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lunedì, gennaio 16, 2023

Una poesia di Philip Larkin: '1914'

 Traduzione di Peter Patti.

Con note esplicative del traduttore.


[Philip Larkin: poeta piccolo-borghese e con idee di estrema destra.]




MCMXIV 

(pubblicata la prima volta nel 1964)


Quelle lunghe linee irregolari
Che stanno in piedi impazienti 
Come allungate esternamente
The Oval oppure Villa Park [1],
Le corone di cappelli, il sole
Sui volti arcaici baffuti
Sorridenti come se tutto ciò fosse
Un'escursione di Ferragosto;

E i negozi chiusi, e i nomi sbiaditi
Di premiate ditte sulle tende parasole,
I quattrini e i sovereigns,
E bambini che giocano scurovestiti 
E hanno nomi di re e regine,
Le pubblicità su latta
Per il cacao e le torsade, e i pub
Aperti tutto il giorno;

E la campagna ignora il tutto:
I nomi dei luoghi sono ombreggiati
Da erbe fiorite e da prati
Che confondono le righe del Domesday Book [2]
Sotto il silenzio inquieto del grano;
I servitori in tenute differenti
Con camere minuscole dentro enormi magioni,
Nuvole di polvere dietro le limousine;

Mai tale innocenza,
Mai prima né dopo,
Come è stato mutato il passato
Senza una parola: gli uomini
lasciavano i loro giardini in ordine,
Le migliaia di matrimoni
duravano un po' più a lungo:
Mai più tanta innocenza.

 


[1] Impianti sportivi rispettivamente di Londra (The Oval è dove si gioca a cricket) e di Birmingham (Villa Park è uno stadio di calcio).

[2] Con 'Domesday lines' Larkin si riferisce al 'Domesday Book' che risale alla conquista normanna del 1066. I Normanni, guidati da Guglielmo il Conquistatore, fecero un accurato censimento di città, cittadine e villaggi inglesi.

*************************

MCMXIV 
Philip Larkin, first published in 1964



Those long uneven lines
Standing as patiently
As if they were stretched outside
The Oval or Villa Park,
The crowns of hats, the sun
On moustached archaic faces
Grinning as if it were all
An August Bank Holiday lark;

And the shut shops, the bleached
Established names on the sunblinds,
The farthings and sovereigns,
And dark-clothed children at play
Called after kings and queens,
The tin advertisements
For cocoa and twist, and the pubs
Wide open all day;

And the countryside not caring:
The place-names all hazed over
With flowering grasses, and fields
Shadowing Domesday lines
Under wheat’s restless silence;
The differently-dressed servants
With tiny rooms in huge houses,
The dust behind limousines;

Never such innocence,
Never before or since,
As changed itself to past
Without a word – the men
Leaving the gardens tidy,
The thousands of marriages,
Lasting a little while longer:
Never such innocence again.


(from Philip Larkin: Collected Poems)



  NOTE ESPLICATIVE

"MCMXIV", dunque 1914. I numeri in caratteri romani suggeriscono le lapidi e i monumenti cimiteriali.
Philip Larkin, che era appassionato di fotografia, apre questo suo componimento osservando una foto d'epoca. È l'anno dell'inizio della Prima Guerra Mondiale (per gli inglesi, la guerra iniziò nell'agosto 1914) e il gruppo di uomini ritratto (le cui figure hanno orli sbiaditi, sono come allungate, a causa della tecnica poco sviluppata del tempo) ha qualcosa di arcaico in sé: portano i baffoni e le loro facce sono attraversate da un ghigno, come se si accingessero ad andare a una festa ("lark" in questo caso è il gioco, con riferimento al cricket - "The Oval" -, seguito dal calcio - "Villa Park").
Nella seconda stanza, il poeta allarga la visuale. Lo sguardo - suo e nostro - si sposta oltre le figure allineate. Ecco la campagna, e le proprietà signorili ove regna una rigida gerarchia di ruoli (i servi sono vestiti diversamente l'uno dall'altro, a seconda del ruolo che ricoprono nella casa): è il momento di transizione dal periodo pre-bellico al confronto armato e Larkin esprime una forte nostalgia per gli anni che furono. L'accenno al Domesday Book, al libro del censo dei Normanni, ha a che fare con l'idea che quasi 1000 anni di immutata storia inglese e struttura sociale inalterata sono stati cancellati dall'evento furioso, fatale: dal primo conflitto mondiale, appunto. 
Nella stanza finale, il poeta ribadisce il senso di perdita dell'innocenza: non ci saranno più gli uomini a tenere in ordine e ben curati i giardini (segno di un legame stretto con la natura); inoltre, i matrimoni dureranno di meno, attraverso anche l'assenza degli stessi uomini dovuta alla chiamata alle armi... e, spesso, a una morte straziante al fronte.

 Larkin e una delle "sue donne"


Non è una poesia di guerra. In questi versi, la riflessione è incentrata sulle conseguenze sociali ed esistenziali di un vasto conflitto. Larkin era un civile, non un militare. Mentre era studente a Oxford fu chiamato a combattere nella Seconda Guerra Mondiale ma lo riformarono per problemi alla vista.
Ora, mezzo secolo dopo l'inizio della Grande Guerra, scrive con ponderatezza, nell'intimità della sua dimora di Hull, nel Nord dell'Inghilterra, circa i mali di uno scontro bellico di cotali dimensioni. Il Regno Unito (anche quello di oggi) non è più quello precedente al 1914: così ragiona Larkin, che sente l'urgenza di idealizzare l'ieri. Come in Yeats e in Thomas Hardy, i temi affrontati nei suoi versi sono quelli elementari ma fondamentali della poesia di tutte le epoche: il trascorrere del tempo, i cambiamenti radicali, la perdita di valori e - assai evidente in lui - la perdita di certezze quotidiane, di sicurezza domestica, 
Le sue posizioni sono quelle di un cittadino dalle idee nostalgiche; alquanto conservative; anzi: proprio reazionarie (aveva forti simpatie per l'estrema destra). L'ieri è sempre migliore dell'oggi, il passato ha da essere presentato come mitico, nobile...


 Furono tre le sprovvedute che cadettero nelle sue grinfie: la bibliotecaria, la segretaria, la lettrice



Nei suoi componimenti, Philip Larkin (1922-1985) ha documentato e sezionato con infallibile precisione l'Inghilterra provinciale in cui era immerso pienamente, comodo biotopo, appropriato per enucleare l'essenza dell'umanità. L'amore gli procurava comunque qualche problema, sconvolgendogli - arricchendolo - il Tutti-I-Giorni. Philip Larkin era un amatore - più che un amante - in eterno conflitto, incapace di risolvere le sue intricate relazioni (non sempre sessuali). Soltanto diversi anni dopo la sua morte (avvenuta su un letto di ospedale di Hull) è emerso che, prima di espirare l'ultimo respiro, Larkin rivelò a una delle sue tre amanti (o comunque donne amate) chi fosse stata effettivamente la preferita.
Ma chi erano "le tre donne" di questo poeta che era ed è considerato, almeno in ambito artistico, un antiromantico? E che privatamente non nascondeva di essere terrorizzato dall'idea di sposarsi?
Erano Monica Jones, lettrice d'inglese, Maeve Brennan, una collega nella biblioteca in cui lui lavorava e Betty Mackereth, la segretaria. Ebbe relazioni con loro durante gli Anni '70 e le considerava (fecendosi tanti film mentali) in concorrenza reciproca. 
Prima di loro c'erano state Ruth, Winifred, Patsy (quest'ultima era rimasta incinta di lui, ma perse il bambino)... Era un uomo retrogrado che scriveva versi importanti e... possedeva una collezione di immagini pornografiche niente male.
Suo padre aveva tenuto in casa una statua di Hitler e lo stesso Philip crebbe non soltanto misogino, ma anche piuttosto razzista. 

Io mi sono imbattutto in Larkin leggendo Anthony Burgess; più precisamente, una recensione scritta dal grande romanziere di Manchester in cui veniva messo a nudo e sottilmente ridicolizzato l'estremismo delle opinioni politiche di Philip. Inutile dirlo: i due rimasero nemici per la pelle vita natural durante.

 Anthony Burgess

 

Insomma: Philip Larkin, la sua poetica e la sua esistenza da piccolo impiegato pieno di bizzarre convinzioni sono argomenti da approfondire! Interessante anche il fatto che un'altra sua passione fosse il jazz: Philip Larkin scrisse numerosi articoli sull'argomento. Reputo che sia uno spasso andare a cercare quegli articoli e paragonare le sue opinioni musicali con le nostre.




domenica, gennaio 02, 2022

'Il Velo Rimosso'

Un commento a ‘Il Velo Rimosso’,

seconda raccolta poetica di Anna Murabito


Non è poesia della disillusione. Al contrario: essendo la razionalità un elemento propositivo più che di rinuncia, i versi di Anna Murabito (eccellente scrittrice, non solo poetessa) ci si offrono come strumento per accettare, metabolizzandola, la realtà. Per ‘conoscerla’ prima di tutto. E occorre giusto una poesia di qualità per rimuovere le lastre opache di una quotidianità uggiosa.
II Velo Rimosso è la seconda raccolta ufficiale di Murabito e possiamo tranquillamente affermare che, dopo due sillogi, ci è perfettamente riconoscibile lo stile.

Viene da Sud,

il fiato torbido del mare.

Un bendaggio malsano

avvolge di sudore le membra

ma insieme corteggia

da vicino.

È questo vento oscuro

denso

che porta umori dalla Siria

a sfinire i ricordi.

(Da: “Scirocco”.)

 

Questo è authentic Murabito. Un resoconto in versi liberi assai ricco, omogeneo, che punta però con sicurezza sui punti cardinali dell’esistenza. L’amore, il tempo, i viaggi, la natura. E, durante la lettura, veniamo accompagnati da Mahler (“Mahler 2”, pag. 37), Grieg, da Chagall con i suoi violinisti…

Leggere Il Velo Rimosso e, ancor meglio, l’intera opera poetica di Anna Murabito, può essere – ed è – anche un modo per ricomporci dopo aver subito un forte shock: un lutto, un amore finito… La cornice, con i suoi ornamenti e i tanti requisiti (siano essi squisiti che squallidi e crudeli), si sposta al centro del dipinto generale, e viceversa. Un’interscambiabilità che è, essa medesima, fonte di bellezza, e dunque significato profondo. Parimenti alla mutua influenza di passato e presente. Parimenti all’alternarsi delle tempeste (e dei terremoti) a un idillio da ritratto fisso.
I fenomeni, spesso radicali, ci tolgono il fiato, tuttavia è essenziale capirli e… conviverci. Così, è persino ovvio che cambiamenti climatici e avvicendarsi di stagioni diventino specchio dell’anima.

In autunno, ad esempio (“Autunno 2021”):


L’immagine del primo ramo

spezzato

si ferma nell’anima

come un’incrinatura

sul vetro

come un trasalimento

di dolore.

 

Mentre in primavera si alza (…)


il desiderio di navigare ancora

in alto mare

obbedendo al richiamo dell’albatro.

(“Un’altra primavera”.)

 

Il nostro è un mondo dove “Eros dilaga”; e a Sud lo fa insieme al glicine, alla zagara, al ligustro, al gelsomino, alla magnolia; alle buganvillee.

Naturalmente, per uno spirito siffatto un’opera d’arte non è soltanto un virtuosismo fine a se stesso. E la musica racconta tantissimo. L’arte dei suoni ha un potere tale da muovere, e smuovere, finanche le stelle.
In “Musica”, appunto, leggiamo che:

Luce e buio

depongono le armi

l’acqua attraversa il fuoco

e il Sole insegue l’Orsa.

 

È un tipo di poesia del quale l’intelletto non può non cogliere lo splendore delle coordinate specificate. Abbiamo da un lato il profumo contadino delle terre sicule, dall’altro le nebbie colte di un certo trancio di Francia (a rappresentanza di tutto il Nord, direi). Ed è non senza motivo che tiro in gioco l’intelletto.
Niente contro i “neoromantici” (è il sottoscritto a chiamarli così, senza voler fare ironia cattiva), e niente contro la famosa Alda Merini che vanta tanti epigoni; niente, insomma, contro chi cerca le facili rime per esprimere sentimenti elementari: i versi di Murabito appartengono a ben altra categoria. Qualche gradino più in alto lo sono di certo! Sono componimenti che rinunciano agli orpelli e si basano su un’abilità lessicale che dovrebbe essere propria di ciascun poeta. Sono liriche che scopriamo ricche di richiami eruditi.
Così come Parole Naufraghe (la prima raccolta), anche Il Velo Rimosso è uno scrigno il cui contenuto non è destinato al lettore comune. Non è poesia per la massa. E la forza di questa arte ci risveglia da una sorta di sonno, ci libera da quel velo (!) fatto di (pardon!) “monnezza” televisiva e internettiana, di zavorra mediatica.
Viviamo in un’epoca in cui ci si vuole inculcare come aumentare, raddoppiare, decuplicare la produzione, o i propri “follower”. Molti di noi avanzano a tastoni. Affannosamente, senza fermarsi; quasi senza riflettere. La lettura di versi “alti”, donatici da una voce autentica e decisamente ‘coltivata’ della cultura italiana, meglio: della cultura europea, ci permette di riscoprire quel nucleo di coscienza, e di conoscenze, che noi stessi avevamo in epoche, ere geologiche, periodi meno… appannati.
Leggendo, ci colpisce dapprima un qualche momento dagherrotipico descritto in uno dei componimenti; poi, le immagini si mettono in movimento. Ci vengono ricordati artisti della pittura e grandi compositori classici; ci viene restituita tutta la ricchezza che avevamo smarrito o archiviata. Tutta l’Arte.
Il Velo Rimosso è un modello di quel che dovrebbe essere la poesia e, soprattutto, di quale funzione essa dovrebbe ricoprire, in questo mondo utilitaristico che, consumando a più non posso, ha consumato se stesso.
Esiste una poesia della verità ed esiste una poesia che cerca di abbellire la realtà. La prima è utile, la seconda è vana, futile, e – sembra – creata da penne boriose. Nei versi di Murabito le rivelazioni sono spesso dolorose e di rado gioiose. La gioia consisterà, dopo, nel saper padroneggiare e contenere il dolore. Nell’ambito amoroso, ad esempio, da una parte c’è la necessità di averlo, di sentirlo, quest’amore. Dall’altro – ed è sconcertante – ci sono le insoddisfazioni che arrivano ad affastellarsi, ci sono le incomprensioni: il “silenzio letale” tra i due amanti; e lo “stretto disagio” di chi resta indietro, sola.

A noi, i “Cercatori d’oro” (poesia a pag. 19), basta un nonnulla

(…) per conoscere il mondo:


(…) cerchiamo nella melma

una fortuna grande

come un chicco di riso.

Ci basta l’ombra di un’ala

per arrivare al cielo

una foglia

che scivola sull’acqua

per conoscere il mondo.

 

E, di conseguenza:


una carezza

per chiamarla amore.

 

Amore che noi, ovviamente, siamo atti a “snidare”

(…) dai suoi nascondigli.


E aggiunge, la poetessa:


ma ho visto la sua coda

dileguarsi

con uno strascico d’oro e di sangue

 

Abbiamo i crepuscoli e i ricordi. I crepuscoli che ci rammentano che “Tempus fugit”. E i ricordi, che sono

come quei venti acuminati

che strappano le vele ai marinai

e risalgono i colli.

Sono spettri

sono pipistrelli

(…)

 

I viaggi recitano un ruolo preminente anche a posteriori (“Tramonta il giorno a Istanbul”: poesia bellissima) e ci aiutano, nella rimembranza, mentre vige la restrizione globale, durante le fasi di un immobilismo non voluto da noi. La nostra solitudine è innegabile, ma è una solitudine ricca di parole, suoni, impressioni, che ci fanno compagnia e ci sostengono durante l’inverno; l’inverno con le sue notti maligne (“Novembre”), che si allarga in visioni di un settentrione dal paesaggio muschioso e svuotato. Unicamente le felci si stagliano nella nebbia. Ancora Grieg come “soundtrack”, e non solo.


Sonorità dell’anima

che tremano

tra il pianto e l’estasi.

(“Il violoncello”.)

 

Il tempo (che è “assassino innocente” in “Canzone”) ci lascia soltanto riflessi confusi, immagini intangibili. Ombre che ci confondono. Ecco ad esempio che, nella figura di una persona che va, nella sua forma, nell’andatura, crediamo di vedere l’Amato. Malauguratamente, non si tratta di lui, ci eravamo sbagliati.
Dunque: tutto è inganno?

È in “Sopravviversi”, ultima poesia della raccolta, che abbiamo un sunto dello stato delle cose:


Guardo la jacaranda

resistere all’inverno

covare un’ansia viola

una promessa

di bellezza inutile.

L’alba ha una veste scontenta

trema di freddo.

Le traiettorie della vita

non collimano (…)

 

La soluzione, ad ogni modo, è una soluzione “a due”, per quanto appaia assurdamente utopica. Sì: la chiave per la sopravvivenza, senza alcun dubbio, è posta nella seguente, convincente cartolina degli amanti – io e l’Altro, io e l’Altra:


Confusi dal silenzio

supini

ripassavamo l’infinito

stretto nelle nostre mani.

 

***


Da aggiungere resta solo questo: mentre tutti cercano di aumentare qualcosa, di trovare un posto, Anna Murabito, che un posto – nel mondo e nella letteratura – ce l’aveva già, ha dovuto o voluto imparare, in età adulta, a usufruire dei “social” e divenire anche “videomaker”: con l’unico scopo di moltiplicare il piacere (nonché la conoscenza, lo sottolineiamo) che infondono le sue parole.

Togliamoci il cappello.

Il suo è un genere di poesia che ci insegna qualcosa senza volerci precettare. E che ci suggerisce: la vita non è una carezza, ma val la pena viverla.


Leggi Il Velo Rimosso Vol. I

Leggi Il Velo Rimosso Vol. II



 

Vai a 'Expressioni', blog di Anna Murabito

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martedì, gennaio 26, 2010

Libro di poesie di Massimo Barbaro


 

 


Nei giardini degli scettici


Autore: Massimo Barbaro


Prezzo: 10 euro – isbn 978-88-902114-5-4

148 pagg. in brossura.
collana di poesia: Quercus suber n. 1



 


"Variazioni di silenzi, epifanie della parola…
Un attimo di sospensione assoluta."
(Marco Ercolani)


"Una sensibilità raffinatamente riluttante…
Ordinarie rivelazioni, poesia dolorosamente attenta all’attimo."

(Manu Bazzano)




se mai sapremo


dove riposa


il respiro ultimo


delle cose nascoste


al pensiero


 


 


tu chiudi gli occhi


quando ti dicono di aprirli


non ti fidi


aspetti


 


ti sfiora


subdolo


il pensiero che non c’è nulla da aspettare


 


 


ciottoli neri e grigi


la lama dorata del sole


fluttua


io sono il suono del mare


non acque profonde


rumore di spuma che si sposta


arriva va


poi ritorna


 


smetterò di dire io


la prossima volta




Disponibili copie per recensioni, letture mirate, ecc.