Giuseppe Catani
PICK & ROCK
Quando la musica va a canestro
arcana, 2020
“Ma vai un po’ a discutere con uno alto 2 m...”
Il basket e la musica. Binomio magico, che, davvero, non avremmo mai preso in considerazione senza la lettura di Pick & Rock.
La pallacanestro è uno sport non da tutti né per tutti, e chi lavora a questa recensione ha visto risvegliarsi certe pulsioni "sportive" solo durante la lettura del libro di Giuseppe Catani. Come potevo dimenticare di essere stato, da piccolo, grande fan della Simmenthal di Milano (oggi: Olimpia Milano) e di aver giocato anch'io a basket, dapprima alle medie, dove passavo per un giocatore promettente (ma non se ne fece nulla, come spesso accadeva e accade nelle scuole italiane) e, durante e in seguito, nel cortile della casa di un amico, insieme ad altri ragazzini ma anche a qualche adulto, dove c'erano due bei canestri piazzati in alto su due grezzi muri dirimpetto con, sotto le suole, un bello strato di cemento armato?
Quando si ha a che fare con un libro a tema (che so io... La battaglia di Solferino, La vita segreta dei ragni, quello sugli alberi di Natale o un tomo sulla filosofia di Heidegger...) uno crede già di sapere a cosa va incontro e solitamente sceglie in anticipo se avventurarsi nella lettura o meno. Spesso si tratta di materiale arido, di argomenti attinenti a una materia speciale e per specializzandi, di blablabla tecnico. Ma poi si scopre che alcuni sono scritti in maniera passionevole, calorosa addirittura, e che contengono notizie curiose e interessanti, fino a riuscire a infiammare l'interesse del più malcapitato dei lettori. Nel caso di Pick & Rock c'è anche la musica, non solo la pallacanestro, e chi scrive qui si ritiene più un musicologo che un letterato: quindi non sono mancati (né mancheranno per voi, ve lo assicuro) i momenti "oh!" e "aaah!" durante la lettura.
Breve carrellata di visioni e sensazioni: il rumore delle scarpe da basket che "strisciano" sul parquet... le tante scene di film americani con neri (o anche bianchi) che sudano in un campetto tutto recintato... e i rapper, naturalmente.
I vari capitoli di Pick & Rock sono pezzi giornalistici usciti negli ultimi anni per dailybasket.it, sito che - come suggerisce il nome - è dedicato al gioco della palla a spicchi.
"La musica va a canestro", sì, e ci sarebbe tanto da dire sull'argomento. Ignoravamo anzitutto questo legame particolare tra la pallacanestro e il mondo delle sette note nei suoi diversi generi, sia indie sia rapper, sia in ambito di musica leggera sia di cantautorato. Si comincia nel libro con una carrellata di riferimenti italiani e si procede con i nomi grandi (e meno grandi) della musica angloamericana, con storie gustose di giocatori professionisti che si sono cimentati nel canto, con la rivelazione che Dan Peterson (che per quasi un decennio allenò la squadra di Milano) suonava la chitarra ed era un grande intenditore della country music, con gruppi semisconosciuti od obliati che fecero dediche apparentemente improbabili a personaggi della pallacanestro... Un esempio di questi ultimi sono i Grog di Reggio Calabria, che hanno scritto un brano per Kareem Abdul-Jabbar, gigante della NBA dalla biografia particolare e fervido amante del jazz.
Ovviamente, a ogni capitolo il lettore va a guardare, curioso, su Youtube o Spotify, per ascoltare il brano di cui si parla, e si imbatte in artisti che gli sono familiari e in altri tutti da scoprire. Spesso l'autore lega una situazione o un evento "cestistico" a una data canzone o gruppo. E... lo sapevate che anche Baglioni scrisse e cantò una sorta di ode a questo sport? La canzone si chiama "Il pivot". Sono andato a controllare (sì, esiste!) e me la sono pure goduta su internet.
E un altro Claudio, Claudio Lolli, bolognese purosangue, "si è sporcato le mani con il basket, usandolo come metafora di una vita che fugge, che ha bisogno di uno schema nuovo, che riesca a fermare il movimento prima della deriva". Il brano in questione, in cui Lolli accenna allo sport della palla a spicchi, è "La fotografia sportiva".
Pick & Rock è un libro di piacevole lettura e che strapperà qualche "oh!" e "aaah!" persino a chi ha poca o nulla confidenza con l'una o l'altra materia.
È, in primo luogo, un viaggio attraverso l'Italia tutta, quell'Italia che vive un po' lontano dai clamori, che ama il parquet dei palazzetti grandi e piccoli e non il prato o la terra battuta dei campi e campacci di calcio, e che apprezza la buona musica. Ci spostiamo così da Bologna a Caserta, da Cremona in Ciociaria, sporgiamo la testa a dare una sbirciatina nelle periferie che ci appartengono o ci appartennero (da Nord a Sud) per, infine, volare negli USA, alla corte di "Re" Michael Jordan... e dell'ormai compianto Kobe Bryant. Un viaggio entro coordinate che sembrano da sogno, ma esse fanno parte della realtà e di tutto ciò che eravamo da ragazzi, dove il playground, anche quello all'italiana, il cortile o campetto dunque, era, ed è, un luogo dell'anima.
E ora, se volete scusare... Mi sono procurato una palla da basket e scendo a fare qualche palleggio giù in strada. Con le cuffie in testa.
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A proposito: non sarebbe male una bella compilation in formato digitale di tutti i brani nominati nel libro! L'autore ci ha già pensato?
Intanto, il pivot segna a tutto spiano (“Tre in fila ne azzeccò”) anche se a un certo punto ha bisogno di riposo e quel “Poi ci fermammo un poco nel cortile / odor di cena e di tv” indica forse un time-out oppure, più semplicemente, che qualcuno si è rotto di starsela lì a menare e non vede l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. Non prima di aver salutato con un’azione da manuale: “Con una finta si smarcò / io svelto gli passai [licenza poetica] / e lui schiacciò di forza”. È l’apoteosi. I due archiviano la gara e immaginano, con un’indubbia punta di frustrazione, che il pubblico sia lì ad applaudirli: “Sotto il cerchio / parve quasi di sentir le gradinate / che tremavano e gridavano per lui / e anch’io battei le mani per quell’ultimo canestro”.
Il pivot se ne va, porta via il pallone, che è suo (“Il pallone sotto il braccio / e se ne andò”) e, chissà, la partita potrebbe essere giunta a conclusione non per sopraggiunta stanchezza ma per colpa di quel lungaccione antipatico, scappato via con la palla: figurarsi se poteva lasciarla a qualcuno. Ma vai un po’ a discutere con uno alto 2 m...
(Dal capitolo in cui si parla di "Il pivot", di Claudio Baglioni.)
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peter patti
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