domenica, gennaio 27, 2019

J.D. Salinger

Il giovane Holden è un romanzo che ha perso molto del suo fascino da quando è diventato una lettura semi-obbligatoria nelle scuole. Un po' come il film (e relativo romanzo) Arancia meccanica; e un po' come On the Road. Mitici - infatti - possono essere solo quei prodotti che scopro io insieme a pochi amici e/o anime gemelle sparse per il mondo, non quelli che mi vengono propinati dal mercato di massa, dal sistema educativo e che magari ritrovo nell'abitazione del mio banalissimo vicino di casa! 


Lessi Il giovane Holden in un'era "non sospetta" e il mio approccio non fu affatto sociologico, né avevo in mente di scriverci sopra un tema o che so io; lo consumai per puro divertissement, per intrattenermi (come facevo e ancora faccio per qualsiasi opera letteraria che mi capita a tiro), e ancora ringrazio Iddio, o Budda, che quel libro non mi fu imposto da nessun insegnante. Risultato: capii di non essere affatto un disadattato, bensì un ribelle - un dolce ribelle, e, forse in primis, uno spirito critico verso la società dei consumi: come Holden, appunto! Il disagio, in realtà, non era dentro di me, bensì nel mondo circostante. Il sospetto lo avevo sempre avuto, ma fu quel pazzo d'uno scrittore americano, quel Salinger, a darmene conferma.

      


La lettura risultò fondamentale per me.
In pratica Salinger si specializzò in storie che hanno come protagonisti adolescenti. Franny e Zooey, Seymour, Alzate l'architrave, carpentieri e Nove racconti sono gli altri suoi libri. Li ho letti tutti; in originale. Ma ovviamente Il giovane Holden è il suo migliore. Bello, tenero e veritiero il rapporto del protagonista con la sorellina Phoebe... ma non è l'unico aspetto rilevante. Sì, un libro stupendo; e molto importante.
Partendo da qui, un lettore di oggi (io divorai il romanzo in questione quando avevo l'età di Holden, e da allora ho riletto più volte) può forse passare alla Beat Generation, che dà ai lettori uno spaccato dell'America "altra" (che non è però "l'altra America", né necessariamente l'America "alternativa").

Non so comunque quanto Il giovane Holden possa incidere sulla vita dei ragazzi di oggi, dato che, soprattutto dagli Anni Novanta in poi, ci sono state un sacco di "imitazioni" (iniziando con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il fortunato esordio di Enrico Brizzi, saggio alchimista che ha mescolato Holden con Arancia meccanica di A. Burgess), ma d'altronde bisogna interrogarsi sul livello di percezione degli odierni adolescenti anche per quanto riguarda la conoscenza di altre opere-spartiacqua del periodo a cavallo tra Dopoguerra ed Estate dei Fiori / Summer of Love: penso soprattutto a Plexus di H. Miller e - per la Beat Generation - On the Road di J. Kerouac e la raccolta di poesie di A. Ginsberg Juke-box all'idrogeno.

The Catcher in the Rye: questo il titolo in originale del romanzo di J.D. Salinger, molto più bello e incisivo certamente de Il giovane Holden, ma praticamente intraducibile per gli italiani. D'altro canto, la fortuna del libro, da noi in Italia, si deve proprio alla traduzione: Adriana Motti fece un lavoro geniale, un po' inventando lo slang dal nulla, un po' rendendo il linguaggio della gioventù di allora ("e compagnia bella", "eccetera eccetera", "Cristo santo!", "e via discorrendo", "una cosa da lasciarti secco"...). Alla Motti, generazioni di italiani non smetteranno mai di essere grati: è grazie all'acume creativo di questa traduttrice che loro si sono divertiti - e si divertono - a ripetere le espressioni del ragazzo ebreo-americano, un po' illudendosi di vivere a Manhattan, anziché a... Regalbuto o Cantù-Cermenate.

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Nel cinema? Mai! - Hanno voluto provarci in tanti a fare il film del Giovane Holden, da Billy Wilder a Steven Spielberg; ma nessuno in sessant’anni ci è mai riuscito. Il vecchio Salinger non ha mai voluto vendere al cinema i diritti del suo capolavoro, perché secondo lui era unactable: "Non può essere legittimamente separato dalla tecnica della prima persona che gli è propria", scriveva in una lettera del 19 luglio 1957 al produttore cinematografico Herbert.

Del resto lo scrittore si era già scottato le dita con Hollywood: nel 1949, il suo racconto "Uncle Wiggly in Connecticut" fu trasposto in una soap opera, e da quel momento Salinger, deluso dal risultato, decise di non volerne più sapere della "Mecca del cinema" e dintorni.