domenica, maggio 28, 2023

Trentino. Caccia all'orso (alcune pagine di Camillo Boito)

 


Dalla novella "Vade retro, Satana" di Camillo Boito 
(Roma, 1836 - Milano, 1914), 
contenuta nella raccolta Senso. Nuove storielle vane (1883).


 Il caso dunque era stato questo: i due ragazzi, nel principio della passata primavera, andavano a raccogliere sul monte della Malga, quello che manda la più lunga ombra nella Val della Castra, le radici di una certa erba medicinale. È uno dei piccoli guadagni dei montanari, i quali per un grosso peso di arnica, di genziana, di aconito, di lichene, o che so io, racimolati sulle roccie, alla cima dei dirupi, col rischio di rompersi il cranio nella voragine, pigliano qualche soldo. La neve al basso si andava squagliando, ma i due fanciulli, raspandola via via, senza pensare ad altro, salivano sempre più in un luogo che da otto mesi non vedeva anima nata. All'improvviso, sotto ad un pino, che il vento aveva gettato a terra e che su quel lenzuolo candido con il suo tronco ed i suoi rami secchi pareva uno scheletro, odono un fruscìo. Tendono le orecchie; il fruscìo si rinnova; s'avvicinano, ed ecco che sbuca una bestia bruna, simile ad un cane non grande. La bestia scappa e va a nascondersi di nuovo in una macchia di arbusti; ed i fanciulli dietro. Avevano due bastoni, e si mettono a picchiare con tutta la forza di cui erano capaci, l'uno di qua, l'altro di là della macchia di arbusti, la quale, sebbene priva di foglie, era folta. Volevano acchiappare il cane. La bestia, in fatti, spaurita, irritata, esce fuori, ma, invece di fuggire, avventandosi alle braccia di uno dei fanciulli, le addenta e ne fa uscire il sangue, che arrossa la neve; ma il fanciullo, niente paura, quanto più si sente mordere tanto più tiene saldo. Ed ecco l'altro che in buon punto dà con la mazza un forte colpo sulla testa dell'animale, ed un secondo colpo, e l'accoppa. Il ferito, più allegro che mai, tiene per un poco le braccia nella neve, poi, con il compagno, scende giù a sbalzi portando la sua preda. Erano incerti se fosse un cane o una volpe. Ma, prima di entrare nel villaggio, incontrano un vecchio di ottant'anni, alto, di corpo asciutto, dritto ancora come un fuso, svelto ancora come un cavriolo, che andava a passeggiare con la sua carabina ad armacollo. La fama di codesto vecchio esce dalla Val della Castra: Trento stessa lo conosce. Nella sua vita ha ucciso venti orsi; l'ultimo, dopo sbagliato il colpo del fucile, l'uccise abbracciandolo, e l'uomo cacciava all'orso il coltello nel ventre, e poi, sempre in un amplesso, arrotolarono un pezzo sulla china del monte, finché l'orso morì, e l'uomo di ottant'anni s'alzò dritto e placido. Ora quel vecchio chiamò i fanciulli, che gli passavano innanzi, e disse: — Figliuoli, dove avete pescato questa bestiola? — I ragazzi risposero: — L'abbiamo uccisa noi; ma è una volpe od un cane? 
— È un'orsacchiotta, fortunati figliuoli: fortunati che non avete trovato la sua madre, e fortunati che vi beccate trentasette fiorini belli d'argento. Fate l'istanza al Capitano —. Dette queste parole ripigliò il cammino, guardando i ghiacciai sul cucuzzolo delle montagne. 
Menico mostrò all'ombrellaio, tra la folla, un montanaro che soverchiava gli altri di quasi tutto il capo, e che guardava con serietà i due piccoli trionfatori: era il vecchio degli orsi. 
Per farla breve, i ragazzi avevano potuto dopo qualche mese riscuotere i trentasette fiorini, che il Governo dà quale premio per l'uccisione di un'orsa; e la festa era fatta a commemorazione e a rallegramento del caso. Bisogna aggiungere, per amore di verità, che era stata anche pensata da qualche cervello ingegnoso per avere una nuova scusa di ballar con la banda tutta notte nell'osteria e di scialacquare in istravizii e bordelli; e, perché il curato lo sapeva bene, non aveva voluto ingerirsi né con la sua chiesa, né con la sua persona in così fatta commedia. Dall'altro canto la caccia dell'orso aveva lasciato nell'animo del prete un rimorso non piccolo. S'era imbattuto un inverno anch'egli fra le nevi in un orsacchino da poppa; aveva pigliato l'orsacchino e, picchiandolo un poco, l'aveva fatto guaire, perché l'orsa, che non poteva essere lontana, lo udisse. Venne in fatti, e precipitò furibonda, mentre il prete mirava attento e colpiva giusto. L'orsa, ferita a morte, si trascinò accanto al suo piccino, che continuava a guaire, e lo leccava in atto d'infinito amore. Il prete tornò a casa pensieroso, lasciando nel bosco la madre morta e l'orsacchino libero. La sera scartabellò i volumi della sua piccola libreria per conoscere se l'inganno è innocente quando si volga contro le bestie feroci; ma non gli riescì di raccapezzar nulla che facesse al suo caso: solo nel secondo volume del Gury, Compendium Theologiae moralis, trovò che al sacerdote è lecita la caccia non clamorosa ‘cum sclopeto et uno cane’. Non trovò altro; ma non poté mai dimenticare la generosa, e sviscerata passione di quella madre morente, e, ripensandovi, sentiva nel cuore uno stringimento. 
Ripeté ancora al dottore: — Andiamo — ed uscirono, allontanandosi dal frastuono del villaggio in festa.


Nessun commento: