Un fantasma si aggira per l'Europa: il fantasma dell'apatia organizzata.
Molti dei nostri conoscenti, soprattutto i giovani, errano con sguardi estasiati, assenti. Hanno evidentemente i loro paradisi privati. Ci salutano con grande cordialità, felici; o, meglio, salutano i nostri simulacri, il nostro scheletro: di noi infatti non vedono altro, e possibilmente anche ciò solo attraverso una griglia cibernetica. Non si interessano a quel che facciamo, se siamo felici noi, se abbiamo un lavoro o meno, o se anche a noi è piaciuto l'ultimo film con Johnny Depp o Angelina Jolie.
Quando tentiamo di instaurare una parvenza di comunicazione, ci chiedono se abbiamo Microsoft Messenger; oppure: "Mi trovi su ICQ. Come? Tu non lo usi? Apriti subito un account!"
[Inutile ricordare a costoro che sono un pioniere di Internet. Nel 1990, tramite un modem da 14.400 bit/s, mi collegavo con un "nodo" austriaco di Compuserve per chattare e dialogare, in inglese e tedesco, con sconosciuti che vivevano in America, usando una piattaforma abbastanza primitiva che "girava" sul sistema Windows 3.1. Il computer allora dovevamo assemblarcelo da solo e le bollette telefoniche - più la retta per Internet (dovevo versare i soldi a Columbus, Ohio, dove Compuserve aveva la propria centrale) - erano somme a dir poco orrende. Per un "nonno" della mia risma, cari ragazzi, Usenet rappresenta tuttora uno sballo, mentre Skype, Facebook e quant'altro sono solo scopiazzature di sistemi, programmi e tecniche pre-esistenti, ben più funzionanti di quelli odierni e, last but not least, privi di pubblicità! Eh già, perché ai suoi inizi Internet era un campo libero e anticommerciale. La pubblicità, col web e con le sue funzioni primarie, stona clamorosamente!]
Troppa letteratura e poca vita. Minchia però...!
Un mio amico ha scritto un romanzo (un altro!) che, come sempre, ha dato da leggere ad amici e conoscenti. Dopo qualche tempo, incominciando a preoccuparsi perché non riceveva risposte, li ha sollecitati (via e-mail o voice fax) ad esprimere un giudizio. Finalmente hanno risposto tutti, o quasi: in maniera positiva. Cioè: hanno detto "Bello!" e "Bravo!".
Al che, il mio amico si è fatto coraggio e ha chiesto al sottoscritto di scrivergli una lettera di presentazione per gli editori.
Sarebbe la seconda in pochi mesi: una gliela avevo già scritta, per un altro suo libro, alla fine della scorsa estate.
"Ma non conosci nessun altro? Uno che sappia fare una recensione decente e che abbia magari un piede dentro l'ambiente editoriale?"
La sua risposta:
"Tra i miei conoscenti ci sono persone con ben più di un piede dentro qualche casa editrice. Il fratello di un mio intimo amico, ad esempio, ha uno studio fotografico che serve la Rizzoli. E un mio cugino ha scritto per tre anni sulla rivista PC Professionale (edita dalla Mondadori) ed è in ottimi rapporti con il direttore responsabile. Ma... C'è sempre un 'ma'. Non si impegnano..."
Già. Ognuno è immerso in un bel bagno caldo di egocentrismo. Fin qui niente di strano: viviamo nell'Antropocene, dunque è giusto che l'uomo (inteso come io-soggetto) sia al centro dell'universo. Lo sono del resto anche gli schizofrenici e i paranoici: pensano di essere il fulcro di tutto, e che ogni minimo evento avvenga in virtù loro, o per danneggiarli tremendamente...
Ammesso e non concesso che un autore non possa scriversi una lettera di presentazione da sé (soprattutto quando è troppo impegnato a sfornare romanzi), perché dovrebbe prendersi la briga di farlo, quando, tra tanta indifferenza, tra tanto impassibile disinteresse ("Bello!", "Bravo!": nessuno sciupio di parole; oggidì non abbiamo solo un problema di incompetenza a tutti i livelli, ma anche di trasporto dello spirito e di sincerità mancanti), c'è ancora chi, come me, si mostra altruista, disponibile, forse caritatevole?
Ho ricordato all'amico di essere un fresatore CNC, e dunque occupato anche sul versante del "volgare" lavoro; ma ho paura che alla fine pure quest'altra lettera dovrò produrgliela io.
Un ennesimo week end aggrappato all'orlo di un dirupo di noia.
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