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domenica, agosto 16, 2020

Corona program




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sabato, febbraio 09, 2019

Prova d'assaggio - lettura gratis. 'I dolori di Cyberius'

   Prova d'assaggio gratis



I dolori di Cyberius






Take one



Appoggiò i polpastrelli sui tasti che conosceva in ogni incavatura. HAL, a quei tempi ancora un'architettura 486 a 33 MHz e con 240 MB di spazio su disco fisso, troneggiava nell'angolo migliore del suo soggiorno. Pochi ancora possedevano un computer: era un'apparecchiatura troppo costosa e complicata. Anzi, i conoscenti gli domandavano che diavolo ci facesse lui con un aggeggio simile. Era un patito dell'elettronica, vabbe', ma... addirittura un calcolatore? «E che vuoi calcolare tu?» gli rideva in faccia Schmidt, suo vicino di casa.
Con pazienza, spiegava a quell'odioso gnomo e agli altri dileggiatori che non si trattava di fare calcoli. Non precisamente. Raccontava di essere cresciuto in mezzo ai computer o pseudo tali. Nei suoi 17 anni di vita era passato per Vic20, Spectrum, C128, C64, Plus4, Amiga, 386... Per amore dei giochini, sicuro, ma non solo. Era la dedizione al programming, alla sperimentazione, a una creatività allora definibile solo con termini inglesi dal suono futuristico. Le persone non stavano a sentirlo. Non capivano. Si rivelavano ottuse nei confronti di questa specie di febbre delle paludi che prendeva lui e l'insieme degli accoliti quando sedevano davanti alla sfera di cristallo. Sacerdoti di una setta dedita a chissà quali pratiche. Eccoli lì, fusi alla macchina e ai suoi codici. Avevano impiegato poco per entrare in simbiosi con il PC e non lesinavano soldi e tempo per potenziarlo, perfezionarlo, corredandolo di nuovi elementi, schede video e audio... e un modem.
A quell'epoca i modem più veloci erano a 14.400 bit e costavano sui 500 marchi, o 500.000 lire. Internet era ancora di là da venire, ma ci si collegava con le mailbox, che inizialmente funzionavano solo su piattaforma MS-DOS. Serviva una certa competenza tecnica per usare il BBS, cioè il Bulletin Board System. Stiamo parlando degli albori della telematica. I messaggi che ci si scambiava apparivano su schermo nero... Lui era iscritto alla 'Blue Box' gestita dall'amico Richard, che abitava in piena campagna bavarese, in un villaggio di autentici contadini. Richard medesimo era un contadino, ma viveva secondo il motto ''progress oblige!''
Si mandavano dispacci di questo tenore:


Ho smontato il congegno, ho fatto una pulizia accurata, la polvere era =
ovunque, e per quanto concerne la memoria RAM, l'aggiorner=F2 quando i =
prezzi ridiscenderanno. Qu=EC a Trostberg per un SIMM di 8 MB pretendono 200 marchi. Tu sai dove posso trovarne di piu' convenienti? Cmq poi ti =dir=F2, sar=E0 stata la polvere, ma sembra che ora la scatola giri meglio.


Ci volle qualche annetto perché arrivasse il più agevole Win 3.1 di Bill Gates & Co. Per far funzionare bene quell'arcaica versione di Windows era d'obbligo mettere mano al config.sys e all'autoexec.bat... E finalmente arrivò anche in Europa internet, versione pubblica della rete militare statunitense Arpanet. L'unico provider affidabile era quello di Compuserve, con sede nell'Ohio. I primi forum erano tutti in inglese. franc’O doveva allacciarsi a un nodo distante un centinaio di chilometri da Mühlwaldshausen e perciò la sua bolletta telefonica toccava cifre astronomiche. Ma l'avvento del web rappresentò per lui, che era straniero – sia pure allogeno –, il superamento di ogni confine. Era un territorio di caccia, ampio, virtualmente aperto a tutti. Unica prerogativa: la conoscenza dell'inglese. Ma c'era chi, come Richard, ne faceva a meno e andava lo stesso a caccia. A ogni modo, presto la Rete si internazionalizzò e, in un futuro non lontano, persino nanerottoli spirituali del rango di Schmidt si sarebbero vantati di essere provetti ''navigatori''.
Chiuse per qualche secondo gli occhi arrossati, massaggiandosi la mano destra. Il suo musculus palmaris longus era innaturalmente gonfio, e non per l'eccessiva masturbazione. Da fuori provenivano voci in tutti gli idiomi: i bambini che giocavano sotto casa. Il russare che arrivava da un'altra stanza era invece causato da Benno, il suo coinquilino italiano. Benno: un gigantesco insetto; tanto ingombrante quanto puerile.
Con un sospiro rialzò le palpebre e tornò a smanettare spostando il mouse e pigiando sui tasti. Dai due altoparlantini situati ai lati del monitor giunse il brusio della linea. Bit sparsi, caratteri su caratteri su caratteri che probabilmente sarebbero andati a finire su qualche nastro di backup della NSA, per essere conservati qualora contenessero qualcosa di succoso per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti... ''Le mie innocenti paranoie archiviate in un rifugio blindato, con piantoni annoiati e un impiegato all'interno che si prende la briga di passare in rassegna ogni cosa: l'ultimissima copia delle nostre e-mail, dei nostri siti, dei miei posting, che tra cinquant'anni saranno distrutti, perentoriamente cancellati...'' Si rivolse mentalmente a Schmidt: ''Mi chiedevi e mi chiedi perché. Semplice: perché l'informatica è eccitante. C'è sempre qualcosa da risolvere, ci sono continuamente rogne e rognette da grattare...''
Tanto, disse a se stesso, osservando l'immagine di Gina sul desktop, ovvero della sua ex ragazza, che lo aveva mollato poche settimane prima perché si sentiva trascurata, tanto, si disse con lo sconforto cinico, quasi allegro, che caratterizza parecchi diciassettenni, tanto che cosa abbiamo da perdere, se non la vita? E quella è persa comunque.
Voglio – concluse trionfalmente – che questo divenga il mio mestiere!





1


Qui Babilonia, vi parla franc'O'brain. Oggi è – finalmente! – scoppiato il sole, sun, Ra, soleil. Sto a sudare nel mio pullover di lana. E pensare che soltanto fino a dodici ore fa la temperatura si aggirava sui meno tre gradi! Sono solo, solo malgrado la folla di fantasmi tutt'attorno. Sono solo ed è gennaio.
Se l'Italia fu un incubo ben riuscito, la Germania è una fiaba alquanto sbilenca. Ma dove altro poteva quagliare la mia malinconia, se non nel purgatorio di un paese di intese precarie, prati di silenzio e nevi di rimpianto?
Là fuori, ora, boschi gocciolanti. E tu, amore, non qui; o io non lì, da te. Ci resta questo sguardo sghembo sulla retroguardia depressa della natura. Vorremmo andare incontro a quegli alberi... e montiamo sull'automobile che, intirizzita, ci ha attesi dentro il garage. Che disdetta! Tutti vogliono tornare alla natura, ma nessuno a piedi. Le strade, pertanto, non conducono certo a distese verdi.
Ricordo le campagne lunari e lunatiche del Sud, e le brulicanti cittadi... È il Nepal, la mia alma mater.
E tu, Gina, il mezzo di trasmissione per cui riesco ancora a volare.
So di avere le sembianze di un picchiato picchiatore (non ho più vent'anni, del resto: ne ho ventuno) e non poche ragazze, e nemici, fremono all'appressarsi delle mie spalle carnose, dei miei bicipiti di ferro e della mia pancia a barile. Ignorano che, a onta delle apparenze, anch'io necessito di calore, di affetto; come un bimbo. Necessito amore: percettibile, plausibile, più speziato di qualsivoglia pasticcio commestibile. E invece che cosa ho? Che cosa mi rimane?
Mi rimane la tua cartolina dal Portogallo, che mi tocca custodire come un briciolo d'oceano.
Dunque eccomi in auto mentre mi accingo a raggiungere un posto isolato – il buco del culo del mondo. Durante il tragitto (risibile, la cosiddetta carreggiata carreggiabile che si apre davanti al parabrezza: i buchi! i buchi!... Appena stamani, fuori dalla mia tana, ho udito la bambinaglia irridere – me? –: ''Il cu-cu-u-u-lo senza bu-u-uco... hi hi hi!''), spengo l'autoradio e, nel silenzio della meccanica, canticchio una vecchia canzone ispirata al tema dell'Aprés midi d'un faune. Canzone a tratti schioccante, a tratti suasiva e afosa; umido stornello: melodia del bacio. Il bacio della mamma, della prima amata, della prima moglie... La melodia diventa stonata, in sintonia con la condizione del manto stradale (buchi buchi bu'): il bacio alla russa, il bacio a tradimento di una checca (la linguaccia dapprima nell'orecchio e poi in fondo alla gola), il bacio di Giuda, il bacio di cavallo... I miei, di cavalli, muoiono sul limitare di una selva oscura, al cospetto di stalattiti e stalagmiti che rifulgono a un sole sempre più vago.
E adesso? Dovrò davvero scendere e, nudo, privo del rivestimento di latta, proseguire a piedi? Cavallo di San Francesco... Esito. È utopico credere che in questi sperduti paraggi ci si possa imbattere in qualcuno dal quale ricevere soccorso. Ogni cosa tace. E, se riaccendo la radio di bordo, curiosamente mi giungono alle orecchie le voci di fiere straziate, irose e contagiate di mondo, che dimorano nella foresta dei Grimm. No, no. Che ogni cosa rimanga muta. Preferisco il silenzio.
Intanto il sole scompare. E ripiomba l'inverno. Inverno eterno. Per sentirsi veramente un po' di calore sulla pelle, in questa stagione e a questi meridiani occorre entrare in un solarium. Ci si ritrova svestiti nella cabina, sdraiati in un sarcofago, con le lampade a UV che ci bruciano le labbra.
Freddonia. Flash di annichilamento, di sfacelo. Come un brutto videogioco. Molti se ne scappano nella Repubblica Dominicana per segregarsi in hotel-lager edificati da ditte euroamericane a ridosso di lidi prima incontaminati, e in quei bunker di lusso arieggiano i loro prosciuttoni mentre servetti bruni pescano schifezze dall'acqua della piscina. Poi, vestiti nelle uniformi stile "tipo da spiaggia", questi tedescacci (inglesacci, svedesacci, italianacci) marciano sbronzi verso i bordelli dove, per un pugno di dollari, possono sodomizzare fanciulle e fanciulli e corrispettive madri...
Quanta pace tutt'intorno! Uàaaaah! (Sbadiglio.)
Vado. L'azione è molto meglio di un crepare freudiano.
Apro la portiera e scendo. Brrr. (È il vento a farmi tremare.)
Se almeno qui con me ci fosse l'amico Manu Kyohto! Nelle nostre urbi, Manu si muove come un gorilla, impacciato, contorto. Soltanto davanti a un jardin public riesce a trovarsi a suo agio: sale sugli alberi, segue orme di animaletti e si ferma a sniffare sapientemente l'aria – robusti peli protendentisi come antenne sensitive dalle sue nari. A Manu Kyohto piacerebbe questo bosco selvaggio. Lui saprebbe guidarmi per un sentiero a me invisibile attraverso la muraglia di pioppi e abeti rantolanti perché cardiolatenti. Ma forza, forza! Al di là della selva attendono, forse, un'alba o un tramonto liberatori.
Avanzo nella giugla siberiana: pavido, nicotinante relitto, eccitato; rettile birrasciancato. Scivolo su lastre di ghiaccio. Striscio, zampetto; ratto drogato. A ogni secondo sul punto di giravoltarmi e tornare sui miei passi di corsa – le mutande smerdate –, saltando sterpi e inciampando su radici sporgenti.
In qualità di Homo metropolis sono avvezzo a determinati microclimi: il salotto con i suoi schermi e le sue tastiere, le botteghe e gli uffici luminosi, camere da letto con il riscaldamento e/o l'aria condizionata, l'abitacolo dell'automobile con i magici auto(s)parlanti... insomma, le comode nicchie della civiltà. Qua all'opposto c'è un silenzio che ruggisce, un'umidità che corrode. Una selva, appunto. Viva, reale, affatto meccanologica.
Foresta = fiaba. L'equazione si offre spontanea. Mi viene l'idea di una favola "riadattata" al nostro habitat: il Principe Dalle Labbra Di Fuoco (perché ama i cibi piccanti) bacia la Principessa Di Ghiaccio (in tanti l'hanno accusata di essere frigida, finché lei non si è convinta di esserlo). L'ardore del bacio "risveglia" la principessa e la coppia decide di andare in pizzeria. Ma la via è disseminata di ostacoli. Un nano idrocefalo, cattivissimo, perseguita i due incessantemente (hallo, Schmidt!). C'è un ruscello di ammoniaca che loro riescono a guadare cavalcando un sovradimensionale cybercigno... c'è un gufo parlante con un marcapasso d'uranio quale batteria... e altri elementi del genere. Un fantasy attuale.
Affascinante. Annota tutto, e subito!
Mi siedo su un tronco caduto e mi frugo addosso, ma scopro di non avere con me penna e taccuino. Peccato. Un'altra canzone che andrà perduta... Intanto la foresta rinuncia al suo ostinato silenzio e prende a intonare il proprio, di canto. Ogni cosa intorno a me starnazzafrullafrusciastride. Non so se rallegrarmene o se rimpiangere lo strano iato sonoro di poco fa. Poi qualcosa (qualcuno?) strepita nelle mie orecchie. Un urlo come di pazzo o sordomuto che mi raggela definitivamente il sangue. Roteo sul mio asse, le pupille strabuzzate. Finché arguisco che a urlare sono stato io. (Ma chi è, io?) E adesso qualcos'altro mi tallona...
''Raphèl mai amèch zabì almì'' mormoro a mo' di esorcismo, prima di tornare a procedere, perduto, tremante e scacazzante, nella foresta nordica che, impazzita, ride in tutte le lingue e tutti i dialetti dell'Orbe.
 




2


«Maledetto gringo!» mi accoglie Benno. «Dove sei stato?»
Gli passo accanto trattenendo il respiro: lui è il Sultano di Bacteria, non so ogni quanto si lava... se mai decide di farlo.
Ein Italiener. Come me, in qualche modo. Proviene dalla Brianza: un pulènt quindi, mentre mio padre è uomo del Sud. Il mio genitore, sì, è un terrone, se volete. E per riflesso lo sono anch'io. È mia madre che è tedesca, ma il parentume mi giura che ho preso maggiormente da papà.
Benno mi tallona fino all'"angolo soggiorno", che sarebbe la mia stanza.
«Ti devo parlare, señor
«Mmpf.»
«Solo dieci minuti!» implora.
Dieci minuti preziosi della mia vita.
«Occhèi, sputa. Ma presto!»
Lui ride annuendo. Si vede che è compiaciuto. Ha gli occhi stellati per la contentezza.
«Ho conosciuto una squaw...»
Da quando Toni, un emigrato italiano, gli ha regalato la sua enorme collezione di Tex prima di rimpatriare, Benno si esprime come gli eroi di quel celebre fumetto. Il mondo per lui è diventato il Selvaggio West e Kit Carson è il suo Zingarelli o la sua Treccani.
«Uhm» faccio, accendendo la Scatola Magica e buttandomi sulla seggiola girevole. «Bella?»
«Stupenda. Dobbiamo festeggiare! Dove hai nascosto quella bottiglia di bruciagola?»
A casa devo sempre nascondere ogni cosa. Davanti a Benno non si salva nulla. Non ha il minimo senso del risparmio. Forse non si rende conto che siamo praticamente poveri... Inoltre quest'abitazione è, obiettivamente, troppo minuscola per due della nostra stazza.
Mi spiego: l'appartamento – intestato al sottoscritto – è una piccola barca. L'ingresso è a poppa, mentre a prua c'è il cucinino. A dritta (o tribordo, se amate Salgari) sono piazzati il mio letto e quel rottamaio di plastica e metallo che ho assemblato con un lavoro certosino, e a sinistra (babordo) l'apparecchio televisivo e l'impianto stereofonico. Sempre a sinistra, mimetizzata mediante carta da parati, c'è la porticina che introduce al loculo di Benno, uno spazio che, osservato dalla strada, si presenta come un bovindo sulla facciata settentrionale della casa o, per attenersi all'immagine marinaresca, come una scialuppa attaccata allo scafo.
Sciaguratamente, lui nello stanzino non ci rimane quasi mai. Trascorre una cospicua parte del suo Dasein sul ponte del battello, tra tivù e frigorifero...
Certo, oltre al cesso abbiamo un bagno con tanto di vasca, adiacente al suo minivano, ma Benno Bamba sembra misconoscerne l'esistenza.
«Il whisky?» gli dico. «L'ho regalato a Manu quando ha fatto il compleanno.»
«... e bisogna pure comprare qualcosa da mettere sotto i denti, señor» blatera lui insistentemente.
Roteo su me stesso e lo squadro. Ha la faccia butterata e, in generale, la sua figura non è propriamente quella del bamboccio ben nutrito. In effetti non sbaglia quando afferma che dovremmo andare a fare la spesa: aprendo la credenza, ho visto sgusciare fuori un topo con le lacrime agli occhi per la fame. Ma possibile che dobbiamo acquistare tutto con i miei quattrini? Ovvero, con i quattrini che mi mandano i miei?
Torno a rivolgermi al monitor, dove pian piano si sta caricando Windows.
«Corri al Lidl» gli dico con nonchalance. «Prendi anche del pane... e un paio di birre, così brindiamo al tuo incontro con quella... con quella.»
«Corpo di mille bufali, sìiii!» esclama Benno girandosi e correndo via. Sento intanto che si conta gli spiccioli in tasca. «Si chiama Anna» aggiunge gridando. Attende per un po' sulla soglia che io contribuisca all'acquisto di roba mangereccia porgendogli qualche banconota, poi desiste e sbatte la porta, prima di scendere le scale a rompicollo.
Facendo scorrere le dita sul quadrante della tastiera, scuoto la testa. «Anna?» mormoro. «Semmai "Hanna"...» Al pari di molti stranieri, il mio bizzarro coinquilino non fa uso dell'acca aspirata.
Avrà due-tre anni più di me, ma, per quel che riguarda intelligenza e maturità, potrebbe essere il mio fratello minore. Minorato. I suoi genitori lo hanno mandato qui, Oltralpe, nella speranza che si dimentichi dell'eroina e di tutte le altre schifezze che a casa sua si iniettava sniffava fumava e via mastuprando.
Non si può dire che tra noi due corra buon sangue, eppure siamo amici. O meglio: amigos. Difficile da spiegare ma è così. La spesa lui non la fa quasi mai, ma versa abbastanza puntualmente la sua parte di affitto (suo padre è un industriale di medio calibro, a quanto ho capito: il grano, a questi meneghini, non manca...) e il suo apporto è di notevole sollievo sia a me sia soprattutto a mia madre.
Certo che mandarlo in Germania nell'illusione che si allontani dalla droga è quasi un paradosso! Finora comunque lo stratagemma sembra funzionare: a quanto ne so, oggi Benno si fa solo di spinelli e... di Tex.

"Figlio di cento puma! Manigoldo!"
Direi che l'aria puzza di linciaggio.
"Puah! Che postaccio!"
Sgozzavitelli!
Pezzo di carciofo!
"Cameron ha la faccia dello smargiasso."
All'inferno quel demonio!
"Non perdiamoci in piagnistei."
Il ranger non era solo, che il diavolo se lo bruci!


Smetto di pensare all'amico-Bimbo e mi immergo nel mondo virtuale. Che è, in concreto, il mondo vero, e non un universo parallelo come sostengono tanti. Accanto alla tastiera c'è un flacone di aranciata, mezzo vuoto, risalente alla settimana scorsa o a un paio di settimane fa, e briciole di pane costellano la scrivania e gli interstizi degli stessi tasti. Ormai mangio là dove lavoro, con il busto piegato verso i caratteri alfanumerici che ingolfano il terminal. Sono considerevolmente alto per la mia età, uno e ottanta circa, e tanto scaltro da fare movimento a sufficienza ("la pancia non c'è più!"), così evito di diventare come una di quelle enormi palle di grasso che contraddistinguono i maniaci del computer: veri e propri geni, ma agli occhi della gente solo sudici pulcinella con qualche turba psichica.
Apro Netscape, il mio browser di fiducia e, dopo aver dato una scorsa alle news, compio un giro sulla pagina dei link di www.ljubo-love.mk. Mi guardo i videoclip gratuiti: degli "assaggi" per così dire, che dovrebbero invogliare gli erotomani più accaniti (quelli con la carta di credito) a iscriversi e sganciare una o più manciate di dollari al mese.
Già la sola pagina di benvenuto di questi siti assomiglia a una cloaca. Tu clicchi sul primo dei tre o quattro minifilmati e già sai a che tipo di avventura assisterai. E ti poni il dilemma, mentre liberi la verga dalla sua gabbia, di quanti altri, nello stesso istante, si stanno sollazzando guardando il medesimo porno.
Spesso l'eiaculazione arriva prima del culmine filmico. Richiudi la patta, sentendoti buffamente offeso, depredato. Non hai speso un centesimo ma hai perduto di nuovo una breve ma preziosa parte della tua giornata. Per tacere della dignità. Ora che sei più pacato, e più vuoto nel vero senso della parola, ti chiedi, truce, come mai così tante donne (tutte carine) sono disposte a fare... quel che hai visto. Per i dollari? Non soltanto "mature casalinghe vogliose", ma per giunta "appena diciottenni": davvero le donne arrivano ad autodegradarsi in questa maniera per mera pecunia? Oppure ritengono la sessualità un misto di mercimonio e passione sincera?
Ripenso a Gina, l'unica con la quale ho consumato l'atto d'amore. Se oggi avessi almeno lei... Poi provo a immaginare come può essere la "squaw" cui ha accennato Benno. Ma quale ragazza decide di mettersi con un pivello del genere? Ha forse ragione Manu Kyohto nel sostenere che le donne sono tutte puttane? (Lui, Manu, uomo di colore, dice questo perché avrà avuto le sue brave esperienze... o, viceversa, perché ne avrà avute troppo poche.)
Basta rimuginare sul sesso! Cancello i cookies, ovvero le tracce del mio passaggio sulla website erotica, e cerco aria più salubre in un forum sui linguaggi di programmazione, dove i geek prendono in giro i nerd.


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Gina non ha mai compreso il mio attaccamento alla macchina. Inequivocabilmente lo ritiene un legame morboso, pensa che la mia sia una fissazione tipo quella dei malati del gioco d'azzardo o dei depravati che sperperano la vita nelle sale dei video game. Perciò mi ha lasciato.
Una delle nostre ultime discussioni (o forse proprio l'ultima) è stata discretamente accesa.
«Tu non hai un cervello» mi ha detto: «hai un cervello elettronico!»
«L'elettronica è in ogni caso la disciplina che aiuterà l'umanità a guizzare in avanti, a migliorarsi.»
«Lo pensi davvero?» Mi sembra di rivederla, con i capelli sciolti e formosa da inebriare, mentre tende un dito accusatore contro il Personal Computer. «Non ti accorgi di sciupare gli anni? Che mi trascuri per... per questo ammasso di cavi e ferraglia?»
«Questo sarà... anzi, è il mio lavoro! Un giorno fonderò una ditta. Noi freak, come ci chiamate voi, non viviamo solo per il presente. E non pensiamo nemmeno in dimensioni storiche. Noi... almeno quelli che come me hanno delle visioni... agiamo nel rispetto delle prossime due-tre generazioni, ma proiettati ancora più in là. Noi non pensiamo in millenni: pensiamo in eoni
«Ts-ts...»
«...Tutti dicono No nukes!, come i tuoi strani amici...»
«Non toccare i miei amici...»
«… e invece noi puntiamo decisamente sull'energia atomica. Perché un giorno il sole si oscurerà e sarà grazie all'energia atomica che riusciremo a sopravvivere.» Mi sto scaldando oltremodo, ma non posso farci nulla. Mai come adesso ho sentito di avere grandi idee e sono sicuro di stare esprimendole in maniera logica e comprensibile. Sono un profeta della Nuova Era. «No nukes? Our mind works in a different way. Lasceremo questo pianeta a bordo di razzi a fissione nucleare. La Terra, del resto, è solo la prima tappa di un lungo viaggio. E che cosa sono duemila anni? O cinquemila? O diecimila?!»
Gina mi è venuta più vicino. «franc'O, guardami: io non sono un ologramma. Fai un sacco di chiacchiere ma la verità è che non mi prendi più in considerazione. O forse, per davvero, credi che io sia uno di quei giochini, di quei fantasmi o... come dici tu... sprite? franc'O, fammi parlare! Noi non viviamo in un film di fantascienza e la vita non è basata sulla matematica binaria. Le persone non sono come i bit, non sono zero o uno...»
Al più tardi in quell'istante sarei dovuto tornare in me, rinsavire. Avrei dovuto prenderla tra le braccia, portarla fuori a divertirsi. Invece, cocciutamente le ho detto: «Ne parliamo dopo» per rivolgermi di nuovo al monitor.
Gina. Oggi il sole è una fiaccola di cobalto e tu mi corri nelle vene come il coniglietto della Duracell. Ma la tua carne è remota. Sciolta per sempre nell'acido del tempo.




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sabato, febbraio 15, 2014

E' uscito 'Zerovirgolaniente'!

Ecco il libro che, stranamente - ma forse no -, reca lo stesso nome del mio blog: Zerovirgolaniente.

Contiene otto romanzi brevi, o novelle, che vanno dal dramma dei poveri immigrati ai problemi (di carattere più maccheronico, certo) dei nostri emigrati. 
In mezzo ci sono storie davvero "istruttive" (come recita il sottotitolo). Una su tutte: "La Trabanteide", ambientata al tempo della Riunificazione delle due Germanie.



Nonostante le sue numerose pagine, il libro è quasi gratis (meno di un euro!). In compenso è disponibile unicamente in forma di e-Book per Kindle.

sabato, ottobre 20, 2012

Dell'entusiasmo che manca

Un fantasma si aggira per l'Europa: il fantasma dell'apatia organizzata.
Molti dei nostri conoscenti, soprattutto i giovani, errano con sguardi estasiati, assenti. Hanno evidentemente i loro paradisi privati. Ci salutano con grande cordialità, felici; o, meglio, salutano i nostri simulacri, il nostro scheletro: di noi infatti non vedono altro, e possibilmente anche ciò solo attraverso una griglia cibernetica. Non si interessano a quel che facciamo, se siamo felici noi, se abbiamo un lavoro o meno, o se anche a noi è piaciuto l'ultimo film con Johnny Depp o Angelina Jolie.



Quando tentiamo di instaurare una parvenza di comunicazione, ci chiedono se abbiamo Microsoft Messenger; oppure: "Mi trovi su ICQ. Come? Tu non lo usi? Apriti subito un account!"

[Inutile ricordare a costoro che sono un pioniere di Internet. Nel 1990, tramite un modem da 14.400 bit/s, mi collegavo con un "nodo" austriaco di Compuserve per chattare e dialogare, in inglese e tedesco, con sconosciuti che vivevano in America, usando una piattaforma abbastanza primitiva che "girava" sul sistema Windows 3.1. Il computer allora dovevamo assemblarcelo da solo e le bollette telefoniche - più la retta per Internet (dovevo versare i soldi a Columbus, Ohio, dove Compuserve aveva la propria centrale) - erano somme a dir poco orrende. Per un "nonno" della mia risma, cari ragazzi, Usenet rappresenta tuttora uno sballo, mentre Skype, Facebook e quant'altro sono solo scopiazzature di sistemi, programmi e tecniche pre-esistenti, ben più funzionanti di quelli odierni e, last but not least, privi di pubblicità! Eh già, perché ai suoi inizi Internet era un campo libero e anticommerciale. La pubblicità, col web e con le sue funzioni primarie, stona clamorosamente!]

  

Troppa letteratura e poca vita. Minchia però...!

Un mio amico ha scritto un romanzo (un altro!) che, come sempre, ha dato da leggere ad amici e conoscenti. Dopo qualche tempo, incominciando a preoccuparsi perché non riceveva risposte, li ha sollecitati (via e-mail o voice fax) ad esprimere un giudizio. Finalmente hanno risposto tutti, o quasi: in maniera positiva. Cioè: hanno detto "Bello!" e "Bravo!".
Al che, il mio amico si è fatto coraggio e ha chiesto al sottoscritto di scrivergli una lettera di presentazione per gli editori.
Sarebbe la seconda in pochi mesi: una gliela avevo già scritta, per un altro suo libro, alla fine della scorsa estate. 
"Ma non conosci nessun altro? Uno che sappia fare una recensione decente e che abbia magari un piede dentro l'ambiente editoriale?"
La sua risposta:
"Tra i miei conoscenti ci sono persone con ben più di un piede dentro qualche casa editrice. Il fratello di un mio intimo amico, ad esempio, ha uno studio fotografico che serve la Rizzoli. E un mio cugino ha scritto per tre anni sulla rivista PC Professionale (edita dalla Mondadori) ed è in ottimi rapporti con il direttore responsabile. Ma... C'è sempre un 'ma'. Non si impegnano..."

Già. Ognuno è immerso in un bel bagno caldo di egocentrismo. Fin qui niente di strano: viviamo nell'Antropocene, dunque è giusto che l'uomo (inteso come io-soggetto) sia al centro dell'universo. Lo sono del resto anche gli schizofrenici e i paranoici: pensano di essere il fulcro di tutto, e che ogni minimo evento avvenga in virtù loro, o per danneggiarli tremendamente...

Ammesso e non concesso che un autore non possa scriversi una lettera di presentazione da sé (soprattutto quando è troppo impegnato a sfornare romanzi), perché dovrebbe prendersi la briga di farlo, quando, tra tanta indifferenza, tra tanto impassibile disinteresse ("Bello!", "Bravo!": nessuno sciupio di parole; oggidì non abbiamo solo un problema di incompetenza a tutti i livelli, ma anche di trasporto dello spirito e di sincerità mancanti), c'è ancora chi, come me, si mostra altruista, disponibile, forse caritatevole?



Ho ricordato all'amico di essere un fresatore CNC, e dunque occupato anche sul versante del "volgare" lavoro; ma ho paura che alla fine pure quest'altra lettera dovrò produrgliela io.
Un ennesimo week end aggrappato all'orlo di un dirupo di noia.


domenica, giugno 26, 2011

L'Email compie 40 anni

Nel 1971 Ray Tomlinson riesce a fare passare un testo da un computer all’altro sfruttando Arpanet, la rete di computer del Dipartimento della Difesa americano. Aveva appena inventato la posta elettronica o Email. Ci vorranno ancora vent'anni circa - nel 1991 - per vedere nascere Internet.

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All'inizio si scriveva "e-mail", poi "Email" o "email" o "E-mail"... e c'era confusione anche per quel che riguarda il suo genere: "Ti scrivo una email o un email?" Comunque sia, ora la posta elettronica la posseggono anche cani e gatti e il suo simbolo caratteristico, @ ("snail", "chiocciola"), viene preso per qualcosa di dato, qualcosa di... naturale, anche se fino a poco tempo fa si stava a rimirarlo affascinati, come se si trattasse di una traccia grafica lasciata da alieni.

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L'Email ovviamente sarebbe noiosa senza il WWW (il "World Wide Web", "la rete che copre il mondo intero"). Nel 1990, Tim Berners-Lee, insieme al suo tutore Robert Caillau, ideò per una specializzazione post-laurea quello che lui stesso battezzò - appunto - World Wide Web. Lo ideò allo scopo di far nascere uno spazio assolutamente democratico, condivisibile da tutti, privo di un luogo centralizzato o di autorizzazioni. L’obiettivo era talmente l’universalità e la liberalità che il giovane ideatore non brevettò nemmeno la sua invenzione; se l’avesse fatto, ora sarebbe l’uomo più ricco di tutte le galassie.

Ma Berners-Lee aveva allora 35 anni e tanta voglia di vedere il mondo evolversi verso la comunicazione, o forse non si era nemmeno accorto di essere l’artefice della più incredibile rivoluzione del millennio. Attualmente, l'informatico londinese, inventore anche dell'HTML (Hypertext Markup Language), scaglia tuoni e fulmini contro i giganti della Rete: proprio giorni fa ha rimproverato alla Apple di dividere Internet in molti segmenti incompatibili tra di essi... 

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"Incompatibilità" è un termine usatissimo da quando il PC, ovvero Personal Computer, è entrato nelle case dei "normali" cittadini. All'inizio, ai tempi dei calcolatori delle serie 386 e 486 (dal nome e dalla capacità del rispettivo processore Intel), quando ancora bisognava assemblarsi la macchina da sé e/o aggiungere schede e lettori, potenziare la memoria del sistema ecc., si usava spesso l'aggettivo "incompatibile": "No, questa scheda video non va bene: è incompatibile con la motherboard..." oppure: "Non posso installare questo programma perché incompatibile con Windows 3.0...".

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Negli ultimi anni, nonostante il proliferare di ditte di hardware e software, si è andati via via convergendo - per fortuna - verso un'uniformità (e interscambiabilità) di pezzi d'elettronica e di informazioni. D'altro canto, però, tra commercializzazione selvaggia, invasione pubblicitaria su -praticamente - tutte le homepages, su tutti i siti (anche i più banali) e il proliferare di mondi apparentemente paralleli (telefonini, televisori intermediali, ecc.), si è assistito a una nuova e più potente balcanizzazione del media telematico; e il cosiddetto Web 2.0, o "New Web" (quello dei blog, ma anche dei tanto discutibili "social networks"), attenta non solo alla privacy dell'individuo ma lo deruba decisamente del suo potenziale creativo, della necessità di sforzarsi a costruirsi una website da sé, togliendogli persino la fatica di cercare o inventare contenuti...

Tim Berners-Lee, inizialmente soddisfatto del suo figlioccio, dopo anni di pacato silenzio si è messo ad alzare la voce. Il "New Web" offre da una parte facili e comodi strumenti, ma dall'altra vende ai singoli navigatori determinati prodotti e, giacché è la massa che arreca ricchezza, ogni social network costringe i navigatori a un appiattimento verso il basso, imponendo scelte e addirittura uno stile di vita assolutamente banali. 

Ancora nel dicembre 2000 fa un articolo di giornale online recitava:

"Berners-Lee vede sviluppi incredibili nell’avvicinamento e nella comprensione di persone che smettono di identificarsi con un luogo geografico e diventano concittadini. Vede la possibilità di scambiare le conoscenze, di acquisirle più velocemente. Vede la possibilità di fare della terra un pianeta unico e non staterelli e interessi svariati. Forse ha ragione, forse il suo Web potrà tutto questo. Un solo problema resta irrisolto: se il Web è il regno del tutto per tutti e da tutti i mezzi per accedervi sono per tutti ma di pochi. E’ un po’ come se in un determinato posto tante persone stessero creando il Paradiso ma una sola persona possedesse il pullman per arrivarci. Ma Berner-Lee è ottimista, lui ha cambiato il mondo, al massimo starà ad altri farlo tornare come è sempre stato."

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L'autore dell'articolo paventava dunque il pericolo dell'esclusività del media (e del suo obbligatorio ammennicolo, cioè Internet), non avendo previsto che il PC (insieme al suo ideale embryo, ovvero il telefonino, oggi diffusissimo; il telefonino che è tra i massimi responsabili dello sviluppo della tecnologia WiFi, ovvero della possibilità di connettersi alla rete senza più il fastidio di cavi telefonici) si sarebbe moltiplicato a macchia d'olio anche nel Terzo Mondo.

Questo è davvero il massimo della democratizzazione tecnologica... pur se lo stesso Berners-Lee non aveva calcolato l'altissima percentuale di antiumanesimo e, peggio, disumanità presente nelle masse: così, disgraziatamente, ci imbattiamo, nei vari forum (forums? forii?), nei vari siti, nelle varie piattaforme "sociali", in una caterva di fomentatori d'odio, di adescatori di minorenni, di ladri e imbroglioni.

Una puntualizzazione: siamo ovviamente contenti lo stesso che il mondo si sia computerizzato, e che Internet si offra (tuttora) come una piattaforma alternativa all'agorà, alla piazza. Progress oblige! Solo che non ne possiamo più delle tresche, della posta elettronica indesiderata (spam! Di sicuro Ray Tmnlinson non l'aveva prevista) e degli annunci pubblicitari piazzati persino nei blog dei ragazzini di 12 anni. Truffe su truffe, raggiri su raggiri... commercio su commercio! Il commercio: questa inarrestabile malattia pustolosa. Accendi il computer e ti ritrovi 100.000 menzogne farneticanti...

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Tutti oggi si ritrovano arenati sulla spiaggia paludosa del Web 2.0; accendono il PC e sono contenti di vedere la propria pagina personale su Facebook; aprono il programma di Email e si leggono ogni sciocchezza, dall'offerta di pseudodonnine russe alla pubblicità del Viagra cinese. Noi, individui di ben più ampie ambizioni (almeno si spera!), dobbiamo rimuoverci da lì (da qui) e teletrasportarci in un ennesimo mondo parallelo: o allestiamo il Web 10.0 oppure creiamo una sorta di Arpanet potenziato; senza nessuna possibilità di accesso ai mercanti e ai balordi assortiti.

Gesù entrò nel tempio e schiacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe...

Alla faccia della cosiddetta democrazia, è questo l'esempio da seguire!

 

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sabato, giugno 02, 2007

Città dell'Alfabeto

"Vidi una scrivania a vetro, due sedie girevoli, una libreria in legno. Gli scaffali della libreria si piegavano sotto il peso di volumi rilegati. Alla mia immaginazione apparve una Parigi moribonda assalita dalle termiti, i buchi nei libri della Sorbonne, boulevards con gli alberi infestati... In questa nicchia del Primo Mondo la letteratura aveva trovato salvezza.
Accarezzai con lo sguardo decine di titoli finché gli occhi non mi si appannarono. Amaramente pensai a quante e quali vie avevano percorso queste opere, prima di finire nelle mani errate. Mi volsi via con astio e livore.
Come il lettore avrà capito dal canone lessicale di questa cronaca, almeno ai libri non avrei dovuto rinunciare. Ho (ri)formato il linguaggio del mio spirito metabolizzando stile ed estetica di autori delle epoche più svariate. Non solo romanzi: articoli, saggi critici, opuscoli, pamphlets, racconti, manuali, trattati, monografie... Nei libri io finirò per bruciarmi e annegare..."




Hardcover, 122 pagg, formato 15x23 cm. Prezzo: €16.00
Download eBook (.pdf): €2.50

"... se questo romanzo di Peter Patti venisse reso cinematograficamente ad es. da una Troma Co., quella che ha prodotto l’Uomo Tossico per intenderci, sarebbe il più grande tecno-trash del mondo." (Stefano Donno)


Nel mondo odierno, superbia, invidia e avarizia sono le tre fiamme che tengono accesi i cuori. Ciò vale tanto più nel futuro prossimo venturo descritto in questo romanzo, in cui gran parte della popolazione vive per strada, l'acqua è un miraggio e fioriscono traffici come quello degli organi umani. Alvo, l'io-narrante, vive nella megalopoli mondiale per eccellenza. Alphabet City è una piovra di cemento che si estende per buona parte dell'East Coast di quelli che una volta furono gli Stati Uniti d'America: una bolgia di desperados, ratti, avvoltoi e cani rabbiosi sui quali grava l'ombra cupa della multinazionale che detiene il potere politico.
Il protagonista riesce a sopravvivere solo perché sostenuto da un'idea fissa: ritrovare un suo amore di gioventù. Vuole inoltre scoprire cosa accadde veramente a suo fratello, scalzare dal suo trono il misterioso Mister Info e riuscire a compiere la più estrema delle imprese: scappare dalla megalopoli e incominciare una nuova vita, una vita vera, nell'hinterland, al di là delle Paludi del Non-Tempo e del Mare della Putrefazione.



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