venerdì, gennaio 27, 2023

Collapsing World

È uscito il nuovo album

del Mirkojymimusicalproject

 




Dopo le prove con The Trys e da solista  (soprattutto con i primi veniva fuori la sua sensibilità per il rapporto uomo-natura e uomo-cosmo), Mirko Jymi si ripropone con la fusion e il jazz-rock, non fini a se stessi ma in grado di fornirci una narrazione visuale alquanto forte. Le piastre continentali cigolano pericolosamente e noi slittiamo verso un vortice di temperature impazzite, con flora e fauna che frullano e stridono tutt'intorno. 
Le atmosfere di questo nuovo prodotto musicale sono a tratti noise e post-rock: occorre attraversare strettoie oscure, in un pentagramma non raramente misantropico, prima di scorgere un po' di luce... sempre che anche questa fioca speranza non sia illusoria.

Con Collapsing World, che si può considerare un sequel di Abyssal DepthsMirko Jymi si conferma in grado di plasmare il sound della realtà. 

    "Global Warming"

Line-up:

Mirko Jymi - Keyboards Korg Kronos, Pa4x, Yamaha Genos, Modx7, Motif xf7, Fender Rodhes, Autoharp Prophet 5,Behringer Deepmind 12, Arp Odyssey, Electric Piano, Poly Moog, Ibanez Electric Guitars, Loops, Effects, Sequencers Computer Programmings 


Carlos Sanchez - Bass Guitar, stick, war guitar, Effects, keyboard

Fernando Dos Santos - Drums and Percussion, congas, Gong, tabla

    





   "Nature Wins Over Man"



È un doppio album, nato durante le improvvisazioni della band, tra il ripassare le scalette e i vari sound check in studio e live. Il trio di musicisti registra spesso in diretta anche per non allungare i tempi. Il vantaggio di improvvisare è che tale metodo porta a nuove idee; e così si affina inoltre l'armonia tra i componenti del gruppo.
Collapsing World è nato a questo modo. Il successivo step è stato quello di vagliare il materiale realizzato e dargli un ordine. Una volta ritenuto il tutto idoneo per la realizzazione di un album, occorreva ancora catalogarlo.


   "Atomic Radiation"

Mirko Jymi: "Io ho ascoltato una per una le musiche e queste nostre creazioni mi hanno portato direttamente a un contesto attuale. Ho 'visto' letteralmente quello che sta succedendo al nostro pianeta, sulla nostra Terra. Riscaldamento globale, cambiamenti climatici, alluvioni, terremoti, maremoti... Tutta l'azione deleteria dell'uomo. Ossia: la distruzione caotica del Pianeta Blu. Da qui è nato il titolo Collapsing World. Per me è un messaggio rivolto a tutti noi che siamo interessati alla salvaguardia del mondo, della natura."

Collapsing World è uscito in CD Digipack. Ci sarà anche la stampa in vinile. Seguirà il tour in molti Paesi, tra i quali: Brasile, Argentina, Uruguay, Messico, Cuba, Giappone, California. Europa. Nella scaletta dei concerti saranno inclusi i nuovi brani sia di Collapsing World che di Abyssal Depths (dunque, degli ultimi due lavori del 2022).







Mirko sta lavorando a ulteriori progetti con altri artisti. La collaborazione con musicisti brasiliani e internazionali di bossa nova e jazz-rock fusion porterà a un nuovo disco che vedrà la luce a fine anno (2023). C'è poi in cantiere un progetto insieme ad Alessandro Seravalle: un lavoro tra sperimentazione, ambient e jazz-rock.

   "Melting Glaciers"

"Inizierò a breve una collaborazione con Gianni Venturi, che ha partecipato all'album Collapsing World con una sua poesia introduttiva proprio all'inizio: 'Terra madre'".

Mirko ha inoltre iniziato un'importante cooperazione con Richard Sinclair in quel di Martina Franca, Puglia. Richard Sinclair non ha bisogno di presentazioni (vedi scena di Canterbury) e le sessions di registrazione sono già cominciate. Ci sarà dunque un nuovo album, un album a due. Questo è un progetto le cui basi sono nate... in videochiamata!


Clicca qui per ascoltare un frammento che farà parte del nuovo album con R. Sinclair

"Richard è un artista che conoscevo da tempo anche grazie ai miei viaggi in Inghilterra, soprattutto a Canterbury, dove ho suonato con vari altri nomi celebri - Keith Tippett e Allan Holdsworth per citarne appena un paio."

   "Desertification"

Per concludere, la novità maggiore, quella forse più sensazionale. Da fine anno, il Mirkojymimusicalproject diverrà un etichetta discografica!

L'idea che c'è dietro a questa iniziativa è non tanto la voglia di non farsi incatenare dalle case discografiche tradizionali, la voglia dunque di slegarsi dal mercato e dalle varie imposizioni, quanto più quella di formare una piattaforma libera e affidabile per appassionati seri. Ergo, Mirko Jymi lo fa non soltanto per sé, ma anche per altri musicisti. Possibilmente, per musicisti discograficamente inesperti, che abbiano voglia di debuttare dopo aver iniziato ad approcciarsi alla musica. Oppure non-debuttanti che desiderano volare più liberi. Si sa quanto è difficile sentirsi a proprio agio dentro uno studio di registrazione, soprattutto se non si è assistiti a dovere. Mirko Jymi vuol rendere loro possibile il sogno di un proprio album, mettendo a disposizione gli impianti e tutto quello che ha a che fare con la realizzazione di un prodotto musicale.

   "The Song of the Seasons"



Contatti e ordini:


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venerdì, gennaio 20, 2023

David Crosby aveva 81 anni. R.I.P.

 Lo ricordiamo negli Anni Sessanta con The Byrds e poi nel trio Crosby, Stills and Nash (che sarebbero divenuti un vero supergruppo con l'aggiunta di Neil Young). Nel 1967 ebbe una breve relazione con Joni Mitchell, ma lei lo lasciò e si mise con Graham Nash (l'inglese ex The Hollies e parte di Crosby, Stills & Nash). La rottura avvenne quando Joni scoprì che David la tradiva. Il trio vinse nella categoria "Best New Artist" ai Grammys del 1969, dopo l'uscita del loro album di debutto. E la loro partecipazione al Festival di Woodstock (con Young) rappresentò il loro secondo show dal vivo! 



(David Crosby R.I.P.) 


Nel 1971 uscì un album "solista" di Crosby, If I Could Only Remember My Name. Di fatto, con questo disco Crosby crea uno spartiacque tra l'era hippy e i nuovi tempi. Il sogno è finito, l'utopia è sepolta, sembra dire l'artista. 

È un album particolare, che Crosby realizzò in compagnia dei suoi colleghi-amici dell'epoca, qui indicati come "Planet Earth Rock'n' Roll Orchestra". Parliamo di Graham Nash (che, lo ricordiamo, in ambito pop aveva avuto diversi hits con The Hollies prima di emigrare in California), Neil Young (già allora grandissimo cantautore, canadese come Joni Mitchell, canadese come Leonard Cohen...), Jerry Garcia (dei Grateful Dead), Joni Mitchell (basterebbe una sua sola canzone, "The Circle Game", per definirne la grandezza), tre dei Jefferson Airplane (Jorma Kaukonen, Grace Slick, Paul Kantner), Phil Lesh (ancora Grateful Dead)... e altri! Tanti gli ingredienti dell'album, mescolati come intorno a un fuoco in riva al Pacifico, con Crosby a fare da psichedelico cerimoniere. Il coro di questi rappresentanti disillusi della "Love Generation" è unanime: questo è l'ultimo meeting, da domani... anzi: da stasera stessa, inizia la vita vera.


"Deja Vu"

La carriera di Crosby fu rallentata a causa dei problemi di droga fino a bloccarsi allo scoccare degli Anni '80. Sebbene Stills e Nash tentassero di supportarlo in studio, la sua partecipazione all'album Daylight Again (1982) fu pressoché nulla. La voce non lo soccorreva: troppe sostanze stupefacenti... Il punto più basso nel 1985: viene imprigionato per detenzione di droga. La condanna fu annullata in appello un anno dopo. 


Dopo un lungo periodo di disintossicazione, torna a registrare con Stills, Nash e Young per l'album American Dream. Neil Young, che in passato aveva litigato con i tre, aveva promesso esplicitamente a Crosby che si sarebbe riunito a loro se lui fosse riuscito a tornare "clean". Ogni cosa sembrò andare bene. Nel 1989 uscì un album solista di Crosby, il primo dopo 18 anni: Oh Yes, I Can.

Nello stesso anno David Crosby prese a lavorare con Phil Collins: sono sue alcune parti vocali del singolo "Another Day in Paradise". Crosby e Collins continueranno la loro collaborazione, che culminerà con l'ex Genesis che scriverà "Hero", canzone inclusa nell'album di Crosby Thousand Roads del 1993.

Crosby fu anche attore: appare in quattro film cinematografici e in qualche serie televisiva. Ma intanto i suoi problemi di dipendenza non sparivano veramente. Nel novembre 1994 dovette sottoporsi a trapianto del fegato: l'operazione gli salvò la vita...  

Il 7 marzo 2004, poche ore dopo un acclamato concerto dal vivo, David Crosby venne arrestato in un albergo di Times Square, NYC, con l'accusa di possesso di armi e marijuana.


Curiosità: è il padre biologico - attraverso la donazione dello sperma - dei due figli di Melissa Etheridge e Julie Cypher.

Partecipò nel 2006, con Graham Nash, all'album di David Gilmour On an Island prendendo parte al successivo tour. 

          ...

È morto ieri, 81enne, dopo lunga malattia.



 Crosby, Stills, Nash & Young - "Deja Vu" (live 1974)


Testo:


If I had ever been here before

I would probably know just what to do

Don't you?

If I had ever been here before

On another time around the wheel

I would probably know just how to deal

With all of you


And I feel like I've been here before

Feel like I've been here before

And you know, it makes me wonder

What's going on under the ground


Do you know?

Don't you wonder

What's going on down under you?


We have all been here before

We have all been here before

We have all been here before

We have all been here before




Links correlati:

           David & The Dorks

          Joni Mitchell

          Brano del giorno: "Country Girl" (Crosby, Stills, Nash & Young)

          Brano del giorno: "Ohio" (Crosby, Stills, Nash & Young)

          "Ohio" (Mott The Hoople)

          Woodstock 1969




Joni Mitchell

Trovare l'uomo della vita pur conservando la libertà: un'impresa che a Joni Mitchell non è mai riuscita.
La grande cantautrice canadese ha basato la propria arte su esperienze di vita, sfornando canzoni che "tu puoi sentire ma non puoi spiegare", come ha detto una volta Graham Nash.
A proposito di Nash: lui fu una delle romanze d'amore della splendida Joni; forse l'uomo più importante in assoluto... E si sussurra che Joni ebbe una relazione anche con Neil Young. Quest'ultimo, nella sua tournée americana del 1973, cantò "Sweet Joni" (una ballata ancora ufficialmente inedita). Tra l'altro Neil si esibì con lei sul palco di The Last Waltz (lo storico, bellissimo concerto di addio a The Band) in "Helpless" e "Acadian Driftwood".



Per completare il "link" affettivo tra la ragazza canadese e Crosby, Stills, Nash & Young aggiungeremo che la  musica di Joni influenzò certamente i componenti del quartetto, e che a scoprire la giovane cantautrice, nientedimeno che in un club della Florida (e quindi nel Sud degli States culturalmente più distante dal blues, dal jazz... e dallo stesso folk-rock) fu David Crosby, che la portò con sé a Los Angeles, dove, all'inizio del 1968, produsse il suo album di debutto Joni Mitchell, noto anche come "Song To A Seagull".






Nacque nel 1943 a Fort MacLeod come Roberta Joan Anderson e cominciò a esibirsi nel 1964 a Toronto e dintorni. Lo stesso anno fu messa incinta e nel 1965 partorì una bambina che lei diede subito in adozione.
Appena poche settimane dopo, incontrò in un folkclub di Toronto il cantante americano Chuck Mitchell, con il quale si trasferì negli Stati Uniti, dove si sposarono. Due anni dopo (1967) ci fu il divorzio, e Joni, che di cognome ora faceva Mitchell, prese a girare da sola per café e club vari. 
Fu al Gaslight South di Coconut Grove, Florida, che Crosby la scovò e ne rimase quasi letteralmente abbagliato.
Al primo album seguì Clouds (maggio 1969), contenente due tra i brani più "coverati" della cantautrice: "Chelsea Morning" e "Both Sides Now". Clouds ottenne un Grammy: niente più poteva mettere un freno alla fama di Joni Mitchell...



In tutto, durante la sua carriera, di Grammy ne avrebbe vinto ben otto. 
Nel 1996 la cantante venne accolta nella Rock and Roll Hall of Fame. 
Dal 2007 non canta più. 
Non canta più. Ma, se vi fate un giretto per YouTube e altre piattaforme "internettiane" che ospitano video e clips musicali, vedrete che è pieno di ragazze che, armate di chitarra, rendono omaggio a Joni Mitchell. E' una testimonianza di amoroso riconoscimento per la cantautrice che, soprattutto negli Anni Settanta, fu tra i portavoci della sua generazione. 
Ad affascinare, ancora oggi, è il suo modo di scrivere canzoni, la sua tecnica chitarristica, i suoi esperimenti stilistici (Joni fu una grande amante del jazz; logico: in casa dei suoi genitori abbondavano i dischi di swing)... e, ovviamente, la sua voce.
Proiettiamoci nello Stato di New York, nell'estate del 1969: centomila persone e un centinaio tra musicisti e cantanti marciano verso un campo abbandonato, dove celebreranno una "tre giorni di Love & Peace". Anche Joni Mitchell avrebbe dovuto essere presente su quell'appezzamento di terreno di Bethel... ma si era già impegnata per partecipare in tivù al Dick Cavett Show.


Il caos in quella zona nei pressi della Big Apple è enorme, le macchine non passano; e lei rischia di arrivare in ritardo agli studi dell'emittente televisiva ABC. "Fu il più grande evento per la mia generazione... e me lo lasciai sfuggire!" riconobbe lei stessa più tardi.

  Non era presente, dunque, a Woodstock; ma, attraverso le immagini che vide sul piccolo schermo e grazie al racconto che le fece Graham Nash (con il quale da qualche mese conviveva nel Laurel Canyon, la strada dei divi di Hollywood), poté comporre quello che diventò l'inno commemorativo dello storico meeting: "Woodstock", appunto; che si rivelò un successo per Crosby, Stills, Nash & Young (undicesimo posto nella classifica americana dei dischi più venduti) e per Matthews Southern Comfort (primo posto in Gran Bretagna).

Dichiarò David Crosby: "Joni ha descritto le sensazioni e l'importanza di Woodstock molto meglio di chiunque vi fosse stato presente!"
La stessa Joni cantò la canzone a metà settembre 1969 al Big Sur Festival, e la inserì nel suo terzo LP: Ladies Of The Canyon. Il disco, uscito nel 1970, conteneva due altri titoli divenuti poi celebri: "Big Yellow Taxi" e "The Circle Game".



Mentre il primo album era talmente acustico da poter essere definito "quasi spoglio" (in maniera cohenesca) e il secondo si serviva altresì di pochissimi abbellimenti sonori, nel terzo c'erano strumenti quali il flauto, il sassofono e il violoncello. Anche i testi erano diventati più comprensibili e non gravitavano più nell'orbita dylaniana. Ad esempio, in "Big Yellow Taxi" si trova la frase: "They paved paradise and put up a parking lot" ("Coprirono il paradiso di cemento, trasformandolo in un enorme parcheggio"), e con ciò Joni fornì - per così dire - una colonna sonora al movimento ecologico, che stava muovendo i primi passi.


Negli Stati Uniti Joni era una "stella" tra i cantautori folk e rock. In Europa lo divenne soprattutto dopo la sua partecipazione al Festival dell'Isola di Wight ("Volli andarci sebbene io non ami i grandi palcoscenici"). Al più tardi nel 1971, di lei si parlava anche in Italia: Carlo Massarini, al microfono di Per Voi Giovani (trasmissione più tardi presentata anche da Raffaele Cascone, Massimo Villa, Claudio Rocchi...), fa udire tra le altre cose (e per "altre cose" intendo Led Zeppelin, Eric Clapton, Jimi Hendrix...) le canzoni della cantautrice canadese.
Il Canada! Non è da quelle estese lande settentrionali che arrivano Neil Young e forse il più mitico tra tutti i cantautori (fu anche poeta e romanziere), ovvero Leonard Cohen?
Già! Allora l'America era quasi un altro mondo per noi italiani, e la musica che usciva dalla radio era l'unico trait d'union tra la nostra quotidianità - spesso maccheronica, comunque desolante - e gli splendidi racconti di "Suzanne", "Chelsea Hotel", "Famose Blue Raincoat" (Cohen), "Down By The River", "Cinnamon Girl", "Cowgirl In The Sand" (Young), "Both Sides Now", "Carey", "A Case Of You" (Mitchell).


Le due ultime canzoni appena citate si trovano nel quarto album di Joni: Blue, pubblicato nel giugno 1971. Un disco nuovamente alquanto spartano negli arrangiamenti. Si ode il dulcimer degli Appalachi, si odono chitarre e pianoforte.
A collaborare a Blue vennero chiamati "Sneaky" Pete Kleinow (un asso della pedal steel guitar), Stephen Stills (basso, chitarra), James Taylor (chitarra) e Russ Kunkel (drums). Joni Mitchell ha composto, arrangiato e prodotto tutte le canzoni, separandosi così (almeno musicalmente) da Graham Nash ("Willy"), condannando la commercializzazione della festa del Natale ("River") e lanciando una severa quanto tenera ammonizione contro l'uso di droghe ("Blue").

Lei stessa una volta dichiarò di non essere mai caduta nel vizio delle droghe. Tranne...
"Nel 1975 ero una componente della Rolling Thunder Revue di Bob Dylan. Mi chiesero con che cosa volessi essere pagata. Sapevo che nel circo, a volte, i pagliacci vengono pagati con del vino. Allora dissi: 'Pagatemi con della cocaina'."
Nella primavera del 1976 incontrò il maestro di meditazione tibetano Chögyam Trungpa Ringpoche. Costui le insegnò una tecnica di respirazione mediante cui lei poté mettere fine alla sua pur breve carriera di junkie.

In Blue, la canzone forse più emozionante è "Little Green", dove Joni racconta della figlia che aveva data in adozione e che non aveva più vista. Quella figlia perduta "riappare" in un'altra sua composizione: "Chinese Cafe", nell'album del 1982 Wild Things Run Fast.
Un incontro tra le due donne avvenne solo nel 1997. La "piccola" era intanto madre di famiglia e Joni si ritrovò di colpo... nonna.

Da "Little Green" (ascoltala qui):
Born with the moon in Cancer
Choose her a name she will answer to
Call her green for the children that have made her

...
Child with a child pretending
Weary of lies you are sending home
So you sign all the papers in the family name
You're sad and you're sorry, but you're not ashamed
Little green, have a happy ending


La leggenda di Joni, per quel che mi riguarda, può benissimo terminare qua. Se volete approfondire il suo percorso musicale dopo l'uscita di Blue, vi rimando ai numerosissimi siti e ai libri dedicati a questa cantautrice. Da esplorare ci sarebbe molto, a iniziare dalla sua passione per il jazz, che si esprime nella sua collaborazione con il sassofonista Tom Scott (capo del gruppo fusion L.A. Express, con cui lei andò in tournée) e nel suo omaggio a Charlie Mingus, nonché nel suo lavoro insieme a Winton Felder e Joe Sample (fondatori dei Jazz Crusaders) e a Jaco Pastorius (Weather Report). Gustoso è anche quel capitolo della sua vita in cui David Geffen, boss della sua etichetta discografica, le chiese quasi esasperato di tornare a produrre un hit; lei lo fece senza battere ciglio, quasi fosse la cosa più semplice di questo mondo, scrivendo il sarcastico "You Turn Me On I'm A Radio" (nell'album For The Roses, 1972).



Negli Anni Ottanta, con "Tax Free" ebbe problemi con l'associazione dei predicatori religiosi televisivi - genìa che lei naturalmente non apprezzava. E la canzone "Lakota" aveva come tema gli scontri tra agenti dell'FBI e attivisti indiani, scontri avvenuti a Wounded Knee nel 1973. Si notava qui la sua tendenza ad abbracciare la virata verso la world music, un "trend" inaugurato da Peter Gabriel.
21 luglio 1990: si trovò sul palcoscenico nella Potsdamer Platz di Berlino - insieme a Peter Gabriel, Tom Petty, Willie Nelson e Billy Idol  - nello spettacolo The Wall di Roger Waters, dove cantò "Goodbye Blue Sky" (video sottostante). E cantò anche, insieme ad altri, il titolo di chiusura dello show: "The Tide Is Turning".



Taming The Tiger fu certamente il suo album di punta di quel decennio... e anche l'ultimo per ben nove anni; o quantomeno l'ultimo che contenesse nuove composizioni.
I problemi con la voce (dovuti probabilmente al fumo) le diedero filo da torcere: la sua innata abilità da soprano (era capace anche di fare lo jodel o jodler, canto in falsetto tipico delle zone alpine) dovette lasciare posto a una tonalità in "alto". Ciò si sente benissimo in Both Sides Now (2000), dove interpreta soprattutto celebri brani jazz con l'accompagnamento di un'orchestra, e in Travelogue (2002), dove ripropone canzoni sue proprie.
Nel 2007, il suo album Shine arrivò a raggiungere il 14simo posto delle Billboard Charts. Nello stesso tempo, Herbie Hancock, pianista di Chicago suo stretto amico e collaboratore fin dai tempi di Mingus (1979), le dedica River: The Joni Letters, un omaggio che rivisita molti dei titoli degli Anni Settanta della cantautrice. River: The Joni Letters venne premiato con un Grammy.
La stessa Mitchell ottenne un Grammy (uno dei tanti!) per il pezzo strumentale "One Week Last Summer".
Ma è con le note di un'altra song che vogliamo concludere questo atto di riverenza alla "dolce Joni": "Refuge For The Roads".
(Da Hejira, 1976. "Hejira" è una parola araba [propriamente: hijra] che significa "viaggio".) 








lunedì, gennaio 16, 2023

Una poesia di Philip Larkin: '1914'

 Traduzione di Peter Patti.

Con note esplicative del traduttore.


[Philip Larkin: poeta piccolo-borghese e con idee di estrema destra.]




MCMXIV 

(pubblicata la prima volta nel 1964)


Quelle lunghe linee irregolari
Che stanno in piedi impazienti 
Come allungate esternamente
The Oval oppure Villa Park [1],
Le corone di cappelli, il sole
Sui volti arcaici baffuti
Sorridenti come se tutto ciò fosse
Un'escursione di Ferragosto;

E i negozi chiusi, e i nomi sbiaditi
Di premiate ditte sulle tende parasole,
I quattrini e i sovereigns,
E bambini che giocano scurovestiti 
E hanno nomi di re e regine,
Le pubblicità su latta
Per il cacao e le torsade, e i pub
Aperti tutto il giorno;

E la campagna ignora il tutto:
I nomi dei luoghi sono ombreggiati
Da erbe fiorite e da prati
Che confondono le righe del Domesday Book [2]
Sotto il silenzio inquieto del grano;
I servitori in tenute differenti
Con camere minuscole dentro enormi magioni,
Nuvole di polvere dietro le limousine;

Mai tale innocenza,
Mai prima né dopo,
Come è stato mutato il passato
Senza una parola: gli uomini
lasciavano i loro giardini in ordine,
Le migliaia di matrimoni
duravano un po' più a lungo:
Mai più tanta innocenza.

 


[1] Impianti sportivi rispettivamente di Londra (The Oval è dove si gioca a cricket) e di Birmingham (Villa Park è uno stadio di calcio).

[2] Con 'Domesday lines' Larkin si riferisce al 'Domesday Book' che risale alla conquista normanna del 1066. I Normanni, guidati da Guglielmo il Conquistatore, fecero un accurato censimento di città, cittadine e villaggi inglesi.

*************************

MCMXIV 
Philip Larkin, first published in 1964



Those long uneven lines
Standing as patiently
As if they were stretched outside
The Oval or Villa Park,
The crowns of hats, the sun
On moustached archaic faces
Grinning as if it were all
An August Bank Holiday lark;

And the shut shops, the bleached
Established names on the sunblinds,
The farthings and sovereigns,
And dark-clothed children at play
Called after kings and queens,
The tin advertisements
For cocoa and twist, and the pubs
Wide open all day;

And the countryside not caring:
The place-names all hazed over
With flowering grasses, and fields
Shadowing Domesday lines
Under wheat’s restless silence;
The differently-dressed servants
With tiny rooms in huge houses,
The dust behind limousines;

Never such innocence,
Never before or since,
As changed itself to past
Without a word – the men
Leaving the gardens tidy,
The thousands of marriages,
Lasting a little while longer:
Never such innocence again.


(from Philip Larkin: Collected Poems)



  NOTE ESPLICATIVE

"MCMXIV", dunque 1914. I numeri in caratteri romani suggeriscono le lapidi e i monumenti cimiteriali.
Philip Larkin, che era appassionato di fotografia, apre questo suo componimento osservando una foto d'epoca. È l'anno dell'inizio della Prima Guerra Mondiale (per gli inglesi, la guerra iniziò nell'agosto 1914) e il gruppo di uomini ritratto (le cui figure hanno orli sbiaditi, sono come allungate, a causa della tecnica poco sviluppata del tempo) ha qualcosa di arcaico in sé: portano i baffoni e le loro facce sono attraversate da un ghigno, come se si accingessero ad andare a una festa ("lark" in questo caso è il gioco, con riferimento al cricket - "The Oval" -, seguito dal calcio - "Villa Park").
Nella seconda stanza, il poeta allarga la visuale. Lo sguardo - suo e nostro - si sposta oltre le figure allineate. Ecco la campagna, e le proprietà signorili ove regna una rigida gerarchia di ruoli (i servi sono vestiti diversamente l'uno dall'altro, a seconda del ruolo che ricoprono nella casa): è il momento di transizione dal periodo pre-bellico al confronto armato e Larkin esprime una forte nostalgia per gli anni che furono. L'accenno al Domesday Book, al libro del censo dei Normanni, ha a che fare con l'idea che quasi 1000 anni di immutata storia inglese e struttura sociale inalterata sono stati cancellati dall'evento furioso, fatale: dal primo conflitto mondiale, appunto. 
Nella stanza finale, il poeta ribadisce il senso di perdita dell'innocenza: non ci saranno più gli uomini a tenere in ordine e ben curati i giardini (segno di un legame stretto con la natura); inoltre, i matrimoni dureranno di meno, attraverso anche l'assenza degli stessi uomini dovuta alla chiamata alle armi... e, spesso, a una morte straziante al fronte.

 Larkin e una delle "sue donne"


Non è una poesia di guerra. In questi versi, la riflessione è incentrata sulle conseguenze sociali ed esistenziali di un vasto conflitto. Larkin era un civile, non un militare. Mentre era studente a Oxford fu chiamato a combattere nella Seconda Guerra Mondiale ma lo riformarono per problemi alla vista.
Ora, mezzo secolo dopo l'inizio della Grande Guerra, scrive con ponderatezza, nell'intimità della sua dimora di Hull, nel Nord dell'Inghilterra, circa i mali di uno scontro bellico di cotali dimensioni. Il Regno Unito (anche quello di oggi) non è più quello precedente al 1914: così ragiona Larkin, che sente l'urgenza di idealizzare l'ieri. Come in Yeats e in Thomas Hardy, i temi affrontati nei suoi versi sono quelli elementari ma fondamentali della poesia di tutte le epoche: il trascorrere del tempo, i cambiamenti radicali, la perdita di valori e - assai evidente in lui - la perdita di certezze quotidiane, di sicurezza domestica, 
Le sue posizioni sono quelle di un cittadino dalle idee nostalgiche; alquanto conservative; anzi: proprio reazionarie (aveva forti simpatie per l'estrema destra). L'ieri è sempre migliore dell'oggi, il passato ha da essere presentato come mitico, nobile...


 Furono tre le sprovvedute che cadettero nelle sue grinfie: la bibliotecaria, la segretaria, la lettrice



Nei suoi componimenti, Philip Larkin (1922-1985) ha documentato e sezionato con infallibile precisione l'Inghilterra provinciale in cui era immerso pienamente, comodo biotopo, appropriato per enucleare l'essenza dell'umanità. L'amore gli procurava comunque qualche problema, sconvolgendogli - arricchendolo - il Tutti-I-Giorni. Philip Larkin era un amatore - più che un amante - in eterno conflitto, incapace di risolvere le sue intricate relazioni (non sempre sessuali). Soltanto diversi anni dopo la sua morte (avvenuta su un letto di ospedale di Hull) è emerso che, prima di espirare l'ultimo respiro, Larkin rivelò a una delle sue tre amanti (o comunque donne amate) chi fosse stata effettivamente la preferita.
Ma chi erano "le tre donne" di questo poeta che era ed è considerato, almeno in ambito artistico, un antiromantico? E che privatamente non nascondeva di essere terrorizzato dall'idea di sposarsi?
Erano Monica Jones, lettrice d'inglese, Maeve Brennan, una collega nella biblioteca in cui lui lavorava e Betty Mackereth, la segretaria. Ebbe relazioni con loro durante gli Anni '70 e le considerava (fecendosi tanti film mentali) in concorrenza reciproca. 
Prima di loro c'erano state Ruth, Winifred, Patsy (quest'ultima era rimasta incinta di lui, ma perse il bambino)... Era un uomo retrogrado che scriveva versi importanti e... possedeva una collezione di immagini pornografiche niente male.
Suo padre aveva tenuto in casa una statua di Hitler e lo stesso Philip crebbe non soltanto misogino, ma anche piuttosto razzista. 

Io mi sono imbattutto in Larkin leggendo Anthony Burgess; più precisamente, una recensione scritta dal grande romanziere di Manchester in cui veniva messo a nudo e sottilmente ridicolizzato l'estremismo delle opinioni politiche di Philip. Inutile dirlo: i due rimasero nemici per la pelle vita natural durante.

 Anthony Burgess

 

Insomma: Philip Larkin, la sua poetica e la sua esistenza da piccolo impiegato pieno di bizzarre convinzioni sono argomenti da approfondire! Interessante anche il fatto che un'altra sua passione fosse il jazz: Philip Larkin scrisse numerosi articoli sull'argomento. Reputo che sia uno spasso andare a cercare quegli articoli e paragonare le sue opinioni musicali con le nostre.




sabato, gennaio 07, 2023

"The End Of The World"... in senso traslato

Skeeter Davis: "The End Of The World"

A hit from the year 1963



Il suo vero nome era Mary Frances Penick. Nata il 30 dicembre 1931, ci ha lasciati il 19 settembre 2004.
Con lo pseudonimo di "Skeeter Davis" divenne abbastanza famosa come cantante country che finì per prediligere lo stile "ibrido", ovvero l'incrocio con il pop.
Aveva iniziato da ragazzina cantando con The Davis Sisters alla fine degli Anni Quaranta e il clou della sua carriera fu proprio questa canzone, "The End Of The World", nel 1963.


Why does the sun go on shining
Why does the sea rush to shore
Don't they know it's the end of the world
         'Cause you don't love me any more

         Why do the birds go on singing
         Why do the stars glow above
         Don't they know it's the end of the world 
         It ended when I lost your love


I wake up in the morning and I wonder
Why everything's the same as it was
I can't understand, no, I can't understand
How life goes on the way it does

Why does my heart go on beating
Why do these eyes of mine cry
Don't they know it's the end of the world
It ended when you said goodbye

Why does my heart go on beating
Why do these eyes of mine cry
Don't they know it's the end of the world
It ended when you said goodbye

 

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La stessa canzone interpretata da Brenda Lee:






La canzone del dopobomba: "Morning Dew"

 Morning Dew = rugiada del mattino


Fu la cantautrice canadese Bonnie Dobson a scrivere "Morning Dew", canzone nota anche come "(Walk Me Out in the) Morning Dew".


Il testo, su melodia folk, racconta una conversazione immaginaria in un mondo post-olocausto nucleare. 

Originariamente registrata dal vivo come esibizione da solista, abbiamo qui, nella perfetta tradizione delle canzoni di protesta di quell'epoca, la voce di Dobson e la sua chitarra acustica.



Nel 1962, "Morning Dew" fu inclusa nell'album Bonnie Dobson Live at Folk City. Successivamente, la canzone è stata registrata da altri musicisti folk e rock contemporanei, inclusi i Grateful Dead nel loro album di debutto, che l'hanno adattata utilizzando un arrangiamento rock elettrico.