venerdì, aprile 05, 2024

Thriller in eBook: 'L'Agonia convulsa ovvero: L'Esodato'

e-Book Amazon

Su Amazon:
 'L'agonia convulsa (L'esodato)'
di franc'O'brain

(Amazon Kindle)

             Alcuni stralci del romanzo

La crisi. C'è stato chi non capiva e chi capiva a metà. Ci hanno costretti a indossare non solo una mascherina ma pure i guanti, nella speranza di poter arginare il diffondersi del flagello.

E ora io sono costretto a indossare non soltanto i guanti ma, occasionalmente, persino una maschera. Poiché per me è tuttora recessione, dissesto. Défaillance.

 

 

Wolf mi ha dato alcune lezioncine sul da farsi. Lo so, lo so: anch'io ho guardato e letto thriller a volontà. Mai lasciare DNA in giro e quindi: stare attenti a non perdere neanche un capello! Ricordarsi inoltre che una singola gocciolina di saliva potrebbe far risalire a noi. Normalmente.

"Nei casi di vecchi che crepano" mi ha assicurato Wolf tramite Telegram (o è WhatsApp?), "nessun inquirente si disturberà a ficcanasare sulla scena del crimine se le cause sono state abilmente simulate."

Durante le nostre conversazioni (che effettuo grazie al telefonino ritoccato riservato a questa mia "seconda occupazione"), per lui io sono, in ogni caso, "Orso". "Orso" e non "Bear". La forma inglese la preferirei di più...

Lui rimane "Wolf" per me. Pronunciato alla tedesca, non all'inglese. "Wolf" e non "Lupo", anche se, singolarmente, io ho la tendenza a usare la versione italiana.

Ci sarebbero domande a sufficienza che Orso vorrebbe rivolgere a lui, Lupo o meglio Wolf. Oltre ad avanzare pesanti obiezioni. Ma mi servono i soldi. E allora: "Garde ton souffle, Ours!" (Tieni la bocca chiusa! Risparmia il fiato, Orso!)

In un messaggio, il capo mi ha scritto: "Gli obiettivi da noi prescelti appositamente per voi sono una barzelletta". E così, quelle che ci riservano sono facili prede? "Li si può spingere per la rampa delle scale od oltre il davanzale: sembrerà un suicidio oppure una disgrazia."

Ho cercato di figurarmi le scene cruenti e, parola mia, mi è risultato difficoltoso vedermi nei panni di esecutore materiale.

"Se c'è del sangue dove non dovrebbe esserci" ha continuato il subdolo maestro, "sarà indispensabile servirsi del tauene, una sostanza usata dai meccanici."

"È utile per ripulire il sangue?" ho digitato, sbagliando due volte a pigiare i tasti.

"Lo è. Sia come sia, i da-noi-prescelti li si può eliminare con una metodologia multivaria. Avrai già sentito parlare delle fughe di gas. Sono frequenti, eh?"

"Sì..." Ho distolto gli occhi dal display e mi sono scrollato da capo a piedi, mentre fotogrammi di fiamme e carne bruciata mi si stagliavano sulle pupille. "Però" ho evidenziato "una fuga di gas solitamente causa una carneficina. Tanti che non c'entrano per nulla, gli innocenti, possono rimetterci le penne."

"D'accordo, c'è la variante dell'eliminazione pulita. A medio o breve termine. Ad esempio, causando forti allergie. Dei nostri soggetti abbiamo le cartelle cliniche. Logico, no? Non è fondamentale che la Fine sopraggiunga subito. Si può aspettare anche un paio di settimane o qualche mesetto. Cosa posso aggiungere? Ah, sì. Non meno importante: per nessun motivo servirsi di un'arma da fuoco, di un coltello o, che so io, di uno sparachiodi! Deve apparire - lo ripeto - un incidente o un exitus medico-biologico. Occorre essere creativi, inventivi."

Nelle ore successive a questa specie di briefing online, mi sono documentato di mia sponte. Apprendendo, da curiosi manuali reperibili su vari server non solo italiani, trucchi e stratagemmi a iosa. Si può inserire, attraverso una siringa, dell'aria in una certa vena del collo. O soffocare il malcapitato con un cuscino, che poi in ogni caso bisognerà portare con sé e gettare via. Con il veleno per topi si fa fuori una persona in una manciata di minuti... Giusto sulle sostanze tossiche, sui veleni, mi sono applicato con zelo: sono decisamente efficaci. In molti casi di avvelenamento - sempre che arrivi il rapporto di un patologo forense a certificarli -, gli eventuali ficcanaso crederanno a una morte volontaria, a un colpo di pazzia. In mancanza di moventi plausibili.

"È scontato che vi manderemo in posti diversi. Non agirete mai nella vostra città o, ad ogni modo, non troppo vicino a casa vostra" ha spiegato Lupo / Wolf. "Prerogativa essenziale è che rimaniate invisibili o non identificabili. È meglio che nessuno vi noti sostare troppo a lungo in un angolo o entrare e uscire da un edificio."

Sicuro. Improbabile che nel caso di facce nuove apparse improvvisamente si possa trattare di parenti lontani, amici o conoscenze dei vecchi. I vecchi sono esseri solitari e debbono restare indisturbati nel loro isolamento, nella loro mesta disperazione. Se ricevono visite, i vicini si allarmano. Pensano: "Un po' troppa socialità alla loro età!" Ai vecchi tocca rimanere appartati e dimenticati. La follia è sempre una risposta plausibile a tante domande. Ci sono pillole che uccidono entro un quarto d'ora. Ma si può anche strangolare la vittima e, successivamente, inscenare il suicidio: ad esempio, impiccandone il cadavere. Provocare una fuga di gas... No, questo metodo lo abbiamo già valutato e: meglio di no, troppo devastante.

Le lezioni del Lupo si svolgono, come detto, su svariate piattaforme di messaggistica e mio compito è cancellare i dispacci subito dopo averli letti o dopo aver ascoltato le registrazioni vocali.

"L'insulina. Mettila semplicemente nel loro caffè. Nell'eventualità che se ne somministri una dose massiccia, gli effetti sono potenzialmente letali. Non in tutti, ma in un congruo numero di soggetti."


***


A ogni momento di partire, Max si sfrega le mani: «Andiamo a fare sciambola!»

A far baldoria, vuol significare.

Lui si applica così bene da darmi i bruioli. Oh, pardon: i brividi, intendo. A qualche povera donna senile dedica attenzioni indecorose mentre altre le lascia all'asciutto («L'è minga semper festa!»), pur non lesinando neanche a loro osservazioni e gesti volgari, lascivi.

Alcune e alcuni li vedo afflosciarsi e spegnersi davanti a Talpa senza emettere più di un "Ah!" soffocato. E intuisco - senza dover controllare - quale arma usa in tali casi: me l'ha già sfoggiata a sufficienza durante uno dei nostri tragitti.

«Si chiama misericordia.»

Ho osservato l'oggetto tra le sue mani: un pugnale finemente lavorato, dal manico intagliato e con una lama sottilissima.

«Uno stiletto» ho detto.

«Ma bravo! Allora ne capisci. Sai perché si chiama misericordia?»

«Perché la vittima se ne va presto, immagino. Non soffrendo tanto.»

«È così. Noi usiamo ancora un altro nome: saccàgn. Allora: infili la saccàgn tra la seconda e la terza costola. Esce poco sangue. Pochissimo. Così eviti questa seccatura. Avrai meno spruzzi e tutto l'ambaradan. La pozza si formerà poi. Pian piano. Soltanto dopo che te la sarai svignata.»

Inutile aggiungere che lui ha cercato di appiopparmi - a prezzo di favore, dice - un coltello uguale o simile. Ma io nisba.

Io nisba nonostante che il concetto di misericordia, di compassione, calzi a pennello con il mio modo di essere. Se è il sottoscritto a esercitare il comando (cosa che purtroppo accade sempre più di rado), c'è spesso un tocco di classe nel modo in cui lascio trapassare i nostri clienti. Una delle vecchie, che difficilmente dimenticherò perché era una gran dama, si è spenta bevendo champagne. Dentro il calice le ho messo le gocce KO.

Una sostanza che per me rappresenta una scoperta non da poco. Altresì nota come droga da stupro. Me ne sono valso in un paio di casi. Riguardo alla lady di cui sopra, ho aspettato finché lei non ha perso i sensi e poi l'ho soffocata con il cuscino. Converrete che questo è un atto misericordioso. Probabile che potevo anche sparagnarmi il cuscino: la dose che le ho rifilata era alta. A una certa età, non si respira più quando l'organismo assume troppe gocce di knockout. Persino le più scafate girls, in discoteca, possono lasciarci le penne se alla loro bevanda viene mischiata una quantità eccessiva di GHB. E per "eccessiva" si intende da uno ai due grammi.

Gamma-idrossibutirrato: così gli esperti chiamano la droga. Astenetevi però dall'andare a cercarla in farmacia.

 

 


A casa mi adagio nel sarcofago a sognare carreggiate color cenere ai fianchi delle quali confusamente crescono alberi. Anch'io sono un rudere cadente come loro, come le case e gli alberi, e spesso, quando lavoro nel mio "studio" (sì sì, la stanza del terzo figlio che io ed Elena non riuscimmo mai ad avere; ma, tanto, due bastano e avanzano), vesto in pigiama, alla maniera di molti di quei pezzi da museo. Non posso fare a meno di rivederli, seduti sul ciglio del talamo, con il cuore in tumulto a origliare il ticchettio di una sveglia la cui suoneria loro non useranno più, a breve. O non usano già più. Hanno qualche guizzo di vivacità mentre discutono di scempiaggini con la propria moglie o con i coinquilini e poi tacciono, pieni di punti interrogativi, quando si rimettono sotto il lume elettrico della cucina.

I volti sfatti, le gocce succhiate da vespe e da formiche. Soggetti un tantino meno giovani di me (una piccola parte di costoro precede di cinque o sette anni; in buona percentuale, però, di quindici o diciassette: un'enormità) e alcuni mi guardano dritto nel passamontagna o attraverso il mio casco da motociclista con drammatica gratitudine, alcuni altri invece hanno remore a sollevare gli occhi (quasi temendo che sotto il travestimento non ci sia il diavolo bensì qualcuno di loro conoscenza) e si fissano sulle mie mani guantate, illudendosi che siano quelle di un operatore sanitario.

Ho imparato a domare pacatamente l'estremo sforzo di ribellione scansando le braccia di chi si dibatte cercando di colpirmi. Fin dall'inizio, per loro dev'essere esplicito che io sono il messaggero di Thanatos e, in ciò, il passamontagna nero (con una piccola alce bianca ricamata su) mi è utile. Non lascio loro mai abbastanza tempo per riflettere, fuorché quei minuti o secondi residui concessi loro dal veleno o richiesti dalla tecnica di soffocamento. A parte qualche eccezione, non desidero conoscerli troppo a fondo, tra l'altro perché intuisco che mi deluderebbero. Qualcuno cerca di confessarsi per così dire sul letto di morte, nientemeno, di liberarsi dal peso di qualche colpa grave, ma io gli tappo la bocca. "Non venite a lordare me con le vostre meschinità."

Sono convinto, ormai, o mezzo convinto, di compiere un'opera pietosa.

Gli italiani tra i miei clienti, nello stesso modo dei giovani connazionali bacchettoni, si palesano assai sospettosi nei confronti degli immigrati. E apostrofano il sottoscritto come si fa con uno straniero. «Tu che fare? Come essere entrato? Cosa volere?»

«Non sono straniero» ho spiegato un paio di volte e, quando mi hanno snervato battendo sul medesimo tasto, ho voluto indagare: «Perché mai credete che lo sia?» A dire di questi rincitrulliti rugosi, sono gli immigrati a fare cose simili, cioè scassare serrature, svaligiare, rapinare la brava gente. Annuisco, comprensivo. Si stanno riparando dietro il muro della xenofobia per non dover credere che sia giunta la loro ora. Vedono in me il romeno o l'albanese o vattelappesca che li deprederà, magari strapazzandoli e menandoli prima di andare via. Mi spiegano che sono gli stranieri a "rubare il pane". «Ma insomma, si sa!» Mentre in realtà sono ben consci di essere loro i primi furfanti, loro vecchi, loro pensionati: giacché stanno a pesare, e tanto, sulle tasche dei contribuenti.

Io, in fondo, li sollevo dal noioso andazzo della terza o quarta età. Immaginarsi: ogni giorno uguale. Aprire un occhio con la cataratta sullo stesso cuscino, raschiarsi la gola mentre si cerca dolorosamente di scendere dal letto, con ossa che scricchiolano, pantofole dentro cui si è formata una colonia di scarafaggi... Tranquilli: ora qui c'è Azrael!


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Esodati: una realtà italiana  


  

mercoledì, novembre 08, 2023

Joni Mitchell. Dolce Joni

 Sono 80 per la cantautrice canado-statunitense...

     

Sweet Joni



           



Songwriter formidabile, Joni Mitchell ha dato tanto alla sua generazione.
Folk, pop, rock, jazz e world beat: questi generi li ha abbracciati tutti e fatti propri...
Il suo percorso inizia nelle caffetterie di Yorkville (l'equivalente canadese dell'Haight Ashbury di San Francisco e del newyorchese Greenwich Village: un fulcro culturale costituito da club, localini alternativi, gallerie di arte sperimentale, boutique hippy) per continuare con le tappe internazionali e gli album d'oro. Ha ottenuto onorificenze quali Juno, Grammy (dieci) e l'iscrizione, nel 1997, alla Hall of Fame. Il suo stile personale è stato emulato da molti altri cantautori. Ampiamente rispettata anche come artista visiva e poetessa, persino in età avanzata ha continuato a essere produttiva, completando il proprio mosaico di lirica estrosità.


    1968


    1974


    1975




A 20 anni lascia il college, che stava frequentando a Calgary, e si trasferisce a Toronto con l'intenzione di diventare una cantante folk. Cerca in tutti i modi di iscriversi al sindacato dei musicisti ma ha pochi soldi; molti locali si rifiutano di farla esibire senza tesserino. Allora va a lavorare ai grandi magazzini, incontrando nel tempo libero gli allora sconosciuti Neil Young e Leonard Cohen, oltre a numerosi altri artisti che ruotano attorno alle decine di coffee house, sedi del movimento folk.

Nel febbraio 1965 dà alla luce una bambina, nata dalla relazione con un ragazzo del college. La situazione economica si fa critica per lei. Incontra Chuck Mitchell, che si innamora di Joni e le promette di riconoscere la bambina come propria figlia. Poche settimane dopo, i due si sposano, tuttavia l'uomo cambia idea circa l'adozione della piccola e la giovane madre è costretta a darla in affidamento. 
Questa dolorosa esperienza rimarrà sconosciuta ai fans di Joni Mitchell per molti anni, seppure in alcune canzoni ci siano delle allusioni, particolarmente in "Little Green", composta in quel travagliato periodo della sua vita e pubblicata nell'album Blue del 1971.


Joni e Chuck Mitchell si trasferiscono a Detroit, dove si esibiscono come duo. Diventano la coppia folk più amata della città. Nell'estate del 1966, Joni partecipa al Newport Folk Festival, ottenendo una standing ovation.

Il matrimonio e il sodalizio artistico con Chuck dura poco: agli inizi del 1967 lei se ne va a New York alla ricerca del successo solista. Ben presto si crea, intorno alla sua figura, un piccolo ma devoto gruppo di ammiratori. 
Incontra Tom Rush, il quale rimane piacevolmente colpito dai suoi testi e soprattutto dalla canzone "Urge for Going". Rush propone il pezzo a Judy Collins che però declina l'offerta; decide quindi di registrarlo lui stesso. Ma la canzone diventa un successo solo quando viene incisa dal cantante country George Hamilton IV. Il crescente interesse verso le doti della cantautrice proveniente dal Canada spinge numerosi interpreti del rango di Buffy Sainte-Marie, Dave Van Ronk e Judy Collins a incidere le sue composizioni, portandole al grosso pubblico.




     David Crosby
Nella Big Apple, nel quartiere bohéme di Chelsea, dove ha preso residenza, Joni incontra Elliot Roberts, che diventa suo manager e la introduce nel circuito dei locali per artisti più frequentati. Durante un'esibizione in Florida, nasce la relazione sentimentale con David Crosby, ex Byrds. Crosby convince la Reprise Records affinché Joni possa registrare un album totalmente acustico. Nel marzo 1968 esce Song to a Seagull. Crosby promuove in qualsiasi maniera il disco, presentando la ragazza ai suoi amici di Hollywood e facendole girare i ritrovi di grido. Il nome di Joni Mitchell si incomincia a sentire alla radio e a leggere sulle riviste. La cantautrice riscuote grande successo al Troubadour di Los Angeles, alla Royal Festival Hall di Londra e al Miami Pop Festival. Ad accrescerne la notorietà, arriva nel dicembre 1968 la versione di Judy Collins di "Both Sides Now", che diventa una hit. Per la novella star, arrivano i primi incassi, frutto delle vendite dell'album di debutto e dei diritti d'autore sulle sue canzoni interpretate da altri.


Nell'aprile 1969 la Reprise pubblica il secondo long-playing: Clouds. Di nuovo, le critiche e le reazioni del pubblico sono positive e il concerto tenuto alla Carnegie Hall sancisce definitivamente la fama di Joni.

Si trasferisce a Laurel Canyon, Los Angeles, con Graham Nash (inglese, già nel gruppo The Hollies), che lei aveva conosciuto tramite David Crosby. La coppia acquista una piccola casa, la medesima descritta nella canzone "Our House" di Crosby, Stills, Nash & Young.


     Graham Nash
Dopo varie apparizioni televisive, Joni si prepara per il grande festival di Woodstock, celebrazione di "Love and Peace". Ma, dopo aver visto alla televisione le immagini del traffico sulle strade che conducevano verso l'amena località,  Roberts le consiglia di non andare, poiché il giorno dopo avrebbe dovuto essere presente al  Dick Cavett Show, programma televisivo molto seguito.

Essere mancata all'epocale meeting di Woodstock non le impedisce di scrivere circa l'evento. Il brano "Woodstock" diventa un vero e proprio inno: le immagini di amore e pace, di aerei da guerra che si trasformano in farfalle e l'esigenza di "fare ritorno al giardino" ("And we've got to get ourselves / Back to the garden") dipingono perfettamente la manifestazione e il frangente storico in cui essa si svolge.


Vince un Grammy per Clouds. Immediatamente dopo, la Reprise è pronta a pubblicare il terzo album di Joni Mitchell: Ladies of the Canyon, che le frutterà il primo disco d'oro. L'album contiene alcuni tra i brani più popolari del periodo folk: "Woodstock", "Big Yellow Taxi", "The Circle Game".


***

La lista degli uomini che hanno incrociato il cammino di Joni Mitchell colpisce non tanto perché è lunga, quanto per la qualità! Leonard Cohen, David Crosby, Graham Nash, James Taylor, Jackson Browne, John Guerin, Sam Shepard, Jaco Pastorius, Don Alias, Larry Klein.
Nella biografia scritta da Dave Yaffe con il titolo Reckless Daughter ("figlia spericolata"), di cui si può leggere una recensione sul Washington Post, si parla degli amori della Mitchell, delle canzoni da lei dedicate ai suoi lovers e del passaggio dal folk / folk rock al jazz, poi della perdita di popolarità e - inevitabile! - la perdita di salute. Un aneurisma cerebrale ha colpito l'artista nel 2015. L'ormai vegliarda ha cercato di riprendersi dal duro colpo, così come, da ragazzina, si era ripresa ottimamente dalla poliomelite che l'aveva colpita a 9 anni; però stavolta i segni sono rimasti. Ci hanno detto che Joni non fuma più tre-quattro pacchetti di sigarette al giorno, come ha fatto per decenni... 
Mentre era ancora in riabilitazione e non poteva né suonare né cantare, ha lasciato suonare e cantare gli altri per lei: Elton John, Bonnie Raitt, Brandi Carlile (che con i suoi 41 anni era sicuramente la più giovane dei presenti): tutti sono passati per il soggiorno di Joni. Si trattava dei cosiddetti "Joni Jams". Lei, quasi impossibilitata a muoversi, si limitava ad ascoltare sorseggiando del vino. Una volta si è messa improvvisamente a cantare, stupendo gli ospiti. Ha intonato "Summertime". E, come Belinda Carlile ha raccontato in un'intervista alla CBS, Herbie Hancock è scoppiato in lacrime. E pure gli altri si sono commossi...
(Mitchell e Hancock avevano fatto un album insieme nel 1998, dedicato a George Gershwin: Gershwin's World, dove non poteva certo mancare un'ispirata versione di "Summertime", con lo stesso Herbie Hancock al piano, Wayne Shorter al sax tenore, Stevie Wonder all'armonica e Ira Coleman al basso!)
Dopodiché la Carlile ha incitato Joni Mitchell a esibirsi al Newport Folk Festival; cosa che è veramente accaduta, nel 2022, nella cornice dello show 
"Brandi Carlile and Friends": sullo stesso palcoscenico in cui lei era salita nel 1969.




Discografia
(solo gli album in studio)

1968 - Song to a Seagull (noto anche come Joni Mitchell)
1969 - Clouds
1970 - Ladies of the Canyon
1971 - Blue
1972 - For the Roses
1974 - Court and Spark
1975 - The Hissing of Summer Lawns
1976 - Hejira
1977 - Don Juan's Reckless Daughter
1979 - Mingus
1982 - Wild Things Run Fast
1985 - Dog Eat Dog
1988 - Chalk Mark in a Rainstorm
1991 - Night Ride Home
1994 - Turbulent Indigo
1998 - Taming the Tiger
2000 - Both Sides Now
2002 - Travelogue
2007 - Shine
2023 - Joni Mitchell At Newport



                    



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lunedì, ottobre 09, 2023

Punk: la storia di Ed Tudor-Pole (e della sua band Tenpole Tudor)

 A un certo punto dell'èra punk sembrava che i leggendari The Who avessero trovato la loro manifestazione più estrema, a base di chitarre falliche e accordi e testi stringatissimi e suonati a velocità massima: sui palcoscenici internazionali si affacciarono infatti i Tenpole Tudor.



 Una compilation eccellente

Correva l'anno 1981. I Tudor constavano di due chitarre + batteria + voce. Quest'ultima apparteneva al leader, l'istrionico, quasi acrobatico Edward Tudor-Pole (alias Eddie Tenpole), che si degnava ogni tanto di soffiare dentro a un sassofono o di violentare anche lui una chitarra. Ma il suo ruolo principale consisteva nel "cantare" (le virgolette sono d'uopo) indossando originali capi d'abbigliamento; in un concerto in Germania lo si vide per esempio con un cappellino busterkeatoniano, una bacchetta in mano e la faccia dipinta di un nero tigrato che tanto bene faceva risaltare l'azzurro dei suoi occhi ossessi.
Energia pura. Punk.

Il vero mestiere di Eddie Tudor-Pole (discendente diretto di Enrico VIII: un vero rampollo dei Royals inglesi!) è quello dell'attore. Lo era anche nel 1974, quando, con l'unico "bagaglio" musicale di uno smisurato amore per il rock'n'roll degli Anni '50, formò i Tenpole Tudor insieme al chitarrista Bob Kingston, al bassista Dick Crippen e all'occhialuto drummer Gary Long. Eddie non era propriamente un nuovo Chuck Berry, ma nemmeno un nuovo Johnny 'Rotten' Lydon, sebbene i Sex Pistols - e in particolare Sid Vicious, il quale però sarebbe tragicamente scomparso solo tre settimane dopo - avessero ad un certo momento pensato di assegnargli il posto lasciato vacante dal loro celebre cantante. La sua personalità sul palco era (ed è) comunque notevole. Gli erano soprattutto d'aiuto le sue qualità da commediante.


         

  (Si trova molto anche su Amazon.it; alcuni CD sono "import from Germany")

I Tenpole Tudor si esibirono insieme per anni, sempre scatenando un'elettricità a migliaia di volt, ma riuscirono a firmare un contratto con l'etichetta Stiff Records (dopo essere stati brevemente scritturati dalla Korova) solo dopo che Eddie apparve nel film sui, dei e con i Sex Pistols The Great Rock'n'Roll Swindle (1980). Con i Pistols, Tudor-Pole canta una cover terrificante di "Rock Around The Clock", nonché "The Great Rock'n'Roll Swindle" e l'ultima canzone del soundtrack: "Who Killed Bambi", scritta da lui medesimo.
 





Il single dei Tenpole Tudor "Three Bells In A Row" (1980) ottenne un buon successo commerciale. Tutte le porte si spalancarono. Senonché, oltreoceano si verificò un disdicevole "incidente". Avvenne durante la prima - e unica - tournée americana del gruppo. In un'intervista, interpellato a proposito della recentissima morte di John Lennon, Eward Tudor-Pole pronunciò questa enormità: "Lennon? Era solo un vecchio, noioso hippy". Immediatamente gli arrivarono minacce di morte, non gli fu possibile uscire dalla camera d'albergo... e iniziarono le prime tensioni all'interno dei Tudor.




[ Nella sua affascinante Encyclopedia of Punk Music and Culture {Greenwood Press, USA, 2006}, lo storico e critico musicale Brian Cogan racconta tuttavia un'altra cosa. I Tenpole Tudor stavano tenendo un'acclamatissima gig in un night club di Cleveland quando si sparse la notizia dell'uccisione di John Lennon. "Quando il loro gargantuesco frontman Eddie Tudor Pole tornò sul palco per il bis, era in lacrime. Abbaiò una dedica alla memoria del grande artista assassinato e attaccò con il brano 'Rock and Roll, Part Two' di Gary Glitter." Da ciò si evince che l'atteggiamento cinico di Eddie davanti ai giornalisti era solo una posa. Un colpo di follia di cui si ebbe sicuramente a pentire. ]



Il loro primo album Eddie, Old Bob, Dick and Gary fece registrare anch'esso, insieme ai due 45 giri che ne furono tratti ("Wunderbar" e "Swords of a Thousand Men") ottime vendite.



Guarda il video di "Swords Of A Thousand Men"

Meraviglioso quel primo scorcio degli Anni '80. La voce di Eddie "Tenpole" ruggiva dal juke-box Wurlitzer: "Throwing my baby out with the bathwater..."

Guarda il video di "Throwing My Baby Out With The Bathwater"

Nello stesso anno 1981 i Tenpole Tudor realizzarono il loro secondo LP: Let The Four Winds Blow. Altro successo, e memorabili shows in mezza Europa dello scatenato quartetto, con Eddie Tudor-Pole a tratti bardato in un'armatura medievale (!). L'entusiasmo però era smorzato: la consapevolezza di non poter mai conquistare gli U.S.A. a causa del faux pas di Eddie aveva spezzato l'impeto iniziale.

Già nel 1982 Eddie Tudor-Pole decise di sciogliere i Tenpole Tudor; il resto della band continuò a suonare sotto il nome The Tudors, mentre Eddie cercò a più tratti di risuscitare il gruppo (anche in versione cajun) concentrandosi però primariamente sulla sua attività recitativa ed esibendosi a più riprese in formazioni swing e jazz.
Oggi i suoi concerti sono su base rigorosamente acustica, ma il "punker" in lui non è affatto morto; tutt'altro...

                                         ***

Tra i film in cui recita Edward Tudor-Pole: Harry Potter and the Chamber of Secrets (2002)('scenes deleted'; ruolo: il proprietario d'emporio Mr. Borgin); GamerZ (2005); Some Voices (2002); Absolute Beginners (1986: il suo personaggio è Ed the Ted, e la canzone dei Tenpole Tudor presente nella soundtrack si intitola "Ted Ain't Dead"); The Great Rock'n'Roll Swindle (1980); Drowning By Numbers (1988); White Hunter Black Heart (1990; con Clint Eastwood); inoltre: diversi film diretti da Alex Cox, come Sid & Nancy (1986; storia della fatale relazione tra Sid Vicious e Nancy Spungen) e Straight to Hell (1987; in italiano "Dritti all'inferno", curioso spaghetti-western che ci offre la visione di un'isterica Courtney Love). E' stato visto recentemente anche in Quills (2000), romanza horror interpretata da Geoffrey Rush, Kate Winslet e Michael Caine, e in The Life and Death of Peter Sellers (2004) nei panni del famoso comico Spike Milligan.

Guarda Tudor-Pole insieme ai Pistols in The Great Rock'n'Roll Swindle 
 
Video dell'hit "Wunderbar" (da 'Top Of The Pops', 1980)

 
     
 Absolute beginner...


 

 ... e colpito a morte in uno spaghetti-western 

 


Per chi volesse approfondire la ricerca su questo inverosimile discendente della casata dei Tudor, ecco alcuni suoi nomi alternativi: Eddie Tudor Pole, Edward Tudor Pole, Eddie Tenpole, Eddie Tudorpole, Tenpole Tudor, Eddie Tudor-Pole, Ed Tudor-Pole (... !)



Naturalmente si parla di lui anche sui siti dedicati ai Sex Pistols.



      




sabato, ottobre 07, 2023

Centinaia di razzi su Israele dalla vicina Gaza

 A propos dell'attacco di Hamas a Israele.

Già nei primi Anni '70 peter patti (me, io and myself) scriveva questo componimento, animato dalla certezza che in Medio Oriente non ci sarebbe mai stata pace (per colpa anche dell'ingerenza delle Grandi Potenze).

TIRO E SIDONE
____________

 

  1.

 

Pigmalione, per avidità,
uccide Sicheo, l’uomo di Didone;
e perciò:

Tiro scaglia pietre su Sidone
e questa, ferita, piange,
si rianima e
catapulta asteroidi su Tiro.
Venere ride senza muovere il viso;
la Luna sorge e tramonta
azionando maree.

 

  2.

 

C’è un uomo che chiamano
“osservatore del cielo”.
Dicono che è pazzo perché
di luce astrale si ciba
e non presta ascolto ai mercanti.
Stanotte è riuscito a saltare
più in alto del solito:
aggrappato a Selene,
ora dietro i monti
dolcemente
declina.

 

(da 'Templi moderni')


 

domenica, agosto 27, 2023

In memoria del batterista jazz Giampiero Prina ("Nimba")

 Una vita purtroppo breve (1957-2002), ma ricordata con affetto e a tratti con malinconia da numerosi amici e colleghi musicisti 

Nimba è un volume a cura di Carlo Verri


Non occorre essere un conoscitore del jazz per trovare piacere in questo libro, che è l'omaggio a uno dei batteristi migliori che abbiamo avuto in Italia. Il fatto poi che Nimba - Giampiero Prina - 1957-2002 sia uscito per la Scivales Music, casa editrice di un musicista (Riccardo Scivales), ne aumenta il valore. 

L'idea nasce da Carlo Verri, amico di Giampiero e fotografo legato al jazz: Verri ha voluto raccogliere pensieri e ricordi attorno alla cara persona scomparsa. Così, su oltre 130 pagine si dipanano episodi, particolari, tracce di vita... le asserzioni di dozzine e dozzine di persone che hanno conosciuto Prina; memorie ora tenere, ora non scevre da dettagli tecnico-biografici che farebbero la gioia di ogni musicologo.

Il libro è stato fortemente voluto anche dal pianista/compositore/didatta jazz Claudio Angeleri, che collaborò spesso con Prina e lo ebbe anche fra i pregiati docenti del suo CDpM-Centro Didattico produzione Musica - Europe.



Sostanzialmente Prina sulla batteria era autodidatta, eppure è riuscito a diventare uno dei drummer più apprezzati non solo in Italia ma in Europa. Al conservatorio aveva seguito studi regolari di clarinetto e sassofono. E se la cavava bene anche al pianoforte e al vibrafono... 

La lista di nomi di coloro che su queste pagine hanno lasciato la loro testimonianza fa rilucere gli occhi degli appassionati del jazz (e della buona musica)!


Nimba, il libro sul grande Giampiero Prina, si può ordinare qui: Amazon.com, Amazon.it

 Go!


Le fotografie a corredo delle varie narrazioni sono molto belle e richiamano l'atmosfera di club fumosi (non solo a Milano) e di stanze piene di quadri, arte, conversazioni interessanti... la cornice dell'evoluzione di Prina.


Inserisco qui sotto alcuni stralci delle tante attestazioni di stima per il percussionista e per l'uomo Giampiero Prina: note estemporanee che rappresentano altrettanti reperti esistenziali; brani di vita di un personaggio umano, colto, disponibile. Ho preso delle frasi e dei capoversi qua e là, quasi a caso. Ma sono dozzine, centinaia di ricordi, aneddoti...



Adrianne West:

Un grande musicista con un incredibile senso dello humor, divertente e allo stesso tempo capace di grande concentrazione… semplicemente fantastico!


Tullio De Piscopo:

Giampiero mi ha sempre colpito per la sua serietà e la determinazione nella musica jazz. Penso sia stato un punto di riferimento per il genere e un grande supporto per tanti musicisti sia italiani che stranieri come Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Gianni Basso, Renato Sellani, Claudio Angeleri, John Taylor, Phil Woods, Mitchel Forman, Buddy Collette, Sam Rivers per citarne solo alcuni.


Daniele Panetta:

«Hey Dani, proviamo in questo modo. Esci dalla stanza e poi rientra improvvisamente emettendo dei suoni che esprimano tutta la rabbia che hai in corpo. Ad ogni tuo urlo corrisponderà un colpo delle mie bacchette. Poi proviamo con la malinconia ed altri stati d’animo e vediamo che succede…»

Questo fu l’approccio alle prove che stavamo facendo per quello che sarebbe stato il CD Duets, che purtroppo non abbiamo fatto in tempo a registrare.


Furio Di Castri:

È stato solo all’inizio del 2000 che Dado Moroni ci ha proposto di suonare in trio. Ricordo un concerto e una splendida session in Rai, di cui conservo gelosamente la registrazione come un bene prezioso. Quel trio avrebbe potuto fare grandi cose. L’empatia era totale. Giampiero era maturato con lo studio dell’armonia e della composizione ed era diventato un musicista ancora più straordinario. Sereno, attento, propositivo e con un grandissimo senso melodico. Aveva occhi dolci e profondi e un sorriso delicato che ispirava serenità e calore. Di poche parole, lasciava sciogliere la sua riservatezza in una grande forza espressiva e riusciva a trasfondere con leggerezza il dramma che stava attraversando. Era una persona unica, ed è passato nella nostra vita come un alito di vento fresco e salvifico.


Lino Patruno: 

Purtroppo Giampiero aveva un male incurabile e le cure a cui si sottopose furono vane. Ci lasciò a 45 anni, affranti e commossi.

Aveva iniziato studiando percussioni giovanissimo presso la “Civica Scuola di Musica” di Milano (e anche il clarinetto) e dopo poco tempo era già sui palcoscenici e nelle sale d’incisione con alcuni fra i grandi musicisti italiani, fra i quali ricordiamo Franco Cerri, Giorgio Gaslini, Carlo Bagnoli, Massimo Urbani, Gianni Basso, Larry Nocella, Flavio Boltro, Dado Moroni, Paolo Tomelleri…

Con il passare del tempo ebbe l’occasione di suonare anche con alcuni grandi del jazz: Joe Venuti, Harry “Sweets” Edison, Milt Jackson, Buddy Collette, Tony Scott, Benny Golson, Jon Faddis, Gary Burton, Sam Rivers, James Moody, Sal Nistico, Bob Wilber, Slide Hampton, Barry Harris…

Attivo anche come insegnante, tenne seminari didattici a Siena Jazz, ad Asti e in Messico. Si esibì in Svizzera, in Francia, in Jugoslavia, in Grecia, in Tunisia, in Austria e negli Stati Uniti.

Uno straordinario talento musicale strappato prematuramente alla vita, ma ancora oggi ricordato con l’affetto di molti che difficilmente lo dimenticheranno.


Massimo Caracca:

Mi parlava spesso delle sue esperienze più recenti; ne citerò un paio qui di seguito. La prima riguardava una serata in un noto locale jazz milanese alla quale partecipai. Alla fine del concerto, mi parlò della difficoltà di essere filologici con uno specifico stile. Quella serata, infatti, era nata come bebop, ma in realtà fin dai primi assoli il linguaggio e il fraseggio erano stati contaminati con altri stili più recenti. In tal senso, mi fece notare quanto fosse impossibile poter suonare solo in un determinato stile in un periodo storico diverso. La seconda esperienza fu ad Umbria Jazz, accompagnando Gary Burton e Milt Jackson nello stesso concerto: in tale occasione, Giampiero palesò l’approvazione dei due interessati nelle scelte di aver accompagnato in modo libero Gary Burton, e invece più sobrio e lineare Milt Jackson.

Il percorso fatto con Giampiero è stato fondamentale per la mia crescita come persona, musicista e maestro.


Carlo Magni:

Lo conobbi nella scuola di musica dove insegnavo, il CDpM di Bergamo. Avevo già nella mia discografia alcuni vinili di gruppi che lo vedevano protagonista alla batteria e mi avvicinai, con il timore reverenziale di chi sa di avere davanti ancora una lunga strada da percorrere. Detto francamente, ero un pivello!

Trovai davanti a me un uomo dal cuore grande, disponibile e con un desiderio d’imparare e di migliorare sempre. Non mi balenava l’idea di chiedergli se avesse piacere a suonare in uno dei miei gruppi. Come ho detto, stavo imparando l’arte del jazz e mi sembrava un azzardo e, forse, anche un insulto, fargli una proposta del genere. Inaspettatamente, però, un giorno in cui stavamo registrando un album (era il lontano 1995), uscendo dalla sala d’incisione per una pausa, me lo trovai davanti con le bacchette in mano. Aspettava il classico allievo che dà buca. Presi coraggio e mi buttai: «Giampiero, perché non registriamo un brano improvvisato?» Mi attendevo una risposta del tipo: «No, non è il momento. Me lo dovevi dire in anticipo». E invece Giampiero era entusiasta dell’idea! Io ero euforico ma, allo stesso tempo, preoccupato di fare una brutta figura! Con Riccardo Fioravanti al contrabbasso, nacque così Impro nr° 2, poi pubblicata nel CD In Side Out, e iniziò una collaborazione.



I quadri e le poesie di Giampiero Prina (era bravo anche come pittore e come poeta) arricchiscono il libro, che contiene anche alcune ricette e uno spartito. Documenti che rendono più compiuto il ritratto dell'uomo e artista.