domenica, luglio 14, 2019

I racconti di Emiliano Angelini

Emiliano Angelini
Memorie dal Futuro
racconti

(Sottotitolo: ‘I migliori racconti di Emiliano Angelini’)

Rill - Riflessi di luce lunare






Le radici di tutti i possibili mondi futuri attecchiscono già nell’oggi, questo è chiaro, e, nella dozzina di racconti che compongono la raccolta Memorie dal Futuro, si ha l’impressione di essere confrontati con molti, addirittura troppi elementi del tempo presente. Questo o quel paesaggio in rovina e questa o quella situazione grottesca possono benissimo trovare posto nell’oggi. ‘Trovano’ posto nell’oggi, spesso. Riconosciamo gli scorci, riconosciamo il contesto e la circostanza: un po’ perché ci pare di averli visti in qualche film, ma massimamente perché, con le debite distanze di secoli e di carico di tragedia, siamo già stati protagonisti e/o visitatori di una di queste dimensioni.
Che, ci tengo a sottolinearlo, non appartengono tutte a un tempo a venire. Anzi: come nel caso di Il messaggio (più fantasy che SF), l’atmosfera è spesso malinconica, quasi inerente a un’America e a un’Europa crepuscolari, marca Anni Cinquanta.
Ma atteniamoci alla fantascienza: i luoghi sono quelli che conosciamo, non ci sono dubbi; solo lievemente mutati o come guardati attraverso uno specchio distorto. Come dopo un’indicibile catastrofe.
Anche sfogliando le pagine che trattano di vita “sociale”, di interazione tra umani, abbiamo un forte senso di déja-vu. Purtroppo. Purtroppo, sì, perché il futuro (il futuro vero e quello immaginato da Emiliano Angelini) non riserva nulla di piacevole per l’homo sapiens.
Parlo a bella posta al singolare (“futuro” anziché “futuri”) poiché tutte le tessere del puzzle formano una sola realtà e, se è vero che la realtà è varia e complessa, è possibilissimo immaginare ogni singolo racconto come il capitolo di un unico romanzo distopico.
Per me Angelini non è un novello Bradbury, come molti hanno sostenuto; per me è il Kafka dell’odierna letteratura fantascientifica. La sua intelligenza traspare non solo dalle trovate fulminanti, ma anche dall’abilità con cui riesce a esprimere concetti, a raccontare una storia senza sciupare una parola più del necessario. Non per niente è ritenuto uno dei migliori autori che abbiano partecipato al Trofeo Rill ed è stato tra i co-vincitori del premio SFIDA, indetto dalla stessa associazione!
Potrebbe senz’altro lavorare come sceneggiatore per il cinema...




L’ultimo giorno buono dell’anno (titolo ispirato a una canzone dei Cousteau) trasuda amara, cinica poesia. E il quadro dipinto dallo scrittore pescarese ci fa riflettere a quanti pochi anni (e non anni-luce!) dista l’estinzione del nostro pianeta e dell’humani generis.
Migrazione è un’altra storia che così bene sa esprimere il distacco, la lontananza. Siamo esseri minuscoli nell’universo, eppure capaci di distruggere l’unico posto accogliente di cui abbiamo conoscenza. Ci saranno razzi per portare nello spazio i nostri discendenti, ma parecchi saranno costretti a rimanere quaggiù, nell’ex Eden trasformato in Inferno.
Liberaci dal Male è sicuramente il racconto che più me lo ha fatto accostare a Kafka. Un Kafka moderno, sicuro. È narrazione condita con particolari piacevolmente orridi. Ma, attenti! Non si parla di futuro qui, ma di ieri prossimo. Dei giorni nostri, addirittura. E il piacere diventa... dispiacere.
Stesso discorso vale per il racconto Bogey: mondo presente. A propos di cinema e di scrittura cinematografica...
L’immagine riflessa è un vero horror thriller. Ma, per classe ed eleganza, degno di un H. G. Wells.
Morte prematura è il mio racconto preferito. Troppo bello per rivelarne anche un solo particolare.
Memorie della sabbia ha un’ambientazione esotica, similmente a Liberaci dal Male, ma la storia è profusa del senso di mistero e di cose irrimediabilmente perdute così come lo è, ad esempio, L’ultimo giorno buono dell’anno.
E passiamo a Bilancio familiare, uno dei racconti migliori e anche più conosciuti di Angelini. Breve quanto basta e raggelante sia per rapidità d’esposizione sia per il contenuto. Il mondo, ragazzi miei, sta andando in questa direzione. Facciamocene una ragione!
“Il Patriarca. Così lo chiamavano. Nessuno conosceva il suo vero nome. Forse, ironizzava qualcuno, neppure lui era più in grado di ricordarlo.” Il protagonista di Le cose che perdemmo nel fuoco (altro titolo suggestivo!) ne passa di cotte e di crude... No, nessun dramma di sangue: appena un “incubo culturale”. Con la partecipazione straordinaria di un grande maestro delle arti figurative.
Ufficio Rettifiche Genesi si inserisce nello stesso filone di Bilancio familiare. Rende tristi e nel contempo fa venire voglia di ribellarsi alla scienza più malvagia, alla perfida burocrazia, a...
Il racconto dal titolo Il messaggio è genuinamente, assolutamente bradburiano. Sembra di camminare, insieme alla protagonista, su un pianeta di ombre che incombono invadenti... mentre invece, per altre persone, si tratta di un pianeta di luce.
La stazione - pagine finalmente venate di speranza - evoca in una certa qual maniera le celebri Cronache del dopobomba...



***



Anche se è uno “scrittore pigro” (come pare che abbia affermato lui stesso), cercate di procurarvi tutti i papiri che portano la firma di questo scrittore. Potreste ‘sentire’ di aver scoperto un Philip K. Dick nostrano e, se no, avreste comunque tra le mani un “Original Angelini”.





lunedì, luglio 08, 2019

'24 scatti' - Recensione


Anna Belozorovitch
24 scatti
romanzo

Besa Editrice


Anna Belozorovitch è una scrittrice interessante. Già iniziando la lettura di questo suo lavoro in prosa si capisce che il suo è un linguaggio innovativo, pur rimanendo elegante ai limiti del classico (una classicità moderna, certo). L’autrice, nota anche come poetessa, usa frasi del genere:

”... scese lentamente col corpo verso il letto...” (anziché: “si inchinò verso il letto”); “tentando di alzare le palpebre pesanti verso l’ampia finestra...” (anziché: “rivolgendo gli occhi dalle palpebre pesanti verso la finestra...”).

Ogni cosa, in queste pagine, è movimento fluido.
“Lei sorrise e lui la seguì sorridendo” (ma i due non si stanno spostando, non stanno andando in qualche dove: l’una è sdraiata, l’altro le sta accanto; altri avrebbero scritto, più sbrigativamente: “lei sorrise e lui fece altrettanto”).





Il “lei” e il “lui” della vicenda sono Mara e Marino: un’assonanza di nomi non del tutto casuale. Proprio questa corrispondenza, proprio l’armonia di sillabe, serve a sottolineare l’ineluttabilità dell’unione del binomio in questione. Pur se nulla - come abbiamo accennato - sembra poter essere definitivo e scontato. Infatti persino un volto, addirittura un volto dolce, può trasformarsi all’improvviso in una maschera tragica.
Belozorovitch è sempre cosciente della plasticità del mondo e se ne fa portavoce. La Mara del romanzo ovviamente è la stessa scrittrice... almeno in parte. Così ci sembra di intuire. D’altronde: come potrebbe essere altrimenti? Trattasi di donna libera, che procede sicura su una strada scelta da lei medesima... anche se è una strada che si presenta non scevra di ostacoli. Marino, di contro, ci appare fin dall’inizio come un tipo problematico, fin nei gesti, fin nelle pose; addirittura nel fisico. Abbiamo dunque la contrapposizione tra semplicità, quasi “trivialità” (la donna, animale autosufficiente, capace a volte di un peccato veniale) e un essere scostante, ombroso, angoloso (il maschio suo compagno, comunque innamorato).



Le storie di Anna Belozorovitch si evolvono con scioltezza, con agilità quasi ipnotica, punteggiate di flashback. Ci si ritrova a vivere un frammento antecedente all’oggi nei più minimi particolari, eppure il lettore non arriva a stancarsi: un carattere o uno scorcio paesaggistico, un individuo oppure una casa vengono abilmente descritti con pennellate rapide e precise.
Ogni capitolo (e il primo inizia con “2”, non con “1”!) contiene riflessioni - traslate in gesti e parole - sull’amore, il vero grande miracolo dell’interagire tra umani. Ci sono silenzi, ma anche essi hanno un loro perché: come in un film neorealista o in un’opera dell’esistenzialismo francese.
Intorno alla coppia di protagonisti si attorcigliano le fotografie di situazioni, luoghi e personaggi ‘alia’ che hanno fatto di loro quel che sono. E il lettore vuol saperne di più. È come se un rullino fosse già stato sviluppato mentre altri stessero ad attendere di essere tirati fuori dal cassetto ed esternati, rivelandoci nuovi particolari. Il passato è una girandola mai veramente trascorsa. I giorni finiti sono composti da dagherrotipi in movimento che, più efficaci di un calendario, segnano il passo della nostra esistenza.
Il media della macchina fotografica (o “fotocamera”, come viene più propriamente chiamata nel libro) non è stato scelto alla cieca. Belozorovitch è una scrittrice di “scatti”, di “istantanee” che, messe in fila, vengono a formare una narrazione a tratti complessa - com’è complessa, o ad ogni modo eterogenea, o forse è meglio dire composita, la vita. Siamo di fronte alla nuova lady della letteratura intelligente. 



La storia narrata in 24 scatti è a spirale. Prima è lei - Mara - a sembrare totalmente persuasa di sé e padrona del proprio destino, ma a poco a poco (complici le foto “nascoste” nel rullino) ci viene suggerito che la donna possa essere depositaria di qualche mistero labirintico. Che sia responsabile di chissà quale colpa...
L’incombente operazione di sviluppo che servirà a rendere visibili le immagini latenti nella pellicola dovrebbe risolvere l’intrico.
Dovrebbe.


Lasciatevi incantare anche voi da questo bel romanzo che trasuda autenticità. 24 scatti è un prodigio. E ancor più lo è l’autrice.


Recensione pubblicata su Progetto Babele