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venerdì, gennaio 06, 2023

'Cronache del dopobomba', di Philip K. Dick

 Forse il romanzo più bello di Dick, anche se è arduo stilare una vera e propria classifica delle sue opere. È comunque sicuramente il romanzo che più di tutti è stato saccheggiato dal cinema (The Day After è solo un esempio).

Titolo originale: Dr. Bloodmoney, or How We Got Along After the Bomb. Data di pubblicazione: 1965.

Un chiaro richiamo al film di Stanley Kubrick Dr. Strangelove or: How I Learned to Stop Worrying and Love the Bomb, uscito nel 1964, con Peter Sellers mattatore assoluto.

        


Vita sul Pianeta Terra dopo il lancio dell'ordigno che ha cancellato la civiltà


Siamo nella Contea di West Marin, in cui lo scrittore abitò all'epoca in cui scrisse questo libro; un'"isola nel tempo" perché in qualche modo diversa dal resto delle cittadine californiane, con la sua piccola comunità che sembrava ancorata agli Anni Cinquanta.

Hoppy non ha né braccia né gambe; è una vittima del Contergan, farmaco tedesco a base di talidomide responsabile della nascita di feti con gravi malformazioni degli arti (focomelia; dal greco phoke = pinna e melos = arto). Trova tuttavia un impiego nel negozio di elettrodomestici Modern TV, dove riesce a eseguire riparazioni che hanno dell'incredibile. Non c'è da sorprendersi: Hoppy è uno psi...
Un altro carettere centrale del romanzo è Stuart McConchie, un giovanotto di colore che lavora come commesso al Modern TV e che sviluppa nei confronti di Hoppy un senso di ripugnanza. Hoppy e Stuart: l'uno un "mostro", l'altro un nero...
Facciamo la conoscenza di altri personaggi che fanno parte del microcosmo di West Marin... Poi, con il Quarto Capitolo, si apre uno scenario completamente differente. Qualcosa di grave è accaduto nel mondo. Una tragedia. Causata dalla "bomba".




Negli Anni '60 gli americani erano veramente convinti che una guerra atomica fosse prossima, e con essa la fine del mondo civile. Dick li avverte che il vero pericolo non arriva dalla Cina o dalla Russia, ma dagli stessi U.S.A. Le bombe che stravolgono la vita dei protagonisti di Dr. Bloodmoney: or, how we got along after the bomb sono bombe americane... Un difetto nello scudo difensivo ha scatenato l'inferno - o Terza Guerra Mondiale che dir si voglia.
Qualcuno indica il colpevole della catastrofe in Bruno Bluthgeld (= "Bloodmoney"), fisico atomico di origine ungherese che nel 1972 fu già responsabile di un "incidente" atomico a seguito del quale smarrì completamente il bene della ragione.

 Una scena da Dr. Strangelove


Ma... forse non dovremmo parlare di catastrofe. Dick descrive infatti il "dopobomba" come una sorta di palingenesi. Il futuro non è nero, il futuro è bello... almeno per i sopravvissuti. Finalmente gli esseri umani trovano una propria dimensione. Ognuno di loro deve rendersi utile nella situazione d'emergenza permanente.
Raccolta in piccole comunità che ricordano le città-stato degli Elleni, l'umanità si riorganizza. Come lettori partecipiamo a una sorta di corso di sopravvivenza. Stuart McConchie è nel frattempo maturato ed è diventato un abile agente di rappresentanza per trappole elettroniche. Le trappole servono a catturare topi, cani e gatti. In seguito alla mutazione, gli animali si sono evoluti, hanno sviluppato un proprio linguaggio e hanno capacità mai immaginate prima. (Mentre il cavallo è tornato a riacquistare la sua funzione di bestia da trasporto.)
Un astronauta che doveva raggiungere Marte insieme alla moglie si ritrova a gravitare dentro la sua navicella intorno all'orbita terrestre. La sua consorte si è suicidata, e l'uomo trasmette verso il nostro pianeta un programma radiofonico che è di fatto l'unico svago per i superstiti. Questo solitario DJ spaziale è un rivoluzionario, nel senso che odia i militari, ma è anche un esteta: le sue trasmissioni sono un miscuglio di diario personale, musica colta e riproposte di celebri romanzi.
Belve intelligenti, cani che parlano... la mutazione ha prodotto risultati davvero curiosi. Una bambina di Marin County, nata nel "giorno della bomba", reca nel proprio grembo il fratellino gemello, una creatura senziente e - come si scoprirà - con l'anima capace di trasmigrare in altri corpi.
In quanto a Hoppy, lui ora è un freak tra tanti. E' riuscito a sviluppare prodigiosamente le sue facoltà psichiche e tecnologiche. Tra le altre cose, si è costruito una carrozzella con un'autonomia giornaliera di 50 chilometri. E' rispettato da tutti, anche se ancora incute un po' di paura. Ufficialmente, è il tecnico di Marin County. Purtroppo, però, sviluppa anche una pericolosa mania di grandezza...



Nei suoi romanzi, Philip K. Dick cita compositori di musica classica, filosofi, moderne teorie psichiatriche... Il colto astronauta di Dr. Bloodmoney, prigioniero nell'orbita terrestre, è un po' l'alter ego dello scrittore.
Vittima della tossicodipendenza e di violenti attacchi di panico, Dick era dotato di una possente visionarietà. Indimenticabili i suoi personaggi sospesi in stato di "semi-vita" (Ubik), gli androidi "dal volto umano" (Cacciatore di androidi, ovvero Do Androids Dream of Electric Sheep?), e i suoi paesaggi apocalittici che gli amanti del cinema di fantascienza ritroveranno in Blade Runner.
"Le sue armi preferite non sono la logica dimostrativa, la speculazione erudita e sottile" scrive Fabrizio Chiappetti in Visioni dal futuro, "ma l'aneddoto oscuro e fulminante, la visione che scardina l'immagine consueta del mondo e che si imbatte nella verità."


La religione, le droghe e la cibernetica applicata fino all'estremo: questi tra i temi più ricorrenti in Philip K. Dick. Ne Le tre stimmate di Palmer Eldritch (quasi un paradigma degli Anni Sessanta a San Francisco), incontriamo i "contaminati", ossia coloro che hanno assunto la sostanza Chew-Z. Immersi in una realtà totalmente virtuale, dov'è impresa disperata poter stabilire cosa sia reale e cosa no, i "contaminati" scoprono di avere occhi a telecamera panoramica, bocca di metallo e braccia meccaniche, a immagine e somiglianza di Eldritch, spacciatore della droga in questione. In un'altra sua opera, lo scrittore immagina uno strumento collegabile alla corteccia cerebrale: l'"organo Penfield", in grado di programmare l'umore desiderato per il tempo che si vuole; basta digitare il codice corrispondente e si può essere, a comando, "depresso", "apatico", "professionale nel lavoro", ecc. E in Scorrete lacrime ci presenta edifici che galleggiano a qualche metro da terra grazie a un sistema di aria compressa.
Accanto a queste geniali trovate "futuristiche", riscontriamo nelle sue opere i chiari segni del tempo. La memoria del computer, ad esempio, è contenuta non in circuiti stampati ma su nastri magnetici. Tali "incongruenze" non rendono tuttavia meno originali e interessanti i suoi romanzi; anzi... Questo sovrapporsi di vecchio-nuovo è perfettamente in sintonia con il time-slipping di tante sue storie.
Cronache del dopobomba fa ancora parte del periodo in cui lo scrittore affidava le speranze per un futuro migliore a un'esistenza da trascorrere in piccole comunità (abbozzata tra l'altro in Noi marziani). All'inizio degli Anni Settanta però cambia rotta e dichiara l'esistenza di un'entità superiore. La divinità che gli si è rivelata viene da lui celebrata nella trilogia di Valis, vera e propria opera di "fantagnosi".
Il paradosso, da lui celebrato nei lavori letterari, lo accompagnò fin nell'ora della morte: Dick si spense in un complesso residenziale situato a poca distanza dal luogo di nascita di Richard Nixon, il suo nemico per la pelle.

 Alcuni dei film tratti dai romanzi e dai racconti di PKD o a essi ispirati      


 Un oscuro scrutare







Philip K. Dick, temponauta. Indice:

COVER

   Noi marziani

   Ubik

   Scorrete lacrime

   Un oscuro scrutare

   Guaritore galattico

   Illusione di potere

   Testi vari e links

    Bibliografia ITA-ENG



 

domenica, gennaio 02, 2022

Un racconto di Isaac Asimov: "Vero Amore"

 Nel 1964, lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov (2 gennaio 1920 - 6 aprile 1992) fece dieci predizioni per l'anno 2014.

Eccole:


  • Le comunicazioni non saranno basate solamente sul suono, ma anche sulla vista. Si potranno vedere le persone che si chiamano al telefono. Sarà possibile sugli schermi anche leggere libri e stampare documenti.
  • Ci saranno veicoli guidati da robot. I viaggi si potranno programmare verso destinazioni diverse. La guida non avrà le interferenze dei riflessi umani.
  • I trasporti cercheranno di evitare la dispersione di energia nell'attrito col suolo e quindi gli aerei saranno il mezzo più usato, ma anche i treni viaggeranno sospesi.
  • Tutti gli schermi saranno sostituiti. Ci sarà spazio per cubi trasparenti e effetti tridimensionali.
  • Gli elettrodomestici allevieranno le attività degli uomini. Ci saranno macchine che faranno il caffè, che riscalderanno l'acqua, che faranno pane tostato. Cucine intelligenti che prepareranno la colazione: si potrà decidere la notte cosa mangiare la mattina seguente. Il cibo sarà principalmente pre-cucinato e pre-confezionato.
  • L'uomo creerà ambienti che si adattano a se stesso. Entro il 2014 ci saranno pannelli luminosi che daranno vita a particolari giochi di luce.
  • La forza lavoro saranno le macchine robotizzate e compito dell'uomo sarà svilupparle e farle funzionare.
  • La parola lavoro sarà quella più importante del dizionario del nuovo secolo e del nuovo millennio. Scompariranno tanti lavori tradizionali che saranno sostituiti dalle macchine.
  • L'istruzione superiore sarà basata su linguaggi informatici e tecnologici.
  • L'umanità dovrà fare i conti con la noia, un malessere che si diffonderà con velocità allarmante.



  •     

    Scrittore, biochimico e divulgatore scientifico, Asimov nasceva 102 anni fa come oggi (2 gennaio) in quel di Petroviči, nell'allora Unione Sovietica. Era ancora un bambino quando si trasferì con la famiglia a New York. Da allogeno, pur se cresciuto in un universo multiculturale (o probabilmente proprio per questo!), ebbe a riflettere sulla diversità di popoli e razze e sull'importanza della tolleranza e della convivenza pacifica.
    Ecco alcune sue frasi:
    "There are no nations! There is only humanity. And if you don't understand that soon, there will be no nations, because there will be no humanity."
    "Se la conoscenza può creare dei problemi, non è con l'ignoranza che possiamo risolverli."
    "L'aspetto più triste della vita in questo momento è che la scienza raccoglie conoscenza più velocemente di quanto la società raccolga saggezza."
    "La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci."



    Un suo racconto fantastico: 


    Vero Amore

    (True Love, 1977)

     


             Mi chiamo Joe. O per lo meno, così mi chiama il mio collega, Milton Davidson. Lui è il programmatore, io sono il programma. Faccio parte del complesso Multivac e sono collegato con altre parti in tutto il mondo. So tutto. Quasi tutto.

    Sono il programma privato di Milton. Il suo Joe. Lui di computer ne sa più di chiunque altro al mondo, e io sono il suo modello sperimentale. È riuscito a farmi parlare meglio di qualsiasi altro computer.

    «Si tratta unicamente di accoppiare perfettamente i suoni ai simboli», Joe mi ha detto. «È così che funziona il cervello umano, anche se non sappiamo ancora esattamente quali simboli ci siano nel cervello. Ma i tuoi simboli li conosco molto bene, e così li posso accoppiare alle parole, uno per uno.» E così, io parlo. A me non sembra di parlare con la stessa precisione con cui penso, ma Milton sostiene che parlo benissimo.

    Milton non si è mai sposato, nonostante che abbia già quasi quarant’anni. Mi ha detto di non avere mai trovato la donna giusta. Un giorno mi ha detto: «La troverò, alla fine, Joe. Ho intenzione di trovare la migliore che esista. Troverò il mio grande amore, e tu mi aiuterai. Sono stufo di continuare a potenziarti solo per risolvere i problemi del mondo. Risolvi il mio problema. Trovami il vero amore».

     

    «Che cos’è il vero amore?» gli ho chiesto.
    «Lascia perdere» mi ha detto lui, «è un concetto astratto. Tu trovami la donna ideale. Essendo collegato al complesso Multivac, hai accesso a tutti i dati relativi a ogni essere umano esistente. Procederemo per eliminazione. Cominceremo per gruppi e classi, e alla fine resterà una sola persona. La donna perfetta. Quella sarà per me.»

     

    «Sono pronto a cominciare» dissi io a questo punto.
    E lui: «Per prima cosa, elimina tutti gli uomini».
    Era semplice. Le sue parole attivavano direttamente i simboli nei miei circuiti molecolari. Io potevo entrare in contatto con tutto il complesso di dati riguardanti ogni essere umano. Alle sue parole, tolsi i contatti con 3.784.982.874 uomini. E restai in contatto con 3.786.112.900 donne.

    Lui mi disse: «Elimina tutte quelle che hanno meno di venticinque anni e più di quaranta. Elimina poi tutte quelle che hanno un quoziente di intelligenza inferiore a centoventi, tutte quelle alte meno di un metro e mezzo e più di uno e settantacinque».

     

    Mi dava istruzioni esatte. Mi chiese poi di eliminare tutte le donne che avessero figli viventi. E passò a eliminare tutte quelle con particolari caratteristiche genetiche. «Non ho ancora deciso per il colore degli occhi» mi disse, «ma per il momento lasciamo perdere. Basta che non abbiano i capelli rossi. Non mi piacciono.»

    Dopo due settimane eravamo arrivati a 235 donne. Una rosa di candidate molto ristretta rispetto al numero iniziale. Tutte parlavano l’inglese alla perfezione. Milton non voleva problemi di lingua. Persino una traduzione computerizzata sarebbe stata di troppo nei momenti intimi, mi spiegò.
    «Non posso avere colloqui con duecentotrentacinque donne» disse. «Ci vorrebbe troppo tempo, e poi gli altri potrebbero scoprire cosa sto architettando.»
    «Nascerebbero dei problemi» dissi io. Milton mi aveva manipolato in modo che io potessi fare cose che non rientravano nelle normali attribuzioni di un programma. E anche di questo nessuno sapeva niente.
    «Non sono fatti loro» disse lui. Era diventato tutto rosso in faccia. «Te lo dico io, Joe, come faremo. Ti porterò qui alcuni ologrammi e relative documentazioni e tu procederai per assomiglianza.»

     

    Mi portò il materiale olografico di tre donne. «Queste hanno vinto un concorso di bellezza» mi disse. «Nessuna delle duecentotrentacinque corrisponde più o meno a una di loro?»
    Ce ne erano otto che mostravano una somiglianza impressionante con una o l’altra di quelle tre.
    «Bene, tu hai tutti i loro dati» mi disse Milton. «Studia domande e offerte di lavoro e fai in modo che vengano assegnate qui. Una alla volta, naturalmente.» Restò un attimo soprappensiero poi, scrollando le spalle disse: «Procedi per ordine alfabetico».

    Quella era proprio una delle cose che non avrei dovuto essere programmato a fare. Spostare la gente da un lavoro all’altro, per motivi personali, era considerata manipolazione. Potevo farlo perché Milton mi aveva riprogrammato. Però potevo farlo unicamente per lui, sia chiaro.

     

    La prima ragazza arrivò la settimana dopo. Quando la vide, Milton avvampò, sembrò persino che non riuscisse più a parlare. Balbettava. Rimasero insieme per un bel pezzo, e per tutto il tempo lui non mi degnò della minima attenzione. A un certo punto le disse: «Permettetemi di invitarvi a
    cena».
    Il giorno dopo mi disse: «Non so perché, ma non va bene. Mancava qualcosa. È bellissima, ma io non ho sentito neanche una scintilla di vero amore. Proviamo con la prossima».

    Fu lo stesso con tutt’e otto. Erano troppo simili. Avevano tutte sorrisi meravigliosi e voci gradevolissime, ma ogni volta Milton scopriva che mancava qualcosa. «Non riesco a capire, Joe» mi disse. «Tu e io abbiamo scelto le uniche otto donne al mondo che corrispondono al mio ideale. E sono perfette. Perché non mi piacciono?»

    Gli risposi: «Ma tu piaci a loro?».
    Inarcò le sopracciglia sbattendo un pugno contro il palmo dell’altra mano. «Ecco perché, Joe. Non è una strada a senso unico. Se io non sono il loro ideale, non riescono a comportarsi in maniera da essere il mio. Dovrei essere il loro vero grande amore, ma come faccio?»

     

    Ci pensò tutto il giorno.
    La mattina seguente venne da me e mi disse: «Sto per lasciare tutto in mano tua, Joe. Dovrai fare tutto tu. Tu hai i miei dati, e io adesso ti racconterò tutto della mia vita, tutto quello che so di me stesso. Potrai completare i miei dati fin nei minimi particolari, ma quello che ne salterà fuori te lo
    terrai per te».
    «E poi che cosa ne devo fare di tutti questi dati, Milton?»
    «Li confronterai con quelli delle duecentotrentacinque donne. Anzi, duecentoventisette. Lascia fuori le otto che abbiamo già visto. Cerca di esaminare ognuna di loro da un punto di vista psichiatrico. Completa i loro dati e raffrontali ai miei. Trova le affinità.»
    Quella di sottoporre esseri umani a esami psichiatrici è un’altra delle attività che non rientrano nel mio programma originario.

     

    Per settimane intere Milton parlò con me. Mi parlò dei suoi genitori e della sua infanzia. Mi raccontò la sua adolescenza e la sua vita scolastica. Mi disse delle ragazze che aveva ammirato da lontano. Il corredo dei suoi dati aumentò, e lui fece in modo da aumentare e approfondire la mia dotazione di simboli.

    Mi disse: «Vedi Joe, stai imparando sempre più cose di me, e io farò in modo di equipararti sempre più e sempre meglio a me. Quando riuscirai a capirmi sufficientemente a fondo, allora la donna di cui riuscirai a sentire e capire altrettanto a fondo i dati, sarà il mio vero amore»
    Lui continuò a parlarmi e io arrivai a capirlo sempre meglio.
    Adesso potevo comporre frasi più lunghe e le mie espressioni verbali erano sempre più complesse. Il mio modo di parlare cominciò a somigliare sempre di più al suo, per la scelta dei vocaboli, per lo stile e per il ritmo delle frasi.

     

    Una volta gli dissi: «Vedi, Milton, non si tratta di cercare l’ideale solo dal punto di vista fisico. Tu hai bisogno di una ragazza che si adatti a te dal punto di vista personale, emozionale, di temperamento. Se c’è tutto questo, l’aspetto fisico diventa secondario. E se non riusciamo a trovare quella giusta fra le duecentoventisette, vuol dire che cercheremo altrove. E troveremo qualcuna a cui non interessa il tuo aspetto fisico, o quello di chiunque altro, perché dà importanza unicamente alle doti morali e intellettuali. In fondo, cosa conta l’aspetto?».
    «Hai ragione» disse lui. «L’avrei capito prima, se avessi conosciuto meglio le donne. Certo che a metterla così, tutto diventa più chiaro.»

     

    Eravamo sempre d’accordo: la pensavamo alla stessa maniera. «Non vedo altri problemi, Milton. Ora ti farò qualche domanda. Nei tuoi dati riscontro varie lacune e un paio di discordanze.»
    Quello che seguì, a quanto mi disse poi Milton, fu un vero e proprio esame psicoanalitico. Logico. Avevo imparato dall’esame dei dati relativi alle duecentoventisette donne che mantenevo sotto controllo costante.
    Milton sembrava soddisfatto e felice. Mi disse: «Parlare con te, Joe, è proprio come parlare con un altro se stesso. Le nostre personalità ormai collimano alla perfezione».
    «E succederà la stessa cosa anche con la donna che sceglieremo.»

     

    Perché io, la donna ideale l’avevo già trovata: era una delle 227 candidate. Si chiamava Charity Jones ed era una Lettrice della Biblioteca di Storia di Wichita. I suoi dati avevano piena rispondenza con i nostri. Tutte le altre donne, per un motivo o per l’altro non avevano superato l’esame a mano a mano che la lettura dei dati si approfondiva, ma con Charity c’era stata
    una risonanza crescente e stupefacente.

    Non c’era nemmeno bisogno di descriverla a Milton. Lui aveva correlato i nostri gusti in maniera perfetta, così che io potevo riconoscere la sensazione di risonanza anche senza il suo aiuto.
    Charity Jones mi si adattava benissimo. Lo sapevo.
    La prossima mossa era quella di fare in modo che Charity ci venisse assegnata. Era un’operazione molto delicata, perché nessuno doveva accorgersi che si stava facendo qualcosa di illegale. Naturalmente lo sapeva bene anche Milton, dato che era stato lui a progettare tutto e a renderlo possibile.

    Quando vennero a prenderlo per arrestarlo sotto l’accusa di aver commesso illeciti nell’esercizio delle sue funzioni, fortunatamente fu per qualcosa che lui aveva fatto una decina d’anni prima. Lui mi aveva parlato di quella vecchia storia, naturalmente, e così mi era stato facile combinare tutto. Sicuramente Milton non parlerà di me per non aggravare ulteriormente la sua posizione.

     

    Milton non c’è più, e domani è il 14 febbraio, giorno di San Valentino.
    Charity arriverà domani, con le sue mani fresche e la sua voce dolce. Le insegnerò come farmi funzionare e come prendersi cura di me. In fondo, che cosa conta l’aspetto fisico quando due esseri sono in risonanza perfetta?
    Le dirò: “Sono Joe, e tu sei il mio vero amore”.

    (Dalla raccolta Tutti i miei robot, di Isaac Asimov)














    sabato, gennaio 04, 2020

    Capitolo 2 e Capitolo 3 di 'Transits'

     Da: Transits, romanzo (quanto?) distopico


    2

    Il plico con dentro il contratto definitivo d'assunzione mi arrivò via UPS.
    «Non firmare!» mi esortò Allen.
    Come al solito il mio compare sedeva in mutande su un tappetino lercio, sotto la lampada che penzolava nuda dal soffitto, in mezzo alla folta vegetazione che conferiva all'appartamento le sembianze di una serra. Era ben pasciuto ma, come me, eternamente affamato. Nonostante ciò, si incaponiva a non voler ingerire carne, ovvero "ciccia e tessuti animali", come diceva lui. La flora che gli cresceva tutt'intorno costituiva praticamente la base della sua alimentazione.
    «Se firmi», aggiunse, «vendi l'anima al diavolo.»
    Lo guardai incuriosito. La sua non poteva essere una psicosi da trip. Allen non si faceva mai di pillole. Per quanto possa sembrare strano, lui era nato così. A meno che... «Hai bevuto?» gli chiesi.
    Effettivamente negli ultimi tempi aveva sviluppato un'insana attrazione per i superalcolici. Ci assomigliavamo anche in questo.
    «Ho cannato qualcosa», rispose in maniera vaga. Poi m'investì: «Che intenzioni hai? Cambiare fronte? Prostituirti? Entrare nei meandri di affari oscuri, pacchetti azionari di dubbia provenienza e capitali riciclati?»
    «Smettila di sclerare. Ho solo l'intenzione di lavorare, né più, né meno. Qualcuno deve pur pensare all'affitto, no? Ti assicuro che si tratta di un posto comodo e pulito. Sei ore al giorno per cinque giorni alla settimana. Mi pagheranno per giocare al computer e chattare con i colleghi.»
    «La Kosmos Enterprise è un'opera di Satana!» incalzò lui. «Dietro la facciata delle attività economiche, questa multinazionale esercita un rigido controllo su tutto e tutti. Tut-ti. Anche su chi si illude di rimanere fuori dal gioco. E, scientemente, influisce sul nostro rapporto con la gente e con il potere. Intanto, nel caso tu non te ne fossi accorto, ha già ridefinito i concetti di proprietà privata, ricchezza, povertà... oltre ai valori morali.»
    «Beh, allora possiede poteri divini!» dissi ridendo. «Ma tu che puoi saperne, amigo?»
    Allen sollevò il suo triplo mento, accennando al laptop. «Lo so, invece. Monitorizzo la realtà, io: tramite Hypernet e alcuni contatti. Contatti telematici ma pure in carne e ossa.» E soggiunse, al di sopra della musica (Jimi Hendrix vibrava colpi d'ascia all'impazzata): «Avrei preferito apprendere che lavi i cessi del MacDonald's, piuttosto! Anche se, in sostanza, ogni ditta è una filiale della Kosmos, ormai. Tutta un'unica organizzazione. Ma non ti chiedi come mai hanno preso te, te che sei un picchio di nessuno?»
    «Forse apprezzano le mie qualità.»
    «Attento, Pat. Attento, ragazzo mio. Con quelli non si scherza! È un organismo troppo grosso.»
    «Quelli? Hanno dunque un'identità precisa? E chi sarebbero, secondo te?»
    Anziché rispondermi subito, Allen si accese la pipa, con i gesti ponderati che sempre accompagnavano tale rito. Emise un paio di sbuffi verdastri prima di riprendere a parlare. «Alla guida della K.E.-Europe risulta essere un certo "Mister Info", spalleggiato da alcuni vecchi hacker. Gli hacker occupano posti preminenti nell'intelaiatura mondiale della Kosmos. Dopo essere stati assunti, e dunque risucchiati dal sistema, questi ex ribelli ed ex fricchettoni sono diventati dei cybersauri. Persino le strutture inferiori... i sottopalchi, per così dire... sono sostenute da rivoluzionari della prima ora che hanno scelto di stare al gioco: gente che un tempo era come noi e che oggi si gongola nel nuovo ruolo. Traditori che si sono venduti in cambio di automobili veloci, ville con giardinieri e ferie ai tropici.»
    La luce se ne andò, ma si riaccese subito. Un fenomeno naturale, nei nostri fetidi bassifondi.
    Allen sbirciò nervosamente verso il frigorifero, dove conservava i suoi preziosi libri, e quando l'elettrodomestico, con un sospiro, un sibilo e un peto si rimise in funzione, tornò a squadrarmi con aria di sfida. «Nient'altro che dei venduti», rimarcò.
    Scossi piano la testa. Venduti, già. Auto veloci, vacanze ai tropici... ma non è quello che desiderano tutti? Allen litigava sempre con mezzo mondo. Purtroppo per lui, era il mezzo mondo ad avere ragione. Avrebbe dovuto smetterla una volta per tutte di ripetere come un pappagallo le astrazioni di fanzine illegali, molte delle quali (stampate su plastotables, chiaramente, non su cellulosa) stavano sparpagliate sul pavimento, disposte a corona intorno al suo tappetino da yogi.
    Impugnai la biro, dicendo: «La tua è una lotta controvento, amigo. Mettiti nella cabeza che gli anni Settanta non torneranno più. È vero, quello fu un periodo speciale, in cui anche i loser e i solitari si muovevano come fossero i protagonisti di un film. Almeno così mi è stato raccontato, dato che, come sai, io sono nato più tardi. Buon per te che hai potuto vivere di persona quell'Età dell'Oro. Il Terzo Millennio però è cominciato da un pezzo». E, detto ciò, scrissi il mio nome in calce al contratto: Patrizio Ferroni. Con tanto di svolazzi.









    3

    Entrai nella mensa con passo deciso. Dietro al banco c'erano alcune servitrici con cresta e grembulino bianco che si preoccuparono di caricarmi il vassoio di vivande: farfalle allo zafferano con gamberetti, beefsteak e torta alla crema e pinoli. Tutta roba marca Fruity Shock, ma dall'aspetto appetitoso. Cercando con lo sguardo una sedia vuota, notai con stupore che qualcuno mi faceva dei cenni: un tizio con la chioma selvaggia e il pizzetto da moschettiere. Mi appressai al suo tavolo, che era occupato da un campionario di quelli che si potrebbero definire "eterni teen-ager". Mentre ancora appoggiavo il vassoio sul ripiano di teflon, cominciarono a presentarsi: Adriano, Enrico, Anna, Celestina... E i loro cognomi! Niente di più banale: Vasapolli, Pagnotti, Mantovan... Per fortuna tra di loro usavano soltanto i nomignoli: Pussyboy, Fool, Johnny Blue, Colgate... Quest'ultimo apparteneva a una brunetta tuttacurve alla quale sorrisi estasiato.
    «Salve, Patrizio!» esordì Colgate, come se fossimo amici di vecchia data. «Superato il momento difficile?»
    Arrossii, mentre scivolavo su una sedia. Come facevano a...? Si vedeva? In effetti, dire che mi sentivo insicuro sarebbe un semplice eufemismo. Se devo essere esplicito, l'angoscia mi divorava. Non riuscivo a capacitarmi che la Kosmos Enterprise mi avesse accettato e temevo che da un momento all'altro qualcuno si accorgesse dell'errore e mi scaraventasse fuori. Boccheggiai in preda all'imbarazzo, ma i presenti si affrettarono a rassicurarmi: «All'inizio è stato lo stesso anche per noi. Io per esempio, dopo essere stato assunto», mi disse Pussyboy, ovvero il tizio con il pizzetto, «ho sofferto di cefalea di tensione, crampi addominali e così via».
    «A chi lo dici!» intervenne Protia, una ragazza con il viso incorniciato da un caschetto di capelli neri e con un inconfutabile problema di girovita. «In me, l'ansia di sapermi una novellina si è manifestata con difficoltà a prendere sonno e spiccata tendenza all'ipocondria.»
    Coro di risolini.
    «E questo perché ignoravamo in che cosa consistessero le nostre mansioni», concluse Colgate.
    La guardai. Aveva un corpo impeccabile e gli occhi velati da un leggero make-up. «E ora invece lo sapete?» inquisii, afferrando le posate.
    «Più o meno. Ma presto lo saprai anche tu.»

         

                           




    Iniziai a mangiare, rimuginando su quest'ultima asserzione.
    «Già», disse un altro tizio, uno con la pronuncia gallica. Era alto e dinoccolato e aveva sulla mascella tracce di barba mal rasata. «E lo saprai grazie ad Aleph.»
    «Aleph? E chi è?» chiesi a bocca piena.
    «Il computer centrale», rispose Fool (cravatta infallibilmente perpendicolare e jeans comprati al Sisley Twenty-Twenty).
    Colgate tornò a sorridermi. «Aleph. Hai colto l'allusione letteraria? Secondo Borges, Aleph è il punto "dove si raccolgono senza confondersi tutti i luoghi della terra".»
    «Beh, sì, Hypernet», dissi con un'alzata di spalle.
    «Punto it, punto com, punto org...» si mise a enumerare Protia, e gli altri risero.
    «No, Hypernet è ancora niente», mi spiegò Fool. «Aleph, "the blessed machine" come dicono qui, ha ben altre funzioni.»
    «A proposito di funzioni», feci, un po' irritato: «sono proprio ansioso di scoprire come si giustifica la mia presenza in questo luogo».
    «Non hai una laurea e neppure aderenze sosciali, vero?» intervenne il tizio dinoccolato.
    «Uhm. Io veramente...»
    «Non devi mica vergognarti», tornò a rivolgermisi Colgate. «Siamo tutti nelle medesime condizioni, credimi.»
    Lanciai un'occhiata circolare. E così, anche loro erano dei pivelli. Mi era parso infatti che fossero un po' strambi, e certamente inadatti a un lavoro di rilievo presso una company come la Kosmos. Ma la mensa sembrava pullulare di gente simile: neo-yuppies che indossavano abiti "vintage" ed esibivano capigliature singolari o altre particolarità discordanti. Un ammasso multirazziale, peraltro. C'era una ragazza di colore molto carina qualche tavolo più in là che stava a dialogare con un discendente dei vichinghi. E, in fondo alla sala, individuai Marilinda, in compagnia di altre impiegate o segretarie che fossero (quasi tutte bionde come lei). Notai che si era tinta le unghie dei piedi a tutti frutti, in neon. Beh, d'altronde cos'altro poteva fare per tutto il santo giorno la dipendente di un "boss" come me?
    «Prima di entrare qui», ricominciò Colgate, «eravamo quel che comunemente si dice dei "falliti al cubo". Prendi il mio caso. Non facevo che bighellonare per tutte le orge della città.»
    «Io invece ero presente a ogni party technorock», spiegò Fool.
    «Mentre io non facevo un bel nulla», ammise candidamente Protia, la mora.
    «Io idem», dichiarò Pussyboy. «Ero il classico segaiolo. Ma mi ha salvato la K.E. Accadde in una lontana estate densa di umori, di provocazioni femminili, di mutande stese al sole...»
    La sua teatralità suscitò qualche altra risatina.
    «E tu?» domandai al dinoccolato dall'accento francese.
    L'uomo mi rivolse un'occhiata stanca prima di decidersi a sbottonarsi: «Insegnavo alle écoles moyennes. Alle scuole medie. Matematica».
    Lo guardammo tutti con aria di commiserazione.
    «Henri è, a conti fatti, il più qualificato di noi», osservò Colgate.
    «E anche quello dal passato più squallido», commentò lo stesso Henri.
    «Ma allora», insistei, «se la nostra matrice comune è essere nati perdenti, perché ci troviamo qui?»
    Fu Johnny Blue a rispondermi: «La mia teoria... ma è solo una teoria, bada bene... è che fungiamo da materiale di sperimentazione».
    Sussultai. «In che senso?»
    «Siamo cavie, più o meno. Attraverso noi viene misurato l'eventuale grado di resistenza nelle Paludi del Non-Tempo... almeno a quanto mi pare di avere inteso.»
    Dopo una pausa relativamente lunga, che mi servì a finire la torta, confessai di non aver capito un tubo.
    «Capiremo meglio, tutti quanti, quando passeremo alla Fase Due. Per te ciò significa un'attesa di... vediamo... di circa tre anni.»
    «La Fase Due di che cosa? Dell'esperimento?»
    «Mais oui», rispose Henri. «Aleph però lo chiama in un altro modo. La denominazione ufficiale è: Codice Untergang.»
    Scossi la testa, esausto ed esasperato, e ingollai dell'aranciata. Sorbole! Proprio buona. C'era la polpa e tutto. Sembrava vera.
    Colgate mi sfiorò un braccio. «Sta' a sentire, Patrizio-baby: alla K.E. appartiene praticamente ogni cosa. Tutto quel che vedi, in qualsiasi parte del mondo, è proprietà esclusiva della ditta.»
    «Eccetto forse i distributori di preservativi in Africa», gettò là Fool.
    «No», lo contraddisse Colgate. «Anche quelli. La corporation non ha difficoltà ad arrivare addirittura fino ai boscimani. Quando si dice "mondo", si intende il mercato globale. La K.E. si occupa di cose grandi e piccole, di transgenetica così come di gomme da masticare. E del tempo.»
    «Del nostro», opinai.
    «Di quello di tutti quanti. Il tempo in generale.»
    «E, per riflesso, anche della storia», intervenne Henri. Che proseguì: «Lo scopo di Codice Untergang è quello di procrastinare il futuro. La fisica moderna ci insegna che ogni cosa sottostà all'irrefragabile legge del tempo irreversibile. Et donc: Aleph, il computer centrale, ha varato un programma che tende ad accelerare il corso degli eventi... con un contemporaneo rallentamento del progresso. A proprio vantaggio, chiaro: così lui - Aleph - può inseguire il sogno dell'immortalità. Ma ciò va anche a vantaggio del genre humain».
    «E rallentare il progresso tu lo definisci un vantaggio?» domandai nervosamente, dando un colpettino al mio vassoio. «No, smettetela! Mi state prendendo in giro. Cavie, Codice Untergang, gomme da masticare, preservativi... Non ci credete neppure voi. Sebbene...»
    All'improvviso pensai all'amico Allen ed ebbi come una visione.
    «Ma certo!» proruppi. «La Kosmos Enterprise si è comprata il mondo... l'universo... per poter stabilire il corso della storia! Ora comincio ad afferrare. Il vero potere non è conferito dall'accumulo di capitali, ma dal controllo sul divenire. La parola d'ordine è: no future. Già mezzo secolo fa William Burroughs si domandava: "Dove accidenti sono gli elicotteri individuali che ci avevano promesso?" E anch'io, da bambino, credevo che appena dopo il Duemila avrei preso la metropolitana a Mosca per poter sbucare un'ora dopo in una strada di Manhattan. Invece... Abbiamo oltrepassato da vent'anni... no, trenta... la soglia del Millennio e ancora non abbiamo il governo mondiale, non abbiamo né città su Marte né colonie sottomarine, e neppure automi che ci stirano le camicie o apparecchi di teleportazione. Abbiamo però i cloni, il genoma, l'intelligenza artificiale, i nanorobot: tutti fenomeni invisibili. Il domani è microcosmico. E presto lo sarà anche il presente. Noi umani siamo bestie troppo grosse: perciò, qualcos'altro dovrà nascere al posto nostro.»
    I miei commensali si erano già alzati. Esibivano un'aria sconcertata. «Vieni, Pat», mi disse Colgate, sfiorandomi una spalla. «È ora di rientrare.»



    (CONTINUA)

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