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domenica, aprile 29, 2012

'Departures' - recensione

Quant'è sottile la linea che divide la vita dalla morte? E che cosa c'è... al di là del "cancello"?



Lo confesso: non conoscevo Departures, e solo tramite MyMovies ho appreso che ha vinto un Premio Oscar (!). Riconoscimento meritatissimo, giacché la pellicola ha valore addirittura didattico. Durante la visione (nel pieno della notte: in Italia questi film, se mai vengono trasmessi, vengono trasmessi a orari impossibili) ho riso e (soprattutto) pianto, e chi dice che quest'opera tradisce delle lungaggini ("... tempi di narrazione giapponesi..." sic!) parla di sicuro per ignoranza, oppure perché è ormai corrotto dalla vita folle che tutti noi siamo costretti a condurre; o, ancora, perché si è rifiutato di lasciarsi catturare dal caleidoscopio di eventi - semplici quanto essenziali - che tanto abilmente Yojiro Takita ha saputo costruire e montare insieme.

La sequenza iniziale ci mostra il giovane Daigo Kobayashi a un bivio esistenziale, a un crocevia dell'umano viaggio: alla guida di un'automobile, Daigo (interpretato da Masahiro Motoki) sta a riflettere su quant'era vuota la sua vita a Tokyo, e su quella che sta conducendo adesso, in una sperduta provincia nipponica oppressa dall'inverno.
Ciò già serve a creare un'analogia, anzi un legame stretto, tra lui e noi - e, direi, anche tra Oriente e Occidente: tutti quanti, difatti, a prescindere da razza, nazionalità e credenza religiosa, siamo chiamati, una o più volte nel corso dei nostri anni terreni, a sciogliere ogni dubbio e prendere una decisione importante...

Le scene che seguono ci presentano il Nostro durante l'espletamento della sua professione: eccolo alle prese con un cadavere - il cadavere di una ragazza. Eh sì, perché lui di mestiere fa il "thanatos-estetista". Lo vediamo apprestarsi a ricomporre quel corpo inanimato prima dell'Ultimo Viaggio (un viaggio la cui prossima tappa è ancora tristemente prosaica: trattasi della fornace dove le spoglie umane sono destinate a bruciare insieme alla bara), quando ad un tratto si accorge di "una strana escrescenza" in mezzo alle gambe della defunta...

Gli elementi grotteschi, così cari a molti registi giapponesi, qui sono saggiamente ridotti al minimo necessario. Sarebbe assai facile, facendo leva sulla caducità della carne, strafare con dettagli raccapriccianti in grado di cagionare deliranti gridolini e-o risate di orrore. Intendiamoci: questa è una pellicola che narra anche - e soprattutto - di vita; ed è vita pura e autentica quella che ci investe insieme al subitaneo ed esauriente flash back, ove viene illustrato il divenire lavorativo del protagonista, originariamente un violoncellista.

Daigo Kobayashi è capitato solo per necessità economiche in quell'agenzia di N.K. (= Nekro-Kosmesis), dopo che l'orchestra in cui lui suonava è andata in fallimento. Per un po', riesce a nascondere la natura della sua nuova attività a Mika, l'innamoratissima mogliettina (l'attrice Ryoko Hirosue)... Perché, infatti, il suo è un mestiere di cui vergognarsi... O no?
Quando il vociferare alle spalle di Daigo si intensifica e la verità salta a galla, il giovane si sente come messo alla gogna dalla pubblica accusa. E Mika addirittura lo abbandona. E' con la forza della disperazione e dello spirito della natura, e anche con l'aiuto del suo esemplare maestro (interpretato dal celebre attore Tsutomu Yamazaki, già ammirato nella commedia Tampopo), che il ragazzo riuscirà a tirarsi fuori dal baratro psichico ed esistenziale: similmente al Dante della Divina Commedia e a tanti di noi che usano smarrirsi "nel mezzo del cammin di nostra vita".
La maschera vaga e offuscata del padre che, decenni prima, abbandonò la famiglia, e la musica suonata da Daigo al violoncello non solo dentro camere opprimenti e piene di ricordi, ma anche nel bel mezzo di un paesaggio che trabocca di agitazione faunesca, fanno da contrappunto al graduale scioglimento del nodo, di tutti i nodi; e all'abbattimento di un tabù - tabù che, come spesso accade, è stato generato dalla cecità mentale della gente.
 
Il ricongiungimento tra padre e figlio


Facit: un film da cineteca. Una meravigliosa opera di poesia che, addentrandosi in un tema tanto angoscioso come quello della morte, riesce a riconciliare lo spettatore... noi tutti... con la vita e il mondo.



venerdì, novembre 23, 2007

1408


"1408" (1 + 4 + 0 + 8 = 13) è il numero di una camera d'albergo che incuriosisce lo scrittore Mike Enslin (John Cusack), specializzatosi nella ricerca di fenomeni paranormali dopo la prematura morte della figlioletta. Enslin ha scritto due libri su luoghi "stregati", ma in fondo è un agnostico e non crede nemmeno all'esistenza degli spiriti. Finché un giorno non riceve una cartolina su cui sta scritto: DON'T ENTER 1408. L'anonimo mittente in pratica gli suggerisce di non prendere alloggio nella misteriosa stanza, che si trova all'ultimo piano dell'Hotel Dolphin a New York. Lo scrittore raccoglie il guanto della sfida e decide stante pede esattamente il contrario. Dopo aver vinto anche la resistenza del manager dell'albergo (Samuel L. Jackson), il quale a lungo cerca di dissuaderlo dall'"intento suicida", Enslin/Cusack si impianta nella 1408 con il suo laptop, il suo rivelatore di fenomeni extrasensoriali e pochi altri averi.

E per lui inizia l'incubo...



1408 è una riuscita trasposizione di un racconto di Stephen King; sicuramente la più riuscita in assoluto, dopo il celebre Shining a firma di Stanley Kubrick. La pellicola risulta avvincente per via degli special effects (mai eclatanti, per fortuna) e della magistrale recitazione di John Cusack. Molte le sorprese cui, all'interno dell'inquietante camera d'albergo, vanno incontro il protagonista e gli spettatori; e, in conclusione della vicenda, il regista svedese Mikael Hafström (Derailed - Attrazione letale) ci dona anche un finale alternativo a quello ("poco cinematografico") dello Stephen "King of Horror".

"Dopo le proiezioni-test" ha spiegato Hafström, "abbiamo optato per il finale che c'è adesso, perchè sentivamo che era più soddisfacente. Gli altri saranno comunque disponibili sul DVD."



Titolo Originale: 1408

Regia: Mikael Hafström

Interpreti:  John Cusack, Samuel L. Jackson, Mary McCormack, Andrew Lee Potts, Kim Thomson

Durata: 1h 44min.

Nazionalità: USA 2007

Genere: horror





mercoledì, dicembre 06, 2006

Gli amanti del circolo polare


Un capolavoro misconosciuto

Medem, il nome del regista, è un palindromo: si legge nella stessa maniera anche da destra a sinistra. Ciò vale pure per Otto e Ana, i nomi dei protagonisti di questa splendida storia. Ana vive fedele al credo che niente è un caso, che ogni cosa è concatenata; e in effetti tutti gli avvenimenti che le accadono e quelli che accadono intorno a lei sembrano darle ragione. La ragazza ama il freddo e non è una coincidenza che, in ultimo, finirà in Finlandia, e più precisamente in Lapponia. La sua vita, a cominciare dall'età di otto anni (dal giorno della tragica morte del padre) si intreccia con quella di Otto, destinato a divenire il suo fratellastro-amante; ma sono tanti i fatti legati tra di essi, a cominciare dallo strano incontro tra un contadino spagnolo e un aviatore tedesco durante la Guerra Civile di Spagna. L'aviatore si rivelerà essere il nonno di Ana, poi emigrato in Finlandia insieme a una ragazza incontrata all'indomani del bombardamento di Guernica...

In questa coproduzione franco-ispanica, Julio Medem dimostra tutta la sua grandezza. La tenera love story tra Ana e Otto si spoglia della sua semplicità grazie ai pregevoli effetti visivi e alle complicanze disseminate lungo tutto il copione. Alcune scene, e cioè quelle rivisitate secondo un'ottica diversa, richiamano alla mente un altro bel film uscito nello stesso anno (1998): Lola corre, del regista tedesco Tom Tykwer.

La visione è raccomandata.

domenica, ottobre 22, 2006

'Fascisti su Marte'

Fascisti su Marte; Corrado Guzzanti
"Alle ore 15 del 10 maggio 1939, Marte è fascista!"

Girato in parte nella cava della Magliana, nei pressi di Roma, racconta l’epopea del gerarca fascista Barbagli (Corrado Guzzanti) e dei sui fidi camerati, inviati da un paese (il nostro) il cui Presidente ama esclamare: "Me ne frego!"
Il film, basato sui "cinegiornali" all'interno della trasmissione televisiva Il caso Scafroglia, illustra le vicissitudini "spaziali" di un manipolo di Arditi, dall’arrivo sull’ostile Pianeta Rosso fino all’imprevisto epilogo, passando per grandi scoperte, temerarie avventure, improbabili amori, incontri alieni e persino visioni mistiche.
La parodia non investe soltanto i neofascisti italiani (dileggianti con lazzi e marziali risa...) ma anche il cinema, con un monolite nero che viene direttamente da 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick: scena oltre che assolutamente spassosa anche geniale per la scelta della citazione.



Vite segnate dalla gloria, braccio e mano del Duce, uomini di fato intrisi, che soli videro l'onore di sentir scoccare l'ora del destino... con un moschetto e un "me ne frego" dentro al cuor!

martedì, dicembre 13, 2005

Addio a Richard Pryor

Se ne va, a soli 65 anni, dopo una lunga lotta contro la sclerosi multipla, Richard Pryor, principe della comicità afroamericana, colui che dagli anni Settanta aveva trasformato l’orgoglio dei neri in una miscela esplosiva di satira e autoironia.
Rimarranno indimenticabili i suoi film insieme a Gene Wilder; ma Pryor, la cui biografia è a dir poco insolita (è cresciuto in un bordello...), è ricordato in America soprattutto per i suoi one-man-shows ("Live in Concert" del 1979 è un classico).
Tra i film che interpretò: "Wagon lits con omicidi", "Car Wash", "Non guardarmi, non ti sento" e "Chi più spende, più guadagna".

Un altro Grande che ci lascia. Un altro tassello della nostra memoria collettiva che si tinge del colore del lutto.