sabato, maggio 23, 2009

LETTERE DAL TERREMOTO: HO VISTO L'AQUILA

Scritta dall'attore Andrea Gattinoni alla moglie

Lettera a mia moglie scritta ieri notte

Ho visto l’Aquila. Un silenzio spettrale, una pace irreale, le case distrutte, il gelo fra le rovine. Cani randagi abbandonati al loro destino. Un militare a fare da guardia ciascuno agli accessi alla zona rossa, quella off limits. Camionette, ruspe, case sventrate. Tendopoli. Ho mangiato nell’unico posto aperto, dove vanno tutti, la gente, dai militari alla protezione civile. Bellissimo. Ho mangiato gli arrosticini e la mozzarella e i pomodori e gli affettati. Siamo andati mentre in una tenda duecento persone stavano guardando “Si Può Fare” . Eravamo io, Pietro, Michele, Natasha, Cecilia, AnnaMaria, Franco e la sua donna.

Poi siamo tornati quando il film stava per finire. La gente piangeva. Avevo il microfono e mi hanno chiesto come si fa a non impazzire, cosa ho imparato da Robby e dalla follia di Robby, se non avevo paura di diventare pazzo quando recitavo.

Ho parlato con i ragazzi, tutti trentenni da fitta al cuore. Chi ha perso la fidanzata, chi i genitori, chi il vicino di casa. Francesca stanno malissimo. Sono riusciti ad ottenere solo ieri che quelli della protezione civile non potessero piombargli nelle tende all’improvviso, anche nel cuore della notte, per CONTROLLARE. Gli anziani stanno impazzendo. Hanno vietato internet nelle tendopoli perché dicono che non gli serve. Gli hanno vietato persino di distribuire volantini nei campi, con la scusa che nel testo di quello che avevano scritto c’era la parola ‘cazzeggio’. A venti chilometri dall’Aquila il tom tom è oscurato. La città è completamente militarizzata. Sono schiacciati da tutto, nelle tendopoli ogni giorno dilagano episodi di follia e di violenza inauditi, ieri hanno accoltellato uno. Nel frattempo tutte le zone e i boschi sopra la città sono sempre più gremiti di militari, che controllano ogni albero e ogni roccia in previsione del G8. Ti rendi conto di cosa succederà a questa gente quando quei pezzi di ***** arriveranno coi loro elicotteri e le loro auto blindate? Lì???? Per entrare in ciascuna delle tendopoli bisogna subire una serie di perquisizioni umilianti, un terzo grado sconcertante, manco fossero delinquenti, anche solo per poter salutare un amico o un parente. Non hanno niente, gli serve tutto. (Hanno) rifiutato ogni aiuto internazionale e loro hanno bisogno anche solo di tute, di scarpe da ginnastica. Per far fare la messa a Ratzinger, il governo ha speso duecentomila euro per trasportare una chiesa di legno da Cinecittà a L’Aquila.

Poi c’è il tempo che non passa mai, gli anziani che impazziscono. Le tendopoli sono imbottite di droga. I militari hanno fatto entrare qualunque cosa, eroina, ecstasy, cannabis, tutto. E’ come se avessero voluto isolarli da tutto e da tutti, e preferiscano lasciarli a stordirsi di qualunque cosa, l’importante è che all’esterno non trapeli nulla. Berlusconi si è presentato, GIURO, con il banchetto della Presidenza del Consiglio. Il ragazzo che me l’ha raccontato mi ha detto che sembrava un venditore di pentole. Qua i media dicono che lì va tutto benissimo. Quel ragazzo che mi ha raccontato le cose che ti ho detto, insieme ad altri ragazzi adulti, a qualche anziano, mi ha detto che "quello che il Governo sta facendo sulla loro pelle è un gigantesco banco di prova per vedere come si fa a tenere prigioniera l’intera popolazione di una città, senza che al di fuori possa trapelare niente". Mi ha anche spiegato che la lotta più grande per tutti lì è proprio non impazzire. In tutto questo ci sono i lutti, le case che non ci sono più, il lavoro che non c’è più, tutto perduto.

Prima di mangiare in quel posto abbiamo fatto a piedi più di tre chilometri in cerca di un ristorante, ma erano tutti già chiusi perché i proprietari devono rientrare nelle tendopoli per la sera. C’era un silenzio terrificante, sembrava una città di zombie in un film di zombie. E poi quest’umanità all’improvviso di cuori palpitanti e di persone non dignitose, di più, che ti ringraziano piangendo per essere andato lì. Ci voglio tornare. Con quella luna gigantesca che mi guardava nella notte in fondo alla strada quando siamo partiti e io pensavo a te e a quanto avrei voluto buttarmi al tuo collo per dirti che non ti lascerò mai, mai, mai.

Dentro al ristoro privato (una specie di rosticceria) in cui abbiamo mangiato, mentre ci preparavano la roba e ci facevano lo scontrino e fuori c’erano i tavoli nel vento della sera, un commesso dietro al bancone ha porto un arrosticino a Michele, dicendogli ‘Assaggi, assaggi’. Michele gli ha detto di no, che li stavamo già comprando insieme alle altre cose, ma quello ha insistito finché Michele non l’ha preso, e quello gli ha detto sorridendogli: "Non bisogna perdere le buone abitudini".

Domani scriverò cose su internet a proposito di questo, la gente deve sapere.

Anzi metto in rete questa mia lettera per te.


Andrea Gattinoni, 11 maggio notte.

venerdì, maggio 22, 2009

Sport News

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mercoledì, maggio 06, 2009

L'harem di Mister Berlusk





(Dal blog "BRINDA CON PAPI")



Articolo da L'Unità:


"Palazzo Grazioli. Tra Piatti e Bacetti"



I coperti sono sempre 50. È un numero che probabilmente piace al Presidente del Consiglio, lo considera forse congruo per qualunque occasione, una riunione politica, un incontro d'affari, una festa. La tavola è situata al centro di un bellissimo salone, come quelli dei ristoranti di lusso, ma si trova a Palazzo Grazioli, l'abitazione privata di Berlusconi di fronte a Palazzo Venezia. Vuota, la sala fa un po' impressione, soprattutto quando gli invitati sono quattro o cinque e naturalmente si domandano il perché dei restanti coperti. Non è considerato un problema non arrivare a occupare tutti i posti, ma - si sa - l'attuale Presidente del Consiglio è anche uomo di fantasia, difficile non immaginare qualche sorpresa. Per avere la certezza che quella sera il premier non ha alcuna intenzione di parlare di politica o d'affari basta attendere qualche minuto. A un certo punto, infatti, si spalancano le porte ed ecco Berlusconi, accompagnato dal fido menestrello Apicella e scortato da una cinquantina di fanciulle. Sono tutte intorno ai vent'anni, sono poco vestite e adoranti al punto da intonare immediatamente l'inno personale del padrone di casa: «Meno male che Silvio c'è!». Silvio, tuttavia, non vuole essere soltanto spettatore, ma protagonista. Come sempre. Eccolo allora afferrare il microfono che sta a centro tavola e ricambiare l'omaggio con alcuni stornelli, accompagnato dal simpaticissimo Apicella. Sono le canzoni da osteria, dal doppio senso incorporato, che lasciano un po' sbigottiti alcuni tra i presenti. Le ragazze sembrano incantate da tanta bravura, ridono, scherzano tra loro e non nascondono la gioia per una serata che sarà sempre tra i loro migliori ricordi. Terminati gli stornelli, il presidente del consiglio, che forse anche per questo qualcuno definisce l'Imperatore, non ha difficoltà nell'andare incontro alle ragazze festanti, dare un bacetto a questa e una carezza a quella, invitare la giovane che sul momento ispira maggiormente i suoi sentimenti a sedergli sulle ginocchia. D'altronde, non mostra grande appetito. Il Presidente del Consiglio, infatti, si limita a una forchettata sola, una di numero. Poi più nulla. Eppure il cibo è ottimo. I camerieri, che indossano rigorosamente guanti bianchi, sembrano un po' svogliati e servono le ragazze quasi controvoglia: anziché appoggiare delicatamente le portate quasi le lasciano cadere. E poi non sembra loro affatto interessare se si tratti di aspiranti soubrette o future eurodeputate. Chiunque siano, infatti, saranno premiate in una misura di gran lunga superiore di quanto sia retribuito il lavoro dei domestici: a fine cena, i valletti entrano ancora una volta con i vassoi d'argento e porgono ad ogni ragazza un gioiello, una collana, un braccialetto. Le fanciulle saltellano, lanciano gridolini, ringraziano il loro generoso anfitrione, sebbene nessuna possa ancora permettersi di chiamarlo "papi". Forse più avanti. Questa storia sembra una fiaba, ma non è una fiaba: mi è stata raccontata da una persona che l'ha vissuta e che, comprensibilmente, preferisce rimanere nell'anonimato.


(Riccardo De Gennaro per L'Unità, 4 maggio 2009. Pagina 8)