giovedì, luglio 24, 2008

L'erede della Fallaci rivela retroscena imbarazzanti

Alla vigilia della pubblicazione di Un cappello pieno di ciliegie, romanzo postumo (e incompiuto) di Oriana Fallaci, il nipote ed erede unico della controversa scrittrice, il 42enne Edoardo Perazzi, afferma: "Era una schiavista... una casinista... una belva molto esigente. E molto tirchia".


Cade dunque l'ultimo velo che finora aveva coperto il volto più intimo e profondo della giornalista-scrittrice che, da convinta antiamericanista e terzomondista, si trasformò in amica degli U.S.A. e antiislamista sfegatata.



L'intervista di Perazzi è certamente dettata dalla sincerità d'animo di quest'uomo; non si capisce altrimenti che razza di manovra da marketing rappresenterebbero le sue dichiarazioni, proprio mentre sta per uscire Un cappello pieno di ciliegie, delle cui vendite lui avrà una fetta sostanziosa.


L'erede della Fallaci dice di conoscere a memoria ogni angolo della casa newyorkese della zia.  “Per forza: me l’ha fatta lavare e lustrare un sacco di volte! Era normale, tu andavi lì, lei era sempre da sola e ti schiavizzava. Una volta, ero al primo anno di università a Chicago, mi disse: ‘Poverino, che fai lì tutto solo? Vieni a trovarmi, ti fai una bella mangiata qui a New York’. Io ci cascai come un tordo, anche se ero già insospettito del fatto che invece del biglietto dell’aereo mi avesse mandato quello del pullman Greyhound. Insomma, dopo un giorno e mezzo di viaggio busso alla sua porta sporco, distrutto, lei mi mette una fretta dannata per farmi lavare: aveva come ospiti Sean Connery e la moglie... Per un giorno ho fatto da cameriere per i suoi ospiti e poi sono stato rispedito all’università, ma solo dopo avere lavato tutti i piatti”.


E: "Si comprava o ti faceva comprare decine di volte lo stesso oggetto perché lo perdeva. E intanto non buttava via nemmeno la spazzatura, quindi i poveracci ammessi a casa sua venivano sfruttati come manovalanza per buttare centinaia di bottiglie di olio vuote, qualsiasi cosa."


"[Nell'armadio] ho trovato abiti da sera di Pucci, di Valentino, però non li metteva mai, la sua idea di abito da sera erano queste terrificanti giacche indiane di paillettes che comprava nei grandi magazzini.”


“È difficile raccontare l’Oriana”, conclude Perazzi. “Vorrei che si capisse veramente che tipo di persona era. Certo una belva molto esigente, il termine inglese demanding è perfetto: dovevi dedicarle molto, e lei complicava qualsiasi cosa. Quello che forse non si sa è che aveva un bel senso dell’umorismo, era divertente. La tecnica giusta era risponderle per le rime o tenerle testa senza mancarle di rispetto: in quel caso si infuriava senza possibilità di scampo. Ma, se la frequentavi, avevi davvero l’impressione di una mente superiore”.


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Sì? Una mente superiore? In realtà il personaggio della Fallaci negli ultimi dieci-quindici anni di vita era supponente e terrificante, i suoi pamphlets irritanti e razzisti; spesso si trattava di meri riadattamenti di "fole" onnipresenti nella lunga storia di convivenza/non-convivenza del popolo italiano con mori, giudei e altre etnìe. Da eccellente reporter durante la guerra in Vietnam, si era metamorfizzata in americanista sfegatata, condannando i presunti nemici degli U.S.A. sulla base di argomentazioni surrettizie e capziose. Il nostro sospetto è che tale atteggiamento fosse nato sulla base di un'empatia con l'idioma anglosassone - e probabilmente anche con la "sua" Manhattan, la Manhattan ricca e armoniosa di South Central Park. Per un quiproquo irrazionale e anti-illuminista, l'empatia si è pietrificata in cieca fede (= puro integralismo) negli Stati Uniti d'America e nell'Occidente in generale. Insomma: una "cattiva maestra", come Giancarlo Bosetti ha intitolato un suo libro dedicato all'"orianismo". 



              Gli alterchi familiari per l'eredità


Scrive Caterina Soffici ne Il Giornale: "Nel testamento c’è tutto il carattere di Oriana Fallaci. Un terzo caratteraccio, un terzo toscanità, un terzo testardaggine: aveva litigato con la sorella [Paola], era da tempo che non si parlavano. Era una donna umorale e ha deciso di lasciare tutto a Edoardo. Secondo la legge americana ci vorranno due anni per capire a chi va cosa."


In un articolo del Messaggero, alla domanda se parte del ricavato del libro andrà in beneficienza, il nipote della Fallaci si è messo a ridere, dicendo che lei non avrebbe voluto. E che, d’altronde, tolte le tasse da pagare in America, dell’eredità della zia non è rimasto quasi nulla. Sarà. Certo è che per accaparrarsi i suoi beni  (oltre alla casa di New York,  c'è quella di Greve in Chianti e ovviamente gli ingenti diritti d’autore) il parentume si è fatto la guerra a colpi di carta bollata. Persino su Un cappello pieno di ciliegie dovrà decidere un tribunale. Il Perazzi possiede già i diritti di copyright di tutte le opere della zia, ma la sorella della scrittrice, Paola, grande esclusa testamentaria, annuncia battaglia e non usa giri di parole. "Non ne faccio questione di soldi" dice. "E non mi vengano a rompere i coglioni, sennò mi ricordo di essere una Fallaci [e dunque persona con un certo caratterino, N.d.R.]. Non esiste un’edizione ultima di quel libro come dice Edoardo. Ci sono due copie: una l’aveva Oriana e una io. E lei non voleva che fosse pubblicato. Ho delle lettere di Oriana dove scrive: 'Piuttosto che vederlo pubblicato lo brucio'. E infatti in tutti questi anni vari editori le avevano chiesto di mandarlo in stampa e lei si era sempre rifiutata perché il libro è incompiuto. Rizzoli metterà all’opera i suoi potenti avvocati, ma io ho le lettere di Oriana. Al momento opportuno le tiro fuori. E sa come scriveva quando si arrabbiava! Lei era molto, molto, molto, molto arrabbiata con la Rizzoli".


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