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venerdì, gennaio 03, 2020

Scriviamo l'anno MMXX. Ma quando cominciò questo schifo?



Siamo ancora vivi, a Terzo Millennio abbondantemente iniziato. E siamo addirittura nel MMXX!

Eccoci qua. Ancora vivi: chi a casa dei propri, infelice anche se vezzeggiato o comunque con un letto e due pasti al giorno a disposizione; e chi dislocato lontano, impegnato a conquistarsi giorno per giorno ciò che un essere umano di regola dovrebbe avere gratis, e cioè un tetto sulla testa e qualcosa da mettere sotto i denti.


Il mondo è un cimitero. Eterno novembre… 

Ci salvano solo l’Amore… e l’Arte.



Una mia “vecchia” opera: Villa Sunshine
“The future is unwritten” sosteneva Joe Strummer: “Il futuro non è stato ancora scritto”… Eppure gli Anni Ottanta – il decennio di Ronald Reagan – sono stati una sorta di pietra angolare per quello che è il nostro presente. È come se qualcuno, o un gruppo di persone, avesse allora deciso di “spezzare le gambe” ai movimenti libertari, alla coscienza di classe, e allo Stato sociale, seminando panico, terrore e inaugurando – istituzionalizzandolo! – il concetto di “vita precaria”. 

Sono del parere che la tragedia dell’11 Settembre 2001 (l’attacco alle Twin Towers, nel cuore di New York) affondi le sue radici negli Anni Ottanta.
Un decennio invero malaugurato: dopo almeno trent’anni di creatività ad alti livelli (e perciò una creatività spesso “sovversiva”), ecco sopraggiungere il declino della musica, della letteratura, del cinema.
Anche per quanto riguarda la moda trattasi di un periodo a dir poco strano (!)…
                        1987: A group of ‘goths’ in Trafalgar Square, London. (Photo by Keystone/Getty Images)
   Il romanzo Villa Sunshine  (su Amazon per Kindle) ha un’ambientazione rigorosamente italiana, e più precisamente nord-italiana: si svolge infatti tra il Lago di Como e Milano, e a raccontare è Hermann Schmidt.
   Ermanno, come lo chiamano gli amici, lavora in un istituto di ricerca genetica. Una sera, mentre fa la vivisezione di alcune cavie, viene sopraffatto dalla stanchezza e la mente gli gioca uno strano scherzo: nell’atmosfera tetra del laboratorio, egli si ritrova a rievocare il fantasma di Mara, la sua ragazza di una volta, “perduta” a un capriccio giovanile di lei o al carisma indecifrabile di un tale letteralmente piovuto dal cielo e che risponde al nome di Venceslao Pilleschi.
   All’apoteosi del suo solipsismo, il dottore si augura fortemente di rivedere l’antica fiamma, che nel frattempo dev’essere una donna matura. Non solo: Hermann auspica persino di rincontrare l’individuo che gliel’ha soffiata… Perché quel tale, quel Vence, era anche suo amico, e l’amicizia ha un ruolo fondamentale nella sua vita (così come è fondamentale per tutti i personaggi che conosceremo in seguito).
   Ermanno Schmidt nutre dunque un nostalgico desiderio; ma la sua è anche vera e propria precognizione. Per quanto lo riguarda, lui dà per scontato che rivedrà presto entrambi (Mara e Venceslao), che li ritroverà… Semplicemente perché loro gli stanno mandando segnali telepatici, comunicandogli che vogliono farsi ritrovare.
   A cavallo delle memorie di Hermann o Ermanno Schmidt, ci vediamo ricatapultati a diversi anni prima: più precisamente, alla data dell’incontro della coppia Hermann-Mara con il misterioso Vence(slao) Pilleschi. L’atmosfera è quasi onirica; come nel ricordo di una mente stanca e confusa (quale in effetti è lo spirito del ricercatore genetico). L’incontro (quasi scontro) si svolge in circostanze surreali, ed è arricchito da elementi e fenomeni improbabili, simboleggianti i segni di una stravolgente svolta (geofisica, più che sociale) della Terra.
                              ***
   “Mi chiamo Venceslao Pilleschi”, si presenta lo sconosciuto – l’alieno – a lui e a Mara.
   Fin da subito, Venceslao/Vence si rivela essere un bambinone, completamente inadatto alla vita degli uomini; o, almeno, alla vita come essa è concepita nel paesino di provincia in cui vive la coppietta, che lo ha “adottato”. Ben presto, il biondo, irrequieto Vence si dice annoiato e decide di trasferirsi a Milano, dove – sorprendentemente – riesce a riscuotere successo in vari campi, imparando ad adattarsi in tanti ruoli; la sua specialità è di cambiare a piacimento maschere e costumi, come un attore mestierante. Ma anche nella metropoli la vita è dura, e Vence (che tra l’altro è mancino e inadeguato a svolgere la maggior parte dei lavori manuali) si vedrà costretto ad ammettere la debacle personale, per tornare infine al piccolo paese – presso i suoi tutori -, dove poter leccare le proprie ferite in santa pace. E lì, nella sperduta provincia dall’aura vagamente celtica, troverà consolazione nell’abbraccio della benevolente Mara…
   La ragazza è talmente innamorata di lui da abbandonare l’esterrefatto Hermann e sparire insieme all'”angelo biondo” risanato. Con il suo nuovo compagno, si inoltrerà nei meandri della grande città, mostruoso macchinario costruito apposta per inghiottire tante esistenze.
   Da questo punto in poi, il romanzo diventa più realistico, più concreto. I contorni non sono più sfumati, e gli elementi architettonici (in Villa Sunshine l’architettura occupa una posizione predominante) sono costituiti da oggetti ben tangibili, da spazi e corpi riconoscibili. Siamo nell’oggi: 1982, 1983. Mara, ormai una donna non più giovanissima, sta di continuo in attesa che qualcuno le riporti indietro il “suo uomo”: Vence. In tutti questi anni, Vence è rimasto infatti – almeno in spirito – il bambinone di una volta, e, irresponsabile com’è, latita: anche perché schiavo delle droghe sintetiche (dunque, continuamente “in ruota”).
   Attorno a Villa Sunshine (la casa in cui la coppia Mara-Vence si era illusa di poter fondare un nido d’amore) ruotano diversi personaggi, tutta gente che va verso la quarantina o l’ha già superata: lo sgangherato El Cato (un musicista rock dall’aspetto spagnoleggiante), un disastrato – e disonesto, bisogna aggiungere – uomo politico del Sud Italia, la sorella di Mara (un tempo reginetta di bellezza, oggi divenuta un’insopportabile matrona) e il marito di costei, che ha la passione dell’architettura. Proprio dall’architetto wannabé Mara deve sorbirsi valanghe di consigli sui cambiamenti che si potrebbero effettuare per migliorare esteticamente la villa… Ma lei è distratta, lei è interessata soltanto a un celere – quanto improbabile – ritorno del compagno. Si accorge di invecchiare, sente di star sciupando la propria vita, e, a più riprese (a volte con tono lievemente isterico), esorta i frequentatori della sua dimora a riportargli indietro il suo “uomo-bambino”…
   Per caso (o destino) sarà invece Hermann Schmidt, l’infelice dottorino di una volta, votatosi intanto al celibato, a “ripescare” Venceslao dai marciapiedi milanesi e a ricondurlo da Mara. Hermann Schmidt si vedrà pure messo nella situazione di dover indagare seriamente sulla vera provenienza di questo “idiota bello”, in quanto la ragione gli suggerisce che Vence non può essere né un Messo Celeste, né tantomeno un… marziano sperdutosi nel corso di una missione spaziale.
   Il romanzo sfuma in un’atmosfera di cupa malinconia, con la scomparsa definitiva di un umano-troppo-umano Vence(slao) Pilleschi e con la sempre più decrepita Villa Sunshine piena di persone (“amici” di Vence, ma anche amici l’un l’altro) che non fanno che vegetare sognando dei bei tempi andati. “Bei” perché vissuti all’insegna di una pseudomilitanza politica o quantomeno ideologica sotto la guida di un Venceslao Pilleschi allora brillante. Il sospetto che si insinua nel lettore, in queste ultime pagine del romanzo, è che Villa Sunshine sia in realtà una casa di riposo per esistenze derelitte, e che Mara sia una sorta di infermiera che deve prendersi cura di loro.
                                               ***
   Attraverso immagini metaforiche trasposte senza alcuna retorica, il romanzo vuole essere l’anamorfosi di un’Italia che riesce a mantenere la sua bellezza, la sua unicità, nonostante ogni turpitudine etica e sociale. È anche un romanzo “d’arte”, nel senso che, oltre che di architettura, vi si parla (attraverso le bocche dei vari personaggi) di musica, di pittura, e perfino di misteri archeologici.



   eBook

       



sabato, ottobre 04, 2008

Addio al Professor Parmaliana

Docente suicida, migliaia ai funerali
La figlia: "Le persone oneste si ricorderanno sempre di te"

Troppo piccola la chiesa dei Benedettini di Terme Vigliatore (ME) per accogliere le migliaia di persone che hanno reso l'estremo saluto ad Adolfo Parmaliana, il docente universitario che si è tolto la vita due giorni fa.


Il 50enne professore, docente di Chimica all'Università di Messina con un passato in PCI e DS, ha spiegato in una lettera i motivi del suo gesto, denunciando l'esistenza di una "cupola giudiziaria" che avrebbe messo a tacere le numerose denunce da lui fatte su mafia, sui rapporti degli amministratori locali con la massoneria e sul malaffare dei politici della provincia.


Sarà la Procura di Patti a dover chiarire le ragioni del suicidio. La lettera che Parmaliana ha scritto prima di lanciarsi dal viadotto dell’autostrada Messina-Palermo, e indirizzata al fratello, è stata acquisita dai magistrati che indagano su questa vicenda che ha scosso l’opinione pubblica messinese.


Secondo indiscrezioni, nel suo messaggio d'addio Parmaliana rivela un complotto che sarebbe stato ordito contro di lui e culminato con un recente rinvio a giudizio da parte della Procura di Barcellona Pozzo di Gotto; l’accusa: diffamazione.


A seguirlo legalmente fino all'ultimo è stato l’avvocato Fabio Repici, il quale non usa mezzi termini: “Il professor Parmaliana si è sentito tradito dalla giustizia. Ha patito molto quel rinvio a giudizio, proprio lui che per una vita si è battuto contro il malaffare. E purtroppo in passato tante sue denunce contro amministratori vicini alle cosche mafiose sono passate inosservate”. Questo rinvio a giudizio per il docente ha rappresentato una punizione per le tante battaglie di legalità compiute negli ultimi anni anche contro ambienti della magistratura. Parmaliana era rimasto incredulo, stupito, deluso. Così come incredulo, stupito, deluso si sentiva nei confronti delle forze progressiste, più semplicemente del centrosinistra: da tempo ne denunciava lo scarso impegno sul territorio e sul fronte antimafia.


Un'amarezza politica, sociale, umana che sarebbe diventata così soffocante da spingerlo, l'altroieri mattina, a raggiungere con la sua BMW 320 il viadotto che sorge all'altezza di Patti, sull'autostrada che collega Palermo e Messina, per scegliere poi di gettarsi di sotto.


Adolfo Parmaliana era stato tra coloro che avevano propugnato lo scioglimento del Comune di Terme Vigliatore e, dopo che ciò era accaduto, aveva scoperto che i nuovi amministratori non erano molto migliori, npn erano molto più puliti dei precedenti. Invece di svolgere indagini approfondite sulle sue denunce, la Procura di Barcellona Pozzo del Gotto ha fatto finire lui sul banco degli imputati. Si tratta dunque di un'ennesima vittima di Cosa Nostra, e la sua fine non può che ricordare quella di Rita Atria.


Secondo l’avvocato Repici, la sfiducia nei giudici di Barcellona sarebbe stata tanta da indurre il docente a suicidarsi a Patti, in modo che le indagini finissero per competenza alla Procura di Patti anziché a quella barcellonese.