Contenuto in: Incesti rossi, racconti
(di franc'O'brain.
#eBook)
Chissà che fine ha fatto Saverio!
Questo mio cugino milanese venne in visita da noi, con i suoi genitori, nell'estate dei miei sedici anni. Non so che cosa si aspettava di trovare: forse un'accozzaglia di poveri ignoranti; e io naturalmente sarei stato il pulcino più dimesso e più deficiente della tribù. Invece quella fu per lui la stagione più sorprendente della sua vita; e forse la più bella.
Dopo aver appurato che non eravamo i "terún" che aveva creduto di incontrare, si spaparazzò nel nostro appartamento e saggiò subito le mie conoscenze culturali. Scoprimmo di avere tanti interessi in comune, e gusti non dissimili. La passione per i libri e per il rock, ad esempio. Lui mi iniziò alla musica di Neil Young, io gli fornii la chiave per entrare nell'universo dei Genesis. I Pink Floyd e Thomas Pynchon li scoprii grazie a lui, lui scoprì Henry Miller e Anthony Burgess col mio apporto.
Purtroppo, Saverio aveva un qualche complesso di inferiorità che lo spingeva di continuo a doversi affermare sugli altri, perfino nelle occasioni meno opportune. Vedeva un avversario in chiunque: anche un bambinetto poteva risultare temibile ai suoi occhi. Si accaniva a voler dimostrare la propria presunta superiorità pure quando sarebbe stato più saggio mettersi in disparte lasciando un po' di respiro al prossimo. Gli insegnai le regole degli scacchi e, subito dopo averle fatte sue, pretese di vincere ogni partita. Se non ci riusciva, metteva su una faccia da funerale. Ogni cosa per lui si trasformava in una gara, in una sfida, in un confronto armato; la vita stessa era un'unica, interminabile battaglia. Da me imparò a rilassarsi un po', a sorridere, e a discutere come un essere umano invece che come un robot frigido; ma non sono sicuro che il mio esempio gli abbia modificato definitivamente il carattere. In fondo, lui abitava in una città in cui la competizione è ragione stessa di vita...
Comunque, in me trovò qualcosa di più di un buon parente: trovò un amico. Gli prestavo gli albi di Alan Ford e non me la prendevo troppo se "dimenticava" di restituirmeli. Ogni giorno era per noi un giorno di felicità e di spensieratezza.
Quell'estate, ovunque fossimo - al mare o nel cortile della nonna -, fu costellata di episodi divertenti e risate a crepapelle. Saverio si cibava praticamente di solo parmigiano (ne mangiava a chili), io di aria e di... esprit artistique. Quando gli venne la varicella, gli altri lo evitarono come fosse un appestato, mentre io ero l'unico a tenergli compagnia, ignorando a bella posta il pericolo di contagio.
Dopo che se ne fu tornato al Nord, iniziammo una fantastica corrispondenza, che durò anni. (Dovrei avere ancora alcune delle sue lettere, da qualche parte.) Fondammo perfino una rivista dal nome Fall Out, piena di critiche d'arte, di recensioni e di articoli a sfondo filosofico (lui era seguace di Auguste Comte, io propendevo per Marx e Bakunin).
L'estate che seguì la sua prima, storica visita, ci recammo in campeggio a Linosa. Convinsi Roccus, il mio "gemello" degli anni d'oro, ad accompagnarci. Il nostro soggiorno sull'"Isola delle Tartarughe" (da Roccus ribattezzata, non a sproposito, "Isola dei Ramarri") fu tanto piacevole quanto, purtroppo, allucinante. Quasi un paradigma della nostra esistenza futura. Ma questa è un'altra storia.
Per tornare al mio primo incontro con Saverio: dopo che scoprimmo di possedere entrambi velleità calcistiche (anche il suo cuore era neroazzurro), ci dilettammo a usufruire di ogni spiazzo libero per giocare al pallone. Un giorno, su un litorale sabbioso, mentre ci scambiavamo passaggi da trenta metri, mi chiese a bruciapelo: «Lo sai chi è Asparokov?»
«Certo», ribattei. «Il centravanti della Bulgaria.»
Questo sembrò stupirlo piacevolmente, più di tutto il resto. «Però! Ma guarda il cugino...» esclamò. O, più precisamente: «Talèèèè 'u cusci'...»
Poco dopo aver compiuto il mio diciottesimo anno d'età, mi invitò a casa sua. Presi il treno e andai a Milano. Con mia sorpresa, scoprii che Saverio frequentava il circolo parrocchiale di quella sordida periferia («altrimenti non incontri nessuna ragazza») e che montava una moto di - suppongo - piccola cilindrata. Una 'Caballero'. Pazze corse per il centro della metropoli, con me in posizione precaria sul sedile posteriore. Una volta, mentre stavamo fermi a un semaforo, ci si accostò un'automobile con dentro tre burloni. Ci guardavano ridendo, e ad un tratto uno di loro interpellò mio cugino così: «Olà, Caballero! Tu spagnolo?» Inspiegabilmente, Saverio si oscurò in volto, e per tutta la giornata non ci fu verso di fargli passare il nervoso.
Non credo che fosse felice. Sua madre lo teneva sotto torchio, gli imponeva di abbassare il volume del radioregistratore (suonava fino allo sfinimento Déjà-Vu di Crosby, Stills, Nash & Young o Ummugumma dei Pink Floyd), di spegnere la luce, di lasciare in pace la sorella, ecc. Lo trattava alla stregua di un fannullone. Di questa mia zia mi è rimasto un ricordo indelebile soprattutto perché, alla vigilia della mia partenza, mi cacciò in mano, quasi a forza, una banconota, dicendomi di andare a comprarmi un paio di pantaloni nuovi (ero andato là con un solo paio di jeans). Il ricordo di quella scena riesce a imbarazzarmi ancora oggi.
Sono trascorsi eoni da allora, e io ho fatto - letteralmente - tanta strada, mentre mio cugino, che pure sognava di altre terre e addirittura di altri continenti («Frank, rasiamoci la testa e andiamo in un monastero del Tibet!»), è rimasto ancorato alla sua esistenza piccolo-borghese (dopo il diploma è andato a lavorare nella stessa fabbrica dei genitori...).
Non sono state l'età e la distanza fisica a separarci, ma i destini differenti. Ancora oggi, ogni tanto, mi sorprendo a chiedermi, nei momenti più strani:
Chissà che fine ha fatto Saverio!
(1918-2009)
Orazione funebre
"C'era una volta un demiurgo.
Un creatore di universi.
Questo dio forgiava persone e non-persone collegate non soltanto tra di loro, laggiù su mondi distanti, ma anche con noi, meri mortali di un pianeta periferico.
Tale connessione rappresentava per noi il veicolo, la motivazione e il coraggio per raggiungere diversi gradi di illuminazione, oltre a quegli scopi che sarebbero rimasti utopici senza l'aiuto del demiurgo.
Il 25 febbraio 2009 (tempo terrestre), il demiurgo se ne è andato, e a noi rimane un vacuum cosmico. Naturalmente sapevamo bene che anche lui non era eterno, ma la notizia della sua scomparsa ci ha lasciati ugualmente atterriti. Senza la sua fantasia e la sua abilità nel fabbricare nuovi cosmi, la nostra vita è più povera.
Ma forse possiamo diventare tutti come lui. E' questo l'ultimo, meraviglioso regalo che ci ha fatto Philip José Farmer."
Nato a North Terre Haute, Indiana, da famiglia benestante, Farmer aveva sangue spagnolo e cherokee. Da bambino, oppresso dal puritanesimo dei genitori, si rifugiò nelle letture avventurose e fantastiche, che in seguito avrebbe rielaborato in molti suoi romanzi (fortunate rivisitazioni di Jules Verne ed Edgar R. Burroughs, del personaggio Sherlock Holmes e del mito di Dracula).
Non furono facili i suoi inizi di scrittore, ma quando finalmente gli venne pubblicato il racconto lungo The Lovers (storia d'amore tra un terrestre e una creatura aliena), iniziò per lui una lunga e felice carriera, anche se non ebbe mai il successo di cui godettero invece molti colleghi meno dotati. Le caratteristiche delle sue storie? "Astounding situations", ovvero situazioni sorprendenti (Astounding stories era il nome di una celebre rivista di SF), con una punta di sano umorismo e generosi sprazzi di erotismo.
Vastissima la sua bibliografia. Oltre ai numerosi racconti (le short stories furono la sua specialità), di Farmer vanno segnalati i romanzi del ciclo dei Fabbricanti di Universi e del ciclo del Mondo del Fiume. Uno dei suoi libri più significativi, formidabile riscrittura del Giro del mondo in 80 giorni, è The Other Log of Phileas Fogg (Il diario segreto di Phileas Fogg, Urania 1990).
Un collezionista di premi
Philip José Farmer vinse il suo primo Hugo nel 1953 nella categoria "Best New Writer" con The Lovers; altri due gli vennero assegnati per il miglior romanzo breve ("Best Novella": Riders of the Purple Wage, 1968) e per il miglior romanzo ("Best Novel": To Your Scattered Bodies Go, 1972). Nel 2001, l'Associazione Americana degli Scrittori di Fantascienza e di Fantasy - SFWA - lo nominò Gran Maestro. Tra le altre sue onorificenze spiccano il First Fandom Award e il Forry Award (ambedue nel 2003). Poco prima della sua morte, il suo nome è stato incluso nella Top 15 Sci-Fi Authors of All-Time.
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The Official Philip José Farmer Home Page
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Alcuni dei libri più noti di Philip J. Farmer:
Strange Relations, 1960 (Relazioni aliene; racconti)
The Maker of Universes, 1965 (Il fabbricante di universi)
A Feast Unknown, 1969 (Festa di morte)
To Your Scattered Bodies Go, 1971 (Il fiume della vita)
The Other Log of Phileas Fogg, 1973 (Il diario segreto di Phileas Fogg)
Venus on the Half-Shell, 1974 (con lo pseudonimo "vonnegutiano" di Kilgore Trout) (Venere sulla conchiglia)
Jesus on Mars, 1978 (Cristo marziano)
Two Hawk from Earth, 1979 (Roger Two Hawk)
The Lovers, 1979 (Gli amanti di Siddo [la celebre novellatrasformata in romanzo])
Dark Is the Sun, 1979 (Il sole nero)
The Unreasoning Mask, 1984 (Il distruttore)
The Grand Adventure, 1984 (La grande avventura)
The Gods of Riverworld, 1984 (Gli dei del Fiume)
Dayworld, 1985 (Il sistema Dayworld)
Statemi bene, e grazie per il caffè(racconti)Su Lulu.com - www.lulu.com I testi: Il precario - Sciabazz: critiche letterarie - Bar du Champs Jacquet - Bifocale - Giona e l’assurdo della vita - L'ultimo consulto - La casetta a Hafeld - Rap Fiction |
La ruota gira, gira, gira... Sopra c'è il cielo di un blu ellenico, segato dalla 'silhouette' di un uccello che stride; sotto ci sono fili d'erba elettrici, e anch'essi stridono. E la ruota gira, gira...
Quel giorno, uscendo, Vanz [Venanzio] ebbe un trip bestiale: vide gente attaccata a strani aggeggi, forse minicomputer con cuffie. Non capì. Probabilmente non avrebbe mai capito. Uguale se si trattava di apparecchi comunicatori o per la ricezione di musica: lui non avrebbe mai permesso che il suo cervello venisse shakerato da tanto elettrosmog in una sola volta. Aveva, del resto, altri problemi. Ma non era il solo, come gli suggerì il suo trip: altri si affrettavano verso un appuntamento non dissimile da quello verso cui lui stava andando, in un qualche ufficio-sgabuzzino del Centro Controllo Lavoro. Alcuni - i più, in verità - gironzolavano a coppie o a gruppi, fermandosi ogni tanto di botto per tirare fuori l'aggeggio portatile e gettare uno sguardo al display.
Mentre raggiungeva l'automobile, Vanz si volse indietro: aveva l'impressione che qualcuno lo pedinasse, e che quel qualcuno non potesse essere altro che il suo amico o presunto tale Dario. Si fermò addirittura per scrutare meglio tra le facce e non-facce, tra i corpi e gli ectoplasmi che affollavano le strade. Ma di Dario nessuna traccia. E perché poi l'amico o presunto tale avrebbe dovuto seguirlo? Lo ignorava. Presumibilmente la sua era solo paranoia, l'inizio di qualche forma di pazzia...
Entrò nel Centro Controllo Lavoro pensando a Dario, che tra l'altro abitava a due passi da lui, e a come Dario per anni avesse fatto il filo a Rosalba, prima che lei si decidesse a mettersi con Vanz. L'amico o presunto tale non sembrava averne fatto un dramma. "In fondo è una fortuna che stia con te anziché con qualche stronzo idiota" aveva commentato. In diverse occasioni erano persino usciti insieme, tutt'e tre, e Dario aveva riso e scherzato; per strada, in pizzeria... Parevano ormai secoli! Dario era sempre stato pronto ad accompagnarli in macchina qua e là... Aveva, insomma, allargato sui due innamorati le sue benevole ali, ali leporelline. Ma Vanz aveva notato nell'amico o presunto tale attimi di perplessità astio rancore. Quello lì aveva ali pipistrelline, piuttosto, altroché! Aveva colto, soprattutto negli ultimi tempi dell'idillio o presunto tale, sguardi sfuggevoli tra Dario e Rosalba...
- 45! - urlò la voce dell'impiegata.
Era il suo numero, ma non si mosse.
- Che c'è? Cos'hai? Stai male? - gli chiese qualcuno. Quel qualcuno, insieme ad altri individui presenti nella vasta, fredda sala d'attesa del CCL, Centro Controllo Lavoro, puntò gli occhi addosso a Vanz. Lui, che aveva bretelle stars-and stripes e un berretto con su scritto 'I love N.Y.', non diede risposta. Se ne stava sulla sua sedia a stringere tra le dita il bigliettino con il numero che avevano appena chiamato.
- Ma cos'ha? - chiese l'impegata facendo capolino dalla porta, rivolta agli altri disoccupati in attesa.
- La vita lo ha stancato - rispose un uomo sui cinquant'anni; lui stesso aveva un volto che esprimeva rassegnazione.
- Se è stanco, dovrebbe tornarsene a dormire - osservò la donna, acida. Poi ripeté, istericamente: - 45!
Vanz continuò a non muoversi.
- 46! - esclamò allora lei, e un altro disgraziato, sventolando il bigliettino corrispettivo, si mosse verso la porta aperta.
L'impiegata lo fece entrare e l'uscio sbatté.
Il cinquantenne sospirò, alzandosi. Pian piano, si avvicinò al pallido ragazzo che, tra i risolini, gli sbuffi e i commenti ironici dei vicini di sedia, proseguiva a fissare inespressivo la parete dirimpetto, tappezzata con poster dall'aria vagamente sovietica che reclamizzavano i vantaggi di questa o quell'altra scuola professionale. - Tutto bene? - gli chiese il cinquantenne, ponendogli una mano sulla spalla.
Vanz sembrò non udire. Ma avvertì il contatto di quella mano e, spettralmente, si sollevò e si incamminò verso l'uscita.
- Ehi, ma dove...?
Fuori era estate. Tanto sole e un leggero vento. La città brulicava di presenze variopinte. Soltanto la facciata del palazzo in cui era locato il CCL si innalzava grigia e cadaverica. Il ragazzo si trascinò come trasognato lungo un marciapiede in ombra, fino a raggiungere l'auto parcheggiata. Tirò fuori le chiavi da una tasca dei calzoni, aprì la portiera e, toltosi il berretto, si mise al volante. Per una buona mezz'ora l'auto seguì il traffico del centro; poi si lanciò a manetta sulla superstrada, con i finestrini laterali abbassati.
120... 140... Poteva andare più veloce? Veramente non lo sapeva. Veramente questa non era la sua macchina: gliel'aveva imprestata suo padre. E veramente gli era indifferente sapere quanto indicava il contachilometri: tanto, non sarebbe mai stato tanto veloce da poter riacciuffare i suoi sogni.
Oh, e che sogni! Aveva delirato di un mondo tutto verde con il cielo azzurro e il mare pieno di pesci, e una capanna su una scogliera, e dentro la capanna lui e Rosalba, oppure un'altra ragazza come Rosalba. Una vita tranquilla, sana e, sopra a ogni altra cosa, al sicuro dalla 'longa manus' dei potenti. Invece...
Invece era stato catturato dagli ingranaggi del sistema. Dopo aver interrotto gli studi universitari per non dover più sentire suo padre lamentarsi di quanto gli costava mantenerlo, si era adoperato per trovare un lavoro, uno qualsiasi. Del resto, anche Rosalba aveva fatto pressione affinché lui si sistemasse. Quanti anni aveva avuto quando si era buttato a capofitto nello stravagante show della "vita"? 21, 22. Ora ne aveva 26. Aveva alle spalle un lungo precariato, con tutto quanto ne consegue: la vergogna, l'infamia e le offese dentro e fuori squallidi uffici che non servono a nulla. O, per essere più precisi, servono proprio a questo: a tenere a bada i perdenti cronici, a non far alzare troppo la cresta ad eserciti di illusi.
I suoi sogni: tutte frottole! Nessuno poteva aiutarlo. I cosiddetti consulenti delle agenzie interinali: personaggi truffaldini pieni di prosopopea. Amici ed ex commilitoni: narcisi che si approcciano al magma caotico dell’esistenza con l'entusiasmo di pasciuti zombi. Finanche quel buono a nulla di Dario era riuscito a "sistemarsi": faceva le consegne per una ditta di elettrodomestici e oggi era fiero possessore di una carta di credito.
Vanz non possedeva nulla e non aveva nessun posto dove andare. La "magione" paterna, in cui lui così malvolentieri si rifugiava dalle iniquità del mondo, non era che una una gabbia sospesa tra cielo e terra; ottavo piano di un casermone popolare, con il traffico della vicina circonvallazione che faceva tremare le pareti e onde di cherosene che arrossavano le nuvole impigliatesi sulle antenne, sui trasmettitori, sui ripetitori. Non aveva un bel niente. Nemmeno Rosalba era più presente (e forse, per davvero, a quest'ora lei e Dario formavano una coppia); il ricordo dell'amata: polvere di sborra sul maglione.
Ma c'è, o potrebbe esserci... qui, oltre la periferia della periferia... guarda quella prateria in miniatura, ad esempio!... c'è, o potrebbe esserci, in mezzo a questi flash che ogni tanto lui coglie con pupille tenebrose... un'oasi dove andare, dove nascondersi, per non dover più sentire il genitore chiamarlo "lavativo".
Occhieggiando nello specchietto retrovisore, si accorse che un furgone grigio gli si era attaccato alle costole, o più precisamente al cofano. Vanz accelerò sensibilmente per scrollarselo di dosso, ma il pedinatore non mollò la presa. Un senso di panico si impossessò di lui nel riconoscere la faccia che, dietro il parabrezza scuro, gli ghignava sardonicamente.
"Dario!"
Nessun dubbio ormai: la sua presunta paranoia aveva finalmente un nome. Ma che diavolo gli era preso al presunto amico, al compagno di giochi dell'infanzia, al vicino di casa che negli ultimi mesi, anzi anni, si era reso latitante e che probabilmente gli aveva soffiato la donna che prima Vanz aveva - in un certo senso - sgraffignato a lui? "Ce l'ha con me? Spia tutti i miei movimenti?"
Diede ancora più gas e dopo qualche minuto il furgone iniziò gradualmente a rimpicciolirsi nello specchietto.
"Uff! Maledetto...!"
Asciugandosi il sudore, tornò a concentrarsi sulla strada. Alla sua destra apparve all'improvviso un luogo straordinario, a lui sconosciuto: una cittadina, anzi un borgo; un borgo cristallino, sviluppato nel classico nucleo detto a “cuneo” o a “fuso d’acropoli” su uno sperone tufaceo, con il castello nel punto più alto a farne da testata.
Infilò l'uscita quasi senza rallentare. "Ecco il posto dove voglio vivere" si disse, percorrendo la salita. Un paese antico, quasi completamente tagliato fuori dai retaggi della modernità. Scegliersi come abitazione una baracca, per chiudersi in un fortilizio di sconoscenza voluta, in un silenzio denso come la melma...
All'improvviso, una curva a sinistra, nemmeno tanto stretta. Chiunque altro l'avrebbe imboccata agevolmente, ma non a 80 o a 100 all'ora.
La macchina si cappottò. Si ribaltò dapprima sull'asfalto, poi nel maggese. Una, due, tre volte. Il cranio di Vanz si infranse mentre la sua autovettura, o meglio l'autovettura paterna, si riduceva a un ammasso di lamiere contorte ancor prima di entrare in fase di rullaggio. Finalmente la macchina si fermò: stette per qualche secondo in sospensione cardanica e poi si capovolse con le ruote oscenamente all'aria.
Le folate di vento cessarono all'improvviso e subentrò una calma piatta, terrificante.
Mentre si rendeva conto di provare dolore in tutto il corpo, Venanzio vide qualcuno chinarsi su di lui. L'odioso ghigno di Dario gli stridette nel cervello insieme a un uccello che volava a bassa quota.
Singultò, un occhio spalancato che si beve il cielo, l'altro mezzo chiuso che fissa di sguincio i fili d'erba secca.
E intanto la ruota gira, gira, gira...
franc'O'brain (alias Peter Patti)
Questo numero (il secondo della nuova serie) è dedicato a "Le fiabe del futuro".
Short Stories è disponibile per l'acquisto sia come libro stampato (€ 14.50), 208 pagine, copertina a colori, dimensione 15.2 x 22.9 cm, rilegatura termica con costa rigida, oppure in formato PDF (€ 7) da scaricare.
Per acquistare Short Stories l'indirizzo è
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dove è anche possibile vedere un'anteprima delle prime otto pagine.
Si paga Short Stories direttamente tramite carta di credito (Visa o Mastercard) oppure tramite PayPal sempre sul sito di lulu.com.
Non c'è nulla di paragonabile, - diceva - siamo un popolo meraviglioso, e viviamo in un'epoca meravigliosa. Paracadute e ferrovie; trabocchetti e cannoni grandinìfughi! I nostri piroscafi solcano ogni mare, e la valigia aerea di Nassau si dispone a iniziare servizi regolari (tariffa per andata o ritorno solo venti sterline) fra Londra e Timbuctù. E chi calcolerà l'immensa influenza sulla vita sociale, sulle arti, sul commercio, sulla letteratura che deriverà immediatamente dai grandi princìpi dell'elettromagnetismo?