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giovedì, marzo 25, 2021

Continua la 'disputatio' su Andrea Camilleri

 Camilleri e Montalbano, pro e contra. 

Qui (clicca) c'è il post iniziale. Adesso pubblichiamo il nuovo intervento di Alida Pardo, che replica a Giuseppe Alù. 


...non c’è nessun giallo ambientato in Sicilia, bensì c’è una “favola” che utilizza una trama purchessia, che si svolge in un paese inventato che adombra una strana e irreale Sicilia e che offre allo spettatore scene piacevoli e diversive.

Ciao, Giuseppe. Hai scritto veramente un bel testo, ricco di osservazioni acute e di momenti letterari pregevoli (dici che le scene deserte e immobili di Vigata ricordano De Chirico).

Dimentichi però una cosa, che quando un giudizio è dettato da autentico sentimento e non da partigianeria o, peggio, fanatismo, tale giudizio non può essere modificato. Riguarda il gusto personale, non l’intelligenza o la cultura, non è “attaccabile” da parte della ragione, è insomma insindacabile perché appartiene alla sfera delle emozioni. Io non sto contestando la natura di favola dei racconti del Commissario Montalbano, ma la loro grossolanità, l’insuperabile rozzezza. Tant’è vero che tu stesso dici:

i personaggi. Essi sono fissati nei loro immodificabili ruoli, come nella commedia dell’arte

La commedia dell’arte, se non ricordo male, è la forma più primitiva di teatro, essa è nata per il popolo e ad esso è inscindibilmente legata. È al livello di Claudio Villa, è come il Pappagone televisivo che faceva impazzire le comari il sabato sera. Se vogliamo fare un esempio attuale, è come Barbara D’Urso. Io sono (noi siamo) per Woody Allen e per Fabrizio de Andrè. Certamente Montalbano è un po’ meglio, ma solo un poco. Io stessa in quella paginetta ho detto che l’attore protagonista è bravo, che i suoi due collaboratori sono ben tratteggiati e ben recitati, che le ambientazioni sono stupende.



Aggiungi bei panorami, mare, paese arroccato sulla collinetta, donne bellissime scese da Vanity Fayr (siciliane?Ah ah!), casa sulla spiaggia che tutti sognano, ecc. Spettacolo che con garbo fa godere minuti di relax senza l’affanno dei soliti pensieri.

Qui sono sbalordita. Tu come immagini le siciliane di oggi, con baffi, scialli neri, gambe pelose, occhi bassi? Il tuo referente è Danilo Dolci, la Sicilia oscura dei primi anni del Novecento? C’è una gioventù tanto ignorante quanto bella fisicamente, ragazze alte un metro e ottanta, anche bionde di origine normanna, donne splendide che farebbero svegliare un impotente. Ragazzine che vanno in giro letteralmente nude, con pantaloncini sgambatissimi, (una esagerazione), una grande libertà di comportamenti, una sostanziale equiparazione al resto dell’Europa. Ma mi fermo qui perché è solo della bellezza che tu parlavi.

Con garbo. Non c’è garbo, per me, in un parlare sboccato e sguaiato, in comportamenti inventati sì, ma provinciali e analfabeti, ammiccanti per il portiere, seducenti per la parrucchiera.

Particolarmente sono stati apprezzati i comprimari-caratteristi, mogli, vecchi, notai, medici, tutti di una bravura straordinaria, assolutamente autentici nella loro recitazione.

Anche questo è un giudizio del tutto personale. A me i comprimari sono sembrati spesso caricature dalla recitazione forzata.

Noi siciliani siamo portati alla tragedia

Osservazione corretta e incontestabile. Ma, per controbilanciare, non bisogna abbandonarsi a “Favole” strapaesane e volgari. Mi citi i francesi con Maupassant esempio di leggerezza. Anche qui siamo in disaccordo: Maupassant è tremendamente serio, i suoi romanzi a tema sono più vicini alla tragedia che alla commedia. Di favole poetiche sono stati capaci al massimo livello La Fontaine e Saint-Exupéry.



Quasimodo non avrebbe mai scritto una poesia come quella di Montale che scende i gradini con la moglie Di leggerezza.

Montale è poeta aspro ed aristocratico, freddo e tagliente come quei suoi famosi “cocci di bottiglia”. La poesia dei gradini che tutti citano e che una volta ti ho commentato, non è per me una poesia leggera, ma una poesia non riuscita, che tutti ricordano solo perché l’ha scritta Montale, con versi assolutamente prosaici e stridenti (cito a memoria “poiché quattr’occhi vedono meglio di due”). Autentico e tenero il sentimento, mancata la realizzazione artistica.

La lingua è Inventata? Certamente, e allora? Se funziona, tutto va bene.

Anche qui la risposta non può essere che personale: per me non funziona. Funziona in che senso, poi? A determinare una finzione?

Io non dico che gli episodi di Montalbano mi dovrebbero toccare il cuore, non dobbiamo fare confusione di generi. Ma almeno divertire. Il fatto è che non mi divertono. A livello popolare, quando non eccedono, riesco ad accettare perfino Ficarra e Picone, c’è in loro un poco di ironia. Ma non sono mai riuscita a vedere i film di Franchi e Ingrassia, per quanto bravi attori.

E non è un caso che l’intero pacchetto sia stato acquistato da 49 paesi nel mondo e che dovunque ha ricevuto consensi. Stranieri che vengono in Sicilia e cercano Vigata!

L’Italia è vista all’estero come folclore: la pizza, la mafia, la pasta. Certo ti sembrerò seriosa se ti dico che preferirei che venissero in Sicilia ad ammirare i Templi Greci, il Duomo di Cefalù e i Chiostri delle Università. Sarei anche ingiusta comunque perché, se una cosa ha fatto la serie di Montalbano, è stata quella di mostrare una Sicilia fascinosa dal punto di vista paesaggistico e monumentale. Ma il fatto che chiedano di visitare Vigata mi fa pensare che la serie non è percepita nella sua dimensione di favola, ma di realtà stravolta e strapaesana, come l’Autore l’ha voluta.

una “realtà di fantasia” resa con eleganza formale.

Per me nessuna eleganza formale se non nei paesaggi e negli interni spettacolari, ma qui è la ricchezza della Sicilia che si impone. Un paio d’anni fa ho discusso con tuo fratello Giancarlo su Montalbano (lui lo adora, come ti sarà noto) e lui mi ha fatto un’osservazione interessante: viene mostrata una Sicilia prospera, borghese, fuori dagli schemi della miseria, dei lutti, della malasorte, delle zolfare. Ben venga la borghesia, ben venga il benessere ma, a parte il fatto che spesso si tratta della caricatura della borghesia, in una favola atemporale non potevano essere impiegati i vecchi schemi del neorealismo. In compenso viene fatto spazio ad altri schemi: i migranti, tutti buoni; le ragazzine che fanno la traversata, violentate; il barbone, da soccorrere e curare anche invitandolo a casa propria a fare una doccia (tu lo faresti?) e non basta, la fidanzatina melensa di Montalbano gli sottrae e forza i maglioni di cachemire per darli al pover’uomo, tanto lo sappiamo che i Commissari di Polizia sono riccastri e se ne possono comprare a decine. C’è uno strizzare l’occhio al buonismo ipocrita, ai temi di moda che non disdegnano un sinistrismo inopportuno ed ambiguo.



E poi, lo ripeto, lo schema della donna presentata com’è presentata per me è insopportabile: ecco una donna a peso, fatta di curve e protuberanze, quattro chili di mammelle, otto chili di sedere, dodici chili di stupidità. Tanto che l’unico personaggio femminile simpatico e fresco (nell’inverosimiglianza) è quello dell’amica svedese, almeno si respira un po’ di aria pura, un po’ d’amore per un sesso che non sia obliquo.

Ti ho consigliato i mesi scorsi una serie televisiva di produzione belga, Professor T. Se esamini le due serie, ti rendi conto che è moderna, leggera, elegante, con voli alla Fellini, tanto quanto l’altra è fatta di risate grasse, (scassare la m… rompere i gabbasisi) di personaggi antiquati e ripetitivi, di vezzi goliardici e popolari.

Agli stranieri piace? Non lo metto in dubbio. Segna però un abbassamento di livello rispetto a quell’Italia del cinema, Zeffirelli, Visconti, Antonioni e (nell’ambito della commedia onirica) Fellini, che ci aveva resi famosi in tutto il mondo.



Leggi anche: "Due pareri antitetici su Camilleri e Montalbano"

"Camilleri, il congedo" (Giuseppe Alù)

"La prima volta al Teatro dell'Opera: un racconto di G. Alù"

"I miei giorni ansiosi" (Alù)

"L'Indignazione" (Alù)


"Cercatori d'oro" (Anna Murabito)

"Quattro nuove poesie di Anna Murabito"

"Epidemia, marzo 2020" Versi di Alida Pardo (Anna Murabito)

"Le parole naufraghe" di Anna Murabito



sabato, giugno 13, 2020

Roberto Gerilli. Breve rece.

Vietato Leggere all'Inferno

Breve recensione, lasciata su Amazon:

"Questo è un bellissimo romanzo. Umoristico al punto giusto. E addirittura avvincente."

5 stelle su 5. E non per fare un piacere all'autore... che tra l'altro non conosco. Che non conoscevo. Fino a l'altroieri. Dopo la lettura di 
 sento di aver trovato un nuovo amico.

#letteratura #Kindle #eBook #romanzo #autore #autori #scrittori #scrittura #Italia #RobertoGerilli

Vietatoleggere

domenica, gennaio 27, 2019

J.D. Salinger

Il giovane Holden è un romanzo che ha perso molto del suo fascino da quando è diventato una lettura semi-obbligatoria nelle scuole. Un po' come il film (e relativo romanzo) Arancia meccanica; e un po' come On the Road. Mitici - infatti - possono essere solo quei prodotti che scopro io insieme a pochi amici e/o anime gemelle sparse per il mondo, non quelli che mi vengono propinati dal mercato di massa, dal sistema educativo e che magari ritrovo nell'abitazione del mio banalissimo vicino di casa! 


Lessi Il giovane Holden in un'era "non sospetta" e il mio approccio non fu affatto sociologico, né avevo in mente di scriverci sopra un tema o che so io; lo consumai per puro divertissement, per intrattenermi (come facevo e ancora faccio per qualsiasi opera letteraria che mi capita a tiro), e ancora ringrazio Iddio, o Budda, che quel libro non mi fu imposto da nessun insegnante. Risultato: capii di non essere affatto un disadattato, bensì un ribelle - un dolce ribelle, e, forse in primis, uno spirito critico verso la società dei consumi: come Holden, appunto! Il disagio, in realtà, non era dentro di me, bensì nel mondo circostante. Il sospetto lo avevo sempre avuto, ma fu quel pazzo d'uno scrittore americano, quel Salinger, a darmene conferma.

      


La lettura risultò fondamentale per me.
In pratica Salinger si specializzò in storie che hanno come protagonisti adolescenti. Franny e Zooey, Seymour, Alzate l'architrave, carpentieri e Nove racconti sono gli altri suoi libri. Li ho letti tutti; in originale. Ma ovviamente Il giovane Holden è il suo migliore. Bello, tenero e veritiero il rapporto del protagonista con la sorellina Phoebe... ma non è l'unico aspetto rilevante. Sì, un libro stupendo; e molto importante.
Partendo da qui, un lettore di oggi (io divorai il romanzo in questione quando avevo l'età di Holden, e da allora ho riletto più volte) può forse passare alla Beat Generation, che dà ai lettori uno spaccato dell'America "altra" (che non è però "l'altra America", né necessariamente l'America "alternativa").

Non so comunque quanto Il giovane Holden possa incidere sulla vita dei ragazzi di oggi, dato che, soprattutto dagli Anni Novanta in poi, ci sono state un sacco di "imitazioni" (iniziando con Jack Frusciante è uscito dal gruppo, il fortunato esordio di Enrico Brizzi, saggio alchimista che ha mescolato Holden con Arancia meccanica di A. Burgess), ma d'altronde bisogna interrogarsi sul livello di percezione degli odierni adolescenti anche per quanto riguarda la conoscenza di altre opere-spartiacqua del periodo a cavallo tra Dopoguerra ed Estate dei Fiori / Summer of Love: penso soprattutto a Plexus di H. Miller e - per la Beat Generation - On the Road di J. Kerouac e la raccolta di poesie di A. Ginsberg Juke-box all'idrogeno.

The Catcher in the Rye: questo il titolo in originale del romanzo di J.D. Salinger, molto più bello e incisivo certamente de Il giovane Holden, ma praticamente intraducibile per gli italiani. D'altro canto, la fortuna del libro, da noi in Italia, si deve proprio alla traduzione: Adriana Motti fece un lavoro geniale, un po' inventando lo slang dal nulla, un po' rendendo il linguaggio della gioventù di allora ("e compagnia bella", "eccetera eccetera", "Cristo santo!", "e via discorrendo", "una cosa da lasciarti secco"...). Alla Motti, generazioni di italiani non smetteranno mai di essere grati: è grazie all'acume creativo di questa traduttrice che loro si sono divertiti - e si divertono - a ripetere le espressioni del ragazzo ebreo-americano, un po' illudendosi di vivere a Manhattan, anziché a... Regalbuto o Cantù-Cermenate.

***

Nel cinema? Mai! - Hanno voluto provarci in tanti a fare il film del Giovane Holden, da Billy Wilder a Steven Spielberg; ma nessuno in sessant’anni ci è mai riuscito. Il vecchio Salinger non ha mai voluto vendere al cinema i diritti del suo capolavoro, perché secondo lui era unactable: "Non può essere legittimamente separato dalla tecnica della prima persona che gli è propria", scriveva in una lettera del 19 luglio 1957 al produttore cinematografico Herbert.

Del resto lo scrittore si era già scottato le dita con Hollywood: nel 1949, il suo racconto "Uncle Wiggly in Connecticut" fu trasposto in una soap opera, e da quel momento Salinger, deluso dal risultato, decise di non volerne più sapere della "Mecca del cinema" e dintorni.


sabato, dicembre 13, 2014

E' morto Ralph Giordano

Scrittore ebreo e commentatore della vita sociale e politica della Germania, si è spento giovedì a Colonia, all'età di 91 anni, dopo una caduta in casa e un inutile trasporto in ospedale. Ne ha dato annuncio la casa editrice Kiepenheuer & Witsch.
Giordano era nato ad Amburgo da padre siciliano e madre ebrea. Da giovane venne perseguitato appunto per l'origine semita della madre. La Gestapo lo torchiò a più riprese. Se riuscì a sopravvivere al periodo nazista fu perché, insieme ai genitori e a un fratello, rimase nascosto nella cantina dell'abitazione di un amico di famiglia.
Dopo la guerra entrò nel partito comunista, ma lo abbandonò nel 1957 disilluso dal regime stalinista. Continuò comunque a lottare sempre contro l'estrema destra e le intemperanze razziali. Scrisse 23 libri, molti dei quali sono divenuti bestseller sia in Germania sia all'estero.
Nel 1964 era entrato come giornalista nella WDR (terzo programma della Germania Occidentale), lavorandovi fino al 1988. Dopodiché divenne libero scrittore, componendo la cronaca delle sue esperienze sotto la croce uncinata.
Tra i suoi libri più celebri, la saga dei Bertini, che racconta le vicende di una famiglia italo-tedesca dal tardo XIX secolo fino alla Seconda Guerra Mondiale; e Sizilien, Sizilien! Eine Heimkehr ("Sicilia, Sicilia! Ritorno a casa").

Quest'anno c'è stata una vera e propria morìa di prominenti intellettuali tedeschi. Tra di loro: Stefanie Zweig, Walter Jens, Wolfgang Leonhard.

mercoledì, marzo 19, 2014

Il bizzarro sogno parigino di Gianfrancesco Iacono




Non solo "mafia e monnezza": la Sicilia ci sbalordisce, di quando in quando, producendo risorse e talenti davvero notevoli. E' il caso di Gianfrancesco Iacono. Uno scrittore. Un maledetto scrittore. Colpa sua se ieri sono arrivato tardi al lavoro. Infatti, quando è scoppiata la sveglia, io sono rimasto ancora a letto a leggere il

 Sogno nella via blu.

In realtà questa è la denominazione italianizzata. Il romanzo di Iacono ha infatti un titolo coraggiosamente... gallico: Rêve dans la rue bleue.

Un  libro grande, di un intuito e di una sagacia dolorosi. Céline, certo, ma tutta un'orda di autori (dannati e no) batte le mani al romanziere palermitano. C'è la magia dell'incipit (davvero bello) e quello dell'ultimo capitolo. L'ambientazione? Parigi.



Il Sogno nella via blu è un "tour de force" consistente. Tocca le corde fondamentali della vita, gli aspetti più "blu" del nostro esserci, inabissandoci nella lercia e schifosa topografia non tanto dell'anima (quella, malgrado tutto, è ancora capace di spiccare voli, sfruttando la Tour Eiffel dell'Intelletto), quanto dei nostri istinti.

Una volta di più, la capitale di Francia serve da paradigma del mondo tutto. Parigi come tomba dell'esistenza umana che interroga se stessa; ma anche Parigi nella sua trionfale, sudicia, a tratti monumentale bellezza.
Il libro è scritto benissimo e forse si nota il tentativo (à la Henry Miller) di rompere qualche tabù, se non fosse che ormai non ci sono più (a mio modesto parere) tabù da rompere. Risalta la bellezza dell'arte di G. Iacono, la scorrevolezza, la freddezza logica (= autocontrollo) anche là dove la prosa assomiglia a écriture automatique (procedimento  adeguato per le vicende ivi narrate).

Pur se uno già conosce il suo Céline, il suo Miller, la lettura di questo romanzo non può non affascinare. Uno dei temi-'clou' su cui si regge l'intera impalcatura è la maniera in cui l'Homo arabus e/o l'Homo africanus vengono percepiti dal cosmo "normanno" e come codesti immigrées, esposti alla poco garbata e poco attenta analisi di individui apparentemente civili e presuntemente moderni, finiscano per divenire i giudici più spietati di Civiltà & Modernismo.






Sottolineo che è comunque la padronanza del linguaggio - nonché delle tecniche narrative - ad avermi colpito maggiormente. Le vicende, sì, possono anche intrigare (sebbene anch'io abbia alle spalle la mia "deboscia da emigrato": dunque, son poco propenso, ormai, a sconcertarmi o strabiliarmi), e poi Parigi "tira" sempre. Reputo che molti giovani lettori possano rimanere colpiti, ammaliati.

Pietra angolare di Rêve dans la... è il blu: blu come simbolo di libertà e, per stretta analogia, di tristezza innata; blu <--> "blues", come suggeriscono le stupende pagine iniziali.

Troppo "bleu", in effetti: mentre "scoprivo" il libro, per me sono trascorse giornate strane, addirittura sbilenche, nel negozietto di kebap dove sciacquo i contenitori di plastica che vengono poi riutilizzati...
In un mondo che fatica o fa finta di faticare, non tutte le persone sono sintonizzate su quello che in fondo è il colore di ciascuno.

Auguro a questo libro di diventare un longseller, non un bestseller. Il bestseller può arrivare a bruciarsi in un mulinello di cifre e promesse bugiarde, mentre il longseller mantiene sempre viva l'attenzione sull'autore e sulle sue opere successive. Secondo me l'Italia, la letteratura italiana, si è arricchita di una voce nuova e importante. Altro per adesso non aggiungo: devo proseguire a camminare dentro questo sorprendente romanzo...

Ma, alt! La critica troppo entusiasta di un determinato prodotto fa immancabilmente pensare a un artificio commerciale, a uno dei soliti espedenti propagandistici a mero scopo mercantilistico. Per questo voglio parlare qui dello scrittore più ancora che del libro.

Chi è Gianfrancesco Iacono

È nato a Palermo il 15/08/1986.
Si è laureato in Lettere Moderne presso l’Università degli Studi di Palermo nel marzo 2011.
Scrive da quando aveva diciassette anni, epoca in cui cercava di mettere assieme, in maniera scombinata, racconti stile-Edgar-Allan-Poe e testi teatrali dalle più disparate influenze. Ridimensionate poi le sue pretese, è stato finalista per la regione Sicilia alla prima edizione del Premio Letterario La Giara (2012) con il romanzo Rêve dans la rue bleue.

Ama la letteratura con una predilezione per i classici francesi di Primo Novecento; si interessa anche di musica (rock, classica, opera lirica) e di cinema e scrittura cinematografica.
La sua attrice preferita è Audrey Hepburn, il regista preferito è François Truffaut.

Ha scritto a 18 anni Le vacanze romane di Audrey. 18 anni: a quell'età si ha un trasporto e una freschezza che pochi artisti della parola conservano in seguito. Ma Iacono sembra possedere tuttora quell'entusiasmo...



Del "Sogno" abbiamo già parlato; e ho la sensazione che il libro troverà molti cultori.

Ma online, dello stesso autore, è presente, ancora accessibile a tutti, Un sole senz'ombra.

Un sole senz'ombra è un'opera che spero di vedere presto stampata su carta, giacché non è vero ciò che si racconta nei simposi di giornalismo online, ovvero che "ciò che è sulla rete rimane per sempre". Da internet prima o poi sparisce tutto...

Un sole senz'ombra mi è piaciuto molto. Dopo Roma e Parigi, dunque, ecco Palermo e dintorni.
Non so se in Italia esistano ancora editori veri, ma questo è un romanzo da pubblicare così com'è, senza cambiare una virgola. Forma e linguaggio sono ineccepibili. L'ho trovato più pragmatico e "scolastico" di Rêve dans la rue bleue. Vale a dire: l'ordine prevale sul caos.
Roberto, il personaggio principale, mi dà l'impressione di essere una figura dannunziana, anzi "la" figura dannunziana per eccellenza (con i dovuti filtri temporali, ovvio: un esteta come Andrea Sperelli oggi sarebbe oggetto di spottò...), mentre Giulio risveglia in me (impolverato topo di biblioteca) memorie dostojevskiane.
E' un romanzo che analizza la mondanità del nostro presente, un romanzo meno atemporale rispetto al "Sogno", un romanzo del presente e per il presente, dinamico, con tinte criminalistiche (ma è l'oggi stesso, caratterizzato da una vita sociale in Allegro agitato, a essere criminale, omicida, macchiato di sangue).
Ottime le figure e meravigliosi gli scorci descrittivi della Sicilia. Per il lettore, trattasi di un bagno lucido, per molti versi illuminante, nella borghesia italiana, con quel tocco di aggiunta "esotica", certamente suggestiva, che è l'immancabile incentivo di un'ambientazione nel Midi nostrano, e in particolare nell'amata, spesso odiosamente amata - e forse perduta? - Trinacria.

*****

Tenete d'occhio questo interessante scrittore: di sicuro ha ancora in serbo per noi diverse pregevoli creazioni.


domenica, gennaio 13, 2013

Antologiaaaaaaaa... analisi logica...


Per la serie: Voi chiedete, io rispondo


Your Question:
Dopo aver letto questo testo che è in questo sito: http://www.comprensivo-pieveanievole.it/PDF/materiali%20didattici/V3_U04_Il_romanzo_di_formazione.pdf

potete fare una specie di lavoro?? ora vi spiego....dovete fare 4 domande a risposta multipla seguendo 4 punti.....(a risposta multipla significa : a; b; c; d)

I 4 PUNTI:

1. Fare un’inferenza diretta, ricavando un’informazione implicita da una o più informazioni date nel testo e/o tratte dall’enciclopedia personale del lettore.

2. Cogliere le relazioni di coesione (organizzazione logica entro e oltre la frase) e coerenza testuale.

3. Ricostruire il significato di una parte più o meno estesa del testo, integrando più informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse.

4. Sviluppare un’interpretazione del testo, a partire dal suo contenuto e/o dalla sua forma, andando al di là di una comprensione letterale.

QUINDI OGNI DOMANDA DEVE ESSERE DI UNO DI QUESTI 4 PROCESSI GRAZIE MILLEEEEE


My Answer:


"inferenza"???

"organizzazione logica entro e oltre la frase"???

Guarda, il tuo prof o la tua prof dev'essere uno/una psicopatica. Ancora queste cose fate a scuola??? Rompicapi per futuri disoccupati internati in manicomio? Ma questi schiavetti del Bürokretinismus pensano forse che i grandi scrittori, quando prendono la penna in mano, muoiano dalla voglia di fare l'analisi logica (o, meglio, illogica) delle proprie frasi?

Povera Italia! Ecco perché siamo la Nazione più derelitta dell'emisfero occidentale! 


sabato, ottobre 20, 2012

Dell'entusiasmo che manca

Un fantasma si aggira per l'Europa: il fantasma dell'apatia organizzata.
Molti dei nostri conoscenti, soprattutto i giovani, errano con sguardi estasiati, assenti. Hanno evidentemente i loro paradisi privati. Ci salutano con grande cordialità, felici; o, meglio, salutano i nostri simulacri, il nostro scheletro: di noi infatti non vedono altro, e possibilmente anche ciò solo attraverso una griglia cibernetica. Non si interessano a quel che facciamo, se siamo felici noi, se abbiamo un lavoro o meno, o se anche a noi è piaciuto l'ultimo film con Johnny Depp o Angelina Jolie.



Quando tentiamo di instaurare una parvenza di comunicazione, ci chiedono se abbiamo Microsoft Messenger; oppure: "Mi trovi su ICQ. Come? Tu non lo usi? Apriti subito un account!"

[Inutile ricordare a costoro che sono un pioniere di Internet. Nel 1990, tramite un modem da 14.400 bit/s, mi collegavo con un "nodo" austriaco di Compuserve per chattare e dialogare, in inglese e tedesco, con sconosciuti che vivevano in America, usando una piattaforma abbastanza primitiva che "girava" sul sistema Windows 3.1. Il computer allora dovevamo assemblarcelo da solo e le bollette telefoniche - più la retta per Internet (dovevo versare i soldi a Columbus, Ohio, dove Compuserve aveva la propria centrale) - erano somme a dir poco orrende. Per un "nonno" della mia risma, cari ragazzi, Usenet rappresenta tuttora uno sballo, mentre Skype, Facebook e quant'altro sono solo scopiazzature di sistemi, programmi e tecniche pre-esistenti, ben più funzionanti di quelli odierni e, last but not least, privi di pubblicità! Eh già, perché ai suoi inizi Internet era un campo libero e anticommerciale. La pubblicità, col web e con le sue funzioni primarie, stona clamorosamente!]

  

Troppa letteratura e poca vita. Minchia però...!

Un mio amico ha scritto un romanzo (un altro!) che, come sempre, ha dato da leggere ad amici e conoscenti. Dopo qualche tempo, incominciando a preoccuparsi perché non riceveva risposte, li ha sollecitati (via e-mail o voice fax) ad esprimere un giudizio. Finalmente hanno risposto tutti, o quasi: in maniera positiva. Cioè: hanno detto "Bello!" e "Bravo!".
Al che, il mio amico si è fatto coraggio e ha chiesto al sottoscritto di scrivergli una lettera di presentazione per gli editori.
Sarebbe la seconda in pochi mesi: una gliela avevo già scritta, per un altro suo libro, alla fine della scorsa estate. 
"Ma non conosci nessun altro? Uno che sappia fare una recensione decente e che abbia magari un piede dentro l'ambiente editoriale?"
La sua risposta:
"Tra i miei conoscenti ci sono persone con ben più di un piede dentro qualche casa editrice. Il fratello di un mio intimo amico, ad esempio, ha uno studio fotografico che serve la Rizzoli. E un mio cugino ha scritto per tre anni sulla rivista PC Professionale (edita dalla Mondadori) ed è in ottimi rapporti con il direttore responsabile. Ma... C'è sempre un 'ma'. Non si impegnano..."

Già. Ognuno è immerso in un bel bagno caldo di egocentrismo. Fin qui niente di strano: viviamo nell'Antropocene, dunque è giusto che l'uomo (inteso come io-soggetto) sia al centro dell'universo. Lo sono del resto anche gli schizofrenici e i paranoici: pensano di essere il fulcro di tutto, e che ogni minimo evento avvenga in virtù loro, o per danneggiarli tremendamente...

Ammesso e non concesso che un autore non possa scriversi una lettera di presentazione da sé (soprattutto quando è troppo impegnato a sfornare romanzi), perché dovrebbe prendersi la briga di farlo, quando, tra tanta indifferenza, tra tanto impassibile disinteresse ("Bello!", "Bravo!": nessuno sciupio di parole; oggidì non abbiamo solo un problema di incompetenza a tutti i livelli, ma anche di trasporto dello spirito e di sincerità mancanti), c'è ancora chi, come me, si mostra altruista, disponibile, forse caritatevole?



Ho ricordato all'amico di essere un fresatore CNC, e dunque occupato anche sul versante del "volgare" lavoro; ma ho paura che alla fine pure quest'altra lettera dovrò produrgliela io.
Un ennesimo week end aggrappato all'orlo di un dirupo di noia.


venerdì, maggio 18, 2012

Ora su Amazon - 'Transits'

 Un giovanotto viene assunto in una ditta importante ("la" ditta, ormai...) e deve confessare a se stesso di non meritarsi tanto onore. Tanto più che non sa proprio che fare, dentro a quel comodo ufficio che gli hanno assegnato con, nella stanza accanto, una splendida segretaria personale. Così, comincia a esercitarsi con i videogiochi...   L I N K

Per chi volesse leggere (gratis) la versione alleggerita, e duque non il romanzo bensì il suo "imprinting", ovvero la novella Transits in versione .html, il link è questo.

domenica, gennaio 22, 2012

Addio al grande Consolo



Viveva a Milano dal 1969, ma è sempre rimasto un siciliano doc, uno di quei siciliani profondamente dediti alla cultura e all'impegno civile e che non possono perciò non odiare la mafia. Nei suoi libri, raccontava la Sicilia che non si rassegna, ma, direi, soprattutto la Sicilia già rassegnata (leggasi ad esempio le splendide ma anche dure pagine su Palermo in 'Le pietre di Pantalica') e, fin dalla pubblicazione de 'Il sorriso dell’ignoto marinaio' (suo secondo romanzo: quello che lo consacrò nel Parnaso dei nostri maggiori scrittori), è stato amato e riverito anche dalla critica - almeno da quella non compromessa con l'imprenditoria qualunquista e fascista, anzi 'sfascista'. Eh già, perché Vincenzo Consolo, nato a Sant'Agata di Militello (Messina) nel 1933, era uno di quegli intellettuali "scomodi" che scelgono di stare dalla parte delle classi non privilegiate; non a caso, aveva iniziato la carriera lavorando nel quotidiano palermitano 'L'Ora', foglio che fu portavoce appunto di quelle classi e che più tardi, nel capoluogo cementificato a morte, sarebbe stato costretto a dichiarare fallimento.


"Palermo è una Beirut distrutta da una guerra che dura ormai da quarant'anni, la guerra del potere mafioso contro i poveri, i diseredati della città. La guerra contro la civiltà, la cultura, la decenza." ('Le pietre di Pantalica')

Consolo osservava i poveri, gli umili; indagava, li studiava... così come studiava la lingua italiana, di cui salvò le forme e i vocaboli più eleganti. Si dice - e ne ha accennato lui stesso - che prediligesse lavorare più sulla prosa che sull'invenzione narrativa; ma il suo italiano, magistralmente incastonato di sicilianismi e aulismi, evoca immagini di forza tale ('Retablo', 'La ferita dell'aprile', 'Di qua dal faro'...) da risultare esse stesse narrazione, tasselli di un mosaico che forse non sono proprio romanzo 'tout court', ma non corrispondono neppure all'antiromanzo. E' sempre il cronista, il giornalista, a trasparire dalle sue pagine. Del resto, Consolo amava attingere dalla realtà e, nei suoi libri, anche quelle che possono sembrare invenzioni fantastiche sono in verità fatti di cronaca, piccoli avvenimenti quotidiani, grandi momenti storici celati in polverosi diari che la sua intelligenza investigativa riusciva a scovare. Al contrario di Verga e dei veristi, lui credeva nella Storia e nel suo potere educativo; la Storia come paradigma morale e bussola per l'uomo moderno, non come arido assemblamento di vicende stantìe. In un'intervista rilasciata alla RAI, asserì: "Soltanto la letteratura può trattare, oltre che dell'aspetto storico, anche dei sentimenti dell'uomo, delle passioni..."
La letteratura: sua grande passione fin da bambino. Amava Pirandello e Sciascia, era un esperto di Verga, Tomasi di Lampedusa e Vittorini, ma conosceva anche i non-siciliani: Alberto Moravia (incontrato personalmente a Lipari) e, 'in primis', Italo Calvino. Mentre gli intellettuali del Gruppo ’63 proclamano la necessità di rompere i nessi semantici e quelli sintattici, Consolo accoglie il suggerimento etico e razionalistico di Calvino di “dare ordine al caos”; opta sì per una sperimentazione, ma per una sperimentazione che, appoggiandosi alle radici della lingua, riesca a impregnare di 'lirismo' anche le circostanze e gli eventi più squallidi.
A Milano si trovava per lavoro: faceva il giornalista alla RAI e poi - o durante - il consulente editoriale della casa editrice Einaudi; ma lui la metropoli lombarda l'aveva conosciuta in precedenza, avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica. Si può affermare che fosse uno dei tanti siciliani emigrati; con loro, condivideva il "destino d'ogni ulisside di oggi": quello di "tornare sovente nell'isola del distacco e della memoria e di fuggirne ogni volta, di restarne prigioniero..." Cercava in Sicilia, anno dopo anno, decennio dopo decennio, il segno di un cambiamento, di un miglioramento... ma invano. La regione natìa, per quanto bella, sembrava - e sembra - vittima dell'incantesimo di una malvagia Circe...

Due episodi emblematici dalla sua vita: nel 1993, fresco di Premio Strega (lo ha vinto con 'Nottetempo, casa per casa'), dichiarò di voler fare le valigie e abbandonare Milano se mai il leghista Marco Formentini ne fosse diventato sindaco. Altre polemiche suscitò il suo rifiuto, nel 2002, di recarsi al Salone del Libro di Parigi, dove l'Italia era Paese ospite, poiché non voleva "rappresentare un governo [quello Berlusconi] che non ha nulla a che spartire con la cultura". Insieme a lui, si rifiutarono Umberto Eco, Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri.

Stanco di fare la spola tra Nord e Sud, Vincenzo Consolo aveva dichiarato recentemente che gli sarebbe piaciuto tornare per sempre sull'isola dov'era nato.
Desiderio rimasto incompiuto: lo scrittore si è spento ieri a Milano. Aveva 78 anni.

«Barone, ma a chi sorride quello là?», chiede il servitore Sasà al Barone Mandralisca, indicando la tavola riproducente il "Ritratto di ignoto" di Antonello da Messina.
«Ai pazzi allegri come voi e me, agli imbecilli!»

(Da 'Il sorriso dell'ignoto marinaio')

sabato, maggio 21, 2011

Il siciliano nelle scuole trinacre

Ormai siamo al puro delirio

Considerazioni di un italianista militante


Secondo i miei ricordi e secondo mie esperienze recenti, la scuola dell'Isola è già troppo pregna di siciliano e sicilianismi; persino tra di loro gli insegnanti parlano in vernacolo... Tutto e tutti tradiscono uno sviscerato e pericoloso attaccamento al dialetto e ai luoghi atavici: e ciò ancora nel Terzo Millennio!
Già da bambino individuai in questa scarsa voglia di apertura cultural-linguistica, in questo monomaniacale guardarsi l'ombelico, i gravi mali che affliggono la società trinacra; in primis, la mafia, e dunque il Trionfo degli Imbecilli (con tutta la violenza e le ingiustizie che ne conseguono).

Noi abbiamo un tesoro prezioso e inesauribile: la lingua italiana. Con "noi" intendo "noi siciliani", ma non solo. Abbiamo questo stupendo dono della Storia che accomuna tutte le regioni dalle Alpi in giù: quindi, se proprio vogliamo regalare ai nostri figli un idioma, che sia quello nazionale! Tanto, i ragionalismi e le febbri di campanilismo affioreranno sempre (purtroppo) nelle più banali parentesi di quotidianità.
Stuoli di poeti e scrittori hanno contribuito per foggiare una delle più belle e suggestive lingue al mondo: approfittiamone! Non abbiamo che da attingere a piene mani da tale mucchio d'oro dolce.

La politica sembra essere uscita completamente fuori di testa. La legge appena varata dall'Assemblea Regionale sembrerebbe un diretto suggerimento di pupari iniqui, dei soliti manovratori occulti. Qui si vuole ancora proteggere "l'onore della famiglia" e salvaguardare le "cose nostre" mentre la realtà sociale va a scatafascio - per tacere dell'ecoambiente ormai rovinato. Se è questo il risultato di ère di "governo" di cosche mafiose, conviene affidarsi a... ben altri Santi.
Anche per ciò, concordo con Vincenzo Consolo:
"Ormai siamo alla stupidità. Una bella regressione sulla scia dei lumbard. Che senso hanno i regionalismi e i localismi in un quadro politico e sociale già abbastanza sfilacciato? Abbiamo una grande lingua, l'italiano, che tra l'altro è nata in Sicilia: perché avvizzirci sui dialetti? Io sono per la lingua italiana, quella che ci hanno insegnato i nostri grandi scrittori, e tutto ciò che tende a sminuirla mi preoccupa".

Da parte mia, propongo agli amici siciliani addirittura di elevare l'italiano a un'ideale arma contro la volgarità e i mafiosismi, facendo del lessico nazionale una sorta di shibolet, ovvero di marchio di riconoscimento; un metodo portentoso per sciogliere le incrostazioni calcaree che bloccano la nostra bella isola impedendole di spiegare le vele.

Certo però che per iniziare veramente a diffondere l'italiano nelle scuole (ma anche l'inglese! L'inglese è importantissimo; dovrebbe essere la nostra seconda lingua...) avremmo bisogno di insegnanti capaci; insegnanti aperti, con alle spalle esperienze di viaggi e soggiorni al Nord e magari anche all'estero, tanto da aver sviluppato una coscienza civile e politica. Ed è qui - mi suggeriscono i miei tremuli ricordi -, è in questa carenza, nei posti-chiave, di anime e spiriti o, se volete, di intelletti, che risiede l'autentico cruccio della Sicilia.



Leggete anche l'articolo apparso su Repubblica: "Il siciliano si studierà a scuola -
Ma gli scrittori bocciano la legge"



venerdì, febbraio 27, 2009

L'Ombra sulle spalle di uno scrittore tedesco

E' un celebre giallista coinvolto lui stesso in un giallo. Veit Heinechen, 52enne tedesco che vive a Trieste, da più di un anno viene perseguitato da un'"Ombra" che lo diffama con telefonate e lettere intimidatorie.
14 mesi di incubo, in cui lo scrittore deve farsi dare del "pedofilo" senza poter reagire. Non tutti gli scritti sono indirizzati a lui: anzi, la maggior parte vengono recapitati a giornali, locali gastronomici e associazioni varie (persino a gallerie d'arte...). Evidentemente, qualcuno vuole che Heinechen si arrenda, che la sua disperazione diventi più grande dell'amore che nutre per Trieste (di cui si innamorò negli Anni Ottanta, decidendo prontamente di trasfervisi).



Ma perché? Quale può essere il motivo di tanto astio?
Veit Heinechen è l'autore della serie sul Commissario Proteo Laurenti, salernitano trapiantato a Trieste; in Germania un successo quasi senza precedenti, sulla scia di quello ottenuto dall'americana Donna Leon con il suo Commissario Brunetti (i casi di Laurenti - da I morti del Carso a Le lunghe ombre della morte -, come quelli di Brunetti, sono diventati una serie televisiva).
Forse al "Corvo" non è piaciuta qualche inchiesta di Laurenti/Heinechen che ha scavato un po' troppo a fondo nei fatti reali della città tra il Carso e l'Adriatico?
E' presumibile che l'anonimo persecutore sia un vero psicopatico, ma non uno qualsiasi (va considerata la sua maniera colta di esprimersi). Forse è un politico che non digerisce la schiettezza di Heineken. Il tedesco infatti ci è andato almeno una volta duro con la classe politica triestina. Sulla rivista dell'aeroporto di Lubiana, è apparso un suo articolo in difesa dei diritti della minoranza slovena e dove tra l'altro si legge: "A Trieste trovi i peggiori politici italiani".
Il che corrisponde al vero, ma la reazione è stata violenta. "Spieghi piuttosto come mai è venuto in Italia" ha detto il sindaco di Forza Italia Roberto Dipiazza. E il sottosegretario di AN Roberto Menia ha tuonato: "Smetta di pontificare, perché noi non siamo bambini!"
A quel punto, ancora non si sapeva ufficialmente nulla dell'Ombra che era scesa sulla vita di Heinechen.


E' nella natura degli psicopatici disseminare varie tracce che fanno parte di un loro piano o disegno segreto. E così una volta, il mist,erioso tormentatore indirizza al tedesco queste parole: "Egregio Heinichen, anni fa hanno ucciso Arnaldo Franceschino, un mio amico". E lo invita a indagare sul caso.
Non è fantasia. E' cronaca. Il 13 ottobre 2000 un ispettore in pensione venne trovato ucciso a martellate in una dolina fuori Trieste. Era sparito 8 mesi prima. Vedovo, partecipava alla vita politica locale. L'indagine venne archiviata. "Hanno insabbiato" scrive l'Ombra "ed io so perché. Per anni sono andato via da Trieste, ma ora sono tornato e voglio sollevare il discorso". In un'altra missiva c'è un riferimento preciso alle misteriose telefonate estere (Pakistan, Siria, Libano, Romania e Olanda) fatte da Franceschini nella sua ultima notte. Un dettaglio che in pochi conoscono... Indagine riaperta!
Ma Heinichen non crede a questa pista. "Secondo me è un diversivo, l'Ombra è astuta".


Astuta, sì, e sembra avere una predilizione per i mysteries scritti dalla vita vera. Infatti, in un'altra lettera accenna ad Alessandro Moncini.
Moncini, imprenditore triestino, ex pilota di rally, rotariano, massone (il suo nome era nelle liste della P2), presidente dell' Automobile Club della provincia, ex-vicepresidente della Triestina calcio, titolare di un negozio di gomme nel centro, è stato accusato e condannato negli Stati Uniti per avere violato il Child Protection Act; l'uomo è reo confesso di aver spedito dall'Italia agli Stati Uniti materiale pornografico avente per soggetti bambini. Arrestato al suo arrivo a New York, ha scontato un anno di reclusione nel penitenziari di Anthony, Texas.


Come mai il serial writer fa riferimento a questi casi? Vuole per davvero che Heinechen se ne occupi?


Comunque sia, il Corvo non smette mai di denigrare pesantemente lo scrittore della Selva Nera. Nelle sue missive anonime (con testo battuto al computer e indirizzo scritto a mano), Veit Heinechen viene dipinto come un pericoloso pedofilo, scappato a Trieste dopo aver subito in patria - "a Francoforte" - un processo per abusi sessuali ai danni di alcuni minori.


L'unica arma di difesa a dispozione di Heinichen appare la denuncia contro ignoti per calunnia. Una mossa che spinge innanzitutto gli investigatori della Mobile e il Pubblico Ministero Lucia Baldovin ad indagare sulle accuse del Corvo, rivelatesi tutte assolutamente infondate e inconsistenti, e a spostare poi il tiro sull'identità del serial writer.
Prendono così il via le ricerche nel giro di amicizie triestine dello scrittore. Gli inquirenti passano al setaccio la vita di conoscenti, colleghi e vecchi "compagni di bevute", arrivando alla fine a individuare alcuni sospetti. In particolare, un uomo con cui Heinichen aveva troncato i rapporti diversi anni fa per via di alcuni comportamenti giudicati poco trasparenti.


Resta comunque forte il dubbio che l'Ombra / il Corvo sia soltanto un pesce piccolo. L'unica congettura che noi riteniamo realistica è quella di un politico triestino (non per forza direttamente noto a Heinechen) con forti tendenze nazionalistiche e pseudoreligiose, e più di uno scheletro nell'armadio.





Link correlato:

Heinechen fa l'identikit dell'Ombra

mercoledì, febbraio 11, 2009

LIANA BURGESS

in memoria

Nel suo "obituary", il Liverpool Daily Post ricordò quanto Liana fosse addolorata per la morte del marito, avvenuta nel 1993 per cancro ai polmoni, e per quella del figlio, spentosi nel 2002 a soli 37 anni. Liana Burgess, traduttrice e agente letteraria, si chiamava in realtà Liliana Macellari e, dopo una vita trascorsa a fuggire dall'Italia ("e dal Vaticano"), è andata a morire proprio nel suo Paese natìo, in quel di Sanremo.

Io e Liana

Nel 2000 ebbi la sorpresa di essere contattato da "Mrs. Burgess", la vedova italiana del romanziere Anthony Burgess, al quale avevo dedicato una monografia online. Al nostro scambio di e-mails si aggiunsero le telefonate. Era sempre lei che telefonava, e lo faceva non solo per chiedermi consigli su editori, studiosi e università cui potersi rivolgere per continuare a propagare l'opera del marito, ma anche per conoscere il mio parere sulle traduzioni in tedesco di romanzi e saggi burgessiani. A questo proposito potei rassicurarla: "Qui in Germania hanno sempre fatto un ottimo lavoro. I libri di Anthony non sono stati affatto maltrattati; anzi! La traduzione di Earthly Powers [Gli Strumenti delle tenebre], ad esempio, è un capolavoro a sé".
A volte mi chiamava da Londra, altre dal Principato di Monaco. Erano telefonate che potevano durare addirittura ore, ed era quasi sempre lei a parlare. Parlava soprattutto dei libri del marito, ma le piaceva anche riferirmi particolari su come passava i giorni, o quali programmi televisivi seguiva (amava la serie Un medico in famiglia) e quali fossero i suoi pensieri sulla situazione politica del Belpaese.
"Io mi considero una fuggitiva" mi disse a più riprese.
Ce l'aveva a morte con gli editori, soprattutto con quelli nostrani, i quali, a suo parere, non erano in grado di apprezzare i lavori di Anthony. Spesso appariva in stato confusionale, ma quando le capitò la disgrazia di perdere anche l'amato "Andrea" (Andrew Burgess Wilson), divenne laconica, non trovava le parole. Pur attraverso il telefono, la sua afflizione era palpabilissima. Come potere infondere coraggio a una Mater dolorosa?
Infatti: è impossibile.
E a questa donna dall'animo spezzato io preferivo di gran lunga la Liana di prima: nevrotica e vivace, sempre alla ricerca di una casa editrice seria che non lasciasse cadere nel dimenticatoio le opere dell'uomo al cui fianco era stata per un quarto di secolo.
Nel 2001 io e mia moglie andammo a New York e, seguendo il consiglio di Liana, ci spingemmo fino ad Harlem, esplicitamente per vedere la casa in cui Anthony Burgess aveva abitato quando era guest professor all'università di NY. Il palazzo sembrava ora popolato unicamente da latinos. Scattammo alcune foto per mandarle a Liana, che le apprezzò tantissimo. Un'altra volta ci recammo al Principato di Monaco ma, per qualche ragione, non le facemmo visita. Ignoravamo del resto se lei fosse veramente lì oppure se a quell'indirizzo avessimo trovato soltanto la sua segretaria e collaboratrice, la fedele - e paziente! - Caroline Langdon Banks (la stessa Caroline che frequentemente mi telefonò e mi scrisse e-mails pregandomi di mettermi in contatto con "Mrs. Burgess"). Nella sua innata irrequietezza, Liana era solita fare la spola tra i suoi due principali luoghi di residenza ed era arduo starle dietro.
Negli ultimi tempi aveva preso ad alloggiare sempre più spesso a Londra, in un quartiere felicemente multiculturale. Probabilmente nella capitale inglese si sentiva molto più a proprio agio che altrove. Il suo appartamento londinese era piccolo ma confortevole e lì lei era circondata da pile di giornali (non li buttava mai via!) e da piccole comodità domestiche che a Montecarlo non esistevano o che avevano un costo proibitivo.
Non raramente la sentii lamentarsi del lusso e dei fasti che nel minuscolo Stato monegasco è quasi un obbligo sventolare, e almeno una volta all'anno si sentiva oltremodo disturbata dai clamori del Gran Premio di Formula Uno. No, meglio Londra, quindi, dove c'era un ragazzo pakistano che la aiutava a usare il computer e dove, appena dietro l'angolo, spuntavano come funghi i negozietti alimentari, che sono sempre un bel vantaggio per una persona ultrasettantenne non più agile sulle gambe.

Insieme iniziammo un progetto per un "running commentary" dell'esilarante Honey for the Bears, quel resoconto romanzato di un viaggio nell'URSS (l'impero comunista russo) che Anthony compì insieme alla sua prima moglie e che gli servì tra l'altro per forgiare il "nadsat", lo slang che viene parlato dai protagonisti di Arancia meccanica. Però, come molte altre idee scaturite dal vulcanico cervello di questa donna, il progetto rimase incompiuto.
A proposito di Russia: la stessa Liana si aggregò a una comitiva turistica e andò a visitare San Pietroburgo, non mancando di inviarmi alcune foto di quel suo viaggio.

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Honey for the Bears era uno dei romanzi del marito che lei avrebbe voluto rilanciare e che, per le oscure leggi che governano l'editoria mondiale, continuava invece a vivere nel limbo delle opere a rischio d'oblio.
Fu comunque certamente grazie ai suoi sforzi che altri romanzi di Anthony Burgess vennero ristampati: Il seme inquieto, Enderby, L'uomo di Nazareth, la Trilogia Malese, almeno uno dei lavori di lettura critica dell'opera di James Joyce, tutte le rivisitazioni - romanzesche e saggistiche - della vita di Shakespeare, ecc.

Nel 2002, una telefonata desolante: la signora Burgess, questa donna altrimenti così fiera, di nobili origini (portava il titolo di "contessa"; apparteneva alla casata della Pergola e vantava una discendenza da Attila, re degli Unni) ma che aveva sempre nutrito principi sinistrorsi, si dolse con me della morte dell'unicogenito. Dalla sua voce, ma anche dai suoi inediti silenzi, capii che si trovava ancora in stato di choc. Io medesimo non avevo quasi parole di conforto. Le chiesi ad ogni modo come Andrew fosse deceduto, e non ottenni risposta. Suicidio? Rimase una questione mai chiarita; persino i migliori biografi di Anthony Burgess (e di Liana) non l'hanno ancora risolta.


[Nota aggiuntiva: la versione ufficiale parla di emorragia cerebrale, io l'ho appreso solo molto dopo aver compilato le presenti righe.]


Da questo tragico evento in poi, le sue telefonate iniziarono a diradarsi. Io non potevo biasimarla, naturalmente, e nei pochi anni che seguirono Liana fu sempre più avvolta dalle nebbie di una disperata pazzia: pareva che, insieme al suo corpo, le si rimpicciolissero anche anima e mente.
Quando a metà del 2008 appresi, spulciando l'archivio di The Guardian, che Liana Burgess si era spenta nel dicembre 2007, stavo ancora piangendo per la morte di mio figlio adottivo (Andreas Grassl, 6/10/1975 - 24/11/2007), e solo a poco a poco la portata di quest'altra notizia funerea poté penetrare nel mio spirito, facendomi molto riflettere sui casi della vita (Andrew / Andreas; novembre 2007 la dipartita di Andreas / e dicembre 2007 quella di Liana...). Non fu un caso neppure il fatto che avessi saputo della morte di Liana con mesi di ritardo: questa donna, da molti giudicata "invasiva", in realtà visse sempre all'ombra dei suoi due mariti (il primo, Benjamin Johnson, era un afro-americano che tradusse tra l'altro i racconti brevi di Italo Svevo). Non le mancavano le qualità intellettuali, ma a dispetto del suo carattere ribelle - "fui una delle prime femministe" - finì per ricoprire il ruolo di brava consorte, facendo sì che Anthony Burgess ci regalasse alcune tra le sue opere migliori.


Tappe di un amore

Quando la cirrosi epatica si portò via Lynn (vero nome: Llewela), ovvero la moglie gallese di Anthony Burgess (i due andavano a ubriacarsi nei pub e lei lo tradiva volentieri), lo scrittore, vedovo ma non più disperato (il film di Stanley Kubrick Arancia meccanica lo rese ricco e famoso), si ritrovò padre: davanti a lui si presentò infatti un'italiana con la quale aveva trascorso una sola notte d'amore, tale Liliana o Liana, Contessa de' Macellari (al secolo poi divenuta Liana Burgess), sposata Johnson e in attesa di ottenere il divorzio dal poeta-traduttore di estrazione caraibica. La giovane donna fece conoscere ad Anthony uno scricciolo di tre anni, Andrew o Andrea, dicendogli appunto che trattavasi del loro "spermium", insomma del frutto dell'unica notte che avevano trascorso insieme.
Lo scrittore inglese acconsentì subito di provvedere ai bisogni del bambino e, anzi, dato che la propria vita era sempre stata un caos, si disse d'accordo a una convivenza. Fu però subito palese che non sarebbe certo stata Liana a rimettere ordine all'esistenza di Anthony: lei stessa conduceva una vita tutt'altro che borghese... Ma il pregio di Liana era proprio quello di essere una donna esuberante e combattiva, nonché dotata di un grande senso pratico; ed ecco che si siede al volante di uno sgangherato camper e, insieme al tranquillo, sedentario Anthony e al piccolo e sempre agitato Andrew, inizia un pellegrinaggio attraverso l'intera Europa. Lo scopo dichiarato è quello di sfuggire al terribile fisco britannico (cosa che in quegli anni facevano tanti; vedi i Rolling Stones, che erano andati a rifugiarsi nella Costa Azzurra). I tre abiteranno a Malta, in Italia, in Francia, in Svizzera e negli USA e più esattamente a New York (dunque non solo in Europa, a conti fatti!), approdando infine nel Principato di Monaco. Nell'autobiografia You've Had Your Time, Burgess decanta i pregi della sua nuova moglie pur crucciandosi nel contempo di non trovare il tempo di scrivere. Ma Liana fa di tutto per togliergli di dosso gli impacci della quotidianità e, in effetti, anche negli ultimi trent'anni della sua vita lo scrittore sarà prolificissimo, producendo tra l'altro quello che secondo me è il suo autentico capolavoro, ovvero Gli strumenti delle tenebre (noto anche come I poteri delle tenebre).
In un certo qual modo, grazie alla moglie italiana Burgess raggiunse una dimensione felice, anche se non si può propriamente definirla una "felicità equilibrata", dato lo stile di vita. Fu molto attivo e sempre più spesso veniva invitato nei talk shows, dove dava spettacolo facendo mostra di tutta la sua cultura e dove si lanciava in aspre polemiche soprattutto contro il protestantesimo.

Paolo Andrea Macellari, poi divenuto Andrew Burgess Wilson, e quindi il pargolo cresciuto a rimorchio di tale coppia zingaresca, felice sicuramente lo fu soltanto nei primissimi anni. Costretto a imparare in fretta i prodromi di diversi idiomi (inglese, italiano, maltese...), conobbe la situazione dell'emarginato; dovunque andasse, veniva considerato uno straniero e come tale trattato. Negli ultimi anni lo ritroviamo in Scozia con il classico 'kilt' a suonare in un'orchestra classica; fu, quello, un tentativo estremo di appigliarsi a una "patria" (dalla Scozia provenivano gli avi del presunto padre) e di crearsi un'arte. Similmente a molti individui fondamentalmente apolidi, gli mancava la sicurezza, e morì "nel mezzo di sua vita"; qualcuno dice per una malattia, altri giurano sul suicidio...

["Emorragia cerebrale".]

 
Ad Anthony Burgess, andatosene prima di lui, fu dunque risparmiata la sofferenza per la morte di un figlio. Diciamo "figlio" anche se i dubbi sulla paternità sono giustificati: Andrew era di carnagione piuttosto scura, un particolare già ampiamente trattato in un paio di biografie "cattive" sullo scrittore (Liana era particolarmente arrabbiata per quella di Roger Lewis, che tra l'altro sostiene che il vero papà di Paolo Andrea fosse Roy Lionel Halliday, un insegnante, ex compagno della donna).


Chi era Liana
(biografia semi-stereotipata)

Liliana Macellari (nata a Porto Civitanova nel 1929) tradusse due opere di Thomas Pynchon (V e The Crying of Lot 49) e altrettante di Anthony Burgess (Malayan Trilogy e The End of the World News). Aveva inoltre in cantiere un'ambiziosa traduzione del Finnegans Wake di Joyce, da lei reintitolato pHorbiCEtta, e per anni coltivò la fotografia, altra sua grande passione.
In primis però curò la parte contrattuale dei lavori del marito, riuscendo a fargli avere alti compensi dai giornali che pubblicavano le sue recensioni e i suoi essays, nonché negoziando con i responsabili delle case editrici che, come abbiamo già visto, lei riteneva "una banda di ladri". Si calcola che, dopo la morte di Anthony, possedesse circa 3 milioni di dollari (grazie anche agli accordi con produttori cinematografici), oltre a una decina di case sparpagliate per il continente europeo. Parte delle ricchezze le donò all'Anthony Burgess Center dell'Università di Angers, in Francia, e all'International Anthony Burgess Foundation di Manchester (città dove lo scrittore era nato).
Lewis riferisce che Anthony Burgess spesso non aveva un solo centesimo in tasca e che ignorava l'ammontare del proprio conto bancario ("He never knew how much money he had in the bank and often had not a dime in his pocket"), ma non è strano né raro che gli artisti lascino alla propria dolce metà il compito di occuparsi delle finanze.

L'affaire tra Liana e il fantomatico Roy Halliday era sbocciato a Roma. La coppia si trasferì a Londra e lui annegò durante una regata sull'Atlantico. La donna ebbe poi a dichiarare che l'unica cosa rimastele da quella storia fu la macchina da scrivere di Halliday.
Sposò John Wilson (che scriveva sotto lo pseudonimo Anthony Burgess) nel 1963. Si erano conosciuti quando lei lo contattò perché incaricata dalla Bompiani di compilare un almanacco di letteratura inglese. Dopo aver letto A Clockwork Orange e Inside Mr Enderby (quest'ultimo firmato da Burgess con il nom de plume Joseph Kell), credette di avere scoperto due nuovi autori geniali. E scrisse entusiasticamente ad entrambi, scoprendo, con grande stupore, che si trattava di un'unica persona.
Si diedero appuntamento in un ristorante di Chiswick e ben presto si innamorarono. "Ero in realtà innamorata delle sue opere" ebbe a dire Liana. "Anthony non era precisamente bello..."
Lo scrittore era restio ad abbandonare Llewela per non urtare la suscettibilità di suo cugino George Patrick Dwyer, arcivescovo cattolico di Leeds. Intanto (nel 1964) nasceva Paolo Andrea, all'insaputa di Anthony.
Nel '67, Liana divenne docente del King's College di Cambridge, e in quel periodo tradusse Pynchon.
Il gossip storico ci dice che lei poté rivedere Burgess solo dopo la morte della moglie di questi (marzo '68). Gli presentò il bimbo e sei mesi dopo erano marito e moglie. Liana aveva 38 anni, lui 53.
Determinati a non pagare le tasse (i professionisti erano costretti a dare il 90% dei loro proventi al fisco britannico), Anthony e Liana, con Andrew a rimorchio, iniziarono la loro odissea a bordo del vecchio e assai malandato Bedford Dormobile. Al volante c'era lei, mentre Anthony stava sul retro a scrivere romanzi e copioni cinematografici (uno di questi fu il Gesù di Zeffirelli).
Dopo un soggiorno nell'ostile - perché malata di bacchettonismo - isola di Malta, cominciarono un tour americano che durò quattro anni e li portò in svariate università. Burgess fu ospite tra l'altro di quelle di Chapel Hill, Princeton e del City College di New York.
Gli acquisti di case (per lo più semplici appartamenti) a Roma, Malta, Bracciano, Callian (sulla Riviera Francese), Siena, Lugano, Twickenham, Londra-centro e Monaco rappresentavano, nelle intenzioni di Liana, un modo sicuro per investire il denaro. Dietro alla sua anticonvenzionalità esisteva, dunque, una formale praticità.
Dal 1975 lei divenne ufficialmente l'agente letteraria per l'Europa di Anthony Burgess. Ma non era brava solo a contrattare: a testimoniare la sua bravura di traduttrice c'è il Premio Scanno, che le venne assegnato per la sua ingegnosa versione italiana della Trilogia Malese. Tradusse inoltre, dal romanesco all'inglese, molti sonetti di Giacchino Belli (poeta di cui Burgess era ammaliato); molti di quei versi sono stati inseriti in Abba Abba, libro di Anthony Burgess.
Nel 1977, è la stessa Liana che si trasforma in una figura romanzesca: la troviamo infatti in Beard's Roman Women nei panni della seducente e combattiva fotografa Paola Lucrezia Belli.

Diventata vedova, fece di tutto per promuovere non soltanto i libri ma anche la musica di Anthony: un'attività che la sorresse nel lutto. Ma poi arrivò anche la perdita dell'unico figlio e dal suo volto minuto svanì l'ultimo barlume di sorriso.
Morì di cancro ai polmoni (come il marito) il 3 dicembre 2007, a 78 anni.

mercoledì, gennaio 21, 2009

Novità editoriale

Tristan Corbiére: Gli amori gialli

Edizioni del Foglio Clandestino

(Tomo I)

300 copie numerate, 15 €
ISBN: 978-88-902114-3-0

Traduzione di Luca Salvatore condotta sull'originale del 1873, conservandone punteggiatura e ortografia.

Come Verlaine ebbe a dire nella prima serie dei suoi ritratti ‘assoluti’ apparsi nel 1883: “Tristan Corbière fu Bretone, uomo di mare, e lo sdegnoso per eccellenza, aes triplex. Bretone, cattolico che prova poco la sua fede, ma credente ossessionato; marinaio senza averne la spocchia e soprattutto la sete insaziabile, ma votato furiosamente al mare che solcava solo quand’era in tempesta, incredibilmente focoso sulla più focosa delle cavalle. (Di lui si raccontano prodigi d’imprudenza folle). Incurante del Successo e della Gloria al punto da avere l’aria di sfidare quei due imbecilli, senza mostrargli un briciolo di pietà!
Passiamo sopra l’uomo, che fu grandissimo, e parliamo del Poeta. Come rimatore e come prosodista non ha nulla d’impeccabile, cioè a dire di disgustoso. […] Gli impeccabili, quelli sono… un po’ di tutto. Legno, legno e nient’altro che legno. Corbière era fatto di carne ed ossa, semplicemente”.


Tristan Corbière (1845-1875) è autore di un unico libro, Les Amours jaunes, pubblicato a spese del padre dai fratelli Glady nel 1873, passato quasi del tutto inosservato. Morì a Parigi, appena trentenne, d’artrosi e tisi.
Le Edizioni del Foglio Clandestino ripropongono quest’opera ironica e graffiante (ora il tomo primo) in edizione numerata di 300 copie. Testo originale a fronte.



LINK alle Edizioni del Foglio Clandestino

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venerdì, ottobre 10, 2008

Ferrara Edizioni: numero 'Aleph' di una nuova collana

Pubblicato il primo numero di Inside GHoST



La Ferrara Edizioni annuncia l'uscita del volume "Aleph" (o numero zero) della collana "Inside GHoST".


Dopo oltre dieci anni di attività prevalentemente dedicata al fantastico, Club GHoST (ora fuso con l’Associazione Culturale Area 31) insieme a Ferrara Edizioni lancia il progetto Inside GHoST, una speciale collana editoriale dai contenuti misti (narrativa e saggistica in primo luogo) correlata sia al portale ePress che ai concorsi organizzati da Area 31 e Ferrara Edizioni.

Da un’idea originale di Massimo Ferrara, Inside GHoST pone come obiettivo principale quello di realizzare agili volumi dai contenuti più svariati, dei libri in sostanza che come argomenti non si limitino alla sola narrativa ma che offrano anche qualcosa di più tra saggistica, poesia, recensioni, dossier, figurazioni, ecc. Oltre al cartaceo poi il progetto Inside GHoST attraverso il portale ePress mette a disposizione ulteriori contenuti extra che potranno essere consultati da coloro che acquistano i volumi originali della collana.



Fuori dunque Aleph, il primo numero presentato in esclusiva da Peter - franc’O’brain - Patti:

 


A volte, ascoltando un pezzo musicale, sentiamo la nostra anima "involarsi". O, come scrisse Edgar Lee Masters in 'Francis Turner' (nell'Antologia di Spoon River): "Mentre la baciavo con l'anima sulle labbra / l'anima d'improvviso prese il volo." Volenti o nolenti, in questi speciali momenti ci ritroviamo (tele)trasportati in una dimensione alia, in un differente cosmo, e nella nostra mente si affaccia un quesito: "Che cos'è più reale: la presunta realtà o ciò che appare come una fola, un puro prodotto di fantasia?"





domenica, ottobre 05, 2008

Il precario

La ruota gira, gira, gira... Sopra c'è il cielo di un blu ellenico, segato dalla 'silhouette' di un uccello che stride; sotto ci sono fili d'erba elettrici, e anch'essi stridono. E la ruota gira, gira...

Quel giorno, uscendo, Vanz [Venanzio] ebbe un trip bestiale: vide gente attaccata a strani aggeggi, forse minicomputer con cuffie. Non capì. Probabilmente non avrebbe mai capito. Uguale se si trattava di apparecchi comunicatori o per la ricezione di musica: lui non avrebbe mai permesso che il suo cervello venisse shakerato da tanto elettrosmog in una sola volta. Aveva, del resto, altri problemi. Ma non era il solo, come gli suggerì il suo trip: altri si affrettavano verso un appuntamento non dissimile da quello verso cui lui stava andando, in un qualche ufficio-sgabuzzino del Centro Controllo Lavoro. Alcuni - i più, in verità - gironzolavano a coppie o a gruppi, fermandosi ogni tanto di botto per tirare fuori l'aggeggio portatile e gettare uno sguardo al display.
Mentre raggiungeva l'automobile, Vanz si volse indietro: aveva l'impressione che qualcuno lo pedinasse, e che quel qualcuno non potesse essere altro che il suo amico o presunto tale Dario. Si fermò addirittura per scrutare meglio tra le facce e non-facce, tra i corpi e gli ectoplasmi che affollavano le strade. Ma di Dario nessuna traccia. E perché poi l'amico o presunto tale avrebbe dovuto seguirlo? Lo ignorava. Presumibilmente la sua era solo paranoia, l'inizio di qualche forma di pazzia...
Entrò nel Centro Controllo Lavoro pensando a Dario, che tra l'altro abitava a due passi da lui, e a come Dario per anni avesse fatto il filo a Rosalba, prima che lei si decidesse a mettersi con Vanz. L'amico o presunto tale non sembrava averne fatto un dramma. "In fondo è una fortuna che stia con te anziché con qualche stronzo idiota" aveva commentato. In diverse occasioni erano persino usciti insieme, tutt'e tre, e Dario aveva riso e scherzato; per strada, in pizzeria... Parevano ormai secoli! Dario era sempre stato pronto ad accompagnarli in macchina qua e là... Aveva, insomma, allargato sui due innamorati le sue benevole ali, ali leporelline. Ma Vanz aveva notato nell'amico o presunto tale attimi di perplessità astio rancore. Quello lì aveva ali pipistrelline, piuttosto, altroché! Aveva colto, soprattutto negli ultimi tempi dell'idillio o presunto tale, sguardi sfuggevoli tra Dario e Rosalba...
- 45! - urlò la voce dell'impiegata.
Era il suo numero, ma non si mosse.
- Che c'è? Cos'hai? Stai male? - gli chiese qualcuno. Quel qualcuno, insieme ad altri individui presenti nella vasta, fredda sala d'attesa del CCL, Centro Controllo Lavoro, puntò gli occhi addosso a Vanz. Lui, che aveva bretelle stars-and stripes e un berretto con su scritto 'I love N.Y.', non diede risposta. Se ne stava sulla sua sedia a stringere tra le dita il bigliettino con il numero che avevano appena chiamato.
- Ma cos'ha? - chiese l'impegata facendo capolino dalla porta, rivolta agli altri disoccupati in attesa.
- La vita lo ha stancato - rispose un uomo sui cinquant'anni; lui stesso aveva un volto che esprimeva rassegnazione.
- Se è stanco, dovrebbe tornarsene a dormire - osservò la donna, acida. Poi ripeté, istericamente: - 45!
Vanz continuò a non muoversi.
- 46! - esclamò allora lei, e un altro disgraziato, sventolando il bigliettino corrispettivo, si mosse verso la porta aperta.
L'impiegata lo fece entrare e l'uscio sbatté.
Il cinquantenne sospirò, alzandosi. Pian piano, si avvicinò al pallido ragazzo che, tra i risolini, gli sbuffi e i commenti ironici dei vicini di sedia, proseguiva a fissare inespressivo la parete dirimpetto, tappezzata con poster dall'aria vagamente sovietica che reclamizzavano i vantaggi di questa o quell'altra scuola professionale. - Tutto bene? - gli chiese il cinquantenne, ponendogli una mano sulla spalla.
Vanz sembrò non udire. Ma avvertì il contatto di quella mano e, spettralmente, si sollevò e si incamminò verso l'uscita.
- Ehi, ma dove...?
Fuori era estate. Tanto sole e un leggero vento. La città brulicava di presenze variopinte. Soltanto la facciata del palazzo in cui era locato il CCL si innalzava grigia e cadaverica. Il ragazzo si trascinò come trasognato lungo un marciapiede in ombra, fino a raggiungere l'auto parcheggiata. Tirò fuori le chiavi da una tasca dei calzoni, aprì la portiera e, toltosi il berretto, si mise al volante. Per una buona mezz'ora l'auto seguì il traffico del centro; poi si lanciò a manetta sulla superstrada, con i finestrini laterali abbassati.
120... 140... Poteva andare più veloce? Veramente non lo sapeva. Veramente questa non era la sua macchina: gliel'aveva imprestata suo padre. E veramente gli era indifferente sapere quanto indicava il contachilometri: tanto, non sarebbe mai stato tanto veloce da poter riacciuffare i suoi sogni.
Oh, e che sogni! Aveva delirato di un mondo tutto verde con il cielo azzurro e il mare pieno di pesci, e una capanna su una scogliera, e dentro la capanna lui e Rosalba, oppure un'altra ragazza come Rosalba. Una vita tranquilla, sana e, sopra a ogni altra cosa, al sicuro dalla 'longa manus' dei potenti. Invece...
Invece era stato catturato dagli ingranaggi del sistema. Dopo aver interrotto gli studi universitari per non dover più sentire suo padre lamentarsi di quanto gli costava mantenerlo, si era adoperato per trovare un lavoro, uno qualsiasi. Del resto, anche Rosalba aveva fatto pressione affinché lui si sistemasse. Quanti anni aveva avuto quando si era buttato a capofitto nello stravagante show della "vita"? 21, 22. Ora ne aveva 26. Aveva alle spalle un lungo precariato, con tutto quanto ne consegue: la vergogna, l'infamia e le offese dentro e fuori squallidi uffici che non servono a nulla. O, per essere più precisi, servono proprio a questo: a tenere a bada i perdenti cronici, a non far alzare troppo la cresta ad eserciti di illusi.
I suoi sogni: tutte frottole! Nessuno poteva aiutarlo. I cosiddetti consulenti delle agenzie interinali: personaggi truffaldini pieni di prosopopea. Amici ed ex commilitoni: narcisi che si approcciano al magma caotico dell’esistenza con l'entusiasmo di pasciuti zombi. Finanche quel buono a nulla di Dario era riuscito a "sistemarsi": faceva le consegne per una ditta di elettrodomestici e oggi era fiero possessore di una carta di credito.
Vanz non possedeva nulla e non aveva nessun posto dove andare. La "magione" paterna, in cui lui così malvolentieri si rifugiava dalle iniquità del mondo, non era che una una gabbia sospesa tra cielo e terra; ottavo piano di un casermone popolare, con il traffico della vicina circonvallazione che faceva tremare le pareti e onde di cherosene che arrossavano le nuvole impigliatesi sulle antenne, sui trasmettitori, sui ripetitori. Non aveva un bel niente. Nemmeno Rosalba era più presente (e forse, per davvero, a quest'ora lei e Dario formavano una coppia); il ricordo dell'amata: polvere di sborra sul maglione.
Ma c'è, o potrebbe esserci... qui, oltre la periferia della periferia... guarda quella prateria in miniatura, ad esempio!... c'è, o potrebbe esserci, in mezzo a questi flash che ogni tanto lui coglie con pupille tenebrose... un'oasi dove andare, dove nascondersi, per non dover più sentire il genitore chiamarlo "lavativo".
Occhieggiando nello specchietto retrovisore, si accorse che un furgone grigio gli si era attaccato alle costole, o più precisamente al cofano. Vanz accelerò sensibilmente per scrollarselo di dosso, ma il pedinatore non mollò la presa. Un senso di panico si impossessò di lui nel riconoscere la faccia che, dietro il parabrezza scuro, gli ghignava sardonicamente.
"Dario!"
Nessun dubbio ormai: la sua presunta paranoia aveva finalmente un nome. Ma che diavolo gli era preso al presunto amico, al compagno di giochi dell'infanzia, al vicino di casa che negli ultimi mesi, anzi anni, si era reso latitante e che probabilmente gli aveva soffiato la donna che prima Vanz aveva - in un certo senso - sgraffignato a lui? "Ce l'ha con me? Spia tutti i miei movimenti?"
Diede ancora più gas e dopo qualche minuto il furgone iniziò gradualmente a rimpicciolirsi nello specchietto.
"Uff! Maledetto...!"
Asciugandosi il sudore, tornò a concentrarsi sulla strada. Alla sua destra apparve all'improvviso un luogo straordinario, a lui sconosciuto: una cittadina, anzi un borgo; un borgo cristallino, sviluppato nel classico nucleo detto a “cuneo” o a “fuso d’acropoli” su uno sperone tufaceo, con il castello nel punto più alto a farne da testata.
Infilò l'uscita quasi senza rallentare. "Ecco il posto dove voglio vivere" si disse, percorrendo la salita. Un paese antico, quasi completamente tagliato fuori dai retaggi della modernità. Scegliersi come abitazione una baracca, per chiudersi in un fortilizio di sconoscenza voluta, in un silenzio denso come la melma...
All'improvviso, una curva a sinistra, nemmeno tanto stretta. Chiunque altro l'avrebbe imboccata agevolmente, ma non a 80 o a 100 all'ora.
La macchina si cappottò. Si ribaltò dapprima sull'asfalto, poi nel maggese. Una, due, tre volte. Il cranio di Vanz si infranse mentre la sua autovettura, o meglio l'autovettura paterna, si riduceva a un ammasso di lamiere contorte ancor prima di entrare in fase di rullaggio. Finalmente la macchina si fermò: stette per qualche secondo in sospensione cardanica e poi si capovolse con le ruote oscenamente all'aria.
Le folate di vento cessarono all'improvviso e subentrò una calma piatta, terrificante.
Mentre si rendeva conto di provare dolore in tutto il corpo, Venanzio vide qualcuno chinarsi su di lui. L'odioso ghigno di Dario gli stridette nel cervello insieme a un uccello che volava a bassa quota.
Singultò, un occhio spalancato che si beve il cielo, l'altro mezzo chiuso che fissa di sguincio i fili d'erba secca.
E intanto la ruota gira, gira, gira...

franc'O'brain (alias Peter Patti)