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lunedì, dicembre 30, 2019

'Transits' - secondo assaggio di lettura


Una company o un laboratorio di sperimentazione sociale?
                         Un ulteriore assaggio del romanzo distopico Transits
                                            di Peter Patti



Nell'androne, in mezzo a mucchi di immondizia, alcuni bambini giocavano con i loro miniesemplari di equus. Erano tra i più fortunati: di solito questi giocattoli (imitazioni ben riuscite degli ippoandroidi in dotazione all'esercito) potevano permetterseli in pochi, dato che costavano un occhio della testa.
Uno dei ragazzini aveva con sé un piccolo cane che, nel vedermi, abbaiò selvaggiamente.
Mi chinai sul pulcioso dicendo: «Sai solo abbaiare, cagnolino? Non mordi mai?»
«Attento che morde pure!» esclamò il moccioso, che era affetto da strabismo.
Lo osservai inarcando le sopracciglia. Conoscevo suo padre: nel suo appartamento allevava cani, e anche gatti, che faceva ingrassare prima di spacciarli come prelibatezze. Erano prelibatezze. Io stesso avevo mangiato di quella carne sotto gli occhi inorriditi di Allen, che era un vegetariano della prima ora, e potevo dunque testimoniarne la bontà.
«Non puoi giocare come gli altri, eh?» dissi al piccolo strabico.
«Si chiama Bello», si limitò a dire lui, trattenendo il cane che, ora ringhiando, avrebbe voluto avventarmisi contro, attentando alla salute dei miei calzoni.
«O-oh», feci, sgusciando via. «Scommetto che non ha nemmeno un pedigree.»
Guercino mi guardò senza capire.
«Un albero genealogico. Una famiglia. Non ce l'ha.»
«Oh sì, invece», mi contraddisse, mentre io ero già sul portone. «La mamma di Bello si chiama Momo, i fratelli Ingo e Immo. Il papà, Dracula, è morto lo scorso dicembre.»
«Morto cucinato», lanciai da dietro le mie spalle.
La strada pullulava di gente: l'armata dei senzalavoro. Non si può dire però che fossero sfaccendati. Da quando il governo non elargiva più il sussidio di sopravvivenza, i cittadini si dedicavano a molteplici traffici. Chi non si ingegnava, chi non aveva nulla da vendere, nemmeno i propri organi, finiva indigente, a morire sotto un ponte o un cavalcavia.
A me serviva urgentemente un lavoro. Non che temessi di trapassare in uno degli ormai numerosi "cimiteri dei morti di fame", come li chiamavano: finché Allen godeva di ottima salute, sarei potuto rimanere al sicuro con lui. Era soprattutto per ricaricare la mia Moneycard. Senza crediti a sufficienza, ci si sente più vulnerabili, a parte che la vita non è vita.
Era una bella mattina primaverile e fu perciò un piacere attraversare a piedi l'intera città. Era ancora troppo presto per imbattersi in qualche criminale prezzolato o in desperados armati di clava o coltello: la feccia più spietata sarebbe uscita solo con il calare delle tenebre, come gli scarafaggi.
Dopo aver ammirato per un po' il frontespizio del palazzo su cui capeggiavano le lettere "K.E.", spinsi la porta ad aria compressa e puntai sulla ragazza al desk. Lei mi indicò l'ascensore dicendomi a che piano dovevo salire. Intanto un guardiano in uniforme, con il distintivo della corporazione e il revolver bene in vista, stava a scrutarmi da rispettosa distanza.
Sbucai dall'ascensore in un corridoio pieno di lampade fluorescenti che diffondevano una luce biancastra. L'ufficio del researcher era a sinistra. Picchiai sulla porta ed entrai.
L'uomo aveva una testa a forma di proiettile e la voce rauca, come se un acido gli avesse corroso le corde vocali. Dopo i preliminari, mi pose alcune domande all'apparenza innocue ma che in realtà - come ben sapevo - erano parte integrante della prova attitudinale. Poiché non avevo nulla da perdere, risposi inalberando una buona dose di affabilità. A un dato punto lui scattò in avanti (parve quasi che la sua testa-proiettile fosse stata sparata da un cannone) e si alzò. Vidi che teneva qualcosa in mano: un mini-recorder. Notando la mia espressione irretita, mi spiegò: «È per i nostri archivi, sa». Poi mi mostrò alcuni grafici, parlando a ruota libera. Io guardai quelle proiezioni di disegni euclidei dicendo di sì senza capire un accidente. Infine venni mandato al controllo medico, dove non fecero altro che prelevarmi un po' di sangue.


Quando mi riconvocarono, un'ora dopo, mi stupii di sentire il researcher esclamare: «Congratulazioni, signor Ferroni! Il posto è suo». A conferma di quelle parole premette un bottone, e nel mio cranio le campane di una chiesa si misero a suonare a festa.
Fece il suo ingresso una venere bionda. «Questa è Marilinda», annunciò l'uomo. «Da oggi sarà la sua segretaria personale.»
Ero stordito, titubante. In fondo si trattava del primo colloquio di selezione che superavo... e già mi assegnavano la segretaria! La mia perplessità era dunque giustificabile. Nondimeno, fu con delizia che mi posi sulla scia di quella sventola di ragazza. Prendemmo l'ascensore, che già odorava di essenze ma che subito si impregnò del profumo - certamente costoso - di Marilinda, poi percorremmo lunghi corridoi rivestiti di coni fonoassorbenti, finché lei non si arrestò davanti a una porta.
Si chinò sul display e digitò la chiave d'accesso. Quindi mi lasciò il passo.
Era un ufficio ampio, dai vetri fumé e con una scrivania nuova fiammante. "Però!" pensai. "Niente male." Già: niente male per uno del mio stampo, per uno come Pat Ferroni, che per anni aveva mendicato un posto di lavoro qualsiasi e che non poteva certo vantare referenze attendibili.
La segretaria poggiò sulla scrivania due cartelle, dicendomi che vi avrei trovato tutte le informazioni che mi occorrevano. Dopo mi dedicò un sorriso smagliante e concluse: «Per qualsiasi cosa, mi chiami all'interfono».
«Senz'altro. Grazie, Marilinda.»
Aprii la prima cartella, su cui spiccava la scritta "Business Portfolio". Era piena di cifre e istogrammi che io non comprendevo e che forse mai avrei compreso. Passai alla successiva, quella dei "First steps per i nuovi impiegati - Fase Uno". Lessi:
"For any organization, large or small, communicating is important to being effective. Frequent communications with customers, employees, investors, or partners is a key driver to success".
Il testo parlava inoltre di "partecipazioni della Kosmos Enterprise a vari settori pubblici", di "proventi autoriproducentisi", di "Corporate Identity" e roba del genere. Scoppiai a ridere. Era tutto fumo, aria calda: non mi aiutava a capire nulla sulla natura dell'azienda, né quel che pretendevano da me.
Per gioco, e anche per fare una specie di prova tecnica, chiamai la bionda all'interfono.
«Sì?»
Non sapendo che cosa dirle, le domandai: «Di regola a che ora è fissata la fine della giornata lavorativa?»
«Alle quindici, signor Ferroni.»
La ringraziai e chiusi la comunicazione. Mi misi a occhieggiare in giro. L'ufficio era provvisto di tivù via cavo, computer e (eureka!) frigobar. A quest'ultimo sottrassi una bottiglia di Southern Comfort e, dopo essermene versato una generosa porzione, andai a sbirciare dentro un armadietto dall'aria misteriosa. Conteneva fruste, vibromassaggiatori e una bambola trisessuale di silicone. Annuii compiaciuto: in quella prigione di lusso c'era tutto l'occorrente per ammazzare il tempo senza annoiarsi. Dentro un cassettone scoprii un assortimento di giochi per PC recanti il marchio della Macrohard (una delle ditte che facevano capo alla K.E.). Ne testai alcuni con una mano sul mouseStick e l'altra stretta intorno al collo della bottiglia. I giochi strategici erano naturalmente per gli impiegati raziocinanti, mentre quelli d'azione erano destinati ai tipi come me, agli impulsivi, agli impazienti. Guidai un carro armato, poi un'astronave, e in ultimo mi lasciai catturare dal fascino di Doom XII, dove ero un soldato dentro un labirinto pieno di mostri e ragni cibernetici che dovevo abbattere prima che loro mi trasformassero in un guscio umano grondante sangue. Riuscii a raggiungere il terzo livello, dove deflagrai con un lugubre botto che colorò di rosso il monitor. Sempre abbracciato alla bottiglia, mi staccai dal computer e sprofondai in una poltrona di pelle. Accesi la tele e scanalai per un'ora o due. L'apparecchio era programmato per ricevere unicamente film - film per ragazzi, d'avventura, d'animazione, commedie, thriller, hard porn, ecc. Mi dissi: "Logico. Hollywood è un enorme mercato allucinogeno. Proprio quel che occorre al manager stressato".
Tornai a perlustrare l'armadio. C'era, in fondo a uno scaffale, una videocassetta. Si trattava di un supporto ormai antiquato, la cui vista mi spinse al sorriso ma anche a inarcare interrogativamente le sopracciglia. Era senza copertina né etichetta. Tentennante, la rigirai tra le mani. Nell'ufficio non era presente nessun videoplayer (ne esistevano ancora? L'ultima volta che ne avevo visto uno era stato nell'èra giurassica...). Mi strinsi nelle spalle e riposi la videocassetta sullo scaffale, dicendomi che forse era stata dimenticata lì dal mio predecessore.
Guardai ancora un po' di tivù, prendendo definitivamente confidenza con il telecomando, e infine me ne stetti del tutto inoperoso a osservare dalla finestra il traffico sottostante come attraverso un cannocchiale capovolto. Il Southern Comfort si esaurì e, quando girai il polso per leggere l'orologio, scoprii che mancavano cinque minuti alle tre. Il mio primo giorno di lavoro si era concluso brillantemente. Uscii barcollante dalla mia gabbia dorata e salutai Marilinda. Lei mi rivolse un sorriso a trentadue denti, flautando: «A domani, capo».

                                                                                          (CONTINUA)








'Transits' - primo trancio d'assaggio


Lavoro o esperimento sociale? Un primo trancio d'assaggio di Transits, di Peter Patti




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Mi inocularono una sostanza nella nuca, poi mi trascinarono in un'ampia sala, dove mi costrinsero a mettermi a cavalcioni di una bicicletta senza ruote. L'ambiente era in penombra: potevo riconoscere un'infinità di spalle ondeggianti e il lampeggiare di una spia di controllo sul manubrio di ciascuna delle cyclette. Mi ordinarono di premere sui pedali. Ubbidii controvoglia, mentre un venticello artificiale mi spettinava le sinapsi. Su un enorme schermo scorreva il film di una strada di campagna, come un desktop animato. Tutt'intorno c'era il sibilo delle dinamo, un ronzio ininterrotto di mosche ubriache: gli altri prigionieri pedalavano con foga, molti magri fino all'osso, tutti con lo sguardo fisso sulla strada in panavision.
I mastini che mi avevano condotto fin lì si allontanarono. Ne approfittai per rivolgermi a un vicino di fila. «Ehilà, amigo!» lo chiamai. Ma non mi diede retta. Il rumore dei meccanismi era troppo forte, impossibile capirsi. Vidi che lui aveva gli occhi sbarrati, in preda a un'estasi chimico-motoria. Pian piano la droga fece effetto anche su di me. Nel mio cervello una voce iniziò il countdown: FIVE-FOUR-THREE... TWO... ONE... Dapprima ci fu un lampo perfettamente bianco, come di lampada al magnesio; seguirono diversi sismi cerebrali e il sussulto dei muscoli delle gambe. Mi aggrappai al manubrio, concentrandomi sullo schermo. Ben presto la bici si trasformò in un razzo.
Pedalavo e ghignavo. Correre, correre... Il fine era la via stessa. Ogni tanto un tubo di gomma si calava dal soffitto, consentendomi di succhiare una pappa viscida ma nutriente. Evidentemente i sensori che mi avevano applicato agli arti e al petto registravano il livello delle riserve noradrenaliniche...






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Dovevo molto alla Kosmos Enterprise. Mi aveva consentito, tra l'altro, di lasciare il mio malfamato quartiere e di andare ad abitare in un ghetto esclusivo per impiegati d'alto rango. Certo, il trasferimento comportò la seccatura di dover rinunciare alla compagnia del buon vecchio Allen, una specie di Buddha ex sessantottino dotato di cultura enciclopedica (per anni io e Allen avevamo condiviso la stessa tana), ma ora contava soprattutto il sapermi sistemato e percepire uno stipendio vero.


La centrale europea della Kosmos Enterprise, un grattacielo tutto vetri e acciaio temperato, era ubicata a Colleverde, nel ventricolo più sano del cuore della metropoli. L'edificio era avvolto in una nube di insondabile mistero. Vi entrai la prima volta in un lunedì d'aprile, incoraggiato da un'agenzia headhunting. Quelli dell'agenzia mi avevano assicurato che la posizione di operating manager faceva giusto al caso mio. Così spolverai il mio abito migliore e andai all'intervista. L'oroscopo mi era favorevole: "Cancro: in questo periodo le stelle vi danno maggiore concretezza, facendovi progredire nel lavoro, negli affari e in ogni questione di ordine pratico." Ero tuttavia pieno di dubbi: sia a causa della mia scarsa scolarizzazione, sia perché nessuno era riuscito a spiegarmi che diavolo è mai un operating manager.

Non nutrivo nessuna speranza di essere assunto. Ma d'altra parte, perché non tentare? Ormai avevo collezionato così tanti "no" che uno più, uno meno...

La nota positiva di quei colloqui era che gli intervistatori sembravano inequivocabilmente attratti da me. Non pochi di loro mi invitavano a pranzo, "per conoscermi meglio". Io di solito accettavo solo i meal tickets delle intervistatrici e imbastivo storie pretestuose per rinunciare a quelli dei loro colleghi maschi. La nota negativa era che tutti si rivelavano essere più noiosi di quanto non fosse lecito attendersi. Ma stavolta forse sarebbe stato diverso. Mi ripromettevo di non annodare vincoli di letto. Del resto, la Kosmos Enterprise sembrava una ditta seria. Perciò mi incitai: «Vai, Pat, vai!»


(CONTINUA)

Transits su Amazon:TransitsLink eBook Kindle ( Amazon )



domenica, settembre 30, 2012

Recensione di 'Waterworld'

(USA, 1995)

 
Un film che vedo solo ora (sì, per la prima volta!) e che mi fa comprendere in che modo la propaganda può aiutare una pellicola ma anche rovinarla, facendola fallire al botteghino. Waterworld, prodotto dalla Universal, subì le angherie della critica e anche di gran parte di pubblico (quello che non ama molto la fantascienza, evidentemente) e ciò segnò la fine del connubio artistico tra Kevin Costner e il regista Kevin Reynolds. Quest'ultimo (Balla coi lupi, Robin Hood) ebbe vita tutt'altro che facile a dover realizzare una megaopera cacotopica - tipo Mad Max - ambientata unicamente sull'acqua, e, com'era prevedibile, dovette forare (anzi: straforare) il budget. Qualcuno ha fatto i calcoli: Waterworld arrivò a costare, in totale, circa 3 milioni di dollari per ogni minuto di pellicola - e i minuti sono ben 135...
Una maledizione sembrò gravare sulle riprese, che vennero flagellate da tifoni (si girò alle Hawaii) e da una sequela di incidenti alle comparse; diversi set da migliaia di tonnellate d'acciaio sprofondarono nel mare... ;e la superstar Costner si lasciò andare ad assurdi quanto costosi capricci erotico-sentimentali. Tutto ciò ce lo comunicano i diligenti recensori italiani e no, i quali sembrano spiarsi e copiarsi l'un l'altro. Il problema è che il film in sé, quale puro spettacolo d'intrattenimento, è semplicemente geniale. I sopravvissuti dell'immane catastrofe ecologica (per chi non lo sapesse: siamo nel 2050 o giù di lì e i ghiacci dei poli si sono liquefatti) possono tenersi a galla solo tramite conoscenze nautiche nonché di elettromeccanica e idraulica applicate. I congegni da loro ripescati/reinventati sono fantasiosi almeno quanto quelli visti in Wild Wild West (altro kolossal incomprensibilmente stracciato dalla critica)...  
 
  

La storia:
L'intero pianeta Terra è stato sommerso dalle acque. Kevin Costner è Mariner, mutante palmipede e con le branchie che vive su un catamarano di propria costruzione. Il suo nemico per la pelle è Denis Hopper, capo degli "Smokers", che sono una specie di operai metallurgici-terroristi la cui base è il relitto di una petroliera. Altri gruppi di sopravvissuti vivono invece su atolli improvvisati. Ovviamente, ogni cosa, al di sopra del blu oceano, è sporco, rappezzato. Inoltre, come si può facilmente pensare, il lusso più grande è l'acqua potabile. In questa costellazione disperata, tutti quanti sognano "Dryland", la "terra asciutta". Ma dove si trova? E, soprattutto: come poterla raggiungere?
L'ubicazione approssimativa di quel leggendario rimasuglio di terra firma è tatuato sulla schiena di una bambina (Tina Majorino), la quale si ritrova così a essere una sorta di mappa vivente contesa da più parti. In quanto al modo in cui appressarsi a Dryland, no problem: i nostri eroi voleranno alla fine su un rudimentale mongolfiera... e noi scopriremo che l'ultima spiaggia dell'umanità è costituita dalle cime montuose della Svizzera.
 

 Dennis Hopper
 
Certo, nel film un paio di momenti sciocchi ci sono, e anche diverse incoerenze della sceneggiatura (il copione è stato scritto e riscritto dozzine di volte), ma non bisogna perdere di vista la natura delle cose e tenere in mente che abbiamo a che fare solo con un fumettone di lusso. Dalla visione di Waterworld ci resta quantomeno una speranza, e cioè che anche in un'era post-apocalittica ci si possa imbattere in donne appetibili come Helen, alias Jeanne Tripplehorn.
 
 
Regia: Kevin Reynolds
Con: Kevin Costner, Jeanne Tripplehorn, Dennis Hopper, Tina Majorino, Jack Black, R.D. Call, David Finnegan, John Fleck, Neil Giuntoli, Michael Jeter, Robert A. Silverman, etc.



 
Uno dei rari commenti positivi in Italia:
"(...) Il "flop" annunciato della coppia Kevin Costner-Kevin Reynolds è una sorpresa: discontinuo, non di rado inutile, un po' demenziale, ma con sprazzi di grande cinema (...)". (Roberto Nepoti da Rivista del Cinematografo)
 
DVD su Amazon.it

 

venerdì, maggio 18, 2012

Ora su Amazon - 'Transits'

 Un giovanotto viene assunto in una ditta importante ("la" ditta, ormai...) e deve confessare a se stesso di non meritarsi tanto onore. Tanto più che non sa proprio che fare, dentro a quel comodo ufficio che gli hanno assegnato con, nella stanza accanto, una splendida segretaria personale. Così, comincia a esercitarsi con i videogiochi...   L I N K

Per chi volesse leggere (gratis) la versione alleggerita, e duque non il romanzo bensì il suo "imprinting", ovvero la novella Transits in versione .html, il link è questo.

sabato, aprile 21, 2012

Ora su Amazon - 'Città dell'Alfabeto'




Fantascienza post-apocalittica.

Più precisamente, questo romanzo, ambientato nell'onnivora Alphabet City (odierna New York), rientra nella SF distopica (non utopica!). Alvo, il protagonista, deve districarsi tra le insidie della megalopoli - capitale di entrambi gli emisferi - che si estende sull'East Coast statunitense. La Terra sembra ormai essere controllata da un'unica multinazionale. Ma... è proprio la Terra, questa?








"Un tempo il mondo era un insieme di pochi, solidi insiemi. Poi la bussola si mise a roteare impazzita, le singole unità vennero scaraventate in giro e formarono uno sconnesso mosaico di brandelli e cocci incompatibili tra di loro, una matassa in cui invariabilmente ci si smarrisce. Nessun schema da poter seguire, la perdizione come status effettivo. E, al centro di tutto, l'Impastatrice, elevata oramai a ruolo di madre irreprensibile, caritativa nella sua azione distruttiva; l'enorme bocca un buco nero."

......E-book


sabato, gennaio 14, 2012

Lontano, nei dimenticati spazi...

"Lontano, nei dimenticati spazi non segnati nelle carte geografiche del limite estremo della Spirale Ovest della Galassia, c'è un piccolo e insignificante sole giallo. A orbitare intorno a esso, alla distanza di centoquarantanove milioni di chilometri, c'è un piccolo, trascurabilissimo pianeta azzurro–verde, le cui forme di vita, discendenti dalle scimmie, sono così incredibilmente primitive che credono ancora che gli orologi da polso digitali siano un'ottima invenzione.
Questo pianeta ha, o meglio aveva, un fondamentale problema: la maggior parte dei suoi abitanti erano afflitti da una quasi costante infelicità. Contro l'infelicità furono avanzate varie proproste, ma esse concernevano per lo più lo scambio di pezzetti di carta verde; cosa assai strana, ne converrete... Così, quasi tutti gli abitanti del pianeta continuavano a sentirsi tristi e infelici; persino quelli che avevano orologi digitali."

Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti

... e grazie per tutto il pesce
La website di Douglas Adams in italiano

mercoledì, settembre 02, 2009

Le Edizioni Scudo annunciano...

... tre novità editoriali della nostra collana Long Stories sono già disponibili (sempre in formato Ebook e sempre gratuitamente) presso il nostro sito:



Le serate del Blue Buzzard di Pierre Jean Brouillaud
Uno dei più grandi esponenti della fantascienza francese, ci accompagna nei vicoli di San Juan, fino ad un locale molto caratteristico e sempre frequentato. Se avrete pazienza, prima o poi, uno dei suoi avventori avrà una storia da raccontare, una storia sentita da qualcuno o vissuta in prima persona, come un inconfessabile segreto che però, con l’aiuto di una buona birra, potrà venire alla luce ed essere condiviso con chi ha voglia di ascoltare. E le storie del Blue Buzzard, potete starne certi, non sono mai storie comuni.
Copertina di Luca Oleastri, 52 pagine A4, 5 illustrazioni a colori di Luca Oleastri

Le Magnifiche di Giorgio Sangiorgi
Juliet Linton è una tenera fanciulla inglese della fine dell’ottocento, e non sa che dentro di lei albergano una forza e un potere insospettati, se n’è accorto invece qualcuno, una donna misteriosa e gigantesca che si presenta un giorno alla sua porta facendole un’assurda e inaccettabile offerta; un’offerta che però ella non può rifiutare e che condurrà lei e il lettore in un lungo viaggio e verso un’avventura estrema.
Un grande romanzo di Sangiorgi, una singolarissima space opera, un lavoro che miscela molti sottogeneri della fantascienza con la spregiudicatezza di cui spesso sono solo capaci i giapponesi. Ma anche un racconto dedicato allo spirito femminile.
Copertina di Luca Oleastri, 199 pagine A4, 7 illustrazioni a colori di Giorgio Sangiorgi


Transits di Peter Patti
Chiunque si è trovato a lavorare per una grande azienda, e per di più se multinazionale, prima o poi ha finito per chiedersi quali sono gli scopi reali del lavoro che questa gli chiede di fare, e soprattutto se uno scopo c’è per davvero. Ma il protagonista di questa vicenda finirà per scoprire che la realtà è ancor più complessa di quanto potesse immaginare e che la sua azienda persegue oscuri fini che datano quasi ancor prima della sua stessa creazione. Nonostante tutto lasci presupporre che ogni curiosità sarà pagata a caro prezzo, la ricerca della verità vale ogni possibile salvezza.
Copertina di Luca Oleastri, 74 pagine A4, 5 illustrazioni a colori di Giorgio Sangiorgi ...................... Scarica Transits




In preparazione anche il nuovo (ma anche vecchio) numero di Short Stories - Rivista Illustrata di Letteratura Fantastica.

Buona Lettura quindi, e rimanete sintonizzati!

per le Edizioni Scudo
Giorgio Sangiorgi - shortstoriesbook@gmail.com
Luca Oleastri - shortstoriesmag@gmail.com

Edizioni Scudo
- Sito web: http://www.innovari.it/scudo.htm
- Gruppo Facebook: EDIZIONI SCUDO

mercoledì, giugno 17, 2009

'Città dell'Alfabeto' su Amazon.com

... e così questo gioiellino della fantascienza ( ((-: ) è arrivato anche su Amazon!

Cliccare semplicemente sulla copertina.

Per visitare invece il blog del romanzo, questo è il link.

martedì, aprile 21, 2009

J.G. Ballard (1930-2009)

Aveva 78 anni James Graham Ballard quando il cancro (di cui soffriva da tanto tempo) l’ha ucciso. E' accaduto ieri, 19 aprile 2009, a Londra, e immediatamente le agenzie di tutto il mondo hanno battuto la notizia.


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Ballard era uno degli scrittori di fantascienza maggiormente scettici nei confronti del progresso e dei tanto decantati benefici della scienza e della tecnica. Nato a Shangai, fu fatto prigioniero dai giapponesi nel 1941, ancora bambino: un’esperienza traumatizzante che lui, oltre quarant’anni più tardi, avrebbe raccontato in Empire of the Sun (“L'Impero del Sole”), da Steven Spielberg magistralmente trasposto per il grande schermo. Questo primo spezzone di autobiografia, insieme a un paio di altri romanzi nei quali risalta la sua capacità di analizzare la vita contemporanea con forte realismo visionario, lo ha proiettato nel Parnaso degli scrittori britannici più apprezzati in assoluto. 


Ballard, che solo a cominciare dal 1946 visse in Inghilterra (dove sfollò con la madre e le sorelle), avrebbe voluto diventare medico. Non riuscì però a concludere gli studi e, dopo aver provato vari espedienti per guadagnarsi da vivere, entrò nella Royal Air Force. Mentre era di stazza in Canada, si appassionò per la science fiction.


Congedatosi e tornato in patria, iniziò la carriera di scrittore nel 1961, con il romanzo di fantascienza The Wind from Nowhere (“Vento dal nulla”). 


Da qui in poi, avrebbe pubblicato le sue opere con cadenza regolare. Una delle più celebri rimane The Atrocity Exhibition (“La mostra delle atrocità”; 1970). Si tratta di una silloge di quindici racconti aventi in comune un unico protagonista e le sue svariate ossessioni, comprendenti quelle sul suicidio di Marilyn Monroe e sull'omicidio del presidente Kennedy. In uno dei racconti, il tema è l’abnorme fissazione per gli incidenti stradali, che Ballard tornerà a trattare, approfondendolo, in Crash (1973), romanzo alquanto controverso da cui David Cronenberg trasse una pellicola poco fortunata.


La precoce scomparsa di sua moglie Helen Matthews, nel 1964 (dopo appena dieci anni di matrimonio), lasciò nello scrittore ferite indelebili. Lui cercò di superare quest’altro trauma con il romanzo The Kindness of Women (“La gentilezza delle donne”), praticamente la seconda parte della sua autobiografia, piena di immagini surreali e simboli di sofferenza, dolore, pazzia e morte.


Le sue visioni erano così infernali, per quanto avessero uno stretto rapporto con la realtà, che la critica inglese coniò un nuovo aggettivo: "ballardian". Il Collins English Dictionary dà di "ballardian" la seguente definizione: "Modernità distopica, desolati paesaggi costruiti dall'uomo, effetti psicologici derivanti dallo sviluppo tecnologico, sociologico o ambientale". Non c'è nulla di surreale in Ballard: tutt'altro. Lui pone la realtà sotto il microscopio fino a sviscerarne gli aspetti più crudeli. Il suo è realismo alla massima potenza, dunque; iperrealismo. La presunta normalità - ci suggeriscono i suoi libri - è solo un'illusione percettiva.


Gruppi rock come i Radiohead e Joy Division ammirano le opere di Ballard, e il produttore musicale Trevor Horns ha ammesso che era stato il suo racconto "The Sound-Sweep" a servire da ispirazione per "Video Killed the Radio Star", prima canzone in assoluto a essere trasmessa da MTV.


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“Deserto d'acqua”, “Terra bruciata” e “Foresta di cristallo” sono alcuni dei titoli di Ballard più noti agli amanti della fantascienza. Romanzi crudi, quasi tutti ambientati sulla Terra e in cui spesso avvengono catastrofi immani. “L'isola di cemento” e “Condominium” trattano in maniera allucinata - e allucinante - il tema della violenza che pare sempre scatenarsi da inezie, da qualche banale incidente. Con il tempo, quella di Ballard diventa sempre più una fantascienza sui generis: l’autore infatti finisce per approdare definitivamente a una letteratura "delle ossessioni" che alcuni critici hanno voluto paragonare ai prodotti di Williams Burroughs. Ma forse è più lecito il paragone con Philip K. Dick, anche se quest'ultimo, nella sua "geniale follia", era più un filosofo, mentre Ballard era più un letterato.


Nel 2003 lo scrittore inglese condannò con toni ironicamente amari l'invasione militare dell'Irak, prevedendo che gli occidentali non vi avrebbero trovato nessuna arma di distruzione. E, sempre nello stesso anno, dichiarò, in un'intervista rilasciata alla testata australiana The Age: "Dobbiamo romperla con il mito secondo cui è possibile 'illuminare' ed educare l'umanità. In questo modo ci si culla nell'illusione che tutti noi siamo esseri razionali e perfettibili, mentre invece non è così".


Il suo ultimo romanzo Kingdom come (“Regno a venire”, in Italia pubblicato da Feltrinelli), parla dell'inumano cinismo di un capitalismo spinto agli eccessi.


“Si guardi attorno, signor Pearson. Abbiamo a che fare con un nuovo esempio di uomo e di donna: occhi stretti, passivi, stringono in mano le loro carte di credito dei grandi magazzini... Vogliono essere presi in giro, vogliono essere convinti a comprare delle emerite schifezze. La loro istruzione si basa sugli spot televisivi. Sanno che le uniche cose che valgono sono quelle che possono mettere nella busta della spesa. Questa è una zona infestata, signor Pearson, e la peste si chiama consumismo.” (Cap. 4, pag. 37)


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La terza e ultima parte  della sua autobiografia, Miracles of Life, è uscita l'anno scorso. Ballard era da tempo consapevole che i suoi giorni erano ormai segnati.




           Pubblicato su The Uchronicles


giovedì, giugno 05, 2008

'La corona perduta', romanzo di G. Stocco

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(Edizioni Scudo - collana Long Stories)

Giampietro Stocco è redattore del TGR alla sede regionale RAI per la Liguria di Genova.
Due i romanzi da lui finora pubblicati per i tipi della Fratelli Frilli Editori di Genova: Nero Italiano (2003), un'ucronia in cui si ipotizza che l'Italia fascista non sia entrata in guerra nel 1940 e il regime sia proseguito integro fino al 1975, e Dea del Caos (2005), che è il sequel del primo libro. In entrambi i casi si tratta di opere di storia alternativa.
Nel marzo del 2006 Dea del Caos è approdata sul palcoscenico a Finale Ligure, in una riduzione curata dal Teatro Garage, con la regia di Lorenzo Costa. L'iniziativa si è ripetuta un anno dopo con quattro giorni di repliche a Genova, in un allestimento completamente rinnovato e una sceneggiatura drammatizzata.
Settimo classificato alla XII edizione 2005 del Premio Lovecraft, Stocco, con il racconto Anubis, che è già in programmazione per le future pagine di Short Stories, e, contemporaneamente, con Nuovo Mondo, è entrato nella cinquina finale del premio Fantascienza.com, inoltre ha vinto il premio Alien 2006 con il racconto L'Ospite.
Nel 2007 è uscito, pubblicato da Chinaski Edizioni, il suo terzo romanzo, Figlio della Schiera, e l'anno seguente si interessa alla nascente Scudo Edizioni, pubblicando un suo interessante racconto di invasioni aliene, Bianco come schiuma, sul primo numero della serie rinnovata di Short Stories.

Come acquistare il libro:
LA CORONA PERDUTA  è disponibile per l'acquisto sia come libro stampato (€ 14.50), 240 pagine, quaranta illustrazioni, copertina a colori, dimensione 15.2 x 22.9 cm, rilegatura termica  con costa rigida, oppure in formato PDF (€ 7) da scaricare.

Per acquistare il magazine Short Stories l'indirizzo è http://stores.lulu.com/edizioniscudo, dove è disponibile un'anteprima delle prime 11 pagine del romanzo  di Giampietro Stocco (per vedere l'anteprima, cliccare qui: http://www.lulu.com/browse/preview.php?fCID=2632613).

Si può pagare il volume tramite carta di credito (Visa o Mastercard) o PayPal (che accetta pagamenti anche tramite Postepay) sempre dal sito di www.lulu.com.

mercoledì, marzo 19, 2008

Morto Arthur C. Clarke

Si è spento a Colombo, capitale dello Sri Lanka, Arthur C. Clarke. Aveva 90 anni.

clarke_350 Insieme a Robert A. Heinlein e Isaac Asimov, Clarke fu considerato uno dei "Big Three" della fantascienza.

Era nato il 16 dicembre 1917 a Minehead, nel Somerset (Regno Unito). Durante la Seconda Guerra Mondiale lavorò per la Royal Air Force come esperto di radar e fu coinvolto nel successivo sviluppo di questo sistema di difesa che consentì alla RAF di vincere decisive battaglie contro i nazisti. Dopo il conflitto si laureò al King's College di Londra.

Uno dei suoi più importanti contributi alla scienza fu l'idea dell'impiego di satelliti geostazionari per le telecomunicazioni. Propose tale concetto nell'articolo Can Rocket Stations Give Worldwide Radio Coverage? ("Possono le stazioni razzo fornire una copertura radio mondiale?"), pubblicato su Wireless World nell'ottobre del 1945. In suo onore, oggi l'orbita geostazionaria è nota anche come "orbita Clarke" o "fascia di Clarke".

Nei primi Anni Quaranta, mentre militava ancora nella RAF, iniziò a vendere le sue storie di fantascienza a varie riviste "pulp". Fu per breve tempo viceredattore di Science Abstracts prima che nel 1951 decidesse di intraprendere la carriera di scrittore. Tra le cariche che ricoprì ci fu quella di presidente della British Interplanetary Society ("Società interplanetaria britannica") e fu inoltre membro dell'Underwater Explorers Club ("Club degli esploratori subacquei").

Esiste un asteroide, il "4923 Clarke", battezzato così in suo onore.

Stanley Kubrick ebbe l'idea per 2001: Odissea nello spazio leggendo il racconto di Clarke "The Sentinel", con cui lo scrittore nel '48 aveva partecipato a un concorso radiofonico della BBC. La stesura del copione, poi divenuto un romanzo, fu assegnata allo stesso Clarke, ed è ormai leggendaria la fatica che comportò il progetto. Clarke, che già fin dal 1956 viveva nello Sri Lanka (allora: Ceylon), rischiò di perdere i nervi, come del resto tutti gli altri che lavorarono alla realizzazione del film. La Metro-Goldwyn-Mayer investì 6 milioni di dollari, ma per via degli effetti speciali i costi salirono vertiginosamente, tanto che la MGM sfiorò la bancarotta.
Molti degli effetti speciali li suggerì lo stesso Kubrick ai due esperti W. Veevers e D. Trumbull (quest'ultimo realizzerà in seguito anche quelli per Star Wars). Il regista sperimentò con allucinogeni apposta per "crearsi dentro" nuove combinazioni cromatiche. Kubrick si era preparato leggendo quintali di romanzi di fantascienza: già cominciava quasi a credere all'esistenza dei marziani... Lo affascinava l'idea della conquista degli spazi, e ciò in un periodo in cui molti dubitavano persino che l'uomo potesse mai mettere piede sulla luna. Interpellò astronomi di rango e continuamente gli sbocciavano in testa nuove idee, che sottoponeva a Clarke, il quale doveva cercare di inserirle nel copione. Nel frattempo bisognava smontare e rimontare più volte le scene... La casa di produzione disperava ormai di vedere realizzata la pellicola. Ma alla fine ne risultò il capolavoro che tutti conoscono, un film che ebbe anche la fortuna di godere di una certa attualità perché giusto in quegli anni la corsa allo spazio tra USA e Unione Sovietica era all'apice. (Proprio durante la lavorazione di 2001 si svolse il primo rendez-vous spaziale tra le navicelle Gemini VI e Gemini VII.)

Nel 1998 The Sunday Mirror lanciò contro l'ormai vetusto Clarke accuse di pedofilia che gli costarono l'investitura di Cavaliere dell'Impero Britannico. Sebbene le successive investigazioni sbugiardarono il tabloid, il Principe Carlo decise ugualmente di non assegnare allo scrittore il titolo onorario: "per evitare situazioni imbarazzanti".

Oltre a 2001: Odissea nello spazio e alle varie sequele (2010: Odissea due; 2061: Odissea tre; 3001: Odissea finale, e il "Ciclo di Rama"), di Arthur C. Clarke devono ricordarsi le numerose sillogi di racconti e i due bei romanzi Le sabbie di Marte (The Sands of Mars, 1951) e La città e le stelle (The City and the Stars, 1956).

lunedì, dicembre 24, 2007

Come sarà il mondo nel 2030

Più che un ricercatore, Ray Hammond è uno scrittore di fantascienza: The Cloud, Emergence, Extinction... sono le sue opere più note.


Nel suo rapporto The World in 2030, scritto per conto di PlasticsEurope nelle vesti di "futurologo", Hammond ci dice diverse cose interessanti, ma anche delle ovvietà. Tra l'altro, che le condizioni atmosferiche nel 2030 saranno molto probabilmente assai estreme e che la soluzione per la crisi energetica sarà quella di sfruttare fonti di energia naturale e pulita (solare, eolica, del moto ondoso e geotermica).

Grazie, Hammond; ma questo lo avevamo capito da soli.



Poi: "L’essere umano potrebbe vivere fino a 130 anni", e ciò in seguito alle ricerche sul DNA e agli altri sviluppi della medicina. Ma vivere dove, visto che l'ecosistema sarà distrutto? Sotto una tenda d'ossigeno?


"Ci sarà una 'super rete' sempre accesa e sempre collegata." Bene, bravo, ma questo è qualcosa che accade già oggi in molte case...


Poco utile anche apprendere che i computer nel 2030 saranno almeno mezzo milione di volte più potenti di quelli attuali ("Legge di Moore"). Tanta velocità - purtroppo - non aiuta ad aumentare anche quella del nostro pensiero. I dati, una volta risucchiati nella memoria, necessitano di essere assorbiti e capiti...


  Veniamo inoltre a sapere che le tecnologie Radio Frequency Identification (Identificazione a radio frequenza) e i sensori senza fili consentiranno di localizzare e di controllare costantemente i movimenti di esseri umani, animali, merci e quant’altro. (Ipotesi preoccupante per quel che riguarda soprattutto gli umani; ma anche tale controllo è già in atto)


Il controllo elettronico a distanza per elettrodomestici, consentito da dispositivi e componenti in plastica, permetterà di massimizzare i flussi di energia di frigoriferi, lavatrici ecc. con una conseguente riduzione delle emissioni di gas serra. Mah. Si vedrà. Per ridurre tali emissioni, non basta certo "internettizzare" anche gli elettrodomestici...


Le "personalità software" entreranno a far parte della nostra vita quotidiana come assistenti personali e compagni virtuali all’interno di dispositivi mobili. Esse impareranno a conoscerci, a provare emozioni e comunicheranno con noi mediante auricolari e segnali inviati alla retina da occhiali speciali. Bene. Ma, di nuovo: a che pro'? Non sarebbe meglio avere amici in carne e ossa, da ascoltare, guardare e toccare senza bisogno di accessori superflui?





Per concludere, The World in 2030 è un rapporto che in sostanza non ci svela alcunché, bensì sintetizza quali saranno le possibili "scoperte" (è meglio chiamarli "sviluppi") dei prossimi 25 anni. Tutte cose previdibili e già sentite. Molto meglio leggere i dossier dei futurologhi del Club of Rome, indirizzati più verso l'interesse dei singoli che verso quelli delle megacorporazioni.


Tra clonazione umana, disoccupazione di massa, catastrofi ecologiche e meteoriti portatori di epidemie, possiamo affermare che il futuro, ad ogni modo, si prospetta tutt'altro che roseo. Chi sopravvivrà fino al 2030, dovrà usare le unghie e i denti per adattarsi. 


Sempre che non si avveri la profezia Maya.


 Nessun ricercatore ci ha ancora comunque fornito risposte sull'anima, sull'Aldilà, o comunque su come fermare la folle corsa del nostro pianeta verso la voragine certa e come poter girare le lancette all'indietro. La vera sfida sarebbe - anzi: è - questa.


 

sabato, giugno 02, 2007

Città dell'Alfabeto

"Vidi una scrivania a vetro, due sedie girevoli, una libreria in legno. Gli scaffali della libreria si piegavano sotto il peso di volumi rilegati. Alla mia immaginazione apparve una Parigi moribonda assalita dalle termiti, i buchi nei libri della Sorbonne, boulevards con gli alberi infestati... In questa nicchia del Primo Mondo la letteratura aveva trovato salvezza.
Accarezzai con lo sguardo decine di titoli finché gli occhi non mi si appannarono. Amaramente pensai a quante e quali vie avevano percorso queste opere, prima di finire nelle mani errate. Mi volsi via con astio e livore.
Come il lettore avrà capito dal canone lessicale di questa cronaca, almeno ai libri non avrei dovuto rinunciare. Ho (ri)formato il linguaggio del mio spirito metabolizzando stile ed estetica di autori delle epoche più svariate. Non solo romanzi: articoli, saggi critici, opuscoli, pamphlets, racconti, manuali, trattati, monografie... Nei libri io finirò per bruciarmi e annegare..."




Hardcover, 122 pagg, formato 15x23 cm. Prezzo: €16.00
Download eBook (.pdf): €2.50

"... se questo romanzo di Peter Patti venisse reso cinematograficamente ad es. da una Troma Co., quella che ha prodotto l’Uomo Tossico per intenderci, sarebbe il più grande tecno-trash del mondo." (Stefano Donno)


Nel mondo odierno, superbia, invidia e avarizia sono le tre fiamme che tengono accesi i cuori. Ciò vale tanto più nel futuro prossimo venturo descritto in questo romanzo, in cui gran parte della popolazione vive per strada, l'acqua è un miraggio e fioriscono traffici come quello degli organi umani. Alvo, l'io-narrante, vive nella megalopoli mondiale per eccellenza. Alphabet City è una piovra di cemento che si estende per buona parte dell'East Coast di quelli che una volta furono gli Stati Uniti d'America: una bolgia di desperados, ratti, avvoltoi e cani rabbiosi sui quali grava l'ombra cupa della multinazionale che detiene il potere politico.
Il protagonista riesce a sopravvivere solo perché sostenuto da un'idea fissa: ritrovare un suo amore di gioventù. Vuole inoltre scoprire cosa accadde veramente a suo fratello, scalzare dal suo trono il misterioso Mister Info e riuscire a compiere la più estrema delle imprese: scappare dalla megalopoli e incominciare una nuova vita, una vita vera, nell'hinterland, al di là delle Paludi del Non-Tempo e del Mare della Putrefazione.



www.lulu.com Independent publishing / Skuro Connection

venerdì, aprile 13, 2007

Così va la vita



E' morto il migliore autore americano del XX secolo. Anzi il secondo migliore, dopo Kilgore Trout.

Partendo dalla fantascienza, Vonnegut ha compiuto vertiginose virate esplorando il senso della vita. Inizialmente eroe della controcultura, si ritrovò presto a essere un pellegrino delle alte sfere accademiche.

Nonostante il successo commerciale dei suoi romanzi (14 in tutto), era malato di depressione. Nonostante fosse un fumatore accanito, è riuscito a vivere ben 84 anni.

So it goes.

Così va la vita.




Ciao, Kurt, e grazie di tutto. Good-bye, Auf Wiedersehen.

domenica, ottobre 22, 2006

'Fascisti su Marte'

Fascisti su Marte; Corrado Guzzanti
"Alle ore 15 del 10 maggio 1939, Marte è fascista!"

Girato in parte nella cava della Magliana, nei pressi di Roma, racconta l’epopea del gerarca fascista Barbagli (Corrado Guzzanti) e dei sui fidi camerati, inviati da un paese (il nostro) il cui Presidente ama esclamare: "Me ne frego!"
Il film, basato sui "cinegiornali" all'interno della trasmissione televisiva Il caso Scafroglia, illustra le vicissitudini "spaziali" di un manipolo di Arditi, dall’arrivo sull’ostile Pianeta Rosso fino all’imprevisto epilogo, passando per grandi scoperte, temerarie avventure, improbabili amori, incontri alieni e persino visioni mistiche.
La parodia non investe soltanto i neofascisti italiani (dileggianti con lazzi e marziali risa...) ma anche il cinema, con un monolite nero che viene direttamente da 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick: scena oltre che assolutamente spassosa anche geniale per la scelta della citazione.



Vite segnate dalla gloria, braccio e mano del Duce, uomini di fato intrisi, che soli videro l'onore di sentir scoccare l'ora del destino... con un moschetto e un "me ne frego" dentro al cuor!

domenica, settembre 03, 2006

'Figli delle Stelle', di Ivan Carozzi

Un divertente, lucido, appassionato reportage narrativo in occasione di una convention in Svizzera della setta dei Raeliani.




Cicorivolta edizioni
Collana 'i quaderni di Cico'
Autore: Ivan Carozzi
ISBN 978-88-95106-01-4
pp. 156 - euro 8,00 


Eccone un lungo stralcio: 


... Mi siedo, scelgo un'impostazione fra le otto disponibili dello schienale regolabile della mia poltrona, lascio che la nuca atterri delicatamente sul cuscino a rulli. Mi tolgo le scarpe, appoggio i piedi sull'apposita pediera e la manovro per mezzo del telecomando che tengo a portata di mano sul bracciolo. Rimango così, chiudo gli occhi, tutto è immobile, mi metto in ascolto di quel sofisticato formicolio che sembra poter cantare una selezione di mille ninna nanne diverse al mio cuoio capelluto. Non posso dire di non sentirmi estremamente comodo e rilassato... La città e la notte, come polvere, rotolano via oltre la finestra e la strada. Riapro gli occhi e contemplo il soffitto della stanza, mi sforzo d'immaginarlo come se fosse la concavità infinita della volta celeste. Punto lo sguardo in profondità, lo lascio vagare, zoomo. Il cielo è quello schermo che non cessa di allontanarsi. Mi metto a frugare fra le stelle, i pianeti, le galassie che si allontanano, gli indistinti ammassi gassosi, le tempeste di meteoriti, le code lattescenti delle comete, le pulsar che bruciano in fondo a tutta quella nuda immensità color del carbone. Adesso, per il puro piacere di giocare, provo a tornare indietro nel tempo, ad attraversare come un treno nella notte i miei anni '90, i miei anni '80 (dal finestrino dello scompartimento, in una fuggevole visione periferica, i momenti salienti della mia storia privata si mescolano ad immagini di Bettino Craxi, della prima Repubblica, della vittoria della nazionale ai campionati mondiali di calcio, di Pannella che fuma scoppiettante marijuana, e vecchie, impolverate canzoni di San Remo che permeano tutto questo sottocutaneo riaffiorare della memoria) e poi immagino di arrestarmi bruscamente, io e il treno, con un fischio e un colpo di freni, nei pressi degli anni '70. Qui dove mi trovo adesso cerco di non badare troppo al caso Moro, alle molotov e alle P38, cerco di dimenticare i teleromanzi con Ugo Pagliai protagonista, e penso soltanto che l'anno in cui nacque la storia in cui mi sto per addentrare fu lo stesso in cui venne pubblicato un disco di Lou Reed le cui due facciate erano interamente costruite su di una sorta di arcano ed elettrico rumore di fondo. Adesso mi sposto fino alla notte del 7 ottobre 1975 e ciò che vedo è un uomo che non riesce a prendere sonno. Claude Vorilhon, ex cantante, ex giornalista sportivo, ex pilota automobilistico, si trova nella grande casa di campagna in cui si è appena trasferito, nella regione medievale del Perigòrd, in Francia. Sdraiato sulla sua poltrona, le gambe coperte da un plaid a scacchi, sente (che cosa significa 'sente'? Forse significa che sente un'immagine formarsi all'interno della sua scatola cranica, come se qualcuno o qualcosa ce la stesse proiettando? Oppure è una specie di suono che sente, una frequenza remota, la stessa frequenza captata da Lou Reed e che ispirò il suo 'Metal Machine Music') che qualcosa o qualcuno sta per prendere la sua mano e portarlo molto lontano, dove nessun uomo, nella storia degli umani, è mai stato. Claude s'infila un giubbotto, con movimento automatico, braccia e gambe azionate da un impulso in arrivo da un non meglio precisabile comando a distanza, e s'incammina nella campagna screziata dell'oro e del rosso carminio di un autunno già molto inoltrato. Con passo marziale, alimentato da un'energia nuova, diversa, che sente (tutto, in quella notte, prima del fatidico evento, è completamente avvolto e permeato dalla parola 'sentire' e forse anche dal verbo 'premonire') di non aver mai posseduto, che nessun essere umano ha mai posseduto, si fa largo nel sentiero, fra ampie foglie marce che cadono sotto il peso di piccole gocce d'acqua, e raggiunge una radura che si apre improvvisa nel bosco, come uno squarcio. Claude solleva lo sguardo in alto, il collo e la testa che emergono dal bavero rialzato e si affacciano nell'aria frizzante e metallica, e vede un prisma di luce che discende da un oggetto che sta come appeso ad un filo, nel cielo stellato. Le sue scarpe si stanno bagnando, l'acqua delle pozzanghere è penetrata attraverso le crepe sottili della suola, ma ad un certo punto sente che i suoi piedi infreddoliti stanno registrando una piacevole variazione della temperatura. Il fascio di luce, infatti, si è spostato direzionalmente fino alla zolla di terra occupata dalle scarpe da ginnastica di Claude, che istintivamente si è portato una mano di fronte agli occhi creando sulla metà superiore del volto una perfetta ombra cinematografica. Due opposte colonne di vapore si stanno sollevando dalla punta delle sue scarpe e risalgono attraverso la luce bianca. Ecco, adesso può vederlo, è un disco volante quello, ed è l'inizio di tutto, la prima tacca, il momento fondativo. Dopo essere salito a bordo, Claude vola oltre gli striati confini della galassia, posa il piede sul civilissimo pianeta degli Elohim, dove si divertirà molto (si accoppierà per una notte intera con sei robot biologici, durante un banchetto converserà amabilmente con Gesù, Budda, Maometto) e dove soprattutto gli verrà svelato il segreto scientifico che sta all'origine della vita. L'uomo, lo informano gli alieni, è un prodotto di laboratorio, il frutto di un esperimento genetico avvenuto migliaia di anni fa e di cui gli Elohim sarebbero stati i benevoli artefici: la specie umana sarebbe stata figliata dal DNA Elohim. L'esperimento, adesso, può essere ripetuto su vasta scala, attraverso la clonazione. 'Se vi fate tutti clonare, vivrete tutti per sempre: vivere per sempre, l'eternità è così vicina...', gli dicono in coro gli alieni, che hanno volti aggraziati e sono alti come bambini. Quando in seguito Claude torna sulla terra (dove la sua assenza non è durata che una manciata di minuti, come nelle storie della fantascienza più rigorosa), la sua vita, ovviamente, non potrà più essere la stessa. Adesso è un profeta e il compito dei profeti è fondare religioni, indicare col braccio levato nuove terre promesse e sapervi condurre tutti coloro che vorranno dargli credito. Così Vorilhon, che presto cambierà nome in Rael, su quanto appreso durante il suo viaggio costruisce un corpo dottrinale leggerissimo, superlight, piumato, intorno al quale cominceranno, nel tempo, a stringersi migliaia di fedeli...



Ivan Carozzi © 2006

venerdì, agosto 18, 2006

Hawking e' pessimista


"Non lo so": ecco la risposta finale di Stephen Hawking alla domanda sulla capacita' di sopravvivenza dell'umanita'.
Circa un mese fa, il famoso fisico ha proposto un'interessante questione alla comunita' internettiana di "Yahoo": "Come potra' sopravvivere l'uomo nei prossimi cento anni?"
25.000 idee sono giunte da ogni parte del mondo (per alcuni basterebbe "mangiare piu' frutta e verdura"; per altri la soluzione e' piu' drastica: "Le risorse della Terra si stanno esaurendo. Sara' meglio trasferirci su un altro pianeta"), finche' lo stesso fisico non ha fatto risentire la sua voce: "Io non lo so" ha ammesso. Hawking ha pure spiegato il motivo di tanta perplessita': "Ogni nostro progresso tecnologico porta con se' il rischio di nuovi errori di portata catastrofica".
Hawking crede nella necessita' di una fuga verso altri pianeti, anche se secondo lui cio' potra' avvenire solo in un futuro lontano.
Il pianeta Terra non sta bene; perche' si riprenda, occorrerebbe che la razza umana sparisse dalla sua superficie. O che cambiasse completamente modus vivendi. Ma e' piu' probabile che essa venga decimata da un virus, o - eventualita' altrettanto probabile - dalla caduta di una cometa...

"Speriamo di non finire come il nostro pianeta fratello Venere, con una temperatura di 250 gradi e piogge di acido solforico". Hawking sostiene che "il fatto che gli alieni non si siano mai fatti vedere sulla Terra puo' avere una sola spiegazione: ogni civilta', superato un certo livello di evoluzione, perde il suo equilibrio e collassa". La soluzione proposta dall'astrofisico e' questa: "A lungo termine l'umanita' sara' salva solo se colonizzera' lo spazio, verso altre stelle". Nel frattempo, "speriamo che l'ingegneria genetica ci renda saggi e meno aggressivi".

Una delle risposte giunte ad Hawking dagli amici di Internet recita cosi': "La nostra specie sopravvivera' adattandosi. Gli umani sono pieni di risorse e usano il cervello per escogitare soluzioni ai loro problemi. La sua storia personale, caro dottore, mostra come la forza di volonta' possa vincere le avversita'".

Hawking soffre dalla nascita di SLA (sclerosi amiotrofica laterale), nota anche come "malattia motoria neuronale" o - soprattutto negli USA - "morbo di Lou Gehrig" (dal nome del giocatore di baseball che ne e' morto).



***

Stephen Hawking

Stephen Hawking, uno dei piu' importanti scienziati nel campo della fisica teorica, ha fatto molto per la comprensione dell'universo. Il suo ruolo oggi e' equiparabile a quello gia' ricoperto da Einstein. E' stato lui a predire i buchi neri, apportando cosi' correzioni alla teoria della relativita'.
Le teorie di Hawking sono influenzate dalla tecnologia genetica, dalla creazione di un moderno "uomo-nacchina" e dai pericoli globali (guerre, energia atomica, virus, catastrofi climatiche). Il suo sguardo al futuro dell'umanita' e' decisamente pessimista, ma apre anche prospettive coraggiose, infondendo cosi' nuove speranze.

giovedì, agosto 03, 2006

Il progetto A119

GLI STATI UNITI VOLEVANO FAR ESPLODERE UN ORDIGNO NUCLEARE SULLA LUNA

Correva l'anno 1958 quando il fisico Leonard Reiffel fu avvicinato da alcuni ufficiali dell'Air Force degli Stati Uniti d'America che lo invitarono a collaborare a un nuovo progetto. Il progetto, rigidamente "top secret", recava la sigla A119 ed era  pomposamente denominato A Study of Lunar Research Flights.
Il compito di Reiffel era di investigare sulle possibili conseguenze di una detonazione nucleare sulla luna, e soprattutto di calcolare il tasso di visibilità del fungo atomico da qualsiasi punto del nostro pianeta.


"Si sarebbe trattato di una sorta di esercizio di public relation in grande stile", ha affermato recentemente l'ormai 75enne Reiffel. "L'Air Force desiderava un fungo atomico immenso, tanto da poter essere visto dalla Terra a occhio nudo. E questo perché, nella corsa alla conquista dello spazio, gli Stati Uniti stavano perdendo terreno nei confronti dell'U.R.S.S."



Lo storico inglese David Lowry ha commentato la notizia in questo modo: "E' semplicemente pazzesco pensare che il primo biglietto di visita degli esseri umani a un altro corpo celeste sarebbe stato... una bomba atomica! Se il progetto fosse stato realizzato, noi non avremmo avuto mai la romantica immagine di Neil Armstrong e del suo 'passo da gigante per l'umanità' (one giant step for mankind)."


Lo scopo di quel piano era di dimostrare all'Unione Sovietica e al mondo intero quanto fossero potenti gli U.S.A.


Lowry ipotizza che il progetto A119 possa avere una certa rivelanza perfino oggi, dato che gli Stati Uniti sembrano più che mai determinati a impiantare un sistema di difesa missilistica attorno all'orbita terrestre. "Gli U.S.A. hanno sempre covato il desiderio di militarizzare lo spazio e alcune delle idee attualmente in corso di realizzazione non appaiono meno curiose e meno stravaganti di quella - risalente agli anni Cinquanta - con cui si proponevano di bombardare la luna."


Il progetto A119 fu sviluppato dalla Armour Research Foundation di Chicago (che oggi si chiama Illinois Institute of Technology Research).


Reiffel racconta: "Era previsto di far esplodere l'ordigno sulla faccia nascosta del nostro satellite, sulla dark side dunque. Il fungo che ne sarebbe risultato, affiorando oltre l'orlo lunare, sarebbe stato illuminato in pieno dal sole, e quaggiù chiunque  avrebbe potuto vederlo a occhio nudo."


La bomba in questione avrebbe dovuto avere la stessa potenza di quella sganciata su Hiroshima.


"Io feci osservare che l'esplosione avrebbe rovinato l'ambiente lunare. Ma l'Air Force non pensava certo in termini ecologici! A loro interessava soprattutto che i 'nemici' potessero vedere l'esplosione e rimanerne impressionati."


Secondo Reiffel, per la Terra non ci sarebbero state conseguenze dirette, ma di certo la luna sarebbe risultata "sfigurata" per l'eternità. 



Sulla fattibilità del piano lo scienziato non nutre alcun dubbio. Già a quei tempi la tecnica missilistica era abbastanza sviluppata, tanto che si sarebbe potuto centrare un bersaglio pur così distante "con uno scarto massimo di due miglia o poco più".


Ovviamente, se il progetto fosse stato reso pubblico si sarebbero sollevate proteste in tutto il mondo; per tacere delle polemiche che ci sarebbero state dopo la sua messa in atto. Ma agli Stati Uniti importava solo di dimostrare la loro superiorità militare.


Gli archivi del governo americano sono tuttora strapieni di documenti che risalgono agli anni della Guerra Fredda, ed è lecito pensare che molti di quei dossier rimarranno sigillati e intedetti al pubblico per chissà quanto tempo ancora. Il progetto A119 è venuto alla luce soltanto perché lo scrittore Keay Davidson vi ha accennato in una sua biografia dello scienziato e astronomo Carl Sagan.


Sagan, che è morto nel 1996, aveva acquisito grande fama scrivendo articoli e libri che rendevano accessibili i grandi temi della scienza anche all'uomo della strada. Egli si dedicò inoltre allo studio delle possibilità di presenze biologiche su altri pianeti. All'Armour Foundation di Chicago fu contattato da Reiffel, il quale lo spinse a improntare un modello matematico sull'espandersi di una nuvola di polvere nell'orbita lunare. Questo modello era naturalmente la chiave per stabilire il grado di visibilità di una simile nuvola dalla Terra. 


Sagan credeva (come molti scienziati di allora) che la superficie lunare pullulasse di microorganismi, e, preoccupato, fece  osservare che un'esplosione atomica avrebbe certamente distrutto quelle forme di vita. Tuttavia, secondo la testimonianza resa da Reiffel, egli fornì ugualmente i calcoli richiestigli. 


Quasi trent'anni più tardi - nel 1987 -, i risultati di quegli studi furono distrutti dai dirigenti della fondazione di Chicago. Ma non è da escludere che alcune copie siano tuttora conservate nelle segrete blindate dell'Air Force. 


Leonard Reiffel dice di ignorare come mai il piano fosse stato poi accantonato. Comunque, mostra di esserne più che lieto: "E' terribile pensare che una pazzia del genere fosse stata ideata soltanto per impressionare l'opinione pubblica."


Interrogato sull'esistenza del progetto A119, un portavoce del Pentagon non ha voluto dare nessuna conferma, ma non ha neppure smentito.

venerdì, marzo 17, 2006

Musicaos

Un sito ricchissimo, caotico, intelligente, "bulbous" e... condotto da persone assai gentili, se è vero - com'è vero - che hanno ospitato ed "edito" (in versione .pdf) un mio romanzo di (fanta?)scienza: La Città dell'Alfabeto.

La presentazione è a firma di Stefano Donno.