dell'esperimento?»
«Mais oui», rispose Henri. «Aleph però lo chiama in un altro modo. La denominazione ufficiale è: Codice Untergang.»
Scossi la testa, esausto ed esasperato, e ingollai dell'aranciata. Sorbole! Proprio buona. C'era la polpa e tutto. Sembrava vera.
Colgate mi sfiorò un braccio. «Sta' a sentire, Patrizio-baby: alla K.E. appartiene praticamente ogni cosa. Tutto quel che vedi, in qualsiasi parte del mondo, è proprietà esclusiva della ditta.»
«Eccetto forse i distributori di preservativi in Africa», gettò là Fool.
«No», lo contraddisse Colgate. «Anche quelli. La corporation non ha difficoltà ad arrivare addirittura fino ai boscimani. Quando si dice "mondo", si intende il mercato globale. La K.E. si occupa di cose grandi e piccole, di transgenetica così come di gomme da masticare. E del tempo.»
«Del nostro», opinai.
«Di quello di tutti quanti. Il tempo in generale.»
«E, per riflesso, anche della storia», intervenne Henri. Che proseguì: «Lo scopo di Codice Untergang è quello di procrastinare il futuro. La fisica moderna ci insegna che ogni cosa sottostà all'irrefragabile legge del tempo irreversibile. Et donc: Aleph, il computer centrale, ha varato un programma che tende ad accelerare il corso degli eventi... con un contemporaneo rallentamento del progresso. A proprio vantaggio, chiaro: così lui - Aleph - può inseguire il sogno dell'immortalità. Ma ciò va anche a vantaggio del genre humain».
«E rallentare il progresso tu lo definisci un vantaggio?» domandai nervosamente, dando un colpettino al mio vassoio. «No, smettetela! Mi state prendendo in giro. Cavie, Codice Untergang, gomme da masticare, preservativi... Non ci credete neppure voi. Sebbene...»
All'improvviso pensai all'amico Allen ed ebbi come una visione.
«Ma certo!» proruppi. «La Kosmos Enterprise si è comprata il mondo... l'universo... per poter stabilire il corso della storia! Ora comincio ad afferrare. Il vero potere non è conferito dall'accumulo di capitali, ma dal controllo sul divenire. La parola d'ordine è: no future. Già mezzo secolo fa William Burroughs si domandava: "Dove accidenti sono gli elicotteri individuali che ci avevano promesso?" E anch'io, da bambino, credevo che appena dopo il Duemila avrei preso la metropolitana a Mosca per poter sbucare un'ora dopo in una strada di Manhattan. Invece... Abbiamo oltrepassato da vent'anni... no, trenta... la soglia del Millennio e ancora non abbiamo il governo mondiale, non abbiamo né città su Marte né colonie sottomarine, e neppure automi che ci stirano le camicie o apparecchi di teleportazione. Abbiamo però i cloni, il genoma, l'intelligenza artificiale, i nanorobot: tutti fenomeni invisibili. Il domani è microcosmico. E presto lo sarà anche il presente. Noi umani siamo bestie troppo grosse: perciò, qualcos'altro dovrà nascere al posto nostro.»
I miei commensali si erano già alzati. Esibivano un'aria sconcertata. «Vieni, Pat», mi disse Colgate, sfiorandomi una spalla. «È ora di rientrare.»



(CONTINUA)

Transits su Amazon:Transits  Link eBook Kindle ( Amazon )