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sabato, settembre 29, 2012

Recensione di 'Donnie Darko'

(USA, 2001)



Regia: Richard Kelly
Cast:
Jake Gyllenhaal, Holmes Osborne, Mary McDonnell, Maggie Gyllenhaal, Daveigh Chase, Jena Malone, James Duval, Katharine Ross, Drew Barrymore, Noah Wyle, Patrick Swayze, Beth Grant

<--- Il DVD in italiano




Uscì nelle sale dopo gli attentati alle Twin Towers dell'11 settembre e sparì ben presto dalla circolazione, anche a causa della scena in cui è coinvolto un aereo che perde un reattore. Ma il passaparola ha fatto resuscitare questo film, che ormai conta stuoli di aficionados...
 



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Lo stato di cult di cui gode Donnie Darko è dovuto al fatto che molti giovani si sono riconosciuti nel personaggio principale. E' il medesimo flash autoterapeutico che ha reso immortali James Dean, Il giovane Holden e Arancia meccanica.
Per un adolescente, certo, non è difficile sentirsi vicino a Donnie; in fondo il ragazzo, per essere un matto, è abbastanza innocuo - oltre che quasi casto. La sua ribellione, a fronte di genitori simpatici nonostante il modus vivendi "borghese" e che dimostrano di amarlo (ciò nel film non viene mai messo in discussione), nasce dallo scombussolamento interiore e non da una riflessione metafisica e/o sul sociale.
Alcuni critici stranamente ritengono Donnie Darko un film che mostra la protesta giovanile contro il sistema scolastico e, più in generale, contro gli adulti, ma in realtà tale presunta rivolta si limita ai soliti gesti di bullismo in classe e nel cortile scolastico, oltre che alle atroci - e sterili - mascherate di Halloween. Insomma, il telaio portante è quello di un film di/sui teen-agers. Ovvio che viene tracciata anche una storia d'amore (del resto è quella l'età per amare!), e il rischio latente era quello di creare un'ennesima fiaba moderna, imperdonabilmente stupida per via di un romanticismo sciatto e rimasticato da ragazzini stelle-e-strisce; per fortuna però Richard Kelly ha voluto rendere omaggio a Philip K. Dick e il film, dopo essere scivolato sul paludoso sentiero dell'horror (tramite le allucinazioni del protagonista borderline), si risolve in un bel rebus fantascientifico.
E' proprio la struttura narrativa ad affascinarci maggiormente. Anche se è individuabile una storyline o trama che dir si voglia, Kelly mima le acrobazie fabulanti di un Kurt Vonnegut e la vicenda finisce per rivelarsi un serpente che si mangia la coda o, per usare un termine matematico, un nastro di Möbius. Non può essere altrimenti, d'altronde, quando viene affrontato il tema dei viaggi temporali, i quali, come si sa, comportano uno o più paradossi, costringendo perciò gli scrittori a inventarsi una logica alternativa. A questo proposito, abbiamo il sospetto che l'autore (e regista) di Donnie Darko abbia attinto da un altro maestro della fantascienza, ovvero da Murray Leinster (vedi soprattutto la "trovata" dell'Universo Tangente), che di viaggi e paradossi temporali fu uno dei primi specialisti, tanto da fondare su di essi la propria carriera scribatoria.
 
 
La recitazione di Jake Gyllenhaal è indimenticabile. Come già successe per Anthony Perkins in Psycho, Jake "è" Donnie Darko. Impossibile ormai immaginarsi qualcun altro nello stesso ruolo. La sua addirittura non è nemmeno più un'interpretazione nel senso di "abile prestazione istrionica", bensì una vera e propria incarnazione.
A Donnie/Jake appare un inquietante coniglio che è il capovolgimento orrifico di Harvey, la creatura che accompagna il docile matto James Stewart in una commedia del 1950.
 
Ricordate? Il titolo di quella pellicola in bianco-e-nero è proprio Harvey. Là il protagonista, Elwood, alias James Stewart, è quasi uno stinco di santo e, sebbene gli manchi qualche rotella, non è privo di una certa saggezza filosofica. Ecco uno dei suoi monologhi:
  • "Harvey e io sediamo nei bar... prendiamo un bicchierino o due, facciamo suonare il juke box. E subito tutte le facce si girano verso di me, e sorridono, e dicono 'non sappiamo come ti chiami amico, ma sembri un tipo simpatico'. Harvey e io ci accendiamo in quei momenti d’oro. Siamo entrati come estranei... e subito abbiamo degli amici! E loro si avvicinano, e siedono con noi, e parlano con noi. Parlano delle grandi cose terribili che hanno commesso, e delle grandi cose meravigliose che faranno. Delle loro speranze, dei loro rimpianti, dei loro amori, dei loro rancori. E tutto in larga scala, perché nessuno porta mai nulla di piccolo dentro un bar. E poi io presento loro Harvey... e lui è più grande e più straordinario di qualsiasi cosa loro possano mai mostrare a me. E quando se ne vanno, se ne vanno impressionati. Le stesse persone raramente ritornano; ma questa è invidia, caro mio. C’è una piccola dose d’invidia in ciascuno di noi."
Invece Frank, la creatura dalle fattezze di coniglio in Donnie Darko, è cattivo. E'  l'antagonista dell'eroe/antieroe del film, non il suo compagno buono e comprensibile. Per Donnie, alle prese con la pazzia intus et foris, non c'è spazio per i discorsi o i gesti buonisti. Il motore di jet è precipitato sul suo letto quando lui era assente e dunque si è potuto salvare. Almeno questo è quello che vede o crede di vedere lo spettatore...
 
 
Sinossi di Donnie Darko
Il personaggio che dà il titolo al film, un adolescente americano con problemi psichici, durante un attacco di sonnambulismo che lo porta fuori di casa si imbatte in Frank, un coniglio gigante che gli predice la fine del mondo. E' la notte del 2 ottobre 1988. In tivù viene trasmesso il duello elettorale dei due candidati alla Casa Bianca: il repubblicano George Bush senior e il democratico Michael Dukakis. "Il mondo finirà tra 28 giorni, 6 ore, 42 minuti e 12 secondi" lo avverte il coniglio. Quando Donnie si risveglia e fa per rincasare, scopre che la sua camera è stata devastata da un motore di aereo caduto dal cielo! Da qui in poi, accadono altri strani fenomeni che minacciano la vita delle persone a lui care. Intanto, la sua schizofrenia dilaga: i suoi occhi riescono a vedere "lombrichi" trasparenti che escono dal plesso solare delle persone (i famigerati wormholes), proprio come aveva predetto Mother Death (il cui nome è stato tradotto in italiano con "Nonna Morte"), un'eccentrica scrittrice ora vecchissima e semidemente, autrice di The Philosophy of Time Travel. La vecchia conosce bene tali prodigi. Anzi, a quanto pare, solo la pazzia consente di poter viaggiare nel tempo...
"28 giorni" è l'informazione fornita da Frank. Difatti, tappa dopo tappa, il film ci porta fino al 30 ottobre, alla vigilia di Halloween. L'iperbole si fa sempre più vertiginosa finché non ci si vede costretti a sfogliare il calendario all'incontrario.
 

"Alcuni nascono con la tragedia nel sangue" dice a un certo punto Gretchen, la ragazza di Donnie...
Donnie Darko fa a lungo la spaccata tra horror e science fiction. Come detto, non si può non pensare a Philip K. Dick, il romanziere americano che così bene ha saputo descrivere la schizofrenia. Similmente a Dick, Richard Kelly rende "reali" le allucinazioni per poi coniugarle alla teoria della relatività (che, fino a prova contraria, è scaturita dalla mente di uno scienziato, non da quella di un appassionato di fenomeni paranormali). L'autore del film ci suggerisce che c'è un Universo Primario e ce n'è uno Tangente. Quando da quest'ultimo fuoriesce un artefatto (in questo caso, la turbina di un grosso velivolo), è come se si scoperchiasse il vaso di Pandora: la linea di confine spaziotemporale si spezza, le dimensioni a noi note non combaciano più... in pratica, la follia si fa normalità.
Il protagonista compie degli atti vandalici ma è, in fondo, una vittima innocente: non si può imputare a lui, difatti, la circostanza dello squilibrio chimico che avviene nel suo cervello. E, forse, il tunnel dentro cui lo ha spinto la malattia, dove il tempo si ripete uguale all'infinito e ogni cosa è già predestinata e ritorna, è l'unico luogo in cui si può arrivare veramente a comprendere la quintessenza delle cose del mondo.
 
 

Accenni e allusioni "colte"
Oltre al richiamo al coniglio Harvey (che è una reprise di quello di Alice in Wonderland), il film è pieno di citazioni, associazioni di idee e microeventi che legano l'ieri all'oggi, un'opera letteraria e/o cinematografica all'altra. Così, uno dei personaggi è rappresentato da una vecchia pazza che risponde al nome di Roberta Sparrow. Ne abbiamo già accennato nella "Sinossi": la Sparrow, detta "Mother Death", è la fittizia autrice di un libro sui viaggi nel tempo.
Nel corso della campagna di pubblicità per il rilancio di Donnie Darko, deciso a distanza di un paio di anni dall'esordio fallimentare, qualcuno della produzione ha addirittura scritto il libro della Sparrow, che io ho diligentemente scaricato sul mio computer e "parcheggiato" su uno dei miei server (scarica
The Philosophy of Time Travel in formato .pdf).
Un altro libro, stavolta reale, di cui si parla nel film e che qualcuno vocifera sia stato tra le massime fonti d'ispirazioni di Anthony Burgess per il suo Arancia a orologeria (Arancia meccanica), è The Destructors, di Graham Green. La storia di The Destructors si svolge a Londra durante la Seconda Guerra Mondiale e tratta dell'impatto socio-psicologico che il conflitto armato ha su un gruppo di adolescenti, che scaricano le loro frustrazioni trasformandosi in vandali...






Il sequel: S. Darko
 

2009: esce la "continuazione" di Donnie Darko. Il titolo è S. Darko.
Nathan Atkins ne è l'autore. Ed è bravo nel suo mestiere, bisogna dirlo. Il primo film mai realizzato nato dalla sua penna è stato uno short dal titolo Cultivation (del 2003) che, guarda caso, parla di un mondo magico parallelo. Dunque, è lo sceneggiatore più qualificato per un sequel di Donnie Darko.
In S. Darko, sono trascorsi sette anni dalla morte di Donnie (7: cifra carica di significati...).  Samantha, la sorellina del defunto, è intanto cresciuta. Ha 17 anni e, insieme al suo amico Corey, si mette in viaggio per una vacanza da trascorrere a Los Angeles. Durante il tragitto, entrambi vengono tormentati da strane visioni... Tornano qui gli wormholes o buchi di tempo.
S. Darko (la "S" sta per "Samantha") è stato scritto seguendo le direttive di Richard Kelly, ma questi si è dissociato dal film e la regia è stata affidata a Chris Fisher.
Impossibile dire se l'operazione-sequel sia riuscita. Diciamo semplicemente che si tratta di un  film diverso. Per onor del vero, sia la critica sia il pubblico lo hanno giudicato "perdibile".
 
 Daveigh Chase, classe 1990, interprete di S. Darko: anche le sorelline crescono...

domenica, aprile 29, 2012

'Departures' - recensione

Quant'è sottile la linea che divide la vita dalla morte? E che cosa c'è... al di là del "cancello"?



Lo confesso: non conoscevo Departures, e solo tramite MyMovies ho appreso che ha vinto un Premio Oscar (!). Riconoscimento meritatissimo, giacché la pellicola ha valore addirittura didattico. Durante la visione (nel pieno della notte: in Italia questi film, se mai vengono trasmessi, vengono trasmessi a orari impossibili) ho riso e (soprattutto) pianto, e chi dice che quest'opera tradisce delle lungaggini ("... tempi di narrazione giapponesi..." sic!) parla di sicuro per ignoranza, oppure perché è ormai corrotto dalla vita folle che tutti noi siamo costretti a condurre; o, ancora, perché si è rifiutato di lasciarsi catturare dal caleidoscopio di eventi - semplici quanto essenziali - che tanto abilmente Yojiro Takita ha saputo costruire e montare insieme.

La sequenza iniziale ci mostra il giovane Daigo Kobayashi a un bivio esistenziale, a un crocevia dell'umano viaggio: alla guida di un'automobile, Daigo (interpretato da Masahiro Motoki) sta a riflettere su quant'era vuota la sua vita a Tokyo, e su quella che sta conducendo adesso, in una sperduta provincia nipponica oppressa dall'inverno.
Ciò già serve a creare un'analogia, anzi un legame stretto, tra lui e noi - e, direi, anche tra Oriente e Occidente: tutti quanti, difatti, a prescindere da razza, nazionalità e credenza religiosa, siamo chiamati, una o più volte nel corso dei nostri anni terreni, a sciogliere ogni dubbio e prendere una decisione importante...

Le scene che seguono ci presentano il Nostro durante l'espletamento della sua professione: eccolo alle prese con un cadavere - il cadavere di una ragazza. Eh sì, perché lui di mestiere fa il "thanatos-estetista". Lo vediamo apprestarsi a ricomporre quel corpo inanimato prima dell'Ultimo Viaggio (un viaggio la cui prossima tappa è ancora tristemente prosaica: trattasi della fornace dove le spoglie umane sono destinate a bruciare insieme alla bara), quando ad un tratto si accorge di "una strana escrescenza" in mezzo alle gambe della defunta...

Gli elementi grotteschi, così cari a molti registi giapponesi, qui sono saggiamente ridotti al minimo necessario. Sarebbe assai facile, facendo leva sulla caducità della carne, strafare con dettagli raccapriccianti in grado di cagionare deliranti gridolini e-o risate di orrore. Intendiamoci: questa è una pellicola che narra anche - e soprattutto - di vita; ed è vita pura e autentica quella che ci investe insieme al subitaneo ed esauriente flash back, ove viene illustrato il divenire lavorativo del protagonista, originariamente un violoncellista.

Daigo Kobayashi è capitato solo per necessità economiche in quell'agenzia di N.K. (= Nekro-Kosmesis), dopo che l'orchestra in cui lui suonava è andata in fallimento. Per un po', riesce a nascondere la natura della sua nuova attività a Mika, l'innamoratissima mogliettina (l'attrice Ryoko Hirosue)... Perché, infatti, il suo è un mestiere di cui vergognarsi... O no?
Quando il vociferare alle spalle di Daigo si intensifica e la verità salta a galla, il giovane si sente come messo alla gogna dalla pubblica accusa. E Mika addirittura lo abbandona. E' con la forza della disperazione e dello spirito della natura, e anche con l'aiuto del suo esemplare maestro (interpretato dal celebre attore Tsutomu Yamazaki, già ammirato nella commedia Tampopo), che il ragazzo riuscirà a tirarsi fuori dal baratro psichico ed esistenziale: similmente al Dante della Divina Commedia e a tanti di noi che usano smarrirsi "nel mezzo del cammin di nostra vita".
La maschera vaga e offuscata del padre che, decenni prima, abbandonò la famiglia, e la musica suonata da Daigo al violoncello non solo dentro camere opprimenti e piene di ricordi, ma anche nel bel mezzo di un paesaggio che trabocca di agitazione faunesca, fanno da contrappunto al graduale scioglimento del nodo, di tutti i nodi; e all'abbattimento di un tabù - tabù che, come spesso accade, è stato generato dalla cecità mentale della gente.
 
Il ricongiungimento tra padre e figlio


Facit: un film da cineteca. Una meravigliosa opera di poesia che, addentrandosi in un tema tanto angoscioso come quello della morte, riesce a riconciliare lo spettatore... noi tutti... con la vita e il mondo.



domenica, gennaio 13, 2008

Il dittatore dello Stato Libero di Bananas

 Il titolo originale è Bananas, che significa qualcosa come "Follie". Allen scelse di chiamare così il suo secondo film (il terzo, se includiamo Che fai, rubi?) in parte per omaggiare i Marx Brothers (Duck Soup, 1933). In realtà, nell'originale lo Stato sudamericano in questione si chiama "San Marcos", non "Bananas", e il dittatore risponde al nome di "Esposito" e non a quello di "Castrado"; ma le variazioni nella versione italiana - la maggior parte di esse abbastanza decenti - sono giustificabili con le esigenze di creare un approccio tra il nostro pubblico e l'allora semisconosciuto comico ebreo-americano.


La storia:

Fielding Mellish (Woody Allen) lavora come collaudatore in una grande azienda. E' un omino dalla vita scialba, ma tutto cambia quando si innamora di Nancy (Louise Lasser), una ragazza socialmente impegnata che lo coinvolge in picchetti e lotte politiche. Quando tra i due il rapporto finisce,  Fielding, disperato, va a trascorrere le vacanze a Bananas. Lo sperduto Paese latino-americano è teatro della lotta tra i ribelli di Castrado e le forze armate che fanno capo al dittatore di turno, Emilio Molina Vargas. Il piccolo "gringo" si ritrova a combattere insieme ai guerriglieri e poi finisce addirittura per guidare il governo rivoluzionario che ha soppiantato quello di Vargas. Nascosto dietro a una ridicola barba posticcia, Fielding si reca negli Stati Uniti per chiedere aiuti economici e lì viene smascherata la sua vera identità: è lui quel cittadino americano che era stato dato per scomparso nello Stato di Bananas... Un turbinio di eventi lo porterà in tribunale e infine a essere un idolo della folla.


Per i tempi che correvano, Il dittatore dello Stato Libero di Bananas era una satira davvero feroce contro la politica estera statunitense, anche se (come sempre in Allen) non mancano le frecciatine a un certo tipo di vita "alternativa", sinistrorsa. La Lasser, nei panni di Nancy, interpreta la tipica attivista sociale che non disdegna di dedicarsi a pratiche esoteriche e, per fare un altro esempio, l'ultima scena è una presa in giro del bed-in di John Lennon e Yoko Ono. Quelli erano anni ricchi di eventi-clou; basti ricordare che nel 1971, e dunque al momento in cui il film uscì, era ancora in corso la guerra in Vietnam. Allen e il suo coautore Mickey Rose (la cui firma è anche sulla sceneggiatura di Prendi i soldi e scappa, 1969) dovevano solo attingere a piene mani dalla cronaca...  


Ma a rendere piacevole ancora oggi il film è la vis comica del giovane Woody, davvero irresistibile. Stupende le riprese dell'abbuffata-a-due in riva al mare insieme alla bruna rivoluzionaria, con l'attore che rumina in maniera divinamente disgustosa. Una gag simile si ripeterà ne Il dormiglione, stavolta in un pranzo futuristico con Diane Keaton.

Louise Lasser, attrice dai tratti scandinavi, fu la seconda moglie di Allen. Aveva già recitato con lui in Prendi i soldi e scappa. Al tempo di Bananas, la coppia era già divorziata da un anno. Dopo Louise, nella vita del piccolo genio di Brooklyn entreranno la Keaton, Stacey Nelkin, Mia Farrow... ma per quasi trent'anni, e cioè fino al 1997, quando recherà sull'altare la propria figliastra Soon-Yi, Woody non si risposerà più.




"Avevo un buon rapporto, direi, con i miei genitori. Di rado mi picchiavano. Anzi, credo che mi picchiarono, in effetti, un’unica volta, durante l’infanzia. Cominciarono a picchiarmi di santa ragione il 23 dicembre del 1942 e smisero nel ’44, a primavera inoltrata."







Da segnalare in Bananas l'esordio di un giovanissimo Sylvester Stallone nel ruolo del teppista metropolitano.

Il soundtrack, comprendente la canzone "Quiero La Noche", è stato composto da Marvin Hamlisch, uno dei pochissimi artisti ad aver vinto Oscar, Emmy, Tony e Grammy.

domenica, dicembre 31, 2006

Fiore di cactus



(1969)

Oscar meritato

Film piacevolissimo, pieno di "complicazioni" tipiche del filone delle screwball comedies o delle opere teatrali di Neil Simon (autore tra l'altro di La strana coppia, con Jack Lemmon e lo stesso Walter Mathau).
Ingrid Bergman nella parte dell'assistente fredda ed effettiva del dentista (Mathau) è brava a nascondere la propria femminilità ai fini della riuscita della pellicola, mentre la giovanissima Goldie Hawn impersona alla perfezione la teen-ager apparentemente svampita ma in realtà non priva di solidi principi umani. Il tutto ambientato in un'America (quella metropolitana) al culmine della rivoluzione culturale.

Da possedere assolutamente, insieme ad altri film dell'epoca (Lasciami baciare la farfalla, Provaci ancora, Sam, Il party, What's New, Pussycat...).

lunedì, dicembre 25, 2006

Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato



(Gran Bretagna, 1971)
Regia: Mel Stuart
Principali interpreti: Gene Wilder; Peter Ostrum; Jack Albertson; Roy Kinnear


Tratto dal libro La fabbrica di cioccolato di Dahl Roald, è un capolavoro fiabesco destinato non solo ai bambini ma anche agli adulti.

Willy Wonka è il proprietario di una fabbrica dolciaria nota per la squisitezza dei suoi prodotti. Poiché gli ingegnosi brevetti per la produzione dei dolci sono oggetto dell'interessata curiosità dei concorrenti, da anni Willy Wonka non permette a nessun estraneo di varcare la soglia della fabbrica. Un giorno viene annunciato il lancio di un concorso internazionale: le cinque persone che troveranno all'interno di una tavoletta di cioccolato "Wonka" un talloncino d'oro saranno ammesse alla visita della fabbrica.
Charlie Bucket, un ragazzo povero che vive insieme ai nonni costretti a letto ed alla madre, viene improvvisamente baciato dalla fortuna e si ritrova con altri quattro bambini davanti ai cancelli della Willy Wonka Factory, accompagnati ciascuno da un parente. L'eccentrico Wonka li accoglie e fa loro da guida, rivelandosi, più che il direttore di una fabbrica, come il gestore di un immenso parco dei divertimenti (con una montagna di leccornie, vari bizzarri macchinari e persino il tunnel dell'orrore). Naturalmente indimenticabili sono gli Oompa-Loompa, i suoi lavoratori-nanetti.
Ci sono molti colpi di scena che fanno temere per il destino del piccolo Charlie, ma alla fine prevalgono giustizia e bontà e il Nostro ottiene addirittura la fabbrica dopo un atto di gentilezza nei confronti di Wonka.



Il regista Stuart ha usato diversi trucchi e accortezze nel girare il film: per esempio i giovani interpreti non hanno mai incontrato Gene Wilder prima che lo stesso apparisse sulla porta nei panni di Willy Wonka. Il cast, al completo, non ha visto né la stanza del cioccolato né gli Oompa-Loompas se non dopo l'inizio delle riprese... Tutto questo per rendere le reazioni all'incontro più realistiche.



Il più recente film di Tim Burton (2005), con Johnny Depp, non è affatto male: ha anzi dalla sua la possibilità di sfruttare al meglio la tecnica e i trucchi col computer. E' però proprio l'interpretazione di Willy Wonka da parte di Depp a non reggere il confronto con quella - assolutamente perfetta - resa da Gene Wilder ventiquattro anni prima. Il sorriso tranquillo di Wilder non mette ansia come il ghigno isterico di Depp. Wonka/Wilder sa sempre quel che accade e si mantiene imperturbabile, lo spettatore capisce che può fidarsi di lui, mentre con l'imprevedibile e nevrotico Wonka/Depp si rimane sempre sul chi vive. Il messaggio, o la "morale", è tutta contenuta nelle parole dell'ultima canzone:


IF YOU WANT TO VIEW PARADISE
SIMPLY LOOK AROUND AND VIEW IT
ANYTHING YOU WANT TO, DO IT
WANT TO MAKE THE WORLD
THERE'S NOTHING TO IT

THERE IS NO LIFE I KNOW
TO COMPARE WITH PURE IMAGINATION
LIVING THERE
YOU'LL BE FREE
IF YOU TRULY WISH TO BE





Script originale di Willy Wonka and the Chocolate Factory

martedì, dicembre 13, 2005

Addio a Richard Pryor

Se ne va, a soli 65 anni, dopo una lunga lotta contro la sclerosi multipla, Richard Pryor, principe della comicità afroamericana, colui che dagli anni Settanta aveva trasformato l’orgoglio dei neri in una miscela esplosiva di satira e autoironia.
Rimarranno indimenticabili i suoi film insieme a Gene Wilder; ma Pryor, la cui biografia è a dir poco insolita (è cresciuto in un bordello...), è ricordato in America soprattutto per i suoi one-man-shows ("Live in Concert" del 1979 è un classico).
Tra i film che interpretò: "Wagon lits con omicidi", "Car Wash", "Non guardarmi, non ti sento" e "Chi più spende, più guadagna".

Un altro Grande che ci lascia. Un altro tassello della nostra memoria collettiva che si tinge del colore del lutto.