Visualizzazione post con etichetta vincenzo consolo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta vincenzo consolo. Mostra tutti i post

domenica, gennaio 22, 2012

Addio al grande Consolo



Viveva a Milano dal 1969, ma è sempre rimasto un siciliano doc, uno di quei siciliani profondamente dediti alla cultura e all'impegno civile e che non possono perciò non odiare la mafia. Nei suoi libri, raccontava la Sicilia che non si rassegna, ma, direi, soprattutto la Sicilia già rassegnata (leggasi ad esempio le splendide ma anche dure pagine su Palermo in 'Le pietre di Pantalica') e, fin dalla pubblicazione de 'Il sorriso dell’ignoto marinaio' (suo secondo romanzo: quello che lo consacrò nel Parnaso dei nostri maggiori scrittori), è stato amato e riverito anche dalla critica - almeno da quella non compromessa con l'imprenditoria qualunquista e fascista, anzi 'sfascista'. Eh già, perché Vincenzo Consolo, nato a Sant'Agata di Militello (Messina) nel 1933, era uno di quegli intellettuali "scomodi" che scelgono di stare dalla parte delle classi non privilegiate; non a caso, aveva iniziato la carriera lavorando nel quotidiano palermitano 'L'Ora', foglio che fu portavoce appunto di quelle classi e che più tardi, nel capoluogo cementificato a morte, sarebbe stato costretto a dichiarare fallimento.


"Palermo è una Beirut distrutta da una guerra che dura ormai da quarant'anni, la guerra del potere mafioso contro i poveri, i diseredati della città. La guerra contro la civiltà, la cultura, la decenza." ('Le pietre di Pantalica')

Consolo osservava i poveri, gli umili; indagava, li studiava... così come studiava la lingua italiana, di cui salvò le forme e i vocaboli più eleganti. Si dice - e ne ha accennato lui stesso - che prediligesse lavorare più sulla prosa che sull'invenzione narrativa; ma il suo italiano, magistralmente incastonato di sicilianismi e aulismi, evoca immagini di forza tale ('Retablo', 'La ferita dell'aprile', 'Di qua dal faro'...) da risultare esse stesse narrazione, tasselli di un mosaico che forse non sono proprio romanzo 'tout court', ma non corrispondono neppure all'antiromanzo. E' sempre il cronista, il giornalista, a trasparire dalle sue pagine. Del resto, Consolo amava attingere dalla realtà e, nei suoi libri, anche quelle che possono sembrare invenzioni fantastiche sono in verità fatti di cronaca, piccoli avvenimenti quotidiani, grandi momenti storici celati in polverosi diari che la sua intelligenza investigativa riusciva a scovare. Al contrario di Verga e dei veristi, lui credeva nella Storia e nel suo potere educativo; la Storia come paradigma morale e bussola per l'uomo moderno, non come arido assemblamento di vicende stantìe. In un'intervista rilasciata alla RAI, asserì: "Soltanto la letteratura può trattare, oltre che dell'aspetto storico, anche dei sentimenti dell'uomo, delle passioni..."
La letteratura: sua grande passione fin da bambino. Amava Pirandello e Sciascia, era un esperto di Verga, Tomasi di Lampedusa e Vittorini, ma conosceva anche i non-siciliani: Alberto Moravia (incontrato personalmente a Lipari) e, 'in primis', Italo Calvino. Mentre gli intellettuali del Gruppo ’63 proclamano la necessità di rompere i nessi semantici e quelli sintattici, Consolo accoglie il suggerimento etico e razionalistico di Calvino di “dare ordine al caos”; opta sì per una sperimentazione, ma per una sperimentazione che, appoggiandosi alle radici della lingua, riesca a impregnare di 'lirismo' anche le circostanze e gli eventi più squallidi.
A Milano si trovava per lavoro: faceva il giornalista alla RAI e poi - o durante - il consulente editoriale della casa editrice Einaudi; ma lui la metropoli lombarda l'aveva conosciuta in precedenza, avendo frequentato la facoltà di Giurisprudenza dell'Università Cattolica. Si può affermare che fosse uno dei tanti siciliani emigrati; con loro, condivideva il "destino d'ogni ulisside di oggi": quello di "tornare sovente nell'isola del distacco e della memoria e di fuggirne ogni volta, di restarne prigioniero..." Cercava in Sicilia, anno dopo anno, decennio dopo decennio, il segno di un cambiamento, di un miglioramento... ma invano. La regione natìa, per quanto bella, sembrava - e sembra - vittima dell'incantesimo di una malvagia Circe...

Due episodi emblematici dalla sua vita: nel 1993, fresco di Premio Strega (lo ha vinto con 'Nottetempo, casa per casa'), dichiarò di voler fare le valigie e abbandonare Milano se mai il leghista Marco Formentini ne fosse diventato sindaco. Altre polemiche suscitò il suo rifiuto, nel 2002, di recarsi al Salone del Libro di Parigi, dove l'Italia era Paese ospite, poiché non voleva "rappresentare un governo [quello Berlusconi] che non ha nulla a che spartire con la cultura". Insieme a lui, si rifiutarono Umberto Eco, Antonio Tabucchi e Andrea Camilleri.

Stanco di fare la spola tra Nord e Sud, Vincenzo Consolo aveva dichiarato recentemente che gli sarebbe piaciuto tornare per sempre sull'isola dov'era nato.
Desiderio rimasto incompiuto: lo scrittore si è spento ieri a Milano. Aveva 78 anni.

«Barone, ma a chi sorride quello là?», chiede il servitore Sasà al Barone Mandralisca, indicando la tavola riproducente il "Ritratto di ignoto" di Antonello da Messina.
«Ai pazzi allegri come voi e me, agli imbecilli!»

(Da 'Il sorriso dell'ignoto marinaio')

sabato, maggio 21, 2011

Il siciliano nelle scuole trinacre

Ormai siamo al puro delirio

Considerazioni di un italianista militante


Secondo i miei ricordi e secondo mie esperienze recenti, la scuola dell'Isola è già troppo pregna di siciliano e sicilianismi; persino tra di loro gli insegnanti parlano in vernacolo... Tutto e tutti tradiscono uno sviscerato e pericoloso attaccamento al dialetto e ai luoghi atavici: e ciò ancora nel Terzo Millennio!
Già da bambino individuai in questa scarsa voglia di apertura cultural-linguistica, in questo monomaniacale guardarsi l'ombelico, i gravi mali che affliggono la società trinacra; in primis, la mafia, e dunque il Trionfo degli Imbecilli (con tutta la violenza e le ingiustizie che ne conseguono).

Noi abbiamo un tesoro prezioso e inesauribile: la lingua italiana. Con "noi" intendo "noi siciliani", ma non solo. Abbiamo questo stupendo dono della Storia che accomuna tutte le regioni dalle Alpi in giù: quindi, se proprio vogliamo regalare ai nostri figli un idioma, che sia quello nazionale! Tanto, i ragionalismi e le febbri di campanilismo affioreranno sempre (purtroppo) nelle più banali parentesi di quotidianità.
Stuoli di poeti e scrittori hanno contribuito per foggiare una delle più belle e suggestive lingue al mondo: approfittiamone! Non abbiamo che da attingere a piene mani da tale mucchio d'oro dolce.

La politica sembra essere uscita completamente fuori di testa. La legge appena varata dall'Assemblea Regionale sembrerebbe un diretto suggerimento di pupari iniqui, dei soliti manovratori occulti. Qui si vuole ancora proteggere "l'onore della famiglia" e salvaguardare le "cose nostre" mentre la realtà sociale va a scatafascio - per tacere dell'ecoambiente ormai rovinato. Se è questo il risultato di ère di "governo" di cosche mafiose, conviene affidarsi a... ben altri Santi.
Anche per ciò, concordo con Vincenzo Consolo:
"Ormai siamo alla stupidità. Una bella regressione sulla scia dei lumbard. Che senso hanno i regionalismi e i localismi in un quadro politico e sociale già abbastanza sfilacciato? Abbiamo una grande lingua, l'italiano, che tra l'altro è nata in Sicilia: perché avvizzirci sui dialetti? Io sono per la lingua italiana, quella che ci hanno insegnato i nostri grandi scrittori, e tutto ciò che tende a sminuirla mi preoccupa".

Da parte mia, propongo agli amici siciliani addirittura di elevare l'italiano a un'ideale arma contro la volgarità e i mafiosismi, facendo del lessico nazionale una sorta di shibolet, ovvero di marchio di riconoscimento; un metodo portentoso per sciogliere le incrostazioni calcaree che bloccano la nostra bella isola impedendole di spiegare le vele.

Certo però che per iniziare veramente a diffondere l'italiano nelle scuole (ma anche l'inglese! L'inglese è importantissimo; dovrebbe essere la nostra seconda lingua...) avremmo bisogno di insegnanti capaci; insegnanti aperti, con alle spalle esperienze di viaggi e soggiorni al Nord e magari anche all'estero, tanto da aver sviluppato una coscienza civile e politica. Ed è qui - mi suggeriscono i miei tremuli ricordi -, è in questa carenza, nei posti-chiave, di anime e spiriti o, se volete, di intelletti, che risiede l'autentico cruccio della Sicilia.



Leggete anche l'articolo apparso su Repubblica: "Il siciliano si studierà a scuola -
Ma gli scrittori bocciano la legge"