lunedì, dicembre 22, 2025

Eugenetica, pronatalismo e tecnocapitalismo (I)

 Eugenetica, pronatalismo e tecnocapitalismo: il ritorno di un’idea selettiva


Introduzione


    La distopia prima della teoria


Nel 1962 Anthony Burgess pubblicò Il seme inquieto, un romanzo ambientato in una società futura in cui il problema centrale è quello della sovrappopolazione. L'omosessualità viene incoraggiata e la riproduzione diventa un fatto pubblico, amministrato e giudicato. Ciò che rende il romanzo particolarmente perturbante non è la presenza di tecnologie fantascientifiche o di apparati repressivi spettacolari. Al contrario, Burgess immagina una società in cui il controllo passa soprattutto attraverso il consenso, il linguaggio e la pressione sociale. 

Un’intuizione simile era già emersa, qualche decennio prima, ne Il mondo nuovo di Aldous Huxley, dove la nascita naturale viene sostituita da un sistema di produzione biologica regolata e la selezione degli individui è il fondamento stesso dell’ordine sociale. In entrambi i casi, la questione non è soltanto tecnica, ma culturale: ciò che conta non è tanto come si controlla la riproduzione, quanto il fatto che essa venga considerata qualcosa che deve essere controllato.

Questi romanzi non anticipano semplicemente sviluppi tecnologici futuri. Intercettano una trasformazione più profonda: il passaggio dalla riproduzione come evento imprevedibile e relazionale alla riproduzione come problema di gestione razionale. La letteratura, in questo senso, ha visto prima della teoria ciò che oggi inizia a prendere forma nelle pratiche biomediche, nei discorsi politici e nelle logiche di mercato.

Partire da qui non significa confondere finzione e realtà, ma riconoscere che alcune domande sono state poste prima che esistessero gli strumenti per renderle operative. Quando la nascita diventa un dovere, una strategia o un investimento, non siamo ancora nell’eugenetica in senso storico, ma abbiamo già imboccato una strada che rende possibile pensarla di nuovo — con altri nomi, altri linguaggi e altre giustificazioni.

Fertilità e cliniche moderne

    Aldous Huxley, Il mondo nuovo

Nel romanzo Il mondo nuovo, pubblicato nel 1932, Aldous Huxley immagina una società futura in cui la riproduzione naturale è stata completamente abolita. Nessuno nasce più da una madre e da un padre: gli esseri umani vengono prodotti in appositi centri di incubazione, dove embrioni e feti crescono in provetta, sotto il controllo di tecnici e funzionari. Il concepimento non è un evento privato, ma una procedura industriale, regolata e pianificata.

Fin dall’inizio della loro esistenza, gli individui vengono suddivisi in classi. Attraverso interventi chimici e biologici, gli embrioni sono modificati per sviluppare capacità fisiche e mentali diverse. Alcuni nascono destinati a ruoli dirigenziali, altri a lavori ripetitivi e faticosi. Questa divisione non è il risultato di scelte personali o di condizioni sociali: è decisa prima della nascita e inscritta nei corpi.


Nel mondo di Huxley non esistono famiglie. Le parole “madre” e “padre” sono considerate oscene, imbarazzanti, quasi indecenti. I bambini non vengono cresciuti da genitori, ma dallo Stato. L’educazione è interamente collettiva e inizia fin dall’infanzia attraverso tecniche di condizionamento psicologico che insegnano a ciascuno ad amare il proprio ruolo e a non desiderarne altri.

La società descritta nel romanzo è stabile, ordinata e priva di grandi conflitti. La sofferenza è ridotta al minimo, non perché la vita sia profonda o significativa, ma perché ogni forma di disagio viene neutralizzata. Quando qualcuno prova tristezza, inquietudine o insoddisfazione, assume una sostanza chiamata soma, una droga legale e distribuita dallo Stato, che elimina il dolore senza effetti collaterali apparenti.

Il piacere è incoraggiato, ma solo in forme controllate. I rapporti sessuali sono liberi e frequenti, ma privi di legami duraturi. L’amore esclusivo è scoraggiato, così come qualsiasi attaccamento profondo. La stabilità sociale dipende dall’assenza di passioni intense, di desideri difficili da gestire, di relazioni che possano mettere in crisi l’ordine collettivo.


La trama del romanzo segue diversi personaggi che vivono all’interno di questo sistema, tra cui Bernard Marx, un individuo che si sente diverso e a disagio pur senza riuscire a capire perché, e Lenina Crowne, perfettamente integrata ma incapace di comprendere ciò che sfugge alle regole del suo mondo. L’arrivo di un uomo cresciuto fuori da questa società, in una riserva dove si nasce ancora naturalmente, mette in crisi le certezze di entrambi.

Attraverso questo contrasto, Huxley mostra due modi opposti di vivere: uno fondato sulla sicurezza, sull’efficienza e sull’eliminazione del dolore; l’altro segnato dalla sofferenza, dal conflitto e dalla libertà di scegliere, anche a costo di sbagliare. Il romanzo non offre soluzioni semplici, né un lieto fine rassicurante.

Il mondo nuovo non descrive una dittatura violenta né un regime basato sulla paura. È una società in cui quasi tutti sono soddisfatti, proprio perché non hanno mai conosciuto altro. La sua inquietudine nasce dal fatto che tutto funziona. Ed è forse per questo che, a distanza di quasi un secolo, il romanzo continua a disturbare: perché mostra un mondo in cui nessuno costringe, nessuno vieta, eppure nulla può davvero cambiare.


    Anthony Burgess, Il seme inquieto

Nel 1962, quando Anthony Burgess pubblica Il seme inquieto (The Wanting Seed), il mondo occidentale vive una fase di apparente fiducia nel futuro. L’Europa sta uscendo definitivamente dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale; la crescita economica, l’urbanizzazione e l’espansione dello Stato sociale alimentano l’idea che i problemi collettivi possano essere risolti attraverso pianificazione, tecnologia e amministrazione razionale. Allo stesso tempo, però, cominciano a emergere ansie profonde: l’aumento demografico globale, la paura della sovrappopolazione, le tensioni della Guerra fredda, il timore che le risorse non bastino per tutti.


In quegli anni circolano seriamente teorie sulla “bomba demografica”: troppi esseri umani, troppo in fretta. Non è fantascienza marginale, ma dibattito pubblico, scientifico e politico. È in questo clima che Burgess immagina il mondo del Seme inquieto.

Il romanzo è ambientato in un’Inghilterra futura, sovraffollata, degradata, violenta. Le città sono caotiche, i servizi collassano, il cibo scarseggia. Lo Stato ha identificato un nemico preciso: la fertilità. Fare figli non è più un fatto privato, ma un comportamento sospetto, socialmente dannoso.

Per questo motivo l’omosessualità viene non solo tollerata, ma attivamente incoraggiata. Non come conquista di diritti o riconoscimento di identità, ma come strumento di controllo demografico. Essere omosessuali significa essere cittadini virtuosi: si consuma sesso senza produrre bambini. La sessualità viene svuotata di qualsiasi dimensione affettiva o politica e ridotta a funzione tecnica.

In questo mondo si muovono i personaggi del romanzo, a partire da Tristram Foxe, un funzionario statale mediocre, passivo, travolto dagli eventi. Tristram non è un ribelle né un eroe: è un uomo che cerca di adattarsi. Attorno a lui, però, si muove una società in cui l’omosessualità è spesso performativa, ostentata, usata come segnale di conformità. Non tutti i personaggi sono realmente omosessuali per desiderio: molti lo diventano per opportunismo, per carriera, per sicurezza.

Figura centrale è Derek Foxe, fratello di Tristram: intelligente, spregiudicato, apertamente omosessuale e perfettamente integrato nel sistema. Derek non è una vittima: è uno dei vincitori. La sua omosessualità coincide con il potere, con l’accesso alle istituzioni, con la capacità di navigare il caos sociale. In Burgess non c’è idealizzazione: Derek non rappresenta una liberazione, ma l’adattabilità estrema dell’individuo a un ordine che cambia arbitrariamente.

Ed è proprio l’arbitrarietà il cuore del romanzo. A un certo punto, la situazione demografica cambia: guerre, carestie, crolli produttivi riducono la popolazione. All’improvviso, lo Stato inverte completamente rotta. Ciò che prima era virtù diventa vizio. L’omosessualità viene stigmatizzata, la procreazione glorificata, la maternità trasformata in dovere civico. Gli stessi meccanismi repressivi rimangono identici: cambia solo il bersaglio.

Burgess mostra così una società che non ha alcun principio stabile, ma solo esigenze contingenti. L’individuo non vale per ciò che è, ma per ciò che serve in quel momento storico. Oggi non fare figli è un merito; domani sarà una colpa. Non esiste una morale, solo una gestione.



Eugenetica

Congresso internazionale di eugenetica, Anni Venti. L'eugenetica: una disciplina accademica sostenuta allora da scienziati e leader politici.

Gioventù hitleriana. "Tutti biondi e belli..." L'immagine di un popolo esteticamente uniformato... Prime vittime sistematiche del nazismo furono i disabili e i malati. Il regime li eliminò in massa attraverso il programma di eutanasia noto come Aktion T4. 


    Eugenetica storica


L’eugenetica nasce tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento come un progetto scientifico e politico pienamente legittimato, non come una deviazione marginale o una follia isolata. Il termine stesso viene coniato in Gran Bretagna da Francis Galton, cugino di Charles Darwin, che immagina l’eugenetica come una sorta di “selezione artificiale” applicata alla società umana. Alla sua base vi è un’idea tanto semplice quanto radicale: la popolazione può, e anzi deve, essere migliorata intervenendo sui meccanismi della riproduzione. Questa convinzione attraversa rapidamente i confini nazionali e disciplinari, trovando terreno fertile nella biologia, nella statistica, nella medicina sociale e persino nell’economia politica.

Non si tratta soltanto di una teoria astratta. Nei primi decenni del Novecento l’eugenetica si traduce in politiche pubbliche concrete in numerosi paesi occidentali, ben oltre il caso tedesco che ne rappresenterà l’esito più estremo. In Gran Bretagna, figure come Karl Pearson e Ronald Fisher — padri fondatori della statistica moderna — intrecciano in modo esplicito ricerca quantitativa ed eugenetica, convinti che strumenti matematici possano guidare il miglioramento della popolazione. Negli Stati Uniti, l’eugenetica entra nei programmi universitari, nei tribunali e nelle istituzioni sanitarie, fino a produrre un sistema di sterilizzazioni forzate che colpirà oltre 60.000 persone tra il 1907 e gli anni Settanta, soprattutto donne povere, persone razzializzate e individui considerati “mentalmente inadatti”.

La legittimazione giuridica di queste pratiche arriva nel 1927 con la sentenza Buck v. Bell, in cui la Corte Suprema statunitense sancisce la costituzionalità della sterilizzazione coercitiva, con una motivazione che diventerà tristemente celebre: “tre generazioni di imbecilli sono abbastanza”. Non si tratta di un’anomalia americana. In Svezia, spesso citata come modello di welfare progressista, programmi eugenetici di sterilizzazione proseguono fino agli anni Settanta, con il sostegno di medici, assistenti sociali e istituzioni statali.

 Laboratorio antropometrico


Un elemento spesso rimosso nel racconto pubblico è che l’eugenetica, nel suo tempo, non era percepita come pseudoscienza. Al contrario, godeva di una rispettabilità intellettuale trasversale. Vi aderivano riformatori sociali, femministe “maternaliste”, esponenti del progressismo e del conservatorismo. Margaret Sanger, figura centrale del controllo delle nascite negli Stati Uniti, e Theodore Roosevelt, presidente simbolo del riformismo americano, condividono entrambi l’idea che la riproduzione dovesse essere orientata nell’interesse della nazione. Proprio questa diffusione capillare rende l’eugenetica storica più inquietante: non fu un errore marginale, ma un paradigma largamente condiviso dalle élite scientifiche e politiche.

In basso, gli scrittori A. Huxley e A. Burgess


Dopo il 1945, il termine “eugenetica” diventa impronunciabile. Il suo legame con il nazismo e con i crimini del Terzo Reich ne compromette definitivamente l’uso pubblico. Tuttavia, l’abbandono del vocabolo non coincide con una scomparsa delle logiche sottostanti. Queste sopravvivono, trasformandosi. Il lessico cambia: ciò che un tempo veniva chiamato “miglioramento della razza” diventa prevenzione; la “degenerazione” si traduce in rischio; la coercizione statale lascia il posto alla scelta individuale; l’ideologia si dissolve nel linguaggio della medicina e del mercato. È in questo passaggio che prende forma quella che numerosi studiosi definiscono eugenetica liberale o di mercato.


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