In questo stesso giorno e mese di tredici anni fa (1994) si involava verso il paradiso degli ubriaconi Charles "Hank" Bukowski. Nell'arco della sua carriera, che abbraccia quasi mezzo secolo, lo scrittore di origini tedesche pubblicò oltre cinquanta volumi in prosa e poesia.
Infanzia e gioventù dolorosamente difficili. Ma, negli Anni Settanta, Bukowski era una leggenda vivente. Fece delle apparizioni insieme ad Allen Ginsberg e Lawrence Ferlinghetti, fu spesso intervistato da Rolling Stone e tenne delle acclamatissime letture in Europa (vi arrivava sempre non con le sue leggendarie due confezioni da sei birre, ma con non meno di quattro bottiglie di ottimo vino francese).
A quel punto della sua vita, anche il vecchio, mezzo fracassato Maggiolino della Volkswagen, noto dai suoi racconti, era solo un nostalgico ricordo: ormai "Hank" poteva permettersi una BMW decappottabile nuova di zecca. Era un uomo decrepito (ma fu mai giovane?), soffriva di cancro e di TBC, e poteva tuttavia gioire di un conto in banca niente male per un ex bum (fannullone vagabondo).
L'epitaffio sulla sua tomba recita:
"Don't Try."
Nessuno ne conosce il significato, ma si intuisce che, qualsiasi cosa voglia dire, è sicuramente giusto.
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