Gratis per voi alcuni stralci del libro. Iniziamo da questo, che parla di un fratellastro di Adolf Hitler e dello scandalo della "Contessina Mizzi", che a suo tempo sconvolse Vienna e l'Austria intera.
IL FRATELLASTRO
Era nato a Braunau: dunque, sulla sua provenienza austriaca non vi sono dubbi di sorta. Nella casetta a Hafeld, dove trascorse parte dell'infanzia, abita oggi una famigliola
di emigrati turchi: una stupenda ironia del caso, se pensiamo che giusto gli ospiti anatolici, nel mondo alemanno, sono fatti oggetto di intolleranza e discriminazione. Crebbe a Monaco e a Berlino in un'epoca in cui la
modernizzazione dell'Europa incedeva spedita. Sia nella capitale bavarese sia in quella prussiana, si aggirava con espressione già allora decisamente circospetta, ombra tra le ombre, strisciando sui muri pieni di
affissi. Reclame e manifesti mostravano figure femminili che pubblicizzavano i prodotti più eterogenei: dalle sigarette ai vibromassaggiatori, dai liquori ai mobili. Grugniva, Adolf/Wolf, per il disappunto, e i suoi
occhi grigi si rischiaravano solo nel puntarsi sulla scia di una delle automobili costruite da Daimler e che portava l'appellativo "Mercedes".
Poi tornava a inghiottire bile, alitando cattivo sul profilo di qualche graziosa passante che però non si curava di lui. Con le donne non aveva fortuna. Le contadine gli risultavano
troppo superficiali e santocchie, mentre quelle di città erano l'estremo opposto: sfrontate e... dispendiose. La loro più grande aspirazione? Riversare denaro nelle tasche dei creatori di pillole per il seno,
di venditori di lozioni di bellezza e di spacciatori di apparecchi per la stimolazione corporale. In quegli anni avevano successo le "Pilules Orientales", che promettevano un petto turgido e giovanile, nonché
il "vibratore Kolonis", sbraitato dalla pubblicità quale "amico di un seno bello". Il giovane s'adontava, mugugnava e, indossato un costume a strisce orizzontali bianche e nere, al bagno pubblico
stupiva: finanche lì si vedevano sempre più ragazze, giovani e meno giovani.
Si schierava dalla parte dei benpensanti, di chi si scandalizzava; tuttavia, spesso e volentieri si recava d'estate sulla riva di fiumi e laghi o su qualche spiaggia del Mar
Baltico: la voglia a fior di pelle e i denti digrignanti.
In determinati locali notturni si esibivano famose danzatrici, come Rita Sacchetto o le cinque Barrison Sisters, che mostravano le cosce nude... e qualcosina di più. L'ancora
adolescente Wolf si lustrava gli occhi per, più tardi, sognare di un'ideale seduttrice nella solitudine della sua cameretta. Lei ha il volto innocente di una fanciulla e un fisico prosperoso coperto e non coperto dal corsetto rosso, fini calze di seta bianca e coulottes merlettate. Oh, il capriccioso frou-frou con i laccettini da allentare con un dito solo!... Lei si muove voluttuosamente ai piedi del misero giaciglio del giovanotto. Alta, magnifica, imponente, balla per lui sulle sue scarpette laccate, spesso facendogli male apposta coi tacchi...
La civilizzazione si ampliava, il termine "progresso" assumeva un significato magico, fatale. Lampade a gas, bicicletta e telefono divennero di uso pubblico. Si sarebbe
detto che il Vecchio Continente stesse conoscendo gli splendori di un nuovo Rinascimento (se non nell'arte, almeno nello spirito d'innovazione). Ma come ignorare il grigiore della provincia tedesca prima del conflitto
del Quindici-Diciotto, i lati tenebrosi, medievaleggianti, la "messa in riga" evocata dall'imperialismo prussiano? La sifilide – altrimenti denominata, per delicatezza, "epidemia del piacere"
– mieteva tante vittime. Nella Germania del 1909 (Hitler aveva vent'anni) si contavano più o meno 180.000 bambini illegittimi. Ostetriche con e senza qualificazione lavoravano a pieno ritmo per procurare aborti.
Wolf/Hitler trotterellava cauto e pronto a mordere tra la lascivia del carnevale senza fine, le orecchie appiattite contro la testa e la coda in mezzo alle gambe, malaticcio, scontento per ciò che i suoi sensi percepivano
e, simultaneamente, sbavante di desiderio.
Di statura non alta e l'ossatura tutt'altro che robusta, sfigurava tra capifamiglia dai baffi a manubrio, teutonici sputasentenze e virili brontoloni. Però, come gran
parte di loro, dava voce alla propria indignazione ogni qual volta uno scandalo scuoteva la facciata ingannevolmente integra, invulnerabile, della vita sociale. (La principessa ereditaria Luisa di Sassonia aveva piantato il
marito per fuggirsene con Enrico Toselli, precettore dei suoi cinque pargoli di sangue blu.)
Anche se l'Austria amava prendersi gioco della Prussia e la Prussia dell'Austria, non bisogna dimenticare che queste due potenze in realtà si temevano e si rispettavano
reciprocamente e che, nonostante l'idea di un unico Impero Germanico apparisse quanto mai illusoria e impraticabile, i due paesi non avevano soltanto la lingua come comune denominatore (a prescindere dalle variazioni dialettali).
A diciotto anni Hitler era tornato in Austria, a Vienna. Nostalgia "di casa"? Sviscerato attaccamento alla patria? Probabilmente solo una scelta dettata dalle vicende della
vita. Nel 1912, ventitreenne, per sfuggire alla leva militare dell'esercito austriaco si nascose per cinque mesi nell'alloggio del fratellastro Alois, cameriere in quel di Liverpool.
Liverpool era una città industriale in forte espansione. Era il più importante porto europeo per i collegamenti con gli U.S.A. e divenne uno degli obiettivi principali
per i flussi migratori dall'Europa continentale. Anche il tragico viaggio inaugurale del Titanic doveva in origine partire dal porto di Liverpool (ma in un secondo momento fu preferita Southampton).
A Liverpool Hitler non si trovò a suo agio. Non conosceva l'inglese e non riusciva a digerire gli usi e i costumi dei britannici. Pioveva spesso. E, sotto la pioggia,
le passeggiatrici perdevano la loro arroganza, trasformandosi in patetiche figure dalla smorfia pastricciata.
Alois sopportava a malapena il fratellastro, ma lo sopportava. A volte parlò addirittura della prerogativa di trovargli una sistemazione nel mondo della gastronomia, sebbene
il giovanotto non desse l'impressione di volersi aggobbire di lavoro. La moglie di Alois, Brigid Elizabeth Dowling, non celava affatto l'antipatia che nutriva per quell'ometto gramo e grigio che sembrava impersonare
lo spirito più reazionario del Continente.
Brigid Elizabeth («Chiamami Lizzy») era una donna sicura di sé, conscia dei propri diritti e forte bevitrice di tè. Era nativa di Dublino e, pur se non
bellissima, emanava uno charme matronale. Introdusse Wolf/Adolf all'astrologia (e forse anche all'occulta philosophia) e lo convinse a radersi la parte esterna dei baffi. Non è da escludere che il giovane esiliato si fosse innamorato della cognata e soffrisse non poco della
freddezza e dell'aria di superiorità da lei palesate nei suoi confronti. Brigid era la dominatrice di quell'appartamentino in affitto sito sulla cintura del cafarnao di ciminiere (un paesaggio à la William
Blake). Quando Alois si trovava al lavoro e Adolf, in opposizione ai propri principi etici, si intratteneva a casa da solo con la donna, lei non si sforzava nemmeno per incoraggiare la conversazione e, anzi, spesso usava un
piumino o addirittura il manico di una scopa per costringerlo a cambiare di posizione e trasferirsi dal salottino in cucina, dalla cucina all'atrio.
«Hai avuto coraggio a sposare una straniera» Adolf disse una volta ad Alois.
Il fratellastro lo guardò stralunato. Non gli era sfuggito, inevitabilmente, il sottotono allusivo e ironico contenuto in quelle parole. «Mah!» ribatté,
scuotendo la zucca. «Qui gli stranieri siamo noi!»
Wolf/Adolf grugnì e, rifiutando la ale che Alois gli porgeva – tanto dissimile dalla birra tedesca... –, seguì con gli occhi le circonvoluzioni che "Lizzy" compiva davanti a loro. E il suo sguardo si fece più acuto
quando lei, sedutasi accanto al marito, si accese una sigaretta, aspirando il fumo con voluttà e ponendo una mano su una coscia del coniuge. Tra i cerchi grigioblu di fumo, la donna sorrideva all'ospite in segno
di sfida. Ogni cosa, nella faccia mediocre ma orgogliosa della femmina britannica, sembrava dire: «Questo è un paese libero».
Di notte, dal suo covaccio improvvisato sul pavimento della cucina, Adolf li sentiva fare all'amore. Il loro letto cigolava e scricchiolava impietosamente e la cognata gemeva
senza ritegno, lasciandosi andare perlopiù a una specie di rauco latrato, cosa che quando erano soli – ne era certo – lei non faceva mai.
Per il fratellastro non aveva mai nutrito un'ottima opinione e quella visita glielo fece disprezzare di più, rafforzandogli la convinzione che la famiglia, l'istituzione
familiare, non è che una prigione, spirituale e fisica. Amor fraterno... che cosa significa? Pazzia e mania suicida. "La nostra casa" non è che un miserrimo insieme di stanze, strette e brutte, dove
un uomo, delle donne e uno stuolo di bimbetti si agitano, fanno rumore, si sgridano e si picchiano reciprocamente. Umidità, oscurità, odori di tutti i generi. Una stalla di conigli, dove ogni emozione viene enfiata
fino allo spasimo e un nonnulla fa presto a mutarsi in tragedia. Fratelli, sorelle, zii e zie... nient'altro che una frotta di esseri perversi, sadistici.
"Siamo a metà fratelli. E allora? Non significa nulla. Se tu potessi, mi vedresti volentieri rotolare nel fango e implorarti aiuto solo per dimostrarmi quanto sei magnanimo,
quanto tieni a me, tendendomi una mano e facendomi vedere le mammelle scoperte di tua moglie."
Madri e padri, fratelli e sorelle. Ma anche mariti, spose, amanti. Povertà, infelicità. Tentazioni e penosi rimorsi. All'ultimo si rimane da soli, senza un tetto
sulla testa, senza una speranza e senza un affetto. "Fratello? Ma che vuol dire? Un salame, questo Alois" pensò. Figli di più madri e vittime dell'unico e solo padre. "Di ariano in lui non c'è mai stato tanto..." concluse.
Alla vigilia della partenza ebbe voglia di fare qualcosa di estremo, di inaudito. Per tale scopo, pagò una prostituta. Ma fu praticamente per nulla: lei aveva insistito che
usasse il preservativo e lui con una roba del genere non poteva amicarsi. Aveva inoltre dentro la testa le immagini della madre, Klara, e quella del padre, Alois Hitler, che la picchiava; e, dopo aver picchiato lei, picchiava
anche Adolf/Wolf, nonché Alois junior e tutti gli altri figli avuti con le varie mogli. E rivisse i funerali di mamma Klara, stroncata da un cancro al seno, e fu riconquistato dal dolore, un dolore straziante e mai
sopito.
Si fermò per un paio di giorni a Londra. Gli piacevano i piccioni di Trafalgar Square. Vagolò nel traffico che opprimeva Piccadilly. Nell'atmosfera dei più
orridi scorci vittoriani, si sentì quasi come a casa propria. Però, che prezzi!... E dappertutto regnava un caos indescrivibile. Il popolino rischiava di affogare negli escrementi e l'unica consolazione sembrava
essere l'alcool. Ma anche i ceti agiati mostravano una spiccata tendenza alla deboscia e all'anarchia. Non poche volte gli sembrò di cogliere improperi rivolti a Sua Maestà. Dunque, tutta una favola quel
che si diceva sull'amore degli insulani per il loro sovrano? È degli anglosassoni l'espressione "The King can do no wrong". Evidentemente George V li rendeva tutt'altro che contenti...
Per strada, anche in pieno giorno, non vedeva che Lizzies. Sorseggiavano il tannino e berciavano bercia'. Ma cos'altro c'era da aspettarsi? Proprio in Inghilterra il
movimento femminista andava a gonfie vele. Sylvia Pankhurst e le sue compagne avevano fatto un lavoro eccellente: iniziando meno di un decennio prima, erano riuscite a traforare la solida barriera del conservatorismo.
Un approccio con una passeggiatrice di Pimlico lo lasciò frustrato, debilitato. Fu oltremodo lieto quando il vapore lo portò lontano dalle bianche scogliere di Dover.
La "vescica francese", com'era chiamato il profilattico, era in voga anche in Germania, già dal principio del secolo. Il ritorno nella patria adottiva non gli
risollevò il morale: tutt’altro... Dovunque lui andasse, da settentrione al meridione, dalla Sassonia alla Svevia, Dalla Renania alla Baviera, si imbatteva sempre più spesso nei segni del tempo nuovo. La
condizione psichica generale si poteva riassumere con un unico vocabolo: isteria. La vita dura condotta dagli appartenenti al Quarto Stato, così come la falsa morale ereditata dai nuovi-vecchi strati altolocati (per
i quali la religiosità non era una scelta convinta, bensì la forma esteriore di un obbligo intrinseco al loro habitat sociale), facevano a pugni con le correnti innovatrici dell'epoca.
Spazzare via tutto...
Le sopracciglia gli scendevano fino al mento quando si imbatteva in barbe lunghe, lunghi cappottoni di astrakan, dialoghi in yiddish. La simbiosi apparentemente perfetta di cultura
europea e cultura ebraica (anche quella ancora strettamente legata al 'Chassid') aveva portato un numero sempre maggiore di Juden a occupare posizioni-chiave nella società e nelle istituzioni. Ma l'antisemitismo non smetteva di serpeggiare e tendeva anzi a non restare un fenomeno latente: ci
furono parecchi casi di emarginazione ed esclusioni. Un esempio: studenti del ginnasio dovevano sentirsi rimproverare, dai compagni e dai professori, di non essere ariani e dunque di non potere afferrare, nella loro profondità,
l'essenza e l'arte dei tedeschi. Nella Reichsglocke, giornale dell'era bismarckiana, si potevano leggere non poche frecciatine rivolte a chi faceva parte
della stirpe giudaica.
Logicamente non soltanto in Germania l'ebreo veniva deriso, maltrattato, preso a calci. In Russia, molti negozi esponevano sulla porta questa scritta "cristiana":
'Ingresso vietato a cani, polacchi ed ebrei'.
Dove il sostantivo "cani" non occupava il primo posto solo per caso.
Gli ebrei furono costretti al nomadismo, non erano certo nomadi per piacere o vocazione! Quelli stanziatisi nell’Europa centro-orientale sono chiamati
ashkenaziti e l’yiddish è la loro lingua.
Yiddish e tedesco si assomigliano non soltanto nel suono: hanno anche parecchie voci in comune. "Schneider", sarto, è una di esse. Eppure molti altri ebrei europei,
nel loro vagare alla ricerca di una qualche meta, scelsero di non fermarsi in Germania: anziché integrarsi in qualche comunità ashkenazita in terra tedesca, preferirono proseguire verso la Francia, verso l'Inghilterra,
o attraversarono l'Oceano, optando per il continente americano. Tra tutti i medioevi, quello germanico, blindato, dovette loro prospettarsi come il più spaventoso.
Malgrado ogni forma di boicottaggio nei loro confronti, in Germania non furono pochi i "Figli di Abramo" che poterono brillare: non soltanto nel sistema bancario e nel
gioco degli scacchi, ma anche come scienziati di spessore internazionale, celebrità della musica, abili uomini politici... Incoerentemente, i più rigidi critici li incolparono di essere all'origine dello
smarrimento dei valori in seno alla società tedesca.
Aggirandosi per le vie di Sodoma e Gomorra, Adolf Hitler stringeva gli occhi, come abbarbagliato. Le gonne diventavano più corte, femmine anche giovanissime usavano profumo
e cipria... A tutto spiano, lui imprecava contro le mode correnti. E nottetempo, durante le ore di un'insonnia già cronica, fantasticava di scivolare oltre il pendio della perdizione; di cadere tra le grinfie di
casalinghe affamate e sadiche. L'inspengibile fuoco della sua giovane età (ondate passionali che presto non avrebbe più conosciute) si consumava probabilmente sotto il manto di Onan. L'implacabile moralista
sognava in segreto di essere tra gli invitati di un novello conte Veith...
A Vienna, dal 1904 al 1908, il nobile Marcel Veith aveva dato in affitto la propria figlia; nel salone della propria magione. La ragazza, nota come "contessina Mizzi", aveva quattordici anni quando fu "imprestata" per la prima volta. Gli uomini, dopo aver brevemente
conferito con il conte, venivano condotti uno a uno al sofà dove Mizzi se ne stava semistraiata e lasciati soli con lei. Il presupposto dell’accordo era che potevano farle di tutto meno che depredarla della verginità.
La contessina, trasfiguratasi celermente da ingenua servetta in serva smaliziata, sapeva d’altronde difendersi benissimo. Nessuno dei clienti se ne andava deluso. Anzi: molti tornarono ancora e ancora.
Nei quasi cinque anni in cui il conte Veith condusse siffatta impresa, la cassa familiare registrò cospicue entrate. Visitatori a non finire. Presumibilmente a quegli uomini
era sempre mancato lo sfogo del proibito, era mancata la chance di esercitare variazioni fantasiose (tabù delle muliebri compagne). Ora potevano appagarsi delle gioie di cui avevano soltanto sentito dire o letto, andare
al di là dell'atto comune, situare la loro mascolinità, la loro potenza, in una dimensione nuova, scaricandosi (cos'altro è l'eccitazione libidinosa se non un ristagno di energia elettrica?)
su una creatura che, per gli anni che contava, poteva essere la loro figlioletta o persino la nipotina. La maggior parte di loro avrebbe volentieri coronato quella mezz'oretta presso la contessina Mizzi rubandole il frutto
più prezioso, imbrattandola così, ferendola al centro della sua acerba sensibilità. Quale goduria sarebbe stata! Ma vollero rispettare i patti. Erano uomini d'onore, infine. E Mizzi stessa, che era
accondiscendente in tutto, riguardo a quella sua speciale virtù mostrava un'inappuntabilità in vero meravigliosa per una puttanella di quell’età.
A sverginarla riuscì, nel 1906, un tassista del quale si era innamorata. Ma sia lei che il genitore tennero nascosto l'accaduto e persistettero a offrire agli altri clienti
le prestazioni routinarie; niente di più o di meno.
Quando scoppiò lo scandalo, Hitler/Wolf era un ragazzo e non sognava neppure di potersi un giorno forgiare del titolo di "Dottore". Il caso del conte Veith e di
sua figlia Mizzi fu una vera e propria bomba, le cui ripercussioni durarono per decenni: una faccenda a dir poco trivia che fece tremare Vienna tutta per il raccapriccio e le risate. Venne alla luce l'agenda della fanciulla,
che conteneva i nominativi e i recapiti di politici, principi, grandi proprietari terrieri e altre personalità, con le date delle loro visite, le prestazioni e le tariffe. Cittadini al di sopra di ogni sospetto sfogliavano
ogni mattina il giornale pieni di apprensione: subodoravano di vedervi stampato il proprio nome... I lettori comuni, apprendendo di volta in volta le novità su quella storia indecente, si battevano la fronte, alcuni
comunque (le "rispettabili personalità") rodendosi dall'invidia. La lista degli invischiati ricchi e famosi si allungava ogni giorno di più...
La contessina Mizzi divenne un personaggio proverbiale. Purtroppo per lei, la fama non le fu di alcun vantaggio: non reggendo alla vergogna, la "mezza vergine" mise fine
alla propria vita gettandosi nel Danubio.
Nessun commento:
Posta un commento