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domenica, gennaio 02, 2022

Un racconto di Isaac Asimov: "Vero Amore"

 Nel 1964, lo scrittore di fantascienza Isaac Asimov (2 gennaio 1920 - 6 aprile 1992) fece dieci predizioni per l'anno 2014.

Eccole:


  • Le comunicazioni non saranno basate solamente sul suono, ma anche sulla vista. Si potranno vedere le persone che si chiamano al telefono. Sarà possibile sugli schermi anche leggere libri e stampare documenti.
  • Ci saranno veicoli guidati da robot. I viaggi si potranno programmare verso destinazioni diverse. La guida non avrà le interferenze dei riflessi umani.
  • I trasporti cercheranno di evitare la dispersione di energia nell'attrito col suolo e quindi gli aerei saranno il mezzo più usato, ma anche i treni viaggeranno sospesi.
  • Tutti gli schermi saranno sostituiti. Ci sarà spazio per cubi trasparenti e effetti tridimensionali.
  • Gli elettrodomestici allevieranno le attività degli uomini. Ci saranno macchine che faranno il caffè, che riscalderanno l'acqua, che faranno pane tostato. Cucine intelligenti che prepareranno la colazione: si potrà decidere la notte cosa mangiare la mattina seguente. Il cibo sarà principalmente pre-cucinato e pre-confezionato.
  • L'uomo creerà ambienti che si adattano a se stesso. Entro il 2014 ci saranno pannelli luminosi che daranno vita a particolari giochi di luce.
  • La forza lavoro saranno le macchine robotizzate e compito dell'uomo sarà svilupparle e farle funzionare.
  • La parola lavoro sarà quella più importante del dizionario del nuovo secolo e del nuovo millennio. Scompariranno tanti lavori tradizionali che saranno sostituiti dalle macchine.
  • L'istruzione superiore sarà basata su linguaggi informatici e tecnologici.
  • L'umanità dovrà fare i conti con la noia, un malessere che si diffonderà con velocità allarmante.



  •     

    Scrittore, biochimico e divulgatore scientifico, Asimov nasceva 102 anni fa come oggi (2 gennaio) in quel di Petroviči, nell'allora Unione Sovietica. Era ancora un bambino quando si trasferì con la famiglia a New York. Da allogeno, pur se cresciuto in un universo multiculturale (o probabilmente proprio per questo!), ebbe a riflettere sulla diversità di popoli e razze e sull'importanza della tolleranza e della convivenza pacifica.
    Ecco alcune sue frasi:
    "There are no nations! There is only humanity. And if you don't understand that soon, there will be no nations, because there will be no humanity."
    "Se la conoscenza può creare dei problemi, non è con l'ignoranza che possiamo risolverli."
    "L'aspetto più triste della vita in questo momento è che la scienza raccoglie conoscenza più velocemente di quanto la società raccolga saggezza."
    "La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci."



    Un suo racconto fantastico: 


    Vero Amore

    (True Love, 1977)

     


             Mi chiamo Joe. O per lo meno, così mi chiama il mio collega, Milton Davidson. Lui è il programmatore, io sono il programma. Faccio parte del complesso Multivac e sono collegato con altre parti in tutto il mondo. So tutto. Quasi tutto.

    Sono il programma privato di Milton. Il suo Joe. Lui di computer ne sa più di chiunque altro al mondo, e io sono il suo modello sperimentale. È riuscito a farmi parlare meglio di qualsiasi altro computer.

    «Si tratta unicamente di accoppiare perfettamente i suoni ai simboli», Joe mi ha detto. «È così che funziona il cervello umano, anche se non sappiamo ancora esattamente quali simboli ci siano nel cervello. Ma i tuoi simboli li conosco molto bene, e così li posso accoppiare alle parole, uno per uno.» E così, io parlo. A me non sembra di parlare con la stessa precisione con cui penso, ma Milton sostiene che parlo benissimo.

    Milton non si è mai sposato, nonostante che abbia già quasi quarant’anni. Mi ha detto di non avere mai trovato la donna giusta. Un giorno mi ha detto: «La troverò, alla fine, Joe. Ho intenzione di trovare la migliore che esista. Troverò il mio grande amore, e tu mi aiuterai. Sono stufo di continuare a potenziarti solo per risolvere i problemi del mondo. Risolvi il mio problema. Trovami il vero amore».

     

    «Che cos’è il vero amore?» gli ho chiesto.
    «Lascia perdere» mi ha detto lui, «è un concetto astratto. Tu trovami la donna ideale. Essendo collegato al complesso Multivac, hai accesso a tutti i dati relativi a ogni essere umano esistente. Procederemo per eliminazione. Cominceremo per gruppi e classi, e alla fine resterà una sola persona. La donna perfetta. Quella sarà per me.»

     

    «Sono pronto a cominciare» dissi io a questo punto.
    E lui: «Per prima cosa, elimina tutti gli uomini».
    Era semplice. Le sue parole attivavano direttamente i simboli nei miei circuiti molecolari. Io potevo entrare in contatto con tutto il complesso di dati riguardanti ogni essere umano. Alle sue parole, tolsi i contatti con 3.784.982.874 uomini. E restai in contatto con 3.786.112.900 donne.

    Lui mi disse: «Elimina tutte quelle che hanno meno di venticinque anni e più di quaranta. Elimina poi tutte quelle che hanno un quoziente di intelligenza inferiore a centoventi, tutte quelle alte meno di un metro e mezzo e più di uno e settantacinque».

     

    Mi dava istruzioni esatte. Mi chiese poi di eliminare tutte le donne che avessero figli viventi. E passò a eliminare tutte quelle con particolari caratteristiche genetiche. «Non ho ancora deciso per il colore degli occhi» mi disse, «ma per il momento lasciamo perdere. Basta che non abbiano i capelli rossi. Non mi piacciono.»

    Dopo due settimane eravamo arrivati a 235 donne. Una rosa di candidate molto ristretta rispetto al numero iniziale. Tutte parlavano l’inglese alla perfezione. Milton non voleva problemi di lingua. Persino una traduzione computerizzata sarebbe stata di troppo nei momenti intimi, mi spiegò.
    «Non posso avere colloqui con duecentotrentacinque donne» disse. «Ci vorrebbe troppo tempo, e poi gli altri potrebbero scoprire cosa sto architettando.»
    «Nascerebbero dei problemi» dissi io. Milton mi aveva manipolato in modo che io potessi fare cose che non rientravano nelle normali attribuzioni di un programma. E anche di questo nessuno sapeva niente.
    «Non sono fatti loro» disse lui. Era diventato tutto rosso in faccia. «Te lo dico io, Joe, come faremo. Ti porterò qui alcuni ologrammi e relative documentazioni e tu procederai per assomiglianza.»

     

    Mi portò il materiale olografico di tre donne. «Queste hanno vinto un concorso di bellezza» mi disse. «Nessuna delle duecentotrentacinque corrisponde più o meno a una di loro?»
    Ce ne erano otto che mostravano una somiglianza impressionante con una o l’altra di quelle tre.
    «Bene, tu hai tutti i loro dati» mi disse Milton. «Studia domande e offerte di lavoro e fai in modo che vengano assegnate qui. Una alla volta, naturalmente.» Restò un attimo soprappensiero poi, scrollando le spalle disse: «Procedi per ordine alfabetico».

    Quella era proprio una delle cose che non avrei dovuto essere programmato a fare. Spostare la gente da un lavoro all’altro, per motivi personali, era considerata manipolazione. Potevo farlo perché Milton mi aveva riprogrammato. Però potevo farlo unicamente per lui, sia chiaro.

     

    La prima ragazza arrivò la settimana dopo. Quando la vide, Milton avvampò, sembrò persino che non riuscisse più a parlare. Balbettava. Rimasero insieme per un bel pezzo, e per tutto il tempo lui non mi degnò della minima attenzione. A un certo punto le disse: «Permettetemi di invitarvi a
    cena».
    Il giorno dopo mi disse: «Non so perché, ma non va bene. Mancava qualcosa. È bellissima, ma io non ho sentito neanche una scintilla di vero amore. Proviamo con la prossima».

    Fu lo stesso con tutt’e otto. Erano troppo simili. Avevano tutte sorrisi meravigliosi e voci gradevolissime, ma ogni volta Milton scopriva che mancava qualcosa. «Non riesco a capire, Joe» mi disse. «Tu e io abbiamo scelto le uniche otto donne al mondo che corrispondono al mio ideale. E sono perfette. Perché non mi piacciono?»

    Gli risposi: «Ma tu piaci a loro?».
    Inarcò le sopracciglia sbattendo un pugno contro il palmo dell’altra mano. «Ecco perché, Joe. Non è una strada a senso unico. Se io non sono il loro ideale, non riescono a comportarsi in maniera da essere il mio. Dovrei essere il loro vero grande amore, ma come faccio?»

     

    Ci pensò tutto il giorno.
    La mattina seguente venne da me e mi disse: «Sto per lasciare tutto in mano tua, Joe. Dovrai fare tutto tu. Tu hai i miei dati, e io adesso ti racconterò tutto della mia vita, tutto quello che so di me stesso. Potrai completare i miei dati fin nei minimi particolari, ma quello che ne salterà fuori te lo
    terrai per te».
    «E poi che cosa ne devo fare di tutti questi dati, Milton?»
    «Li confronterai con quelli delle duecentotrentacinque donne. Anzi, duecentoventisette. Lascia fuori le otto che abbiamo già visto. Cerca di esaminare ognuna di loro da un punto di vista psichiatrico. Completa i loro dati e raffrontali ai miei. Trova le affinità.»
    Quella di sottoporre esseri umani a esami psichiatrici è un’altra delle attività che non rientrano nel mio programma originario.

     

    Per settimane intere Milton parlò con me. Mi parlò dei suoi genitori e della sua infanzia. Mi raccontò la sua adolescenza e la sua vita scolastica. Mi disse delle ragazze che aveva ammirato da lontano. Il corredo dei suoi dati aumentò, e lui fece in modo da aumentare e approfondire la mia dotazione di simboli.

    Mi disse: «Vedi Joe, stai imparando sempre più cose di me, e io farò in modo di equipararti sempre più e sempre meglio a me. Quando riuscirai a capirmi sufficientemente a fondo, allora la donna di cui riuscirai a sentire e capire altrettanto a fondo i dati, sarà il mio vero amore»
    Lui continuò a parlarmi e io arrivai a capirlo sempre meglio.
    Adesso potevo comporre frasi più lunghe e le mie espressioni verbali erano sempre più complesse. Il mio modo di parlare cominciò a somigliare sempre di più al suo, per la scelta dei vocaboli, per lo stile e per il ritmo delle frasi.

     

    Una volta gli dissi: «Vedi, Milton, non si tratta di cercare l’ideale solo dal punto di vista fisico. Tu hai bisogno di una ragazza che si adatti a te dal punto di vista personale, emozionale, di temperamento. Se c’è tutto questo, l’aspetto fisico diventa secondario. E se non riusciamo a trovare quella giusta fra le duecentoventisette, vuol dire che cercheremo altrove. E troveremo qualcuna a cui non interessa il tuo aspetto fisico, o quello di chiunque altro, perché dà importanza unicamente alle doti morali e intellettuali. In fondo, cosa conta l’aspetto?».
    «Hai ragione» disse lui. «L’avrei capito prima, se avessi conosciuto meglio le donne. Certo che a metterla così, tutto diventa più chiaro.»

     

    Eravamo sempre d’accordo: la pensavamo alla stessa maniera. «Non vedo altri problemi, Milton. Ora ti farò qualche domanda. Nei tuoi dati riscontro varie lacune e un paio di discordanze.»
    Quello che seguì, a quanto mi disse poi Milton, fu un vero e proprio esame psicoanalitico. Logico. Avevo imparato dall’esame dei dati relativi alle duecentoventisette donne che mantenevo sotto controllo costante.
    Milton sembrava soddisfatto e felice. Mi disse: «Parlare con te, Joe, è proprio come parlare con un altro se stesso. Le nostre personalità ormai collimano alla perfezione».
    «E succederà la stessa cosa anche con la donna che sceglieremo.»

     

    Perché io, la donna ideale l’avevo già trovata: era una delle 227 candidate. Si chiamava Charity Jones ed era una Lettrice della Biblioteca di Storia di Wichita. I suoi dati avevano piena rispondenza con i nostri. Tutte le altre donne, per un motivo o per l’altro non avevano superato l’esame a mano a mano che la lettura dei dati si approfondiva, ma con Charity c’era stata
    una risonanza crescente e stupefacente.

    Non c’era nemmeno bisogno di descriverla a Milton. Lui aveva correlato i nostri gusti in maniera perfetta, così che io potevo riconoscere la sensazione di risonanza anche senza il suo aiuto.
    Charity Jones mi si adattava benissimo. Lo sapevo.
    La prossima mossa era quella di fare in modo che Charity ci venisse assegnata. Era un’operazione molto delicata, perché nessuno doveva accorgersi che si stava facendo qualcosa di illegale. Naturalmente lo sapeva bene anche Milton, dato che era stato lui a progettare tutto e a renderlo possibile.

    Quando vennero a prenderlo per arrestarlo sotto l’accusa di aver commesso illeciti nell’esercizio delle sue funzioni, fortunatamente fu per qualcosa che lui aveva fatto una decina d’anni prima. Lui mi aveva parlato di quella vecchia storia, naturalmente, e così mi era stato facile combinare tutto. Sicuramente Milton non parlerà di me per non aggravare ulteriormente la sua posizione.

     

    Milton non c’è più, e domani è il 14 febbraio, giorno di San Valentino.
    Charity arriverà domani, con le sue mani fresche e la sua voce dolce. Le insegnerò come farmi funzionare e come prendersi cura di me. In fondo, che cosa conta l’aspetto fisico quando due esseri sono in risonanza perfetta?
    Le dirò: “Sono Joe, e tu sei il mio vero amore”.

    (Dalla raccolta Tutti i miei robot, di Isaac Asimov)














    martedì, ottobre 03, 2017

    La Trabanteide - racconto online

    (in onore dell'Unità Tedesca)


    ***





    Peter Patti

     

    L A      T R A B A N T E I D E



    Nell’aprile del 1990, Hans Aberle si apprestò a compiere il suo primo viaggio verso il capitalismo.
    Hans, capo turno di cella frigorifera in un’industria di alimentari di Grimma, era solito incontrarsi con i suoi amici nella locanda Testa di leone, dove, con l’appressarsi della stagione calda, la discussione si accentrava sempre più sulle ferie da andare a trascorrere possibilmente nella Germania Ovest.
    «Quattordici giorni, forse tre settimane per visitare i miei parenti “dell’altra parte“ e poi torno», sentiva gli altri dire.
    Soprattutto, vaneggiavano di acquisire questo o quel bene di consumo che finora era stato fuori dalla loro portata: interi caschi di banane, un videoregistratore, un’automobile potente e scintillante... Intanto però la loro paga rimaneva modesta, mentre i prezzi si catapultavano alle stelle.
    La Cortina di Ferro era caduta sei mesi prima, causando la chiusura di molte fabbriche dell’ex DDR. L’oste del Testa di leone (già Taverne Marx & Engels) non concedeva più crediti, e non è che la birra avesse un sapore migliore solo perché Grimma apparteneva ora alla Repubblica Federale Tedesca. Così, gli amici di Hans finivano spesso con lo stancarsi delle consuete fantasticherie e, amareggiati, stavano a rimuginare in silenzio tra i fumi dell’alcol, prima di tornarsene a casa: chi a piedi, chi in bici e chi col Trabant.
    Il Trabant è l’unico veicolo che fu prodotto nella Germania Orientale, e per decenni rappresentò il fondamentale oggetto di culto di quello che fu, per autodefinizione, il "socialismo realmente esistente“.
    Per Hans, gli incontri al Testa di leone si andavano vieppiù trasformando in un’esperienza triste e tormentosa. Quei volti grigi, affranti, depressi! E gli scambi di battute senza cuore, scolorite!
    «Buonasera.»
    «Forse.»
    La tavolata, un tempo spensierata e rumorosa fino a sfiorare l’osceno, assomigliava ormai a un’adunata di becchini a lutto. Voglia di parlare, confidarsi, sfogarsi. Ma spesso le bocche rimanevano chiuse. Volevo dire... Sì, continua! No, di’ tu! Dica lei! Non volevi...? Pensavo che fossi tu, che fosse lei, che... Con sfumature di imbarazzo.
    L’oste si spazientiva: «Ehi! Nessuno ordina un’altra birra? Non avete sete nemmeno stasera, eh?»
    Poteva capitare, ovviamente, che ogni tanto si sviluppasse una conversazione normale, o l’abbozzo di una conversazione:
    «Sapete chi ho incontrato? Il Dieter. È tornato ieri con la moglie. Ora vivono a Brema. Staranno qui tre giorni e poi se la squaglieranno di nuovo. Sono venuti in BMW...»
    «Ma va’ là. Com’è che il Dieter ci ha il biemmevù, che l’è via solo da sei mesi?»
    «Lo sappiamo tutti che l’è via solo da sei mesi, che stai a contarcela? Ma io non ci ho mica le patate sugli occhi e l’ho visto bene il Dieter dentro il suo biemmevù . Ci ho parlato pure!»
    «Beh, e a noi che ce ne cala del biemmevù?» interloquiva Hans.
    Occhiate incredule si posavano su di lui. «Che ce ne cala, dici? Quella sì che l’è una signora macchina, mica i nostri Trabbi
    “Trabbi“: diminuitivo di Trabant.
    «Ma finitela, che il Trabbi l’è proprio ottimo e ci ha pure la pelle più dura di tutte quelle automobili “dell’altra parte“», perorava Hans.
    Un circolo di facce diventava un circolo di facce che si scuotevano da destra a sinistra a destra a sinistra a. «Hansi, caro Hansi, sùzzati mo' un’altra bionda che così ci fai un piacere al Leone e ci lasci in pace pure a noi con le tue strullate.»
    E “Hansi“, ubbidiente, suzzava la sua bionda e non aggiungeva altro.
    A lui il Trabbi non dispiaceva punto. Benché a quest’automobilina affibbiassero di continuo epiteti offensivi (“elettrocartone“ era solo uno dei numerosi nomignoli), era fiero di possederne una.
    Per chi non ha mai avuto la ventura di imbattersi in un Trabant, spiegheremo qui che si trattava di una piccola utilitaria dall’aspetto austero e nel contempo sbarazzino, una scatoletta le cui intercapedini erano imbottite di matasse di cotone e altro materiale non bene identificato. Quando nella Repubblica Democratica Tedesca fu avviata la produzione in serie del “modello popolare“, le strade dell’emisfero occidentale erano solcate da quattroruote altrettanto minuscole: i maggiolini della Volkswagen, le Cinquecento con gli sportelli che si aprivano controvento, Mini Morris, Messerschmidt e persino BMW dall’abitacolo angusto e la linea breve. Nella forma e nelle dimensioni, dunque, il Trabant rispecchiava lo standard di quegli anni (il primo satellite sovietico aveva appena cominciato a gravitare intorno all’orbita terrestre... “Trabant“ significa, appunto, “satellite“). Il suo design veniva giudicato «elegante e armonioso».
    Ma l’epoca del maggiolino, della duecavalli e di altre vetture a formato ridotto era tramontata da un pezzo, e intanto il Trabbi non mutava di un iota. Certo, la vetturetta della DDR vantava eccellenti valori di frenata e di accelerazione, ma non offriva nessunissimo comfort; per tacere del fattore sicurezza, che era uguale a zero: uno scontro frontale a 40 km/h bastava perché si fracassasse completamente.
    A partire dagli anni Ottanta, voci maligne provenienti dalla Germania Ovest imputarono al Trabant addirittura la responsabilità maggiore per i malanni che affliggono la natura. Comunque fosse, Hans Aberle rimaneva indifferente alla congerie di chiacchiere. E, ora che la Guerra Fredda era finita, era più che mai deciso a lasciarsi alle spalle la Turingia e la Sassonia. A bordo del suo Trabant.



    Le ferie arrivarono e lui, come annunciato, si mise in viaggio. Imboccata l’autostrada nei pressi di Karl-Marx-Stadt (una città che era in procinto di riacquistare il suo antico nome: Chemnitz), si diresse per prima cosa a Gera. Gera rappresentò una sorta di bivio: da lì avrebbe potuto continuare per Jena, Gotha e Eisenach, e invece preferì l’altra soluzione, quella che lo portava a Hof e che era anche la via più breve per accedere alla Germania Occidentale dal vecchio territorio della DDR.





    ...

    domenica, gennaio 13, 2013

    Antologiaaaaaaaa... analisi logica...


    Per la serie: Voi chiedete, io rispondo


    Your Question:
    Dopo aver letto questo testo che è in questo sito: http://www.comprensivo-pieveanievole.it/PDF/materiali%20didattici/V3_U04_Il_romanzo_di_formazione.pdf

    potete fare una specie di lavoro?? ora vi spiego....dovete fare 4 domande a risposta multipla seguendo 4 punti.....(a risposta multipla significa : a; b; c; d)

    I 4 PUNTI:

    1. Fare un’inferenza diretta, ricavando un’informazione implicita da una o più informazioni date nel testo e/o tratte dall’enciclopedia personale del lettore.

    2. Cogliere le relazioni di coesione (organizzazione logica entro e oltre la frase) e coerenza testuale.

    3. Ricostruire il significato di una parte più o meno estesa del testo, integrando più informazioni e concetti, anche formulando inferenze complesse.

    4. Sviluppare un’interpretazione del testo, a partire dal suo contenuto e/o dalla sua forma, andando al di là di una comprensione letterale.

    QUINDI OGNI DOMANDA DEVE ESSERE DI UNO DI QUESTI 4 PROCESSI GRAZIE MILLEEEEE


    My Answer:


    "inferenza"???

    "organizzazione logica entro e oltre la frase"???

    Guarda, il tuo prof o la tua prof dev'essere uno/una psicopatica. Ancora queste cose fate a scuola??? Rompicapi per futuri disoccupati internati in manicomio? Ma questi schiavetti del Bürokretinismus pensano forse che i grandi scrittori, quando prendono la penna in mano, muoiano dalla voglia di fare l'analisi logica (o, meglio, illogica) delle proprie frasi?

    Povera Italia! Ecco perché siamo la Nazione più derelitta dell'emisfero occidentale! 


    venerdì, maggio 18, 2012

    Ora su Amazon - 'Transits'

     Un giovanotto viene assunto in una ditta importante ("la" ditta, ormai...) e deve confessare a se stesso di non meritarsi tanto onore. Tanto più che non sa proprio che fare, dentro a quel comodo ufficio che gli hanno assegnato con, nella stanza accanto, una splendida segretaria personale. Così, comincia a esercitarsi con i videogiochi...   L I N K

    Per chi volesse leggere (gratis) la versione alleggerita, e duque non il romanzo bensì il suo "imprinting", ovvero la novella Transits in versione .html, il link è questo.

    domenica, gennaio 22, 2012

    Addio al grande Consolo



    Viveva a Milano dal 1969, ma è sempre rimasto un siciliano doc, uno di quei siciliani profondamente dediti alla cultura e all'impegno civile e che non possono perciò non odiare la mafia. Nei suoi libri, raccontava la Sicilia che non si rassegna, ma, direi, soprattutto la Sicilia già rassegnata (leggasi ad esempio le splendide ma anche dure pagine su Palermo in 'Le pietre di Pantalica') e, fin dalla pubblicazione de 'Il sorriso dell’ignoto marinaio' (suo secondo romanzo: quello che lo consacrò nel Parnaso dei nostri maggiori scrittori), è stato amato e riverito anche dalla critica - almeno da quella non compromessa con l'imprenditoria qualunquista e fascista, anzi 'sfascista'. Eh già, perché Vincenzo Consolo, nato a Sant'Agata di Militello (Messina) nel 1933, era uno di quegli intellettuali "scomodi" che scelgono di stare dalla parte delle classi non privilegiate; non a caso, aveva iniziato la carriera lavorando nel quotidiano palermitano 'L'Ora', foglio che fu portavoce appunto di quelle classi e che più tardi, nel capoluogo cementificato a morte, sarebbe stato costretto a dichiarare fallimento.


    "Palermo è una Beirut distrutta da una guerra che dura ormai da quarant'anni, la guerra del potere mafioso contro i poveri, i diseredati della città. La guerra contro la civiltà, la cultura, la decenza." ('Le pietre di Pantalica')

    Consolo osservava i poveri, gli umili; indagava, li studiava... così come studiava la lingua italiana, di cui salvò le forme e i vocaboli più eleganti. Si dice - e ne ha accennato lui stesso - che prediligesse lavorare più sulla prosa che sull'invenzione narrativa; ma il suo italiano, magistralmente incastonato di sicilianismi e aulismi, evoca immagini di forza tale ('Retablo', 'La ferita dell'aprile', 'Di qua dal faro'...) da risultare esse stesse narrazione, tasselli di un mosaico che forse non sono proprio romanzo 'tout court', ma non corrispondono neppure all'antiromanzo. E' sempre il cronista, il giornalista, a trasparire dalle sue pagine. Del resto, Consolo amava attingere dalla realtà e, nei suoi libri, anche quelle che possono sembrare invenzioni fantastiche sono in verità fatti di cronaca, piccoli avvenimenti quotidiani, grandi momenti storici celati in polverosi diari che la sua intelligenza investigativa riusciva a scovare. Al contrario di Verga e dei veristi, lui credeva nella Storia e nel suo potere educativo; la Storia come paradigma morale e bussola per l'uomo moderno, non come arido assemblamento di vicende stantìe. In un'intervista rilasciata alla RAI, asserì: "Soltanto la letteratura può trattare, oltre che dell'aspetto storico, anche dei sentimenti dell'uomo, delle passioni..."
    La letteratura: sua grande passione fin da bambino. Amava Pirandello e Sciascia, era un esperto di Verga, Tomasi di Lampedusa e Vittorini, ma conosceva anche i non-siciliani: Alberto Moravia (incontrato personalmente a Lipari) e, 'in primis', Italo Calvino. Mentre gli intellettuali del Gruppo ’63 proclamano la necessità di rompere i nessi semantici e quelli sintattici, Consolo accoglie il suggerimento etico e razionalistico di Calvino di “dare ordine al caos”; opta sì per una sperimentazione, ma per una sperimentazione che, appoggiandosi alle radici della lingua, riesca a impregnare di 'lirismo' anche le circostanze e gli eventi più squallidi.
    A Milano si trovava per lavoro: faceva il giornalista alla RAI e poi - o durante - il consulente editoriale della casa editrice Einaudi; ma lui la metropoli lombarda l'aveva conosciuta in precedenza, avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica. Si può affermare che fosse uno dei tanti siciliani emigrati; con loro, condivideva il "destino d'ogni ulisside di oggi": quello di "tornare sovente nell'isola del distacco e della memoria e di fuggirne ogni volta, di restarne prigioniero..." Cercava in Sicilia, anno dopo anno, decennio dopo decennio, il segno di un cambiamento, di un miglioramento... ma invano. La regione natìa, per quanto bella, sembrava - e sembra - vittima dell'incantesimo di una malvagia Circe...

    Due episodi emblematici dalla sua vita: nel 1993, fresco di Premio Strega (lo ha vinto con 'Nottetempo, casa per casa'), dichiarò di voler fare le valigie e abbandonare Milano se mai il leghista Marco Formentini ne fosse diventato sindaco. Altre polemiche suscitò il suo rifiuto, nel 2002, di recarsi al Salone del Libro di Parigi, dove l'Italia era Paese ospite, poiché non voleva "rappresentare un governo [quello Berlusconi] che non ha nulla a che spartire con la cultura". Insieme a lui, si rifiutarono Umberto Eco, Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri.

    Stanco di fare la spola tra Nord e Sud, Vincenzo Consolo aveva dichiarato recentemente che gli sarebbe piaciuto tornare per sempre sull'isola dov'era nato.
    Desiderio rimasto incompiuto: lo scrittore si è spento ieri a Milano. Aveva 78 anni.

    «Barone, ma a chi sorride quello là?», chiede il servitore Sasà al Barone Mandralisca, indicando la tavola riproducente il "Ritratto di ignoto" di Antonello da Messina.
    «Ai pazzi allegri come voi e me, agli imbecilli!»

    (Da 'Il sorriso dell'ignoto marinaio')

    domenica, marzo 08, 2009

    Philip J Farmer

     (1918-2009)



    Orazione funebre


    "C'era una volta un demiurgo.

    Un creatore di universi.

    Questo dio forgiava persone e non-persone collegate non soltanto tra di loro, laggiù su mondi distanti, ma anche con noi, meri mortali di un pianeta periferico.

    Tale connessione rappresentava per noi il veicolo, la motivazione e il coraggio per raggiungere diversi gradi di illuminazione, oltre a quegli scopi che sarebbero rimasti utopici senza l'aiuto del demiurgo.

    Il 25 febbraio 2009 (tempo terrestre), il demiurgo se ne è andato, e a noi rimane un vacuum cosmico. Naturalmente sapevamo bene che anche lui non era eterno, ma la notizia della sua scomparsa ci ha lasciati ugualmente atterriti. Senza la sua fantasia e la sua abilità nel fabbricare nuovi cosmi, la nostra vita è più povera. 

    Ma forse possiamo diventare tutti come lui. E' questo l'ultimo, meraviglioso regalo che ci ha fatto Philip José Farmer."


     Nato a North Terre Haute, Indiana, da famiglia benestante, Farmer aveva sangue spagnolo e cherokee. Da bambino, oppresso dal puritanesimo dei genitori, si rifugiò nelle letture avventurose e fantastiche, che in seguito avrebbe rielaborato in molti suoi romanzi (fortunate rivisitazioni di Jules Verne ed Edgar R. Burroughs, del personaggio Sherlock Holmes e del mito di Dracula).

    Non furono facili i suoi inizi di scrittore, ma quando finalmente gli venne pubblicato il racconto lungo The Lovers (storia d'amore tra un terrestre e una creatura aliena), iniziò per lui una lunga e felice carriera, anche se non ebbe mai il successo di cui godettero invece molti colleghi meno dotati. Le caratteristiche delle sue storie? "Astounding situations", ovvero situazioni sorprendenti (Astounding stories era il nome di una celebre rivista di SF), con una punta di sano umorismo e generosi sprazzi di erotismo.

    Vastissima la sua bibliografia. Oltre ai numerosi racconti (le short stories furono la sua specialità), di Farmer vanno segnalati i romanzi del ciclo dei Fabbricanti di Universi e del ciclo del Mondo del Fiume. Uno dei suoi libri più significativi, formidabile riscrittura del Giro del mondo in 80 giorni, è The Other Log of Phileas Fogg (Il diario segreto di Phileas Fogg, Urania 1990).


     


    Un collezionista di premi


    Philip José Farmer vinse il suo primo Hugo nel 1953 nella categoria "Best New Writer" con The Lovers;  altri due gli vennero assegnati per il miglior romanzo breve ("Best Novella": Riders of the Purple Wage, 1968) e per il miglior romanzo ("Best Novel": To Your Scattered Bodies Go, 1972). Nel 2001, l'Associazione Americana degli Scrittori di Fantascienza e di Fantasy - SFWA - lo nominò Gran Maestro. Tra le altre sue onorificenze spiccano il First Fandom Award e il Forry Award (ambedue nel 2003). Poco prima della sua morte, il suo nome è stato incluso nella Top 15 Sci-Fi Authors of All-Time.


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          The Official Philip José Farmer Home Page


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    Alcuni dei libri più noti di Philip J. Farmer:


    Strange Relations, 1960 (Relazioni aliene; racconti)

    The Maker of Universes, 1965 (Il fabbricante di universi)

    A Feast Unknown, 1969 (Festa di morte)

    To Your Scattered Bodies Go, 1971 (Il fiume della vita)

    The Other Log of Phileas Fogg, 1973 (Il diario segreto di Phileas Fogg) 

    Venus on the Half-Shell, 1974 (con lo pseudonimo "vonnegutiano" di Kilgore Trout) (Venere sulla conchiglia)

    Jesus on Mars, 1978 (Cristo marziano)

    Two Hawk from Earth, 1979 (Roger Two Hawk)

    The Lovers, 1979 (Gli amanti di Siddo [la celebre novellatrasformata in romanzo])

    Dark Is the Sun, 1979 (Il sole nero)

    The Unreasoning Mask, 1984 (Il distruttore)

    The Grand Adventure, 1984 (La grande avventura)

    The Gods of Riverworld, 1984 (Gli dei del Fiume)       

    Dayworld, 1985 (Il sistema Dayworld)



    mercoledì, febbraio 11, 2009

    LIANA BURGESS

    in memoria

    Nel suo "obituary", il Liverpool Daily Post ricordò quanto Liana fosse addolorata per la morte del marito, avvenuta nel 1993 per cancro ai polmoni, e per quella del figlio, spentosi nel 2002 a soli 37 anni. Liana Burgess, traduttrice e agente letteraria, si chiamava in realtà Liliana Macellari e, dopo una vita trascorsa a fuggire dall'Italia ("e dal Vaticano"), è andata a morire proprio nel suo Paese natìo, in quel di Sanremo.

    Io e Liana

    Nel 2000 ebbi la sorpresa di essere contattato da "Mrs. Burgess", la vedova italiana del romanziere Anthony Burgess, al quale avevo dedicato una monografia online. Al nostro scambio di e-mails si aggiunsero le telefonate. Era sempre lei che telefonava, e lo faceva non solo per chiedermi consigli su editori, studiosi e università cui potersi rivolgere per continuare a propagare l'opera del marito, ma anche per conoscere il mio parere sulle traduzioni in tedesco di romanzi e saggi burgessiani. A questo proposito potei rassicurarla: "Qui in Germania hanno sempre fatto un ottimo lavoro. I libri di Anthony non sono stati affatto maltrattati; anzi! La traduzione di Earthly Powers [Gli Strumenti delle tenebre], ad esempio, è un capolavoro a sé".
    A volte mi chiamava da Londra, altre dal Principato di Monaco. Erano telefonate che potevano durare addirittura ore, ed era quasi sempre lei a parlare. Parlava soprattutto dei libri del marito, ma le piaceva anche riferirmi particolari su come passava i giorni, o quali programmi televisivi seguiva (amava la serie Un medico in famiglia) e quali fossero i suoi pensieri sulla situazione politica del Belpaese.
    "Io mi considero una fuggitiva" mi disse a più riprese.
    Ce l'aveva a morte con gli editori, soprattutto con quelli nostrani, i quali, a suo parere, non erano in grado di apprezzare i lavori di Anthony. Spesso appariva in stato confusionale, ma quando le capitò la disgrazia di perdere anche l'amato "Andrea" (Andrew Burgess Wilson), divenne laconica, non trovava le parole. Pur attraverso il telefono, la sua afflizione era palpabilissima. Come potere infondere coraggio a una Mater dolorosa?
    Infatti: è impossibile.
    E a questa donna dall'animo spezzato io preferivo di gran lunga la Liana di prima: nevrotica e vivace, sempre alla ricerca di una casa editrice seria che non lasciasse cadere nel dimenticatoio le opere dell'uomo al cui fianco era stata per un quarto di secolo.
    Nel 2001 io e mia moglie andammo a New York e, seguendo il consiglio di Liana, ci spingemmo fino ad Harlem, esplicitamente per vedere la casa in cui Anthony Burgess aveva abitato quando era guest professor all'università di NY. Il palazzo sembrava ora popolato unicamente da latinos. Scattammo alcune foto per mandarle a Liana, che le apprezzò tantissimo. Un'altra volta ci recammo al Principato di Monaco ma, per qualche ragione, non le facemmo visita. Ignoravamo del resto se lei fosse veramente lì oppure se a quell'indirizzo avessimo trovato soltanto la sua segretaria e collaboratrice, la fedele - e paziente! - Caroline Langdon Banks (la stessa Caroline che frequentemente mi telefonò e mi scrisse e-mails pregandomi di mettermi in contatto con "Mrs. Burgess"). Nella sua innata irrequietezza, Liana era solita fare la spola tra i suoi due principali luoghi di residenza ed era arduo starle dietro.
    Negli ultimi tempi aveva preso ad alloggiare sempre più spesso a Londra, in un quartiere felicemente multiculturale. Probabilmente nella capitale inglese si sentiva molto più a proprio agio che altrove. Il suo appartamento londinese era piccolo ma confortevole e lì lei era circondata da pile di giornali (non li buttava mai via!) e da piccole comodità domestiche che a Montecarlo non esistevano o che avevano un costo proibitivo.
    Non raramente la sentii lamentarsi del lusso e dei fasti che nel minuscolo Stato monegasco è quasi un obbligo sventolare, e almeno una volta all'anno si sentiva oltremodo disturbata dai clamori del Gran Premio di Formula Uno. No, meglio Londra, quindi, dove c'era un ragazzo pakistano che la aiutava a usare il computer e dove, appena dietro l'angolo, spuntavano come funghi i negozietti alimentari, che sono sempre un bel vantaggio per una persona ultrasettantenne non più agile sulle gambe.

    Insieme iniziammo un progetto per un "running commentary" dell'esilarante Honey for the Bears, quel resoconto romanzato di un viaggio nell'URSS (l'impero comunista russo) che Anthony compì insieme alla sua prima moglie e che gli servì tra l'altro per forgiare il "nadsat", lo slang che viene parlato dai protagonisti di Arancia meccanica. Però, come molte altre idee scaturite dal vulcanico cervello di questa donna, il progetto rimase incompiuto.
    A proposito di Russia: la stessa Liana si aggregò a una comitiva turistica e andò a visitare San Pietroburgo, non mancando di inviarmi alcune foto di quel suo viaggio.

       &nbsp

    Honey for the Bears era uno dei romanzi del marito che lei avrebbe voluto rilanciare e che, per le oscure leggi che governano l'editoria mondiale, continuava invece a vivere nel limbo delle opere a rischio d'oblio.
    Fu comunque certamente grazie ai suoi sforzi che altri romanzi di Anthony Burgess vennero ristampati: Il seme inquieto, Enderby, L'uomo di Nazareth, la Trilogia Malese, almeno uno dei lavori di lettura critica dell'opera di James Joyce, tutte le rivisitazioni - romanzesche e saggistiche - della vita di Shakespeare, ecc.

    Nel 2002, una telefonata desolante: la signora Burgess, questa donna altrimenti così fiera, di nobili origini (portava il titolo di "contessa"; apparteneva alla casata della Pergola e vantava una discendenza da Attila, re degli Unni) ma che aveva sempre nutrito principi sinistrorsi, si dolse con me della morte dell'unicogenito. Dalla sua voce, ma anche dai suoi inediti silenzi, capii che si trovava ancora in stato di choc. Io medesimo non avevo quasi parole di conforto. Le chiesi ad ogni modo come Andrew fosse deceduto, e non ottenni risposta. Suicidio? Rimase una questione mai chiarita; persino i migliori biografi di Anthony Burgess (e di Liana) non l'hanno ancora risolta.


    [Nota aggiuntiva: la versione ufficiale parla di emorragia cerebrale, io l'ho appreso solo molto dopo aver compilato le presenti righe.]


    Da questo tragico evento in poi, le sue telefonate iniziarono a diradarsi. Io non potevo biasimarla, naturalmente, e nei pochi anni che seguirono Liana fu sempre più avvolta dalle nebbie di una disperata pazzia: pareva che, insieme al suo corpo, le si rimpicciolissero anche anima e mente.
    Quando a metà del 2008 appresi, spulciando l'archivio di The Guardian, che Liana Burgess si era spenta nel dicembre 2007, stavo ancora piangendo per la morte di mio figlio adottivo (Andreas Grassl, 6/10/1975 - 24/11/2007), e solo a poco a poco la portata di quest'altra notizia funerea poté penetrare nel mio spirito, facendomi molto riflettere sui casi della vita (Andrew / Andreas; novembre 2007 la dipartita di Andreas / e dicembre 2007 quella di Liana...). Non fu un caso neppure il fatto che avessi saputo della morte di Liana con mesi di ritardo: questa donna, da molti giudicata "invasiva", in realtà visse sempre all'ombra dei suoi due mariti (il primo, Benjamin Johnson, era un afro-americano che tradusse tra l'altro i racconti brevi di Italo Svevo). Non le mancavano le qualità intellettuali, ma a dispetto del suo carattere ribelle - "fui una delle prime femministe" - finì per ricoprire il ruolo di brava consorte, facendo sì che Anthony Burgess ci regalasse alcune tra le sue opere migliori.


    Tappe di un amore

    Quando la cirrosi epatica si portò via Lynn (vero nome: Llewela), ovvero la moglie gallese di Anthony Burgess (i due andavano a ubriacarsi nei pub e lei lo tradiva volentieri), lo scrittore, vedovo ma non più disperato (il film di Stanley Kubrick Arancia meccanica lo rese ricco e famoso), si ritrovò padre: davanti a lui si presentò infatti un'italiana con la quale aveva trascorso una sola notte d'amore, tale Liliana o Liana, Contessa de' Macellari (al secolo poi divenuta Liana Burgess), sposata Johnson e in attesa di ottenere il divorzio dal poeta-traduttore di estrazione caraibica. La giovane donna fece conoscere ad Anthony uno scricciolo di tre anni, Andrew o Andrea, dicendogli appunto che trattavasi del loro "spermium", insomma del frutto dell'unica notte che avevano trascorso insieme.
    Lo scrittore inglese acconsentì subito di provvedere ai bisogni del bambino e, anzi, dato che la propria vita era sempre stata un caos, si disse d'accordo a una convivenza. Fu però subito palese che non sarebbe certo stata Liana a rimettere ordine all'esistenza di Anthony: lei stessa conduceva una vita tutt'altro che borghese... Ma il pregio di Liana era proprio quello di essere una donna esuberante e combattiva, nonché dotata di un grande senso pratico; ed ecco che si siede al volante di uno sgangherato camper e, insieme al tranquillo, sedentario Anthony e al piccolo e sempre agitato Andrew, inizia un pellegrinaggio attraverso l'intera Europa. Lo scopo dichiarato è quello di sfuggire al terribile fisco britannico (cosa che in quegli anni facevano tanti; vedi i Rolling Stones, che erano andati a rifugiarsi nella Costa Azzurra). I tre abiteranno a Malta, in Italia, in Francia, in Svizzera e negli USA e più esattamente a New York (dunque non solo in Europa, a conti fatti!), approdando infine nel Principato di Monaco. Nell'autobiografia You've Had Your Time, Burgess decanta i pregi della sua nuova moglie pur crucciandosi nel contempo di non trovare il tempo di scrivere. Ma Liana fa di tutto per togliergli di dosso gli impacci della quotidianità e, in effetti, anche negli ultimi trent'anni della sua vita lo scrittore sarà prolificissimo, producendo tra l'altro quello che secondo me è il suo autentico capolavoro, ovvero Gli strumenti delle tenebre (noto anche come I poteri delle tenebre).
    In un certo qual modo, grazie alla moglie italiana Burgess raggiunse una dimensione felice, anche se non si può propriamente definirla una "felicità equilibrata", dato lo stile di vita. Fu molto attivo e sempre più spesso veniva invitato nei talk shows, dove dava spettacolo facendo mostra di tutta la sua cultura e dove si lanciava in aspre polemiche soprattutto contro il protestantesimo.

    Paolo Andrea Macellari, poi divenuto Andrew Burgess Wilson, e quindi il pargolo cresciuto a rimorchio di tale coppia zingaresca, felice sicuramente lo fu soltanto nei primissimi anni. Costretto a imparare in fretta i prodromi di diversi idiomi (inglese, italiano, maltese...), conobbe la situazione dell'emarginato; dovunque andasse, veniva considerato uno straniero e come tale trattato. Negli ultimi anni lo ritroviamo in Scozia con il classico 'kilt' a suonare in un'orchestra classica; fu, quello, un tentativo estremo di appigliarsi a una "patria" (dalla Scozia provenivano gli avi del presunto padre) e di crearsi un'arte. Similmente a molti individui fondamentalmente apolidi, gli mancava la sicurezza, e morì "nel mezzo di sua vita"; qualcuno dice per una malattia, altri giurano sul suicidio...

    ["Emorragia cerebrale".]

     
    Ad Anthony Burgess, andatosene prima di lui, fu dunque risparmiata la sofferenza per la morte di un figlio. Diciamo "figlio" anche se i dubbi sulla paternità sono giustificati: Andrew era di carnagione piuttosto scura, un particolare già ampiamente trattato in un paio di biografie "cattive" sullo scrittore (Liana era particolarmente arrabbiata per quella di Roger Lewis, che tra l'altro sostiene che il vero papà di Paolo Andrea fosse Roy Lionel Halliday, un insegnante, ex compagno della donna).


    Chi era Liana
    (biografia semi-stereotipata)

    Liliana Macellari (nata a Porto Civitanova nel 1929) tradusse due opere di Thomas Pynchon (V e The Crying of Lot 49) e altrettante di Anthony Burgess (Malayan Trilogy e The End of the World News). Aveva inoltre in cantiere un'ambiziosa traduzione del Finnegans Wake di Joyce, da lei reintitolato pHorbiCEtta, e per anni coltivò la fotografia, altra sua grande passione.
    In primis però curò la parte contrattuale dei lavori del marito, riuscendo a fargli avere alti compensi dai giornali che pubblicavano le sue recensioni e i suoi essays, nonché negoziando con i responsabili delle case editrici che, come abbiamo già visto, lei riteneva "una banda di ladri". Si calcola che, dopo la morte di Anthony, possedesse circa 3 milioni di dollari (grazie anche agli accordi con produttori cinematografici), oltre a una decina di case sparpagliate per il continente europeo. Parte delle ricchezze le donò all'Anthony Burgess Center dell'Università di Angers, in Francia, e all'International Anthony Burgess Foundation di Manchester (città dove lo scrittore era nato).
    Lewis riferisce che Anthony Burgess spesso non aveva un solo centesimo in tasca e che ignorava l'ammontare del proprio conto bancario ("He never knew how much money he had in the bank and often had not a dime in his pocket"), ma non è strano né raro che gli artisti lascino alla propria dolce metà il compito di occuparsi delle finanze.

    L'affaire tra Liana e il fantomatico Roy Halliday era sbocciato a Roma. La coppia si trasferì a Londra e lui annegò durante una regata sull'Atlantico. La donna ebbe poi a dichiarare che l'unica cosa rimastele da quella storia fu la macchina da scrivere di Halliday.
    Sposò John Wilson (che scriveva sotto lo pseudonimo Anthony Burgess) nel 1963. Si erano conosciuti quando lei lo contattò perché incaricata dalla Bompiani di compilare un almanacco di letteratura inglese. Dopo aver letto A Clockwork Orange e Inside Mr Enderby (quest'ultimo firmato da Burgess con il nom de plume Joseph Kell), credette di avere scoperto due nuovi autori geniali. E scrisse entusiasticamente ad entrambi, scoprendo, con grande stupore, che si trattava di un'unica persona.
    Si diedero appuntamento in un ristorante di Chiswick e ben presto si innamorarono. "Ero in realtà innamorata delle sue opere" ebbe a dire Liana. "Anthony non era precisamente bello..."
    Lo scrittore era restio ad abbandonare Llewela per non urtare la suscettibilità di suo cugino George Patrick Dwyer, arcivescovo cattolico di Leeds. Intanto (nel 1964) nasceva Paolo Andrea, all'insaputa di Anthony.
    Nel '67, Liana divenne docente del King's College di Cambridge, e in quel periodo tradusse Pynchon.
    Il gossip storico ci dice che lei poté rivedere Burgess solo dopo la morte della moglie di questi (marzo '68). Gli presentò il bimbo e sei mesi dopo erano marito e moglie. Liana aveva 38 anni, lui 53.
    Determinati a non pagare le tasse (i professionisti erano costretti a dare il 90% dei loro proventi al fisco britannico), Anthony e Liana, con Andrew a rimorchio, iniziarono la loro odissea a bordo del vecchio e assai malandato Bedford Dormobile. Al volante c'era lei, mentre Anthony stava sul retro a scrivere romanzi e copioni cinematografici (uno di questi fu il Gesù di Zeffirelli).
    Dopo un soggiorno nell'ostile - perché malata di bacchettonismo - isola di Malta, cominciarono un tour americano che durò quattro anni e li portò in svariate università. Burgess fu ospite tra l'altro di quelle di Chapel Hill, Princeton e del City College di New York.
    Gli acquisti di case (per lo più semplici appartamenti) a Roma, Malta, Bracciano, Callian (sulla Riviera Francese), Siena, Lugano, Twickenham, Londra-centro e Monaco rappresentavano, nelle intenzioni di Liana, un modo sicuro per investire il denaro. Dietro alla sua anticonvenzionalità esisteva, dunque, una formale praticità.
    Dal 1975 lei divenne ufficialmente l'agente letteraria per l'Europa di Anthony Burgess. Ma non era brava solo a contrattare: a testimoniare la sua bravura di traduttrice c'è il Premio Scanno, che le venne assegnato per la sua ingegnosa versione italiana della Trilogia Malese. Tradusse inoltre, dal romanesco all'inglese, molti sonetti di Giacchino Belli (poeta di cui Burgess era ammaliato); molti di quei versi sono stati inseriti in Abba Abba, libro di Anthony Burgess.
    Nel 1977, è la stessa Liana che si trasforma in una figura romanzesca: la troviamo infatti in Beard's Roman Women nei panni della seducente e combattiva fotografa Paola Lucrezia Belli.

    Diventata vedova, fece di tutto per promuovere non soltanto i libri ma anche la musica di Anthony: un'attività che la sorresse nel lutto. Ma poi arrivò anche la perdita dell'unico figlio e dal suo volto minuto svanì l'ultimo barlume di sorriso.
    Morì di cancro ai polmoni (come il marito) il 3 dicembre 2007, a 78 anni.