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mercoledì, novembre 08, 2023

Joni Mitchell. Dolce Joni

 Sono 80 per la cantautrice canado-statunitense...

     

Sweet Joni



           



Songwriter formidabile, Joni Mitchell ha dato tanto alla sua generazione.
Folk, pop, rock, jazz e world beat: questi generi li ha abbracciati tutti e fatti propri...
Il suo percorso inizia nelle caffetterie di Yorkville (l'equivalente canadese dell'Haight Ashbury di San Francisco e del newyorchese Greenwich Village: un fulcro culturale costituito da club, localini alternativi, gallerie di arte sperimentale, boutique hippy) per continuare con le tappe internazionali e gli album d'oro. Ha ottenuto onorificenze quali Juno, Grammy (dieci) e l'iscrizione, nel 1997, alla Hall of Fame. Il suo stile personale è stato emulato da molti altri cantautori. Ampiamente rispettata anche come artista visiva e poetessa, persino in età avanzata ha continuato a essere produttiva, completando il proprio mosaico di lirica estrosità.


    1968


    1974


    1975




A 20 anni lascia il college, che stava frequentando a Calgary, e si trasferisce a Toronto con l'intenzione di diventare una cantante folk. Cerca in tutti i modi di iscriversi al sindacato dei musicisti ma ha pochi soldi; molti locali si rifiutano di farla esibire senza tesserino. Allora va a lavorare ai grandi magazzini, incontrando nel tempo libero gli allora sconosciuti Neil Young e Leonard Cohen, oltre a numerosi altri artisti che ruotano attorno alle decine di coffee house, sedi del movimento folk.

Nel febbraio 1965 dà alla luce una bambina, nata dalla relazione con un ragazzo del college. La situazione economica si fa critica per lei. Incontra Chuck Mitchell, che si innamora di Joni e le promette di riconoscere la bambina come propria figlia. Poche settimane dopo, i due si sposano, tuttavia l'uomo cambia idea circa l'adozione della piccola e la giovane madre è costretta a darla in affidamento. 
Questa dolorosa esperienza rimarrà sconosciuta ai fans di Joni Mitchell per molti anni, seppure in alcune canzoni ci siano delle allusioni, particolarmente in "Little Green", composta in quel travagliato periodo della sua vita e pubblicata nell'album Blue del 1971.


Joni e Chuck Mitchell si trasferiscono a Detroit, dove si esibiscono come duo. Diventano la coppia folk più amata della città. Nell'estate del 1966, Joni partecipa al Newport Folk Festival, ottenendo una standing ovation.

Il matrimonio e il sodalizio artistico con Chuck dura poco: agli inizi del 1967 lei se ne va a New York alla ricerca del successo solista. Ben presto si crea, intorno alla sua figura, un piccolo ma devoto gruppo di ammiratori. 
Incontra Tom Rush, il quale rimane piacevolmente colpito dai suoi testi e soprattutto dalla canzone "Urge for Going". Rush propone il pezzo a Judy Collins che però declina l'offerta; decide quindi di registrarlo lui stesso. Ma la canzone diventa un successo solo quando viene incisa dal cantante country George Hamilton IV. Il crescente interesse verso le doti della cantautrice proveniente dal Canada spinge numerosi interpreti del rango di Buffy Sainte-Marie, Dave Van Ronk e Judy Collins a incidere le sue composizioni, portandole al grosso pubblico.




     David Crosby
Nella Big Apple, nel quartiere bohéme di Chelsea, dove ha preso residenza, Joni incontra Elliot Roberts, che diventa suo manager e la introduce nel circuito dei locali per artisti più frequentati. Durante un'esibizione in Florida, nasce la relazione sentimentale con David Crosby, ex Byrds. Crosby convince la Reprise Records affinché Joni possa registrare un album totalmente acustico. Nel marzo 1968 esce Song to a Seagull. Crosby promuove in qualsiasi maniera il disco, presentando la ragazza ai suoi amici di Hollywood e facendole girare i ritrovi di grido. Il nome di Joni Mitchell si incomincia a sentire alla radio e a leggere sulle riviste. La cantautrice riscuote grande successo al Troubadour di Los Angeles, alla Royal Festival Hall di Londra e al Miami Pop Festival. Ad accrescerne la notorietà, arriva nel dicembre 1968 la versione di Judy Collins di "Both Sides Now", che diventa una hit. Per la novella star, arrivano i primi incassi, frutto delle vendite dell'album di debutto e dei diritti d'autore sulle sue canzoni interpretate da altri.


Nell'aprile 1969 la Reprise pubblica il secondo long-playing: Clouds. Di nuovo, le critiche e le reazioni del pubblico sono positive e il concerto tenuto alla Carnegie Hall sancisce definitivamente la fama di Joni.

Si trasferisce a Laurel Canyon, Los Angeles, con Graham Nash (inglese, già nel gruppo The Hollies), che lei aveva conosciuto tramite David Crosby. La coppia acquista una piccola casa, la medesima descritta nella canzone "Our House" di Crosby, Stills, Nash & Young.


     Graham Nash
Dopo varie apparizioni televisive, Joni si prepara per il grande festival di Woodstock, celebrazione di "Love and Peace". Ma, dopo aver visto alla televisione le immagini del traffico sulle strade che conducevano verso l'amena località,  Roberts le consiglia di non andare, poiché il giorno dopo avrebbe dovuto essere presente al  Dick Cavett Show, programma televisivo molto seguito.

Essere mancata all'epocale meeting di Woodstock non le impedisce di scrivere circa l'evento. Il brano "Woodstock" diventa un vero e proprio inno: le immagini di amore e pace, di aerei da guerra che si trasformano in farfalle e l'esigenza di "fare ritorno al giardino" ("And we've got to get ourselves / Back to the garden") dipingono perfettamente la manifestazione e il frangente storico in cui essa si svolge.


Vince un Grammy per Clouds. Immediatamente dopo, la Reprise è pronta a pubblicare il terzo album di Joni Mitchell: Ladies of the Canyon, che le frutterà il primo disco d'oro. L'album contiene alcuni tra i brani più popolari del periodo folk: "Woodstock", "Big Yellow Taxi", "The Circle Game".


***

La lista degli uomini che hanno incrociato il cammino di Joni Mitchell colpisce non tanto perché è lunga, quanto per la qualità! Leonard Cohen, David Crosby, Graham Nash, James Taylor, Jackson Browne, John Guerin, Sam Shepard, Jaco Pastorius, Don Alias, Larry Klein.
Nella biografia scritta da Dave Yaffe con il titolo Reckless Daughter ("figlia spericolata"), di cui si può leggere una recensione sul Washington Post, si parla degli amori della Mitchell, delle canzoni da lei dedicate ai suoi lovers e del passaggio dal folk / folk rock al jazz, poi della perdita di popolarità e - inevitabile! - la perdita di salute. Un aneurisma cerebrale ha colpito l'artista nel 2015. L'ormai vegliarda ha cercato di riprendersi dal duro colpo, così come, da ragazzina, si era ripresa ottimamente dalla poliomelite che l'aveva colpita a 9 anni; però stavolta i segni sono rimasti. Ci hanno detto che Joni non fuma più tre-quattro pacchetti di sigarette al giorno, come ha fatto per decenni... 
Mentre era ancora in riabilitazione e non poteva né suonare né cantare, ha lasciato suonare e cantare gli altri per lei: Elton John, Bonnie Raitt, Brandi Carlile (che con i suoi 41 anni era sicuramente la più giovane dei presenti): tutti sono passati per il soggiorno di Joni. Si trattava dei cosiddetti "Joni Jams". Lei, quasi impossibilitata a muoversi, si limitava ad ascoltare sorseggiando del vino. Una volta si è messa improvvisamente a cantare, stupendo gli ospiti. Ha intonato "Summertime". E, come Belinda Carlile ha raccontato in un'intervista alla CBS, Herbie Hancock è scoppiato in lacrime. E pure gli altri si sono commossi...
(Mitchell e Hancock avevano fatto un album insieme nel 1998, dedicato a George Gershwin: Gershwin's World, dove non poteva certo mancare un'ispirata versione di "Summertime", con lo stesso Herbie Hancock al piano, Wayne Shorter al sax tenore, Stevie Wonder all'armonica e Ira Coleman al basso!)
Dopodiché la Carlile ha incitato Joni Mitchell a esibirsi al Newport Folk Festival; cosa che è veramente accaduta, nel 2022, nella cornice dello show 
"Brandi Carlile and Friends": sullo stesso palcoscenico in cui lei era salita nel 1969.




Discografia
(solo gli album in studio)

1968 - Song to a Seagull (noto anche come Joni Mitchell)
1969 - Clouds
1970 - Ladies of the Canyon
1971 - Blue
1972 - For the Roses
1974 - Court and Spark
1975 - The Hissing of Summer Lawns
1976 - Hejira
1977 - Don Juan's Reckless Daughter
1979 - Mingus
1982 - Wild Things Run Fast
1985 - Dog Eat Dog
1988 - Chalk Mark in a Rainstorm
1991 - Night Ride Home
1994 - Turbulent Indigo
1998 - Taming the Tiger
2000 - Both Sides Now
2002 - Travelogue
2007 - Shine
2023 - Joni Mitchell At Newport



                    



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sabato, gennaio 07, 2023

La canzone del dopobomba: "Morning Dew"

 Morning Dew = rugiada del mattino


Fu la cantautrice canadese Bonnie Dobson a scrivere "Morning Dew", canzone nota anche come "(Walk Me Out in the) Morning Dew".


Il testo, su melodia folk, racconta una conversazione immaginaria in un mondo post-olocausto nucleare. 

Originariamente registrata dal vivo come esibizione da solista, abbiamo qui, nella perfetta tradizione delle canzoni di protesta di quell'epoca, la voce di Dobson e la sua chitarra acustica.



Nel 1962, "Morning Dew" fu inclusa nell'album Bonnie Dobson Live at Folk City. Successivamente, la canzone è stata registrata da altri musicisti folk e rock contemporanei, inclusi i Grateful Dead nel loro album di debutto, che l'hanno adattata utilizzando un arrangiamento rock elettrico.




venerdì, luglio 17, 2020

Gli Amazing Blondel

          England + Blondel

Nessuno, ascoltandoli la prima volta, si sognerebbe di catalogare gli Amazing Blondel come gruppo rock, né tantomeno "progressive". Eppure il loro nome compare in diversi registri, elenchi e libri dedicati proprio al prog. Sarà perché furono attivi principalmente in un decennio (gli Anni Settanta) in cui nascevano numerose band "anomale" e ciò che non era musica di puro consumo veniva solitamente considerato "fuori di testa", sperimentale, obliquo... e spesso - appunto - "progressivo". Io comunque imparai a conoscerli e amarli ascoltando l'unico loro album che sembra accennare a una svolta, a un avvicinamento ai canoni delle canzoni pop, e che quindi fece storcere la bocca ai puristi del folk. Blondel, il titolo.

Ripropongo qui un articolo già pubblicato su Topolàin e che prendeva lo spunto da una loro canzone (contenuta in Blondel) da me particolarmente apprezzata: "Depression".






Gli Amazing Blondel sono una macchina folk di atmosfere prevalentemente medievali-elisabettiane. 


Blondel è il loro album più ricco per creatività melodica (secondo Topolàin, bien entendu!) e contiene canzoni "classiche", contrariamente ad altre loro opere basate su ballate lunghe. Ogni volta che ascolto Blondel vengo invaso da una grande pace, mista a un'allegria intima e anche un po' esaltata: fa parte infatti delle mie "importanti" scoperte adolescenziali, tutte destinate a restare con me e ad accompagnarmi sull'intero percorso esistenziale (scoperte che non si limitano alla musica, naturalmente: anche prodotti letterari e film a iosa).


Fondati nel 1970 da John David Gladwin, Terence Alan Wincott  e Edward Baird, gli Amazing Blondel divennero ben presto celebri oltre i confini del Lincolnshire, acquisendo una discreta popolarità finanche in Italia e nei Paesi Scandinavi. I tre musici inglesi fanno uso di liuto, corno, spinetta, campane tubulari, tamburi e altri strumenti di origine medievale o comunque rinascimentale, pur non rinunciando a un'impronta musicale più moderna rispetto a bands analoghe - ad es. i Gryphon.



Gli Amazing Blondel su Prog Archives 


Dopo la registrazione dell'album England (1972) e l'ennesimo scarso riscontro commerciale, Gladwin decise di abbandonare il gruppo, che quattro anni più tardi, nel 1977, annunciò lo scioglimento.
Ma, come spesso accade nell'universo "progressive", la saga dei Blondel era destinata a non terminare ancora. Trascorsero due decenni e l'interesse del pubblico si risvegliò in maniera talmente vivace (grazie all'etichetta Edsel che ripropose tutti i loro lavori su CD) che il trio si riformò, quantunque, a conti fatti, non diede tantissimi concerti e benché in talune occasioni, per via delle defezioni di Gladwin, si ridusse a un duo (Wincott e Baird, e dunque i due che nel '73 realizzarono da soli Blondel, questo misconosciuto scrigno di piccoli gioielli).






La loro homepage ufficiale (http://www.amazingblondel.com) è stata chiusa, dopo che per anni ha mostrato un ultimo comunicato risalente al maggio 2008... Ma esistono diversi fan che mantengono ancora viva la fiamma. Un sito su tutti: http://www.gaudela.net/blondel/










                              





domenica, settembre 25, 2011

The Last Waltz (lettera a un fratello lontano)

Frate',
è ora di propagare la buona musica. Vedi se ti piace questo Richie Auriemma: disgustato dalle case discografiche, ha deciso di "regalarsi", mettendo online ben 60 canzoni (tra originals e cover) all'URL

http://www.reverbnation.com/auriemma

e dà spesso concerti nella sua zona (è americano ma di evidenti origini italiane - almeno così suggerisce il suo cognome partenopeo). Se ne hai la possibilità, ti prego di fare pubblicità per lui dove puoi.
Io ho scommesso con Richie che entro la fine dell'anno gli farò raddoppiare la vendita (finora deludente) delle sue songs. Molto bene si presta, per tale scopo, il formato .mp3 al posto del supporto materiale (CD).

C'è tantissima gente che fa ottima musica e non sfonderà mai, p. es. la band Martiria (italiana, col cantante americano ex Warlord), ma i Martiria non trovano ormai neppure più manifestazioni / locali / festival dove potersi esibire dal vivo. Il CD che hanno pubblicato mesi fa (ancora una volta stupendo, se vuoi ti mando gli .mp3) non si vende quasi e quello prossimo, già registrato (e autoprodotto, a quanto ho capito) sarà forse il loro ultimo, perché hanno detto che se continua così si scioglieranno... Peccato!




A propos di scioglimento: oggi dopo il pranzo consumato nel retrobottega della gelateria di Antonio & Ingrid sono uscito (sazio e barcollante) e ho fatto un giro per il mercatino, anzi mercatone domenicale che si snoda quest'oggi per tutte le vie e piazzette di Old Waterbourgh. Ho esitato a lungo davanti a 5 paia di calzini "adatti alle scarpe di sicurezza", ho sorvolato sulle varie spezie, candele e statuette con sopra incisi dei motti più o meno spiritosi, sui vari speck tirolesi e sui mazzi di fiori di plastica... per rimanere impigliato (come al solito) a una bancarella di musica.
Dopo aver preso in mano 4 Music-DVD (la storia di Syd Barrett, ma la conosco a memoria e credo di avere a casa libri, articoli e CD in proposito), Il concerto dei Pink Floyd a Pompei (prodotto che ho già comprato 2 volte e due volte regalato per rendere partecipi anche altri di tanta magia e tanto genio), Sound & Vision di David Bowie e The Last Waltz (è stata questa la scelta ristrettissima tra tutti i DVD da me selezionati dopo rapida visione dell'intero materiale in vendita), ho deciso di comprare il film di Martin Scorsese, The Last Waltz appunto: concerto d'addio di The Band. Rientrato a casa in mezzo alla folla (che bello! Da quando ho traslocato qui, mi basta voltare l'angolo e c'è un qualche "event" proprio sotto il mio naso... prima invece se volevo stare in mezzo alla gente dovevo scendere dalla montagnola di Burgerfeld, come i vaccari che riportano il bestiame - in questo caso: la mia anima - a valle...), ho immediatamente messo in azione il vecchio ma mai impolverato DVD-player e... ecco che parte


UN CAPOLAVORO ASSOLUTO.



In un flash sbadato mi son ricordato di aver visto il film la prima volta in un cinema della nostra città al tempo in cui stavo con Fiore Sapi o Sapì: mi ero recato a quella proiezione straordinaria insieme a Fiore e ai suoi amici, i quali si guardavano queste opere d'arte (Hair, Woodstock, Jesus Christ Superstar...) solo perché "faceva figo" (tipici giovanii dell'alta borghesia - e di destra! - che bazzicano i raduni "alternativi" per mostrarsi), ma il ricordo non mi ha causato nessuna emozione. Anzi: l'ho allontanato quasi infastidito, come si fa con una zanzara semistordita, e mi son messo comodo nel mio ashram a guardare a bocca aperta (similmente a Woody Allen all'inizio di Provaci ancora Sam) le prime sequenze e i titoli di apertura di quello che più di un critico ha giustamente giudicato "The Best Rock Film Ever": insieme a The Band ci sono Joni Mitchell, Neil Young, Bob Dylan (il "mio" Dylan, quello degli Anni Settanta), Muddy Waters, Paul Butterfield, Van Morrison...
Che dirti? Ho quasi pianto.
Perché la vita è così buona con me? Perché tutti mi accettano e mi vogliono bene, come fossi un povero bambino nero che necessita di protezione? Perché la musica è il Cielo e se poi fai lo switch sul telegiornale vedi invece solo Blood & Destruction?...

Vabbe' va', il vino che mi ha dato Antonio (uno spumante addirittura! ma si è ben accordato con i delicati spaghetti, la mortadella modenese e la scaloppa di maiale) mi ha mandato in tilt: tra ieri e oggi ho vissuto troppo; troppa musica, troppi incontri umani (ti ho già detto della visita di Adebe, il mio collega del Togo?), troppe emozioni (che sia benedetto colui che ha inventato il week end!!!), e poi, oggi verso mezzogiorno, c'è pure stata la chiamata di Mary dalla terra svizzera: ha attraversato il Lago di Costanza in vaporetto, e le bellezze da lei descrittemi mi hanno convinto a visitare un giorno quei luoghi (io oltre all'Algarvia - fantastica! - non mi sono mai spinto; ancora 30-40 chilometri più a ovest e sarei arrivato dov'è ora mia moglie: Kempten, Lindau, Meersburg ecc.)

Spero che nel frattempo tu ti sia sintonizzato sulla musica il cui link ti ho copiato in cima a questa mail... E' assolutamente adatta a un pomeriggio di domenica, momento in cui l'animo è sospeso tra l'allegria della libertà assoluta e la malinconia a causa della consapevolezza che questa libertà sta per tramontare.
(Domani, lunedì, saranno hatz amari in fab... come tutti i lunedì del resto...)

Ciao, un abbraccio!

p.