Si trovano in un centro aerospaziale alla periferia di Mosca. Trattasi di sei astronauti che stanno simulando il più lungo volo spaziale con uomini a bordo della storia, fino all'atterraggio su Marte. Tra gli effetti sperimentati: le possibili conseguenze psicologiche di una simile odissea.
Tra i sei c'è anche l'italiano Diego Urbina.
Dopo 240 giorni di "vagabondaggio tra le stelle", tre di loro faranno finta di esplorare il Pianeta Rosso per un mese. Quindi, la "navicella" (una saletta di 180 metri quadri con servizi minimi ma essenziali) ripartirà - sempre per finta - verso la Terra. In tutto, 520 giorni senza la possibilità di vedere parenti e amici, con una comunicazione via sms (gestita dal centro di controllo) che si farà sempre più rarefatta, fino a dover sopportare un intervallo fra le parti di 40 minuti.
Oltre a Urbina fanno parte del gruppo un francese, un cinese e tre russi. Per loro, il tempo verrà diviso fra lavoro, ricreazione e riposo, ognuno di otto ore al giorno. I viveri verranno razionati. La simulazione non potrà fare accelerare i tempi del vero viaggio su Marte che è previsto fra una trentina di anni. Quando scoccherà l'ora fatidica, non si potrà prescindere dalla distanza fra le orbite del Pianera Rosso e della Terra, che variano dai 55 agli oltre 400 milioni di chilometri.
Attenti ai marziani!
Nell'attuale missione, comunque, l'Istituto Russo per i Problemi Biomedici (Ibmp) e l'Agenzia Spaziale Europea (Esa) sono interessati a scoprire principalmente gli effetti sulla mente del lungo, duro, futuro viaggio.
Possono vederli anche gli utenti di Internet tramite il sito
http://mars500main.appspot.com.
L'intervista de La Stampa a Diego Urbina del 23/03/2010
Il candidato italo-colombiano: mi porto un pc carico di musica e film
Diego Urbina è nato a Bogotà 26 anni fa, da padre colombiano e madre italiana: nel 2002 è arrivato a Torino, dove (simulazioni e training permettendo) da allora vive. Al Politecnico si è laureato in Ingegneria Elettronica, poi è arrivato un master in Studi Spaziali a Strasburgo. Parla italiano con un pochino di accento, il suo inglese è impeccabile; sa anche il francese e lo spagnolo e sta imparando il russo.
Diego, perché vorrebbe partecipare a «Mars 500?»
«Beh, è qualche anno che lavoro ad esperimenti nello spazio, e questo è il massimo degli esperimenti che si possono fare da Terra. E poi voglio fare la mia parte: quando arriveremo su Marte, mi piacerebbe poter dire che io ho dato il mio contributo».
Perché è importante andare su Marte?
«Perché l'esplorare è nella natura umana e dobbiamo cercare un'altra frontiera. E poi ci sono anche ragioni di sopravvivenza della civiltà umana: se ci fosse un problema per il nostro pianeta, per la Terra. Avendo una base su Marte sarebbe tutto diverso».
Che cosa si porterà a «bordo», se partirà?
«Il mio pc carico di musica, video, film, e tanti romanzi».
Qual è stato il momento più difficile nel training?
«L'esercitazione di sopravvivenza nei boschi, in Russia. Non c'è stato rischio vero, ma il comandante ha simulato di essersi rotto la gamba. Abbiamo dovuto trascinarlo con un metro di neve per un km. Durissima, e faceva meno 5».
E l'esperienza più bella?
«Indossare la tuta spaziale per simulare la discesa sul suolo di Marte. Sono tute vere: all'inizio non si riesce a respirare ed è difficile muoversi, ma poi sei così emozionato che non ci fai più caso. E' stato eccitante».
E che premio si aspetti per tutti i suoi sacrifici?
«La ricompensa è avere fatto un'esperienza simile. Vorrei lavorare in aziende del settore spaziale, certamente. Ma intanto il premio c'è già: impariamo tante cose durante il training, facciamo tanta scienza, e abbiamo la possibilità di guardare da vicino come funziona il programma spaziale russo. Certo non lo facciamo per i soldi: sicuramente non diventiamo ricchi con quello che guadagniamo qui».
La fidanzata come l'ha presa?
«Non c'è la fidanzata, in questo momento, per fortuna».
Però potrebbe stringere con i colleghi russi una forte amicizia, no?
«Magari un'amicizia non tanto stretta» (e ride di cuore).
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