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lunedì, dicembre 30, 2019

'Transits' - secondo assaggio di lettura


Una company o un laboratorio di sperimentazione sociale?
                         Un ulteriore assaggio del romanzo distopico Transits
                                            di Peter Patti



Nell'androne, in mezzo a mucchi di immondizia, alcuni bambini giocavano con i loro miniesemplari di equus. Erano tra i più fortunati: di solito questi giocattoli (imitazioni ben riuscite degli ippoandroidi in dotazione all'esercito) potevano permetterseli in pochi, dato che costavano un occhio della testa.
Uno dei ragazzini aveva con sé un piccolo cane che, nel vedermi, abbaiò selvaggiamente.
Mi chinai sul pulcioso dicendo: «Sai solo abbaiare, cagnolino? Non mordi mai?»
«Attento che morde pure!» esclamò il moccioso, che era affetto da strabismo.
Lo osservai inarcando le sopracciglia. Conoscevo suo padre: nel suo appartamento allevava cani, e anche gatti, che faceva ingrassare prima di spacciarli come prelibatezze. Erano prelibatezze. Io stesso avevo mangiato di quella carne sotto gli occhi inorriditi di Allen, che era un vegetariano della prima ora, e potevo dunque testimoniarne la bontà.
«Non puoi giocare come gli altri, eh?» dissi al piccolo strabico.
«Si chiama Bello», si limitò a dire lui, trattenendo il cane che, ora ringhiando, avrebbe voluto avventarmisi contro, attentando alla salute dei miei calzoni.
«O-oh», feci, sgusciando via. «Scommetto che non ha nemmeno un pedigree.»
Guercino mi guardò senza capire.
«Un albero genealogico. Una famiglia. Non ce l'ha.»
«Oh sì, invece», mi contraddisse, mentre io ero già sul portone. «La mamma di Bello si chiama Momo, i fratelli Ingo e Immo. Il papà, Dracula, è morto lo scorso dicembre.»
«Morto cucinato», lanciai da dietro le mie spalle.
La strada pullulava di gente: l'armata dei senzalavoro. Non si può dire però che fossero sfaccendati. Da quando il governo non elargiva più il sussidio di sopravvivenza, i cittadini si dedicavano a molteplici traffici. Chi non si ingegnava, chi non aveva nulla da vendere, nemmeno i propri organi, finiva indigente, a morire sotto un ponte o un cavalcavia.
A me serviva urgentemente un lavoro. Non che temessi di trapassare in uno degli ormai numerosi "cimiteri dei morti di fame", come li chiamavano: finché Allen godeva di ottima salute, sarei potuto rimanere al sicuro con lui. Era soprattutto per ricaricare la mia Moneycard. Senza crediti a sufficienza, ci si sente più vulnerabili, a parte che la vita non è vita.
Era una bella mattina primaverile e fu perciò un piacere attraversare a piedi l'intera città. Era ancora troppo presto per imbattersi in qualche criminale prezzolato o in desperados armati di clava o coltello: la feccia più spietata sarebbe uscita solo con il calare delle tenebre, come gli scarafaggi.
Dopo aver ammirato per un po' il frontespizio del palazzo su cui capeggiavano le lettere "K.E.", spinsi la porta ad aria compressa e puntai sulla ragazza al desk. Lei mi indicò l'ascensore dicendomi a che piano dovevo salire. Intanto un guardiano in uniforme, con il distintivo della corporazione e il revolver bene in vista, stava a scrutarmi da rispettosa distanza.
Sbucai dall'ascensore in un corridoio pieno di lampade fluorescenti che diffondevano una luce biancastra. L'ufficio del researcher era a sinistra. Picchiai sulla porta ed entrai.
L'uomo aveva una testa a forma di proiettile e la voce rauca, come se un acido gli avesse corroso le corde vocali. Dopo i preliminari, mi pose alcune domande all'apparenza innocue ma che in realtà - come ben sapevo - erano parte integrante della prova attitudinale. Poiché non avevo nulla da perdere, risposi inalberando una buona dose di affabilità. A un dato punto lui scattò in avanti (parve quasi che la sua testa-proiettile fosse stata sparata da un cannone) e si alzò. Vidi che teneva qualcosa in mano: un mini-recorder. Notando la mia espressione irretita, mi spiegò: «È per i nostri archivi, sa». Poi mi mostrò alcuni grafici, parlando a ruota libera. Io guardai quelle proiezioni di disegni euclidei dicendo di sì senza capire un accidente. Infine venni mandato al controllo medico, dove non fecero altro che prelevarmi un po' di sangue.


Quando mi riconvocarono, un'ora dopo, mi stupii di sentire il researcher esclamare: «Congratulazioni, signor Ferroni! Il posto è suo». A conferma di quelle parole premette un bottone, e nel mio cranio le campane di una chiesa si misero a suonare a festa.
Fece il suo ingresso una venere bionda. «Questa è Marilinda», annunciò l'uomo. «Da oggi sarà la sua segretaria personale.»
Ero stordito, titubante. In fondo si trattava del primo colloquio di selezione che superavo... e già mi assegnavano la segretaria! La mia perplessità era dunque giustificabile. Nondimeno, fu con delizia che mi posi sulla scia di quella sventola di ragazza. Prendemmo l'ascensore, che già odorava di essenze ma che subito si impregnò del profumo - certamente costoso - di Marilinda, poi percorremmo lunghi corridoi rivestiti di coni fonoassorbenti, finché lei non si arrestò davanti a una porta.
Si chinò sul display e digitò la chiave d'accesso. Quindi mi lasciò il passo.
Era un ufficio ampio, dai vetri fumé e con una scrivania nuova fiammante. "Però!" pensai. "Niente male." Già: niente male per uno del mio stampo, per uno come Pat Ferroni, che per anni aveva mendicato un posto di lavoro qualsiasi e che non poteva certo vantare referenze attendibili.
La segretaria poggiò sulla scrivania due cartelle, dicendomi che vi avrei trovato tutte le informazioni che mi occorrevano. Dopo mi dedicò un sorriso smagliante e concluse: «Per qualsiasi cosa, mi chiami all'interfono».
«Senz'altro. Grazie, Marilinda.»
Aprii la prima cartella, su cui spiccava la scritta "Business Portfolio". Era piena di cifre e istogrammi che io non comprendevo e che forse mai avrei compreso. Passai alla successiva, quella dei "First steps per i nuovi impiegati - Fase Uno". Lessi:
"For any organization, large or small, communicating is important to being effective. Frequent communications with customers, employees, investors, or partners is a key driver to success".
Il testo parlava inoltre di "partecipazioni della Kosmos Enterprise a vari settori pubblici", di "proventi autoriproducentisi", di "Corporate Identity" e roba del genere. Scoppiai a ridere. Era tutto fumo, aria calda: non mi aiutava a capire nulla sulla natura dell'azienda, né quel che pretendevano da me.
Per gioco, e anche per fare una specie di prova tecnica, chiamai la bionda all'interfono.
«Sì?»
Non sapendo che cosa dirle, le domandai: «Di regola a che ora è fissata la fine della giornata lavorativa?»
«Alle quindici, signor Ferroni.»
La ringraziai e chiusi la comunicazione. Mi misi a occhieggiare in giro. L'ufficio era provvisto di tivù via cavo, computer e (eureka!) frigobar. A quest'ultimo sottrassi una bottiglia di Southern Comfort e, dopo essermene versato una generosa porzione, andai a sbirciare dentro un armadietto dall'aria misteriosa. Conteneva fruste, vibromassaggiatori e una bambola trisessuale di silicone. Annuii compiaciuto: in quella prigione di lusso c'era tutto l'occorrente per ammazzare il tempo senza annoiarsi. Dentro un cassettone scoprii un assortimento di giochi per PC recanti il marchio della Macrohard (una delle ditte che facevano capo alla K.E.). Ne testai alcuni con una mano sul mouseStick e l'altra stretta intorno al collo della bottiglia. I giochi strategici erano naturalmente per gli impiegati raziocinanti, mentre quelli d'azione erano destinati ai tipi come me, agli impulsivi, agli impazienti. Guidai un carro armato, poi un'astronave, e in ultimo mi lasciai catturare dal fascino di Doom XII, dove ero un soldato dentro un labirinto pieno di mostri e ragni cibernetici che dovevo abbattere prima che loro mi trasformassero in un guscio umano grondante sangue. Riuscii a raggiungere il terzo livello, dove deflagrai con un lugubre botto che colorò di rosso il monitor. Sempre abbracciato alla bottiglia, mi staccai dal computer e sprofondai in una poltrona di pelle. Accesi la tele e scanalai per un'ora o due. L'apparecchio era programmato per ricevere unicamente film - film per ragazzi, d'avventura, d'animazione, commedie, thriller, hard porn, ecc. Mi dissi: "Logico. Hollywood è un enorme mercato allucinogeno. Proprio quel che occorre al manager stressato".
Tornai a perlustrare l'armadio. C'era, in fondo a uno scaffale, una videocassetta. Si trattava di un supporto ormai antiquato, la cui vista mi spinse al sorriso ma anche a inarcare interrogativamente le sopracciglia. Era senza copertina né etichetta. Tentennante, la rigirai tra le mani. Nell'ufficio non era presente nessun videoplayer (ne esistevano ancora? L'ultima volta che ne avevo visto uno era stato nell'èra giurassica...). Mi strinsi nelle spalle e riposi la videocassetta sullo scaffale, dicendomi che forse era stata dimenticata lì dal mio predecessore.
Guardai ancora un po' di tivù, prendendo definitivamente confidenza con il telecomando, e infine me ne stetti del tutto inoperoso a osservare dalla finestra il traffico sottostante come attraverso un cannocchiale capovolto. Il Southern Comfort si esaurì e, quando girai il polso per leggere l'orologio, scoprii che mancavano cinque minuti alle tre. Il mio primo giorno di lavoro si era concluso brillantemente. Uscii barcollante dalla mia gabbia dorata e salutai Marilinda. Lei mi rivolse un sorriso a trentadue denti, flautando: «A domani, capo».

                                                                                          (CONTINUA)








'Transits' - primo trancio d'assaggio


Lavoro o esperimento sociale? Un primo trancio d'assaggio di Transits, di Peter Patti




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Mi inocularono una sostanza nella nuca, poi mi trascinarono in un'ampia sala, dove mi costrinsero a mettermi a cavalcioni di una bicicletta senza ruote. L'ambiente era in penombra: potevo riconoscere un'infinità di spalle ondeggianti e il lampeggiare di una spia di controllo sul manubrio di ciascuna delle cyclette. Mi ordinarono di premere sui pedali. Ubbidii controvoglia, mentre un venticello artificiale mi spettinava le sinapsi. Su un enorme schermo scorreva il film di una strada di campagna, come un desktop animato. Tutt'intorno c'era il sibilo delle dinamo, un ronzio ininterrotto di mosche ubriache: gli altri prigionieri pedalavano con foga, molti magri fino all'osso, tutti con lo sguardo fisso sulla strada in panavision.
I mastini che mi avevano condotto fin lì si allontanarono. Ne approfittai per rivolgermi a un vicino di fila. «Ehilà, amigo!» lo chiamai. Ma non mi diede retta. Il rumore dei meccanismi era troppo forte, impossibile capirsi. Vidi che lui aveva gli occhi sbarrati, in preda a un'estasi chimico-motoria. Pian piano la droga fece effetto anche su di me. Nel mio cervello una voce iniziò il countdown: FIVE-FOUR-THREE... TWO... ONE... Dapprima ci fu un lampo perfettamente bianco, come di lampada al magnesio; seguirono diversi sismi cerebrali e il sussulto dei muscoli delle gambe. Mi aggrappai al manubrio, concentrandomi sullo schermo. Ben presto la bici si trasformò in un razzo.
Pedalavo e ghignavo. Correre, correre... Il fine era la via stessa. Ogni tanto un tubo di gomma si calava dal soffitto, consentendomi di succhiare una pappa viscida ma nutriente. Evidentemente i sensori che mi avevano applicato agli arti e al petto registravano il livello delle riserve noradrenaliniche...






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Dovevo molto alla Kosmos Enterprise. Mi aveva consentito, tra l'altro, di lasciare il mio malfamato quartiere e di andare ad abitare in un ghetto esclusivo per impiegati d'alto rango. Certo, il trasferimento comportò la seccatura di dover rinunciare alla compagnia del buon vecchio Allen, una specie di Buddha ex sessantottino dotato di cultura enciclopedica (per anni io e Allen avevamo condiviso la stessa tana), ma ora contava soprattutto il sapermi sistemato e percepire uno stipendio vero.


La centrale europea della Kosmos Enterprise, un grattacielo tutto vetri e acciaio temperato, era ubicata a Colleverde, nel ventricolo più sano del cuore della metropoli. L'edificio era avvolto in una nube di insondabile mistero. Vi entrai la prima volta in un lunedì d'aprile, incoraggiato da un'agenzia headhunting. Quelli dell'agenzia mi avevano assicurato che la posizione di operating manager faceva giusto al caso mio. Così spolverai il mio abito migliore e andai all'intervista. L'oroscopo mi era favorevole: "Cancro: in questo periodo le stelle vi danno maggiore concretezza, facendovi progredire nel lavoro, negli affari e in ogni questione di ordine pratico." Ero tuttavia pieno di dubbi: sia a causa della mia scarsa scolarizzazione, sia perché nessuno era riuscito a spiegarmi che diavolo è mai un operating manager.

Non nutrivo nessuna speranza di essere assunto. Ma d'altra parte, perché non tentare? Ormai avevo collezionato così tanti "no" che uno più, uno meno...

La nota positiva di quei colloqui era che gli intervistatori sembravano inequivocabilmente attratti da me. Non pochi di loro mi invitavano a pranzo, "per conoscermi meglio". Io di solito accettavo solo i meal tickets delle intervistatrici e imbastivo storie pretestuose per rinunciare a quelli dei loro colleghi maschi. La nota negativa era che tutti si rivelavano essere più noiosi di quanto non fosse lecito attendersi. Ma stavolta forse sarebbe stato diverso. Mi ripromettevo di non annodare vincoli di letto. Del resto, la Kosmos Enterprise sembrava una ditta seria. Perciò mi incitai: «Vai, Pat, vai!»


(CONTINUA)

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sabato, dicembre 08, 2012

Mezza Gran Bretagna già odia il bambino di Kate, che ancora deve nascere


...ma questo non lo rivela nessun media!

Una copertura giornalistica a dir poco esagerata; i troppi riguardi per la principessa Kate e la sua "nausea mattutina" da gravidanza... Poi, lo scherzo di due dee-jays radiofonici australiani, lo svelamento di un "mistero" a malapena protetto dalle mura di una clinica londinese... E a lasciarci la vita è un'innocente infermiera

 

Su un social network Jacintha Saldanha, l'infermiera beffata dallo scherzo telefonico partito dall'Australia, aveva scritto: "sono troppo nervosa". Ma nessuno avrebbe mai immaginato quel gesto. Jacintha, 46 anni, con due figli piccoli e un compagno, è stata trovata morta, probabilmente suicida, nel suo appartamento di Marylebone, vicino a Regent's Park: era stata lei a rispondere alla finta telefonata arrivata al King Edward VII Hospital sulle condizioni di salute di Kate Middleton. Autori dello scherzo di stampo cabarettistico: due speakers di 2Day FM. L'infermiera ha passato la chiamata a una collega (la caposala), che fornì alcune informazioni. (Rivelazioni fondamentalmente di poco peso: "Le condizioni della Duchessa di Cambridge sono stabili...".)


ASCOLTA LA FINTA TELEFONATA


L'autopsia. Le circostanze della morte dell'infermiera ingannata dai DJs australiani non sono ancora state chiarite e si attendono i risultati dell'autopsia entro domani. Lo sottolinea la polizia londinese, non confermando, ma neanche smentendo, l'ipotesi del suicidio.

Mel Greig e Michael Christian, i due giornalisti che hanno finto di essere i Reali, sono stati sospesi dalla 2Day FM: sono arrivate centinaia di mail di proteste alla radio: tutte invocano il licenziamento di Greig e Christian, ma l'emittente ha fatto sapere che nessuna legge è stata violata.



La posizione dei Reali. William e Kate hanno espresso profonda tristezza per l'accaduto. "Mai il Palazzo Reale ha protestato per l'accaduto presso l'ospedale" fa sapere St. James's Palace in una nota ufficiale. Ma la direzione della struttura sanitaria qualche pressione dall'alto deve averla ricevuta, giacché la sua reazione è stata energica: sia nei confronti della 2Day FM, sia nei confronti delle due o più infermiere colpevoli di essere state ingenue.


Jacintha Saldanha lavorava nel King Edward Hospital da quattro anni. Tutti i colleghi assicurano che la donna non ha subito conseguenze per aver preso quella telefonata. Altri dicono invece (ma lo fanno sussurrando) che sia stata redarguita in modo pesante.
Ve lo dico io come sono andate le cose (non è difficile indovinarlo): scoppia il caso della telefonata-burla; il capo della centralinista le fa una ramanzina con i fiocchi, quindi la 46enne viene convocata nell'ufficio del capo del capo, il quale a sua volta la sgrida e la minaccia di licenziamento. Presenti al "colloquio" sono anche due o tre ufficiali britannici della sicurezza, con molta probabilità esponenti dell'MI5. La signora Saldanha viene torchiata; le chiedono - urlando - se ha preso soldi dalla stazione radio in questione in cambio di informazioni "delicate"... Lei, in qualità di telefonista, avrebbe dovuto far da filtro, mentre invece è caduta nel tranello di una doppia imitazione neppure tanto professionale (figurarsi: due australiani che cercano di spacciarsi rispettivamente per la Queen e il principe Charles! Gli australiani hanno un accento bizzarro per le orecchie inglesi; Jacintha forse non ha fiutato il marcio?). La donna esce dal terzo grado completamente stordita e impaurita. Un gelo polare emana da tutti i colleghi nei suoi confronti; secondo la BBC, Jacintha Saldanha, dopo l'episodio che l'ha vista suo malgrado protagonista, si sentiva "sola e confusa"...

L'emittente radiofonica intanto perde uno sponsor importante: la catena di supermercati Coles, che ha annunciato di voler ritirare dalla programmazione tutti i propri spot a 2Day FM. L'amministratore delegato della radio australiana ha definito "una tragedia" la morte dell'infermiera. Il chief executive officer (o CEO che dir si voglia) ha tuttavia sottolineato che non ritiene che i due speakers autori dello scherzo abbiano infranto alcuna legge. "Siamo certi di non aver fatto nulla di illegale" ha detto in una conferenza stampa a Melbourne e ritrasmessa dalle televisioni britanniche. "Quanto accaduto è profondamente tragico e ne siamo estremamente rattristati."


Si dice che la duchessa, alias Kate Middleton, sia sotto shock per il (presunto) suicidio della Saldanha... Ovviamente, "sotto shock" è un eufemismo per descrivere il suo sentirsi disturbata dall'"incidente di percorso"; la morte dell'infermiera altro infatti non può essere che un incidente di percorso per una come la Middleton che, ingravidata come capita a tantissime altre donne nel mondo, può vantarsi di vedere universalmente trattato il proprio grembo come se fosse d'oro. 

Tante, troppe parole di gioia e aspettativa sono infatti state spese sulla possibile gravidanza della consorte del principe William; tanti servizi - in Gran Bretagna e non solo - sono stati realizzati e propagati come se noi, comuni mortali, fossimo i testimoni di un evento importantissimo... Ma è evidente che i cittadini inglesi, scozzesi, gallesi e irlandesi hanno ben altre gatte da pelare: devono pensare alla propria sopravvivenza (e alla gravidanza delle loro proprie figlie, che spesso tornano a casa incinte - da scuola o dalla discoteca - a soli 13, 14 anni; e nessun ospedale accoglie a braccia aperte queste giovanissime popolane incaute). Circa la fame e la disperazione che regnano sull'Isola di Albione (e circa il servizio sanitario, ormai svenduto e destinato soprattutto ai ricchi, come e peggio che in Italia) non ha parlato nessuna emittente, nessun quotidiano.

Continuiamo così: a osannare i parassiti, gli straricchi nullafacenti di questo mondo! Questa è gente che ha tutti i privilegi possibili e immaginabili e che, persino in tempi duri come quelli che stiamo attraversando, non rinunciano a un solo centesimo delle loro prebende per aiutare i bisognosi, esponendo anzi alla luce del sole un'ingordigia sempre più irrefrenabile. Queste sono pulci che si spacciano per dèi in Terra...



Il figlio o la figlia di William e di Kate (la cui nascita già si prospetta sotto un cattivo auspicio) sarà probabilmente una creatura dal volto equino e orecchie elefantine (dalla parte di lui) e un mento alquanto prospiciente (segno caratteristico della madre), per tacere di un cervello forse ancora più bollito di quello di nonno Carlo. Eppure, le masse devote allelujeranno "Viva il nostro re!" o "Viva la nostra regina!", ulteriormente indottrinate (rincretinite) dai sempre più "globalizzati" (venduti) mezzi di "informazione".




R.I.P. Jacintha Saldanha


sabato, maggio 12, 2012

Miss Bielorussia 2012

Queste sì che sono splendide ragazze!

Yulia Skalkovich, vincitrice a Minsk del titolo di Miss Belarus per l'anno 2012.

La Bielorussia ("Russia Bianca") è indipendente fin dal 1990. Il suo ordinamento è quello di una repubblica presidenziale, ma di fatto trattasi di dittatura bell'e buona. La censura sui media è assai rigida e nelle edicole (appartenenti allo Stato) arrivano quasi solo i giornali filogovernativi. Stampa e TV propagano una visione del mondo russocentrica, e non c'è da sorprendersi: la Bielorussia è l'alleato più fedele dell'odierna Russia. Il suo presidente-padrone, Alexander Lukashenko (un tizio che vaneggia sulla forza di Hitler e sul carisma di Stalin), viene spesso fotografato in compagnia di Dimitry Medvedev e Vladimir Putin.


La centrale nucleare di Chernobyl subito dopo l'esplosione (1986). La nuvola radioattiva procurò ingenti danni alla Bielorussia, che ancora oggi investe circa l'8% del suo PIL nel tentativo di risanarli

E' un Paese in cui sembra ancora di vivere nel comunismo: in tutte le città esiste una Via Karl Marx e, quasi sempre, la piazza principale reca la denominazione Oktyabrskaja. Un alone di paranoia, di folle paura, circonda ogni gesto e ogni parola; opporsi al volere del presidente è pericoloso per ognuno dei circa 9 milioni di cittadini (tendenza: calante; la natalità in Bielorussia è ai valori minimi...). Il Padre ("Bat’ka"), come si fa chiamare Lukashenko, sa come esercitare il controllo sulla Nazione. I suoi metodi forse non saranno raffinati, ma per alcuni versi essi sarebbero in grado di fare impallidire persino il Big Brother orwelliano. La polizia di Stato - K.G.B. ! - picchia brutalmente (e uccide) chi invoca una maggiore democrazia o si mostra eccessivamente filo-occidentale, ed è impensabile attendersi delle elezioni presidenziali libere.
D'altro canto, però... Disoccupazione? I bielorussi ignorano che cosa sia. E Minsk, la capitale, si presenta come una città moderna con grandi, austeri edifici e dove il costo della vita è relativamente basso. A Minsk i delitti sono praticamente sconosciuti e i trasporti pubblici funzionano infallibilmente. Inoltre, il centro-città è pieno di donne belle ed eleganti.
Dunque: il posto ideale dove trasferirsi... all'apparenza.


Peccato, fanciulle! Forse non ci incontreremo mai: troppi muri tra di noi

sabato, aprile 21, 2012

Ora su Amazon - 'Città dell'Alfabeto'




Fantascienza post-apocalittica.

Più precisamente, questo romanzo, ambientato nell'onnivora Alphabet City (odierna New York), rientra nella SF distopica (non utopica!). Alvo, il protagonista, deve districarsi tra le insidie della megalopoli - capitale di entrambi gli emisferi - che si estende sull'East Coast statunitense. La Terra sembra ormai essere controllata da un'unica multinazionale. Ma... è proprio la Terra, questa?








"Un tempo il mondo era un insieme di pochi, solidi insiemi. Poi la bussola si mise a roteare impazzita, le singole unità vennero scaraventate in giro e formarono uno sconnesso mosaico di brandelli e cocci incompatibili tra di loro, una matassa in cui invariabilmente ci si smarrisce. Nessun schema da poter seguire, la perdizione come status effettivo. E, al centro di tutto, l'Impastatrice, elevata oramai a ruolo di madre irreprensibile, caritativa nella sua azione distruttiva; l'enorme bocca un buco nero."

......E-book