domenica, marzo 21, 2021

Due pareri antitetici su Camilleri e Montalbano



Camilleri e Montalbano, pro e contra. Cominciamo con i "contra":
Alida Pardo. Di seguito, la replica di Giuseppe Alù

 


Alida Pardo


Ci deve essere qualcosa che non capisco in Camilleri. Forse una di quelle antipatie inconsulte che a volte si manifestano, inspiegabili, e rimangono attaccate al pensiero come una colla velenosa. Il suo aspetto fisico non lo ha favorito, ma questa non sarebbe una spiegazione: e allora Ungaretti? E Alda Merini?

Tutti sappiamo cos’è il colpo di fulmine, l’innamoramento irresistibile e irragionevole. Io ho provato la stessa cosa per Camilleri, ma al contrario. Un contro-innamoramento, un anti-innamoramento. Una sorta di black out comunicativo me l’ha fatto rigettare alla terza pagina del primo libro assaggiato, quando ho sentito la sua lingua assolutamente falsa. E la lingua è tutto per uno scrittore. Quella di Camilleri non corrisponde a nessun dialetto, nessun autentico siciliano ci si riconoscerebbe: è marcatamente “sicula” ma inventata, è stantia, forzata, greve. Lì è avvenuto il corto circuito. Non posso giudicarlo quindi come scrittore.


Però ho avuto un’esatta percezione del mito di Camilleri. Il suo Montalbano è soprattutto un personaggio televisivo apprezzatissimo e citato anche dalla mia parrucchiera che ha fatto un pellegrinaggio fino alla “sua” casa. Una casa che dovrebbe fare inorridire gli ecologisti e i magistrati che combattono contro gli abusi edilizi.

Ho visto alcune puntate della serie, conosciuta in tutto il mondo, mentre mio marito si rifugiava nella sua camera, lui è molto più schizzinoso di me. Ma non è che mi abbiano incantato. Ho apprezzato le magnifiche ambientazioni, i raffinati interni primo Novecento, la bravura dell’attore protagonista, il bel tratteggio dei suoi due collaboratori.

Ma questo è il fumo. L’arrosto sono le trame talora improbabili e contorte; i personaggi spesso caricaturali; le macchiette ripetute fino allo sfinimento, senza pudore (“La porta mi scappò”). Ammesso che la struttura dei “gialli” sia ben congegnata e che io ne sottolinei i difetti anche solo per antipatia, non ho mai capito perché si debba pagare questo prezzo. Perché cedere inspiegabilmente al consenso dell’Italia di Pappagone?

In un ambiente provinciale da far mancare l’aria, con le strade costantemente vuote, statico e deserto come un fondale di teatro, rappresentativo di una bellezza trascorsa e immobile, in una parola falso, si svolgono le complicate vicende di “masculi” di tutte le età ed estrazione sociale e “picciotte” (o “settantine”) che si amano, si odiano, si ricattano, fanno spudoratamente sesso, si uccidono, parlando una lingua sconosciuta e fasulla il cui significato, più che “ammucciato” è irritante. Ogni episodio è contrassegnato da litanie di dubbio gusto: la rappresentazione dei notabili delle Forze dell’Ordine, descritti come inverosimili imbecilli; le tirate del medico legale a suon di turpiloquio e rottura di “gabbasisi” con nauseanti abboffate di cannoli; il rapporto di Montalbano con la fidanzata nordica e ingenua, francamente stucchevole.


Forse ciò che maggiormente non sono riuscita a digerire nei telefilm di Montalbano è la sua concezione della donna. L’ostentazione imbarazzante del corpo femminile mi pare al limite dell’offensivo, col suo erotismo greve, ammiccamenti pronunciati, accavallamenti di gambe, allusioni insistenti. Le tette esplosive, i sederi che ondeggiano, gli spacchi nelle gonne mi sembrano espressione di una sessualità primitiva e assomigliano più alle fantasie masturbatorie di un vecchio che all’ironia di Woody Allen il quale a ottant’anni immagina magnifiche giovani donne nel suo letto. Tutte le donne di Camilleri sono corpo e solo corpo. O domestiche. Oppure (la fidanzata di Montalbano) gattine stucchevolmente gelose, carine, conformiste, buoniste, occasionalmente invadenti e soprattutto cretine. Mai anima, mai testa, mai passione, mai poesia.

Forse c’è un costante intento grottesco. Una continua strizzata d’occhio. Forse consiste proprio in questo il merito di Camilleri? Non so. Continuo a dire “non so”. So invece che ciò che ha incantato gli altri mi fa fuggire.

Non riesco a dire “de mortuis nil nisi bonum”. Ma mi piace ricordare Camilleri nel suo lungo, colto, commovente fino allo strazio “Dialogo con Tiresia”. Camilleri era anche altro da ciò che abbiamo visto con “Il commissario Montalbano”.


Expressioni, blog dell'autrice

 

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 Giuseppe Alù


Ciao Alida. Ti scrivo sul tuo giudizio su Montalbano.

Premessa. Il tuo giudizio è semplicemente perfetto. Ma non posso condividerlo del tutto. Cioè? Vedi, il discorso si fa ampio e complesso. Cercherò di renderlo più semplice e chiaro possibile.

 

Secondo me, tu guardi Montalbano da un punto di vista sbagliato. Tu pensi di vedere un giallo ambientato in Sicilia, e non lo trovi. Non lo trovi perché non c’è nessun giallo ambientato in Sicilia. E cosa c’è? C’è una “favola” che segue una trama ben congegnata, che si svolge in un paese immaginario che adombra una strana e irreale Sicilia e che offre allo spettatore due ore piacevoli e diversive. Tutto è immaginario, sono immaginarie le strade e le piazze, vuote, pulitissime, come quadri di De Chirico; così come immaginario è il nome stesso del paese, Vigata, che in Sicilia non esiste. Gli stessi personaggi di questa favola non sono persone, ma veri e propri “personaggi” mossi da un regista abilissimo. Le storie sono a volte complicate a volte semplici, ma servono per far agire i personaggi sulla scena. Essi sono fissati nei loro immodificabili ruoli, come nella commedia dell’arte: il medico legale è mangiatore di cannoli, il Questore è imbecille e prepotente (satira dei capi?), il vice commissario è donnaiolo fino allo sfinimento, Fazio è l’aiutante serio ed efficace, Catarella è scemo e nello stesso tempo un fenomeno nei computer… Un tocco di buffoneria un tempo c’era in ogni spettacolo. Aggiungi magnifici panorami, mare, paese arroccato sulla collinetta, donne bellissime scese da Vanity Fayr (siciliane? Mah!), casa sulla spiaggia che tutti sognano.. Particolarmente meritano una ammirazione sconfinata i comprimari-caratteristi, sfilano mogli, vecchi, notai, medici, tutti di una bravura straordinaria, assolutamente autentici nella loro recitazione. Essi mi sembrano il top degli episodi, tanto che mi chiedo in quali teatri di prosa siciliani lavorano simili attori che meriterebbero di essere conosciuti a livello nazionale.

 

Insomma uno spettacolo di svago che non può essere giudicato alla stregua di un lavoro impegnato e impegnativo.

 

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La lingua di Montalbano è Inventata? Certamente, e allora? Se funziona, va bene. Tra l’altro, tutto là è invenzione. E’ forse un difetto non essere un dialetto “preciso” (di quale paese, poi?) o non essere lingua ufficiale in un’opera di fantasia? Ricordo il grandissimo film di Brancaleone (Barbero ha detto che chi vuol capire il Medio Evo deve partire da Brancaleone). Per la lingua che si doveva usare nel film, furono officiati alcuni dei linguisti più noti nel Paese e ne venne fuori qualcosa di straordinariamente divertente ed efficace (“lo perché?”). Lingua inventata, appunto, di sana pianta. Sono sicuro che Boccaccio abbia inventato gran parte delle espressioni adoperate nel suo librone. L’arte ha bisogno di libertà, di sperimentazioni, di ricerca di maggiore efficacia, purché rimanga arte. Ma queste riflessioni sono certamente fuori misura se parliamo degli episodi del Commissario Montalbano.

 

E aggiungo: non è un caso che l’intero pacchetto degli episodi di Montalbano sia stato acquistato da 49 paesi nel mondo, e che dovunque abbia ricevuto ampi consensi. Stranieri che vengono in Sicilia cercano Vigata! Questo dovrebbe far scattare un campanello d’allarme circa il tuo giudizio negativo. Tutti questi apprezzamenti in patria e all’estero debbono averer un motivo. Ed il motivo è appunto che la serie raffigura, una “realtà di fantasia” resa in una forma gradevole. E’ a tutti chiaro che si tratta di “favole” e sorridono delle esagerazioni nel contorno del fatto narrato. Quando leggiamo con piacere la favola di Cappuccetto Rosso dove dalla pancia del lupo esce allegra e pimpante la nonna che era stata poco prima trangugiata dal lupo cattivo, noi siamo contenti, e non ci disturba l’assurdità della trovata; non vogliamo la verità della realtà, ma quella della fantasia. Ci sono “favole” del tempo passato e questa di Montalbano è una “favola” del mpo presente,un tempo che ci vede stufi di immagini cruente, di assassinii in primo piano e di scene feroci e truculente. O di storie sempre impegnative. Per questo Montalbano alla TV piace a molti. E anche a me.



Giuseppe Alù (Caltanissetta 1936) ha pubblicato La contessa Marianna, Mondadori 1989 (Premio San Vidal – Venezia – 1989); Storia e storie del Risorgimento a Treviso, Edizioni Galleria 1987; Lo scritto e il sigilloRaccolta di poesie 1971-1981. E: Tedeschi. Quadretti di una esposizione, Asterios 2018 (disponibile qui).

1 commento:

Alida ha detto...

Quando un giudizio riguarda il gusto personale, e appartiene alla sfera delle emozioni, non è “attaccabile” dalla ragione.
A Giuseppe Alù (di cui tutti conoscono le qualità di scrittore) vorrei rispondere che non contesto la natura di favola dei racconti del Commissario Montalbano, ma la loro grossolanità, la loro imperdonabile rozzezza. Tant’è vero che lo stesso Alù dice che i “personaggi sono fissati nei loro immodificabili ruoli, come nella commedia dell’arte”. E la commedia dell’arte è la forma primitiva del teatro moderno. Come l’Italia televisiva degli anni ‘60 ripeteva in coro “Ecche qua”, l’Italia televisiva del 2000 si diverte con “La porta mi scappò”. Riti e celebrazioni a livello infimo.
Non solo. In questa favola in cui è tutto inventato - dalle strade deserte al linguaggio zeppo di calchi arcaici e ripetitivi - in questa favola nata per l’evasione, gli uomini si comportano come i cafoni degli anni ’50 che nelle piazze del Sud divoravano con gli occhi le ragazze di passaggio, quando non le ricoprivano di apprezzamenti e proposte irriferibili. Impera un parlare sboccato e sguaiato, solo maschile, anch’esso ripetitivo (scassare la m…; rompere i gabbasisi) peggiore del turpiloquio giovanile che ha perduto quasi la sua valenza di volgarità. Alù dice che si tratta di spirito buffonesco. È più generoso e amabile di me, che lo trovo impresentabile. E poi “buffonesco” significa: “inteso a far ridere”. Ha mai riso, lui? Ho mai riso, io?
Dice Alù: agli stranieri piace e quando vengono in Sicilia cercano Vigata. Non so se ci sia da compiacersene. L’Italia è vista all’estero come folclore: la pizza, la mafia, la pasta. Il fatto che i turisti chiedano di visitare Vigata mi fa pensare che la serie è percepita come realtà fedelmente riprodotta. E questo quasi disonora la Sicilia.
Su un argomento Giuseppe Alù non ha replicato. La donna vista da Camilleri è una donna solo corpo: una donna a peso, fatta di curve e protuberanze, quattro chili di mammelle, otto chili di sedere, dodici chili di stupidità. Sarà una favola, ma è una favola vetero-maschilista.
“L’arte ha bisogno di libertà”. È vero. Ma una realtà inventata, una lingua inventata devono essere funzionali ed espressive. Per me non lo sono. Sentire dire: “La settantina voleva ficcare” e l’altro che risponde con grassa complicità: “E allura s’accattau n’maritu”, non mi diverte. Senza ricorrere a La Fontaine e Saint-Exupéry, mi bastano le favole di Woody Allen.
“Una realtà di fantasia resa con eleganza formale”. Nessuna eleganza formale se non quella della magnificenza dei paesaggi e degli interni spettacolari di cui la Sicilia è ricca. Ma non sono opera di Camilleri.
Grazie a Peter per l’ospitalità.
Alida Pardo (alias Anna Murabito)