di Giuseppe Alù
Questa notte ho avuto una illuminazione (sì, anche io, perché? Ce l’hanno tutti, perché io no?) e ora sono tutto una luce. La luce dell’intendimento,
direbbe Garcia Lorca. E la luce avvolge un mio prezioso pensiero. Quale? Ma l’indignazione, perbacco!
Vocabolario Treccani: “indignazióne (ant. indegnazióne) s. f. [dal lat. indignatio -onis, der. di indignari «sdegnarsi»].
– 1. Stato dell’animo indignato, risentimento vivo soprattutto per cosa che offende il senso di umanità, di giustizia e la coscienza morale). 2. ant. Infiammazione, irritazione di
una parte del corpo.
Acclarato cosa significa “indignaziòne”, procedo.
Tutti (o quasi) si indignano. Ma – ecco la mia illuminazione - tutti in un grado diverso.
E in forme sorprendenti. Vi voglio sorprendere (se non lo volete, piantatela qui).
Avete mai pensato che per un unico fatto indignante si possono avere gradi di indignazione diversi? Seguitemi. Facciamo un esempio e così percepiamo meglio la eccezionale
profondità della mia intuizione. Da 1 a 100 nella graduazione della indignazione, si può verificare questo.
Tangentopoli. Fatto unico di grande rilevanza oggettiva, sbriciolamento dei partiti, smarrimento politico, ascesa di un imprenditore unto del Signore (soprattutto nei capelli),
ecc. A me, che ho molta (e inutile) passione politica, le ruberie scoperte da Tangentopoli mi indignano a livello 90; a mio fratello, che si e no guarda un telegiornale al giorno ma che era abituato ai partiti ed è
più saggio di me, gli stessi fatti illeciti lo fanno indignare a livello 55; il mio vicino di casa, che era iscritto ad un partito cancellato e che in qualche modo aveva trovato il sistema per… non voglio farmi
querelare…, i fatti disonesti scoperti da Tangentopoli non solo non lo fanno indignare affatto, ma anzi il suo giudizio scende sotto lo zero e si indigna, per la pulizia giustizialista e manettara compiuta da Tangentopoli,
fino ad un valore di “meno” 40.
Fatto unico: indignazioni di grado diverso!
Volete un altro esempio? Eccolo.
Per il deludente gioco della Nazionale di calcio, io mi indigno fino a 35 o 40; mio fratello, al quale non gliene frega niente del calcio ma che comunque tiene per l’Italia,
si indigna diciamo fino al 30; invece il solito mio vicino di casa, che da giovane all’Oratorio ha partecipato a due partite nella squadra della Virtus con il ruolo di mezz’ala tornante, e che è rimasto nelle viscere per sempre mezz’ala tornante, si indigna ad un livello di 90. Chiaro? Fatto negativo unico,
diversi gradi di indignazione.
Se è vero come è vero tutto ciò, per un famoso principio di logica che esiste, ma che ora non ricordo, deve essere vero anche il reciproco. Fatti negativi
diversi e indignazione identica.
Continuiamo con gli esempi? D’accordo.
Siamo in fila alla cassa di un Supermercato (non dico il nome del mio per non cadere nel divieto di pubblicità subliminale).
Personaggi: la cassiera, una prima cliente, una seconda cliente. Fuori piove furiosamente. La prima cliente sta lì a lamentarsi con la cassiera: dovrà inzupparsi
per colpa del loro parcheggio lontano assolutamente scomodo e si indigna: “Che roba!”.
La seconda cliente che ha fretta ed è contrariata per la gente che alla cassa si mette a chiacchierare mentre gli altri aspettano, rivolta ai vicini esclama “Che
roba!”
La cassiera che non vede l’ora di essere sostituita da una collega che al solito tarda ad arrivare infischiandosene delle esigenze familiari dei colleghi, guarda la
fila sempre più lunga e disgustata mormora “Che roba!”
Stessa indignazione per tre situazioni del tutto diverse, al contrario degli esempi precedenti.
Ve lo dicevo, no?
Ma come è possibile?
E’ possibile se consideriamo non il fatto negativo osservato, ma l’occhio che lo osserva, il singolo punto di vista personale. Ecco che un unico fatto indignante,
recepito da persone che hanno sensibilità, esperienze, esigenze diverse, può dar luogo a gradi di indignazione differenti. E viceversa.
Purtroppo questo fenomeno non giova ai rapporti umani, anzi vi porta fattori di confusione o meglio di incomprensione. L’errore sta nel fatto che tutti noi crediamo
di avere la stessa sensibilità e quindi non comprendiamo come mai gli altri possano non indignarsi come ci indigniamo noi per fatti che noi consideriamo assai negativi.
A volte a me è capitato in una discussione di lasciare per ultimo l’argomento decisivo, davanti al quale non si può non cedere e alla fine di metterlo
sul tavolo in maniera trionfante. E mi è capitato di sentire in risposta “E allora? Tutto qui? Ma questo non conta niente” con mia assoluta costernazione.
A questo punto vi domanderete: a che fine tutta questa tiritera? Sapendo questo ci sentiamo meglio?
Meglio non lo so, sono affari vostri e potevate fare a meno di continuare a leggere dopo i primi periodi.
Più lucidi nei giudizi forse sì. Ed è qui che volevo arrivare. Attualità. Corona virus.
Un onesto calabrese guarda lo sfacelo della sanità locale, si indigna e mormora “Che disastro!”
Un onesto laziale guarda l’affollamento nei Pronto Soccorso del vicino Ospedale dove si è ricoverati ma con ritardo, si indigna e mormora “Che disastro!”.
Un onesto trentino sente gli ululati lamentosi delle Ambulanze che sfrecciano per le strade e affranto pensa che forse non tutti potranno avere uguale assistenza visto il
numero dei contagiati, e si indigna e mormora “Che disastro!”.
Tre indignazioni uguali per tre diversi gradi di carenze sanitarie dalla gravissima alla sopportabile. E mi chiedo se il trentino si indigna per la sua situazione, come si
dovrebbe indignare il calabrese? Forse l’uno non conosce la situazione dell'altro…
Non lo so, fate voi. E mi raccomando, indignatevi sempre al massimo grado, un motivo ci sarà in ogni caso.
Saluti.
Giuseppe Alù (Caltanissetta 1936) è stato Magistrato Consigliere di Cassazione. Ha pubblicato La contessa Marianna, Mondadori 1989 (Premio San Vidal – Venezia – 1989); Storia e storie del Risorgimento a Treviso, Edizioni Galleria 1987; Lo scritto e il sigillo, Raccolta di poesie 1971-1981. E: Tedeschi. Quadretti di una esposizione, Asterios 2018 (disponibile qui).
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