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sabato, febbraio 19, 2022

"Una melodia in minore", tre poesie

 "Una melodia in minore"


Tre poesie

di

Anna Murabito


Musica di Edvard Grieg: “Air” dalla Holberg Suite


...

domenica, gennaio 02, 2022

'Il Velo Rimosso'

Un commento a ‘Il Velo Rimosso’,

seconda raccolta poetica di Anna Murabito


Non è poesia della disillusione. Al contrario: essendo la razionalità un elemento propositivo più che di rinuncia, i versi di Anna Murabito (eccellente scrittrice, non solo poetessa) ci si offrono come strumento per accettare, metabolizzandola, la realtà. Per ‘conoscerla’ prima di tutto. E occorre giusto una poesia di qualità per rimuovere le lastre opache di una quotidianità uggiosa.
II Velo Rimosso è la seconda raccolta ufficiale di Murabito e possiamo tranquillamente affermare che, dopo due sillogi, ci è perfettamente riconoscibile lo stile.

Viene da Sud,

il fiato torbido del mare.

Un bendaggio malsano

avvolge di sudore le membra

ma insieme corteggia

da vicino.

È questo vento oscuro

denso

che porta umori dalla Siria

a sfinire i ricordi.

(Da: “Scirocco”.)

 

Questo è authentic Murabito. Un resoconto in versi liberi assai ricco, omogeneo, che punta però con sicurezza sui punti cardinali dell’esistenza. L’amore, il tempo, i viaggi, la natura. E, durante la lettura, veniamo accompagnati da Mahler (“Mahler 2”, pag. 37), Grieg, da Chagall con i suoi violinisti…

Leggere Il Velo Rimosso e, ancor meglio, l’intera opera poetica di Anna Murabito, può essere – ed è – anche un modo per ricomporci dopo aver subito un forte shock: un lutto, un amore finito… La cornice, con i suoi ornamenti e i tanti requisiti (siano essi squisiti che squallidi e crudeli), si sposta al centro del dipinto generale, e viceversa. Un’interscambiabilità che è, essa medesima, fonte di bellezza, e dunque significato profondo. Parimenti alla mutua influenza di passato e presente. Parimenti all’alternarsi delle tempeste (e dei terremoti) a un idillio da ritratto fisso.
I fenomeni, spesso radicali, ci tolgono il fiato, tuttavia è essenziale capirli e… conviverci. Così, è persino ovvio che cambiamenti climatici e avvicendarsi di stagioni diventino specchio dell’anima.

In autunno, ad esempio (“Autunno 2021”):


L’immagine del primo ramo

spezzato

si ferma nell’anima

come un’incrinatura

sul vetro

come un trasalimento

di dolore.

 

Mentre in primavera si alza (…)


il desiderio di navigare ancora

in alto mare

obbedendo al richiamo dell’albatro.

(“Un’altra primavera”.)

 

Il nostro è un mondo dove “Eros dilaga”; e a Sud lo fa insieme al glicine, alla zagara, al ligustro, al gelsomino, alla magnolia; alle buganvillee.

Naturalmente, per uno spirito siffatto un’opera d’arte non è soltanto un virtuosismo fine a se stesso. E la musica racconta tantissimo. L’arte dei suoni ha un potere tale da muovere, e smuovere, finanche le stelle.
In “Musica”, appunto, leggiamo che:

Luce e buio

depongono le armi

l’acqua attraversa il fuoco

e il Sole insegue l’Orsa.

 

È un tipo di poesia del quale l’intelletto non può non cogliere lo splendore delle coordinate specificate. Abbiamo da un lato il profumo contadino delle terre sicule, dall’altro le nebbie colte di un certo trancio di Francia (a rappresentanza di tutto il Nord, direi). Ed è non senza motivo che tiro in gioco l’intelletto.
Niente contro i “neoromantici” (è il sottoscritto a chiamarli così, senza voler fare ironia cattiva), e niente contro la famosa Alda Merini che vanta tanti epigoni; niente, insomma, contro chi cerca le facili rime per esprimere sentimenti elementari: i versi di Murabito appartengono a ben altra categoria. Qualche gradino più in alto lo sono di certo! Sono componimenti che rinunciano agli orpelli e si basano su un’abilità lessicale che dovrebbe essere propria di ciascun poeta. Sono liriche che scopriamo ricche di richiami eruditi.
Così come Parole Naufraghe (la prima raccolta), anche Il Velo Rimosso è uno scrigno il cui contenuto non è destinato al lettore comune. Non è poesia per la massa. E la forza di questa arte ci risveglia da una sorta di sonno, ci libera da quel velo (!) fatto di (pardon!) “monnezza” televisiva e internettiana, di zavorra mediatica.
Viviamo in un’epoca in cui ci si vuole inculcare come aumentare, raddoppiare, decuplicare la produzione, o i propri “follower”. Molti di noi avanzano a tastoni. Affannosamente, senza fermarsi; quasi senza riflettere. La lettura di versi “alti”, donatici da una voce autentica e decisamente ‘coltivata’ della cultura italiana, meglio: della cultura europea, ci permette di riscoprire quel nucleo di coscienza, e di conoscenze, che noi stessi avevamo in epoche, ere geologiche, periodi meno… appannati.
Leggendo, ci colpisce dapprima un qualche momento dagherrotipico descritto in uno dei componimenti; poi, le immagini si mettono in movimento. Ci vengono ricordati artisti della pittura e grandi compositori classici; ci viene restituita tutta la ricchezza che avevamo smarrito o archiviata. Tutta l’Arte.
Il Velo Rimosso è un modello di quel che dovrebbe essere la poesia e, soprattutto, di quale funzione essa dovrebbe ricoprire, in questo mondo utilitaristico che, consumando a più non posso, ha consumato se stesso.
Esiste una poesia della verità ed esiste una poesia che cerca di abbellire la realtà. La prima è utile, la seconda è vana, futile, e – sembra – creata da penne boriose. Nei versi di Murabito le rivelazioni sono spesso dolorose e di rado gioiose. La gioia consisterà, dopo, nel saper padroneggiare e contenere il dolore. Nell’ambito amoroso, ad esempio, da una parte c’è la necessità di averlo, di sentirlo, quest’amore. Dall’altro – ed è sconcertante – ci sono le insoddisfazioni che arrivano ad affastellarsi, ci sono le incomprensioni: il “silenzio letale” tra i due amanti; e lo “stretto disagio” di chi resta indietro, sola.

A noi, i “Cercatori d’oro” (poesia a pag. 19), basta un nonnulla

(…) per conoscere il mondo:


(…) cerchiamo nella melma

una fortuna grande

come un chicco di riso.

Ci basta l’ombra di un’ala

per arrivare al cielo

una foglia

che scivola sull’acqua

per conoscere il mondo.

 

E, di conseguenza:


una carezza

per chiamarla amore.

 

Amore che noi, ovviamente, siamo atti a “snidare”

(…) dai suoi nascondigli.


E aggiunge, la poetessa:


ma ho visto la sua coda

dileguarsi

con uno strascico d’oro e di sangue

 

Abbiamo i crepuscoli e i ricordi. I crepuscoli che ci rammentano che “Tempus fugit”. E i ricordi, che sono

come quei venti acuminati

che strappano le vele ai marinai

e risalgono i colli.

Sono spettri

sono pipistrelli

(…)

 

I viaggi recitano un ruolo preminente anche a posteriori (“Tramonta il giorno a Istanbul”: poesia bellissima) e ci aiutano, nella rimembranza, mentre vige la restrizione globale, durante le fasi di un immobilismo non voluto da noi. La nostra solitudine è innegabile, ma è una solitudine ricca di parole, suoni, impressioni, che ci fanno compagnia e ci sostengono durante l’inverno; l’inverno con le sue notti maligne (“Novembre”), che si allarga in visioni di un settentrione dal paesaggio muschioso e svuotato. Unicamente le felci si stagliano nella nebbia. Ancora Grieg come “soundtrack”, e non solo.


Sonorità dell’anima

che tremano

tra il pianto e l’estasi.

(“Il violoncello”.)

 

Il tempo (che è “assassino innocente” in “Canzone”) ci lascia soltanto riflessi confusi, immagini intangibili. Ombre che ci confondono. Ecco ad esempio che, nella figura di una persona che va, nella sua forma, nell’andatura, crediamo di vedere l’Amato. Malauguratamente, non si tratta di lui, ci eravamo sbagliati.
Dunque: tutto è inganno?

È in “Sopravviversi”, ultima poesia della raccolta, che abbiamo un sunto dello stato delle cose:


Guardo la jacaranda

resistere all’inverno

covare un’ansia viola

una promessa

di bellezza inutile.

L’alba ha una veste scontenta

trema di freddo.

Le traiettorie della vita

non collimano (…)

 

La soluzione, ad ogni modo, è una soluzione “a due”, per quanto appaia assurdamente utopica. Sì: la chiave per la sopravvivenza, senza alcun dubbio, è posta nella seguente, convincente cartolina degli amanti – io e l’Altro, io e l’Altra:


Confusi dal silenzio

supini

ripassavamo l’infinito

stretto nelle nostre mani.

 

***


Da aggiungere resta solo questo: mentre tutti cercano di aumentare qualcosa, di trovare un posto, Anna Murabito, che un posto – nel mondo e nella letteratura – ce l’aveva già, ha dovuto o voluto imparare, in età adulta, a usufruire dei “social” e divenire anche “videomaker”: con l’unico scopo di moltiplicare il piacere (nonché la conoscenza, lo sottolineiamo) che infondono le sue parole.

Togliamoci il cappello.

Il suo è un genere di poesia che ci insegna qualcosa senza volerci precettare. E che ci suggerisce: la vita non è una carezza, ma val la pena viverla.


Leggi Il Velo Rimosso Vol. I

Leggi Il Velo Rimosso Vol. II



 

Vai a 'Expressioni', blog di Anna Murabito

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domenica, dicembre 20, 2020

"I miei giorni ansiosi"

Giuseppe Alù. Dalla raccolta Lo Scritto e il Sigillo

 
I MIEI GIORNI ANSIOSI

 
I giorni si affollano sui miei occhi
come figli, diversi ed eguali
tutti confusamente annodati
con il lunghissimo filo dell’attesa.
Non so vedere altro colore,
altra illusione che questo filo
interminabile, questa passione
trattenuta, sospesa
sulla quale la vita procede
ma non avanza e non sa di finire.
 
I miei pensieri come sciabole
tentano d’attorno
ma ricadono sempre.
Antiche saggezze insulari
crollano il capo
e i mali covati restano offerti
alla morte paziente del tempo.
Per non morire prima
i miei giorni ansiosi
dall’alba
scrutano l’orizzonte.



 
(Dipinto: "Antithetis", di Victor Brauner, 1937)





Giuseppe Alù ha pubblicato La contessa Marianna, Mondadori 1989 (Premio San Vidal – Venezia – 1989); Storia e storie del Risorgimento a Treviso, Edizioni Galleria 1987; Lo scritto e il sigilloRaccolta di poesie 1971-1981. E: Tedeschi. Quadretti di una esposizione, Asterios 2018 (disponibile qui).





 

domenica, marzo 01, 2020

Una poesia da 'Templi Moderni'





Un miraggio tremola all'orizzonte:
il miraggio di due amici.
Vagolano tra questi canyon
come animali del pleistocene.


Chi sono? Siamo noi.
E A regge la clava
e B già sa di essere
vittima designata. Ma ride.





Ride e piange e guarda l'amico
e guarda la clava
e gioca con l'eco: "Hey there!"
Gli risponde un supersonico.


Il carnefice assesta l'arma.
Chi è? È B. Sei tu, 
e hai il fiato caldo
come un abbraccio,


come la scia del jet
che passa sul cranio,
subsannando vent'anni
di giochi sorridenti.



     (Peter Patti, da Templi moderni)





v
v
v
templi-moderni




venerdì, dicembre 06, 2019

Le "parole naufraghe" di Anna Murabito


Anna Murabito
Parole naufraghe
poesie







La chiave di lettura di questo libro si trova a pagina 45.
"Voglio l'irragionevolezza / gentile / dopo l'acciaio della ragione."

La poetessa, colta, nonché dotata di un pensiero strutturato, di Logica, vorrebbe di tanto in tanto mollare gli ormeggi, perché stanca, delusa, e perdersi nel sogno, nella fantasia, nei gesti liberi. Ma il mondo in cui vive - e viviamo - è già abbastanza disarmonico, oltre che insulso; è noioso e imperfetto. E a che cosa serve la scrittura, se non - anche - a individuare un ordine e addirittura a crearlo? Qui, il verseggiare determina e anzi produce un motivo di vita, il Senso stesso...

Proviamo a riflettere su quello che è il ruolo dei poeti, oggi. Soffermiamoci a considerare il loro sforzo, pensiamo al lavoro che svolgono scrivendo, al servizio che ci rendono! Giusto che una buona silloge, come questa, venga edita; giusto che trovi nella forma libro il suo scrigno. Parole naufraghe - il volume in sé - può vantare una buona foggia, pur se ci si augura che, nella sua fattezza, perda la sua rarità (trattasi di edizione limitata) e possa trovare lo sbocco verso l'oceano della moltitudine.

Sono cinquantaquattro occasioni, come recita il sottotitolo.

Dico che è un "bel libro" perché è un bel colpo d'occhio dal punto di vista estetico. Ma davvero ci sono ancora editori che amano (e conoscono) la loro arte? Fantastico. Tuttavia (come si intuisce), il merito maggiore va a chi ha commissionato la stampa. Alla cura impiegata nell'affidare queste parole alla pagina tradizionale.

E i contenuti...!
Anzitutto l'amore. Ma non tanto l'amore muliebre quotidiano, quanto più l'unione - felice quanto travagliata - di due persone che hanno scelto liberamente di instaurare un legame, e che provano ardore e affetto, nonché stima. Amore come rito quasi "alternativo", "antiborghese", già echeggiante di antichità classica nella sua rude, diciamo pagana nudità. Pare a tratti di risentire la voce di Sylvia Plath e ancor più quella di Anne Sexton.
"Nessuna donna mai ti ha detto: / ti amo alla follia. / E neanch'io. / Ti dirò altre cose." (Pag. 59.)
E inoltre il recupero dei momenti belli, sempre nel tentativo di liberarsi dalle catene e dai pesi della razionalità.
"Rimuovo piano / gli ingombri della ragione / pesanti / come gravide bisacce / tenaci / come la polvere." (Pag. 39.)

Parole naufraghe raccoglie liriche recenti: sono state scritte infatti nel 2018 e nel 2019. Ma i versi sembrano essere di gran lunga progettati, ci si presentano come idee e riflessioni cariche d'anni, "ragionate" e, finalmente, sprigionate con inchiostro.
Scrittura senza pari per bellezza e unicità. Lo stile è chiaro, la sostanza va "spilluzzicata" quotidianamente. In Parole naufraghe ci imbattiamo in una realtà descritta attraverso la sua mimesi. Eppure: le pagine trasudano più realtà che fantasia. E più procediamo, più si comprovano le tematiche principali: il tempo infuocato e incalzante dei sentimenti, degli slanci, e il tentativo di chiudere il cerchio, facendo combaciare (quasi) le memorie con il presente.

Ritorniamo a quella lirica centrale tanto significante:

"Voglio l'irragionevolezza
gentile
dopo l'acciaio della ragione.
Voglio i sentieri di nebbia
le inconsistenze di luce
le conchiglie di vetro
innocenti
dove si sente l'estate
del mare.
Il muschio trasparente di rugiada
e granelli di fuoco
minuti come sabbia
a sciogliere il mistero
della notte."



Una dichiarazione programmatica. Senonché, come detto, la razionalità vince.
Sarebbe utile conoscere meglio la biografia di un poeta prima di affrontarne l'opera, ma finanche così si capisce il fuoco innato, l'energia, si intuiscono varie vicissitudini (relazionali, in primis). Anna Murabito è una donna dal carattere forte: è palese. Peraltro, non è la biografia che ci tocca giudicare, bensì l'opera. E il libro è convincente e non si può non propendere per una critica positiva.
Sappiamo bene che, per un prodotto artistico siffatto, ci si attende una valutazione a dir poco, se non arzigogolata, comunque ampiamente articolata. Il che è come rispondere, al gioco intellettuale dell'autrice (gli intrichi di parole, l'aggettivizzazione spesso sorprendente), con un gioco del tutto simile. Mi sono dunque messo d'impegno per rileggere tutte le composizioni da capo, per enuclearne in questo modo i concetti e le immagini più semplici allo scopo di potermi esprimere in maniera il più naturale possibile.

E pensare che non ci sarebbe neppure bisogno di elaborare una critica! La presentazione della stessa autrice a questa sua silloge, ad inizio libro, è di per sé garanzia di qualità. A me, queste note esplicative a mo' di introduzione sono piaciute tanto, rappresentando in qualche modo un lavoro letterario a sé stante... e una breve tesi di Letteratura.

Riavvolgendo il filo d'Arianna dei versi... si: sono parole. Ma non so quanto "naufraghe". Mi sembrano in realtà i pensieri, le immagini, di una persona erudita e ben ancorata nel mondo.
Il dualismo è sempre quello: fare - non fare; giacere - andare. Poiché viviamo nel tempo stesso nel corpo, nel cervello e nel cuore. Il nostro vero "io", l'"io" empirico, ha nel cervello la sua sede sensibile, ma scivola con facilità in direzione del corpo. Il cuore invece è la sede simbolica del Sé, il vero centro esistenziale e spirituale, e pertanto universale.

"Regioni immaginarie / dove l'ombra e la luce / non combattono."

La donna forte, che sa ribellarsi, significa pure parola che si fa azione, riuscendo a inchiodare flash del passato e intuizioni perennemente valide. L'ambientazione è già di per sé soggetto attivo: abbiamo qui il Sud situato in un tempo senza tempo, in un luogo non-luogo e, come la parola, anche i paesaggi sono rigogliosi. E c’è il rimando alla Francia (altri sud di altri Sud). Il tutto con passione e senza perplessità, in un incedere sicuro come la vita, o meglio come il tempo cui la vita (spesso deludendo[ci]) cerca di stare al passo. Tuttavia, tra tanto Meridione, i versi che probabilmente mi sono piaciuti di più sono quelli del sogno del bosco e delle more e del succo deterso dalle labbra ("col dorso della mano"). Una cartolina molto settentrionale, un riferimento a una natura alberata e lussureggiante, Trentino o giù di lì, nei giorni della gioventù.
Mi riferisco a "Ho sognato un bosco".

"Ho sognato un bosco
di tardo autunno
denso di frutti rossi
e di vigneti esausti
ignoranti del sole. (...)"
"Mi riempivo la bocca
di mirtilli e di more
e il succo bagnava le labbra
che asciugavo incurante
col dorso della mano.
Rapita contemplavo
gli ultimi grappoli
densi d'oro vecchio (...)"



e così via fino all'uomo "con il sorriso vuoto / ed impudente / di un giovane Bacco".


**********


È una di quelle letture che io chiamo “reiterabili”, un’opera che si merita la rivisitazione, oltre che la full immersion. Perché questi sono versi pieni; in pochi lemmi sono contenuti concetti e immagini vari. Uso della parola (inutile ripeterlo) magistrale, e alquanto interessante l'uso degli aggettivi, l'accostamento ad esempio dei colori ai nomi di cose (o ai sostantivi di qualità) per rafforzarne la natura, la peculiarità. Già visto in altri poeti e scrittori, certo, ma qui ci si imbatte in binomi inediti e imprevisti. Un grande soffio di genialità e cultura scaturisce da queste pagine!
È l'arte che cerca di prevalere sul grigiore della vita, "dove il rancore vince" (pag. 85), dove "l'universo indossa le maschere del nostro teatro" (...) e "Tutto mi sembra inutile: la notte, il giorno, / il tempo ed il respiro." (Pag. 85.) (O anche: "Un'alba dopo l'altra, / i giorni si succedono / stenti e prevedibili.") Richiami colti, a luoghi lontani (persino il Mare del Nord) e a compositori quali Mahler, Mozart, Caikovskij, ancora Mahler, Händel...

C'è il tempo che passa inesorabile e c'è forse un troppo accanito tentativo di fermare l’istante, gli istanti, e non disperdere niente. La rivalsa avviene in solitudine, spesso. Di notte. La notte che, "(...) con il bisturi, / taglia le mie incertezze (...)".



Parole naufraghe si conclude con:

"Oggi è stato il vento dell'autunno
con la sua canzone
di nebbia e di rame.
Ha aperto il melograno
sulle alghe putride.
Ha mescolato il passato.
Ha disegnato la notte."