domenica, agosto 27, 2023

In memoria del batterista jazz Giampiero Prina ("Nimba")

 Una vita purtroppo breve (1957-2002), ma ricordata con affetto e a tratti con malinconia da numerosi amici e colleghi musicisti 

Nimba è un volume a cura di Carlo Verri


Non occorre essere un conoscitore del jazz per trovare piacere in questo libro, che è l'omaggio a uno dei batteristi migliori che abbiamo avuto in Italia. Il fatto poi che Nimba - Giampiero Prina - 1957-2002 sia uscito per la Scivales Music, casa editrice di un musicista (Riccardo Scivales), ne aumenta il valore. 

L'idea nasce da Carlo Verri, amico di Giampiero e fotografo legato al jazz: Verri ha voluto raccogliere pensieri e ricordi attorno alla cara persona scomparsa. Così, su oltre 130 pagine si dipanano episodi, particolari, tracce di vita... le asserzioni di dozzine e dozzine di persone che hanno conosciuto Prina; memorie ora tenere, ora non scevre da dettagli tecnico-biografici che farebbero la gioia di ogni musicologo.

Il libro è stato fortemente voluto anche dal pianista/compositore/didatta jazz Claudio Angeleri, che collaborò spesso con Prina e lo ebbe anche fra i pregiati docenti del suo CDpM-Centro Didattico produzione Musica - Europe.



Sostanzialmente Prina sulla batteria era autodidatta, eppure è riuscito a diventare uno dei drummer più apprezzati non solo in Italia ma in Europa. Al conservatorio aveva seguito studi regolari di clarinetto e sassofono. E se la cavava bene anche al pianoforte e al vibrafono... 

La lista di nomi di coloro che su queste pagine hanno lasciato la loro testimonianza fa rilucere gli occhi degli appassionati del jazz (e della buona musica)!


Nimba, il libro sul grande Giampiero Prina, si può ordinare qui: Amazon.com, Amazon.it

 Go!


Le fotografie a corredo delle varie narrazioni sono molto belle e richiamano l'atmosfera di club fumosi (non solo a Milano) e di stanze piene di quadri, arte, conversazioni interessanti... la cornice dell'evoluzione di Prina.


Inserisco qui sotto alcuni stralci delle tante attestazioni di stima per il percussionista e per l'uomo Giampiero Prina: note estemporanee che rappresentano altrettanti reperti esistenziali; brani di vita di un personaggio umano, colto, disponibile. Ho preso delle frasi e dei capoversi qua e là, quasi a caso. Ma sono dozzine, centinaia di ricordi, aneddoti...



Adrianne West:

Un grande musicista con un incredibile senso dello humor, divertente e allo stesso tempo capace di grande concentrazione… semplicemente fantastico!


Tullio De Piscopo:

Giampiero mi ha sempre colpito per la sua serietà e la determinazione nella musica jazz. Penso sia stato un punto di riferimento per il genere e un grande supporto per tanti musicisti sia italiani che stranieri come Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Gianni Basso, Renato Sellani, Claudio Angeleri, John Taylor, Phil Woods, Mitchel Forman, Buddy Collette, Sam Rivers per citarne solo alcuni.


Daniele Panetta:

«Hey Dani, proviamo in questo modo. Esci dalla stanza e poi rientra improvvisamente emettendo dei suoni che esprimano tutta la rabbia che hai in corpo. Ad ogni tuo urlo corrisponderà un colpo delle mie bacchette. Poi proviamo con la malinconia ed altri stati d’animo e vediamo che succede…»

Questo fu l’approccio alle prove che stavamo facendo per quello che sarebbe stato il CD Duets, che purtroppo non abbiamo fatto in tempo a registrare.


Furio Di Castri:

È stato solo all’inizio del 2000 che Dado Moroni ci ha proposto di suonare in trio. Ricordo un concerto e una splendida session in Rai, di cui conservo gelosamente la registrazione come un bene prezioso. Quel trio avrebbe potuto fare grandi cose. L’empatia era totale. Giampiero era maturato con lo studio dell’armonia e della composizione ed era diventato un musicista ancora più straordinario. Sereno, attento, propositivo e con un grandissimo senso melodico. Aveva occhi dolci e profondi e un sorriso delicato che ispirava serenità e calore. Di poche parole, lasciava sciogliere la sua riservatezza in una grande forza espressiva e riusciva a trasfondere con leggerezza il dramma che stava attraversando. Era una persona unica, ed è passato nella nostra vita come un alito di vento fresco e salvifico.


Lino Patruno: 

Purtroppo Giampiero aveva un male incurabile e le cure a cui si sottopose furono vane. Ci lasciò a 45 anni, affranti e commossi.

Aveva iniziato studiando percussioni giovanissimo presso la “Civica Scuola di Musica” di Milano (e anche il clarinetto) e dopo poco tempo era già sui palcoscenici e nelle sale d’incisione con alcuni fra i grandi musicisti italiani, fra i quali ricordiamo Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Carlo Bagnoli, Massimo Urbani, Gianni Basso, Larry Nocella, Flavio Boltro, Dado Moroni, Paolo Tomelleri…

Con il passare del tempo ebbe l’occasione di suonare anche con alcuni grandi del jazz: Joe Venuti, Harry “Sweets” Edison, Milt Jackson, Buddy Collette, Tony Scott, Benny Golson, Jon Faddis, Gary Burton, Sam Rivers, James Moody, Sal Nistico, Bob Wilber, Slide Hampton, Barry Harris…

Attivo anche come insegnante, tenne seminari didattici a Siena Jazz, ad Asti e in Messico. Si esibì in Svizzera, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Tunisia, in Austria e negli Stati Uniti.

Uno straordinario talento musicale strappato prematuramente alla vita, ma ancora oggi ricordato con l’affetto di molti che difficilmente lo dimenticheranno.


Massimo Caracca:

Mi parlava spesso delle sue esperienze più recenti; ne citerò un paio qui di seguito. La prima riguardava una serata in un noto locale jazz milanese alla quale partecipai. Alla fine del concerto, mi parlò della difficoltà di essere filologici con uno specifico stile. Quella serata, infatti, era nata come bebop, ma in realtà fin dai primi assoli il linguaggio e il fraseggio erano stati contaminati con altri stili più recenti. In tal senso, mi fece notare quanto fosse impossibile poter suonare solo in un determinato stile in un periodo storico diverso. La seconda esperienza fu ad Umbria Jazz, accompagnando Gary Burton e Milt Jackson nello stesso concerto: in tale occasione, Giampiero palesò l’approvazione dei due interessati nelle scelte di aver accompagnato in modo libero Gary Burton, e invece più sobrio e lineare Milt Jackson.

Il percorso fatto con Giampiero è stato fondamentale per la mia crescita come persona, musicista e maestro.


Carlo Magni:

Lo conobbi nella scuola di musica dove insegnavo, il CDpM di Bergamo. Avevo già nella mia discografia alcuni vinili di gruppi che lo vedevano protagonista alla batteria e mi avvicinai, con il timore reverenziale di chi sa di avere davanti ancora una lunga strada da percorrere. Detto francamente, ero un pivello!

Trovai davanti a me un uomo dal cuore grande, disponibile e con un desiderio d’imparare e di migliorare sempre. Non mi balenava l’idea di chiedergli se avesse piacere a suonare in uno dei miei gruppi. Come ho detto, stavo imparando l’arte del jazz e mi sembrava un azzardo e, forse, anche un insulto, fargli una proposta del genere. Inaspettatamente, però, un giorno in cui stavamo registrando un album (era il lontano 1995), uscendo dalla sala d’incisione per una pausa, me lo trovai davanti con le bacchette in mano. Aspettava il classico allievo che dà buca. Presi coraggio e mi buttai: «Giampiero, perché non registriamo un brano improvvisato?» Mi attendevo una risposta del tipo: «No, non è il momento. Me lo dovevi dire in anticipo». E invece Giampiero era entusiasta dell’idea! Io ero euforico ma, allo stesso tempo, preoccupato di fare una brutta figura! Con Riccardo Fioravanti al contrabbasso, nacque così Impro nr° 2, poi pubblicata nel CD In Side Out, e iniziò una collaborazione.



I quadri e le poesie di Giampiero Prina (era bravo anche come pittore e come poeta) arricchiscono il libro, che contiene anche alcune ricette e uno spartito. Documenti che rendono più compiuto il ritratto dell'uomo e artista.

giovedì, agosto 10, 2023

Recensione di 'Together we stand'...

 ...'divided we fall'


di Nicola Randone


Pink Floyd The Wall (il film)



Questo è un libro che si deve leggere e far leggere. Io personalmente ne ho regalato una copia a mio fratello e l'ho raccomandato a molti miei conoscenti. Together we stand, divided we fall (che Randone ha scritto con il contributo di Nino Gatti) è un'analisi critica compiuta da un musicista; dunque abbiamo da una parte molti dettagli tecnici interessanti, tuttavia il grosso del volume è costituito dalle osservazioni di un grande fan dei Pink Floyd e del rock in generale, perciò possiamo stare certi che qui c'è dell'entusiasmo genuino, c'è il cuore, c'è la sensibilità di chi sa cogliere sentimenti e sfumature poetiche.



La storia la sappiamo: il film diretto da Alan Parker uscì nel 1982 e fu immediatamente un successo, sulle ali della fama del 'concept album' The Wall. L'ispirazione è ovviamente quella della straordinaria narrazione su pentagramma incisa sul doppio disco pluripremiato; inoltre ci si serve qui dell'interpretazione sentita e dunque credibile di Bob Geldof nei panni di una rock star in forte crisi. È un film tradizionale? No, come sappiamo. È un insieme - un vero mix - di linguaggi espressivi. Pink Floyd The Wall visualmente è basato in gran parte sulle animazioni di Gerald Scarfe, costruite su disegni iconici che nel frattempo hanno fatto scuola. (La scelta cadde su Scarfe non in maniera casuale: nel Regno Unito, era già noto come fumettista satirico.)



Nicola Randone fa un lavoro anche di ricerca linguistica, illustrandoci le espressioni idiomatiche e quelle inconsuete (per noi non-inglesi) contenute nell'opera.


>> A proposito dell'uso dei "modi di dire" in THE WALL, che abbiamo già avuto modo di riscontrare In the Flesh? nell'espressione "space cadet glow", è chiaro che l'autore Roger Waters non sia il classico paroliere che gira sempre intorno alle stesse parole ma che, da uomo inglese tutto d'un pezzo, ami servirsi della tradizione linguistica della sua terra proprio come uno scrittore colto. Non a caso, chi mastica un po' d'inglese e non ha alcuna difficoltà a comprendere il testo cantato di gruppi come i Led Zeppelin o i Deep Purple, quando si trova davanti a un testo di Roger deve spesso ricorrere al vocabolario. <<


Per questo motivo Randone ha analizzato anche l'etimologia dei modi di dire: per arrivare a una più profonda comprensione dell'opera. Oltre alla descrizione dei singoli capitoli, anzi: delle singole scene della pellicola, ci sono un mucchio di informazioni particolareggiate sul periodo in cui le singole canzoni sono state composte, per quale occasione, in quale situazione esistenziale di questo o quel componente della band, cosa vogliano dire veramente e, come c'è da aspettarsi, vengono scandagliati i retroscena dietro alle sequenze del film, gli incidenti sul percorso, le curiosità, i contributi di questo o quel membro della troupe, le scelte artistiche e di montaggio fatte da Alan Parker e dai suoi collaboratori...


Il lettore può così "gustarsi" Pink Floyd The Wall anche se non ha il DVD sottomano, rivivendo nel proprio spirito il racconto in tutte le sue nuances e persino imparando qualcosa di più circa i Pink Floyd. All'interno del gruppo, infatti, si erano già innescati quei meccanismi che avrebbero ben presto portato alla separazione di/da Waters...


Libro assolutamente da avere!