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domenica, febbraio 05, 2023

La storia dei R.E.M.






MURMUR
I R.E.M. (la sigla sta per "Rapid Eyes Movement", una fase del sonno in cui le pupille si muovono) avevano già debuttato con Chronic Town, un EP molto interessante, ma ogni cosa ebbe veramente inizio nel 1983, quando Peter Buck, Michael Stipe, Mike Mills e Bill Berry (il batterista, che lascerà la band nel 1997) registrano Murmur. L'album, caratterizzato da atmosfere cupe e misteriose, catapulta i R.E.M. nel Parnaso delle band più significative degli Anni Ottanta. I critici scambiano frasche per fiaschi e li paragonano ai Byrds, non avendo altri cassetti in cui riporre il suono innovativo del quartetto di Athens. 


Buck, Mills e Berry sono musicisti in gamba che, come i componenti di tutti i grandi gruppi della storia della musica, sanno bene armonizzare le loro spiccate individualità. La chitarra di Buck, in particolare, ha un riverbero "di campana" (o, meglio, "di glockenspiel") che - non lo si nega - ricorda le magiche proprietà della Rickenbacker a 12 corde di Roger McGuinn (attenti a non pompare il volume: pericolo di tinnitus!). 

Il titolo dell'album sembrerebbe descrivere a pennello lo stile vocalistico di Stipe, che "addolcisce" i suoi enigmatici testi con manierismi vocali da cantante pop. Gli smash-hits di Murmur sono "Radio Free Europe" e "Talk About The Passion" (da cui furono ricavati altrettanti single), ma il resto del materiale ("Pilgrimage", "Perfect Circle", "Catapult", "Shaking Through"...) è ugualmente di alto livello, e legato da un filo conduttore non solo per lo stile musicale. 

Più o meno con l'uscita di Murmur scoppiava negli States il fenomeno delle "college radio", e i R.E.M., che furono adottati da molte di quelle emittenti, furono subito collocati su uno dei versanti estremi dell'ampio spettro di stili che imperversava nell'etere rivoluzionato; sulla sponda opposta campeggiavano gli Hüsker Dü...

A distanza di 30 anni, Murmur continua a proporsi come un capolavoro della scena più creativa dell'underground marca South States, e molti addirittura sostengono che rimane il migliore lavoro della band, mai più superato.  Ascoltando il disco, saltano all'orecchio esplosivi passaggi intermediari (i "bridges"), ritornelli esplosivi, e soprattutto la voce di Stipe (la quale anch'essa assume in qualche modo la funzione di strumento), "mormorante" testi tanto belli quanto spesso incomprensibili. Notevoli anche l'orgasmatica coda di "Radio Free Europe," il bridge surreale di "West Of The Fields," la sorprendente "Conversation Fear", i cori di "9-9," la rockeggiante "We Walk" e il brillante sfumando di "Shaking Through". L'insieme contribuisce a infondere nell'ascoltatore una sottile euforia, come dopo una dose di "dope".          A MUST!



RECKONING    
Già l'anno successivo, con Reckoning (il "road record" dei R.E.M.), giunge un più vasto successo di pubblico. Reckoning è un tantino più rockeggiante dell'opera precedente; i testi parlano di amori perduti e perduti luoghi... come si addice a una band "on the road". L'album venne registrato intorno al Natale del 1983, per un totale di 16 giorni lavorativi. (Bisognava affrettarsi anche per riguardo al budget, allora invero scarso.) Il "work title" dell'album era "File Under Water", a voler sottolineare un senso di continuo fluire, una sfuggevolezza d'identità; la stessa sfuggevolezza che creava difficoltà a critici e ascoltatori ad appioppare un'etichetta alla band. (Stavolta li avrebbero paragonati ai Beatles!) Le prime tre canzoni trattano proprio - in maniera letterale - il tema del "fluire". Per esempio "So. Central Rain (I'm Sorry)", che parla delle inondazioni di cui fu succube la città di Athens, con tanto di linee telefoniche completamente fuori uso e i componenti della band - che si trovavano in tournée - impossibilitati a prendere contatto con familiari e amici. 

"(Don't Go Back To) Rockville" testimonia dell'abilità compositoria di Mike Mills. La canzone, registrata in una sola "take", originariamente era stata concepita in stile garage rock, ma all'ultimo momento fu deciso di rallentarne il ritmo e ne risultò una ballata country rock. "(Don't Go Back To) Rockville" divenne immediatamente un inno della scena underground americana. In "Pretty Persuasion", invece, un semplice giro di accordi apre la strada verso una strofa composta da armonie corali. Giusto "Rockville" e "Pretty Persuasion" sono i due poli stilistici di Reckoning: si spazia da un gentile country a un rock energico, il tutto arricchito da una poesia di immagini liquide.   
        
A MUST!



FABLES OF THE RECONSTRUCTION     

Nell''85 è il turno di Fables Of The Reconstruction (curioso ma non insensato capovolgimento di "reconstrution of the fables"), risultato artistico del periodo londinese della band. Peter Buck una volta lo definì un "misery album", ovvero "album di un'epoca di miseria"; una definizione che potrebbe essere pure tradotta con "album miserabile" (!). Più tardi comunque si rimangiò la parola:
"Fables Of The Reconstruction è un disco molto cool, come ora mi tocca riconoscere. Il fatto è che ci trovavamo in tour da 5 anni ed eravamo ancora dei morti di fame, e intendo dire proprio di quelli con le ragnatele in tasca! A Londra alloggiavamo tutti quanti in un'unica camera d'albergo, che distava un miglio dalla più vicina stazione dell'Underground e altrettanto dallo studio di registrazione. In quel periodo pioveva a catinelle: l'acqua scendeva senza requie e noi... non possedevamo nemmeno una giacca adeguata!"


Le "lyrics" di Fables Of The Reconstruction sono la prova della sempre maggiore maturità di Stipe, che qui narra - sia pure nella sua solita maniera enigmatica - di una forte nostalgia di casa, trasmettendo le tristi sensazioni che si provano nel  trovarsi in un posto estraneo. ("We can reach our destination, / but it's still a ways away": "Drive 8"). Tra le canzoni che risaltano per qualità musicale e/o poesia dei testi ricordiamo "Drive 8", "Green Grow The Rushes" e "Can't Get There From Here", quest'ultima trasmessa ripetutamente da emittenti radiofoniche nazionali e internazionali e il cui suggestivo videoclip ebbe grande successo su MTV.
Fables of the Reconstruction è sicuramente l'album più sperimentale - e comunque più cupo - dei quattro ragazzi di Athens, e alcuni critici arrivarono ad asserire: "Con quest'opera, i R.E.M. hanno oscurato la fama dei Joy Division".



LIFES RICH PAGEANT 
  
Ancora un anno e ancora un album: Lifes Rich Pageant ('86). A questo punto della loro carriera, i R.E.M. vogliono solo divertirsi, e sfornano un disco che, a melodie volutamente poppeggianti, affianca testi critici. Lo battezzano con una frase pronunciata da Peter Sellers nel film A Shot In The Dark (della serie Pink Panther), frase da loro usata quando si accorgevano che le cose si mettevano male: "Tutto questo fa parte del 'life's rich pageant' " (ovvero: del carosello della vita) dicevano ironicamente, rifacendo il verso all'Ispettore Clouseau. Era il loro modo di sdrammatizzare. Ma nessun incidente, nessun imprevisto ostacolò il lavoro in studio, per cui impiegarono appena una settimana. 

Come già detto, Lifes Rich Pageant è un'opera più diretta, più comunicativa delle precedenti, anche nei testi. L'album conferma il desiderio mai sopito dei R.E.M. di aderire a sonorità rock senza cadere nella sindrome da arrangiamenti elettronici (i famigerati "drum-delays") tipica di quel decennio. Per l'intera la durata del disco, la voce di Stipe (con l'unica eccezione di "Superman", che è cantata da Mills) si eleva nettamente sull'ordito strumentale. (Il contrario di quanto accadde in Fables Of The Reconstruction e negli altri lavori passati, dove i lead vocals erano spesso un "mormorio".) Lifes Rich Pageant è un'opera decisamente assertiva ("I Believe"), e le convinzioni politico-esistenziali del gruppo vengono fuori palesi quanto mai. 

 
Anche qui, tutti i tracks possono fungere da "ispirazione immaginifica" (chi fu ad affermare che i R.E.M. producono "music for writers"?), come dimostra la bellissima "Full On Me". "Full On Me" comincia con un accenno agli esperimenti di Galilei sulla forza di gravità terrestre ("Feathers hit the ground / before the weight can leave the air") per focalizzarsi successivamente su temi come la pioggia acida e le multinazionali "che comprano e vendono il cielo".
Ma la vera canzone-capolavoro di Lifes Rich Pageant è senz'altro "Cuyahoga", in cui un'innocua nuotata nelle acque rossastre dell'Apalachee River richiama l'associazione (macabra, ma non gratuita) dei fiumi di sangue versati dagli Indiani d'America: una carneficina che è una macchia indelebile nella storia degli United States of America. Nei versi che seguono, a tale accusa se ne sovrappone un'altra: quella che si riferisce al fiume Ohio, irrimediabilmente avvelenato dagli scarichi industriali. I versi in apertura - "Let's put our heads together, and start a new country up" - suonano come una chiamata alle armi... ed è, di certo, l'invito a una militanza attiva contro tutte le ingiustizie.               A MUST!



DEAD LETTER OFFICE    
Uscita nel 1987, questa raccolta contiene l'intero EP-debutto Chronic Town, dell' '82, insieme a quindici "facciate B" e ad altri pezzi della band meno noti o del tutto inediti, tra i quali alcune covers dei Velvet Underground.
Consigliato solo ai fans più accaniti.




DOCUMENT
Document, sempre del 1987, è una polaroid della "situazione della Nazione". Il titolo fu suggerito dallo stesso Stipe, il cui scopo più alto rimaneva - e rimane - di riuscire comprensibile a tutti, ma che oggi comunque non ha difficoltà ad ammettere di ignorare a cosa esattamente si riferiva in frasi come "tryin' to tell you something we don't know" e "there's something going on that's not quite right".
 
Perché "Document?" Presto spiegato: quell'anno i R.E.M. erano impegnati a mixare le nuove canzoni usandole come un ideale soundtrack per documentari storici e altre esperienze visuali, tipo le Olimpiadi di Berlino del 1936 e un programma televisivo che illustrava la paranoia del Senatore McCarthy (quello che intentò i famosi processi "anticomunisti"). Ma Document voleva altresì proporsi come una sorta di diario dei dieci anni trascorsi assieme dai componenti del gruppo e, parallelamente, come resoconto di quanto avveniva sul Pianeta Terra. Il risultato finale fu uno degli album più "arrabbiati" della band; e ciò nonostante che metà delle songs affrontassero apparentemente temi  disimpegnati.

Alcuni tracks:
"The One I Love", come suggerisce il titolo "convenzionalmente pop" (evento assai raro nella discografia del gruppo, così ricca di titoli "ostici"), è una storia d'amore... e di tradimento. È l'io-narrante, ovvero il cantante Michael Stipe, a tradire: nella canzone, cambia partner senza rimorso alcuno e non mostra l'intenzione di giurare fedeltà alla nuova compagna ("a simple prop to occupy my time": "qualcuno che serva da passatempo")...

"Finest Worksong" rispecchia invece "l'etica del lavoro intrinseca nella mentalità degli americani", come Stipe dichiarò in un'intervista al glorioso - e ormai deceduto - Melody Maker. Ma è altresì la parabola della fatica che deve affrontare un musicista "prof" per rimanere produttivo.
La trascinante "It's The End Of The World As We Know It (And I Feel Fine)" rappresenta un po' la "Subterranean Homesick Blues" di Michael Stipe. È una litania ossessionante di termini e luoghi comuni (similmente che nella   canzone di Dylan, per l'appunto) senza nessun altro senso che quello di rendere il caos del mondo - felice o doloroso che lo si voglia considerare.
L'ispirazione per questa song si può far risalire all'assidua frequentazione degli ambienti hipster di N.Y. (con tanto di party alternativi) da parte di Buck e Stipe: "... jellybeans, cheesecake, Lester Bangs ubriaco...". L'elenco è "speziato" con l'aggiunta di nomi di personaggi celebri quali Leonid Brezhnev, Leonard Bernstein e Lenny Bruce. "It's The End Of The World..." è, insomma, il ritratto di un pianeta sul punto di  ammattire definitivamente, come se qualcuno avesse scoperchiato il Vaso di Pandora. Sul ritornello di Stipe, Mike Mills fa da contrappunto con la frase "Time I had some time alone" ("È ora che me ne stia un po' per conto mio").



GREEN   
"I'm very scared of this world" canta Stipe sui mandolini di "You Are The Everything". Corre intanto l'anno 1988 e  i R.E.M. si sono proiettati nel firmamento del mainstream: hanno infatti firmato un contratto fantascientifico con la Warner Bros.: 80 milioni di dollari...(!) Green, che non avrebbe bisogno di presentazioni in quanto è uno dei prodotti di maggiore successo commerciale della band, vede l'alternarsi di canzoni "bombastiche" alle solite ballate dolci. Contiene tra l'altro "Stand" (uscita anche come single), in cui si ripetono, come una litania infantile, i versi: 
 
Stand in the place where you live
Now face North
Think about direction
Wonder why you haven't before...

 
"Turn You Inside Out" e "Get Up" sono i pezzi più roccheggianti di Green, mentre "You Are Everything" è  puramente acustica. Altri highlights: "Pop Song 89" e "Orange Crush".
Molti fans, riferendosi ai miliardi elargiti dalla Warner Bros., gridarono allo scandalo e "venduti!" In realtà la band continuò a seguire imperturbabile la sua linea "attivista" - come se lavorassero ancora per conto della label indipendente IRS -, con Michael Stipe impegnato più che mai sia sul fronte sociale che su quello dell'ecologia. "Orange Crush" parla dell'Agent Orange, la velenosa sostanza usata in Vietnam dall'esercito U.S.A.; "You Are The Everything" presta la  voce alla campagna antinquinamento; "Get Up" è un invito a farsi attivisti; e "Pop Song 89" è carica di sana autoironia, essendo che tratta della scalata del gruppo alla hit parade. Non c'è malaccio per dei "venduti"!
Ovviamente, qui il suono è più limpido che in tutti gli album precedenti (il potere delle major!), ma è anche alla creatività che bisogna guardare, e quella non è affatto venuta meno.
Green rocks!             A MUST!



EPONYMOUS    
Altro album-raccolta, ma di gran lunga più interessante di Dead Letter Office. Racchiude il meglio degli anni con la IRS.
 

 

OUT OF TIME                                     
Out Of Time, del '91, è stato definito da Peter Buck "uno strano, piccolo disco". Contiene svariati hits, tra i quali l'ormai leggendario "Losing My Religion". Inutile dire che è l'album marca "R.E.M." che ha fatto registrare il maggiore numero di vendite. Uno dei dischi successivi sarebbe stato battezzato "Monster", ma il loro vero "mostro" è Out Of Time!
La copertina è senza dubbio tra le più brutte di tutta la carriera della band, eppure racchiude songs sublimi, quali "Near Wild Heaven", "Low", "Shiny Happy People"... oltre naturalmente a "Losing My Religion".

"Uno strano, piccolo disco": proprio! D'accordo: è più pop che rock genuino; ma ascoltate "Texarcana"! Ascoltate "Belong" oppure "Country Feedback"!  E che ne dite di "Near Wild Heaven"? Quest'ultima è forse più bella di "Losing My Religion" (la quale, come i R.E.M. hanno poi confessato, inizialmente non era neppure stata scelta come single!)... "Near Wild Heaven" ci offre splendide armonie vocali, con il lavoro percussionistico di Bill Berry che penetra fin nella spina dorsale... D'altro canto, "Radio Song" è giusto quel che si perita di essere: una canzonetta adatta alle stazioni FM per i gusti easy. Ma quante ne sentite di canzonette così piacevoli, alla vostra radio?
No, Out Of Time non è un album perfetto come Automatic For The People, ma non si tratta neanche di "uno strano, piccolo disco". È, piuttosto, un meritevole saluto di benvenuto agli Anni Novanta ancora freschi di rugiada.   
                            A MUST!

AUTOMATIC FOR THE PEOPLE        
Automatic For The People ('92) è una raccolta di canzoni tutte bellissime, senza eccezioni: "The Sidewinder Sleeps Tonite" (in cui c'è il richiamo a "The Lion Sleeps Tonight"), "Everybody Hurts" (chi non ricorda il suggestivo video girato per questa song? È quello in cui Stipe & Co. escono da un'automobile bloccata nel traffico e si mettono a camminare sui cofani e sui tettucci delle vetture ferme), "Nightswimmer", "Man On The Moon" (eseguita a ogni concerto)... per non scordarci di "Daysleeper", storia di un uomo costretto a lavorare di notte e a dormire di giorno, e che si vede così sconvolgere il suo bioritmo. 
Una noticina a proposito del titolo: "Automatic for the people" è uno slogan inventato dal ristorante di Athens Weaver D's, che in questo modo, grazie ai R.E.M., assurse ai fasti di un'inattesa popolarità.
Da molte riviste specializzate fu votato "miglior album pop/rock degli Anni Novanta".         A MUST!



MONSTER   
Ehi! Questi quattro tipi della Georgia, nel profondo Sud degli U.S.A., sanno bene come si "rocka"!
Monster
(1994) vede i R.E.M. abbandonarsi al gioco (coatto, per ragioni contrattuali) di Doctor Jeckyll e Mister Hyde. Trasmutazioni psichiche e fisiche in seguito - probabilmente - a stress da tournée; o a terremoti emozionali causati da avvenimenti luttuosi nella loro sfera personale. Coerentemente al momento "alienante", il sound è quello tipico dell'hard rock. È quindi l'opera più "dura" mai sfornata dalla band.


Monster contiene l'irresistibile "What's The Frequency, Kenneth?", che secondo una delle tante  interpretazioni è dedicata a un DJ radiofonico picchiato a sangue da alcuni sconosciuti; uno di questi sconosciuti, a ogni colpo inferto, ripeteva: "Allora, Kenneth, di' adesso qual è la frequenza!" Ma alla song sono stati dati anche altri significati.

Inoltre:
"Let Me In": omaggio riverenziale - e fraterno - all'appena deceduto Kurt Cobain; con la chitarra di Buck stupendamente distorta.
"Crush With Eyeliner", "Bang And Blame", "I Took Your Name" e specialmente "Star 69" e "Circus Envy" sono suonate con gli amplificatori al massimo, risultando dunque tra le canzoni più "energiche" dell'intero catalogo dei R.E.M.
Ma anche i pezzi "lenti" ("I Don't Sleep, I Dream", "Strange Currencies", "Tongue", "Let Me In") sono intrisi di un'urgenza emotiva che solletica i nervi sensori del consumatore.

L'unica obiezione che posso muovere è che nella seconda parte dell'album Stipe sembra divenire più etereo, meno "presente". Forse il motivo deve ricercarsi nella scomparsa del suo amico intimo River Phoenix. Una nota all'interno della copertina dice che il disco è dedicato proprio allo sfortunato attore.

NEW ADVENTURES IN HI-FI   
New Adventures In Hi-Fi, del '96, è l'album preferito di Michael Stipe. Forse anche perché è tra quelli che costarono meno fatica per essere realizzato. La maggior parte delle canzoni furono registrate "on tour", e dunque in condizioni semicaotiche; molte di esse addirittura durante il soundcheck che precedeva le esibizioni della band. Da qui, la loro indubbia spontaneità. Non proprio entusiasmante comunque gli incassi ricavati...
Highlights:
"E-Bow The Letter", una delle canzoni più interessanti in assoluto dei R.E.M., con Peter Buck come ideale gregario  e Patti Smith - musa ispiratrice di Stipe - a fornire il background canoro. "E-Bow The Letter" ha uno dei testi più suggestivi - quanto bizzarri - del repertorio di Stipe:

I don't want to disappoint you,
I'm not here to anoint you,
I would lick your feet,
but is that the sickest move...

 
L'album raggiunge la vetta con "Leave", canzone epica della durata di 7 minuti. 
 
Altre songs:
"Low Desert," "Binky The Doormat" e "So Fast So Numb"
: pezzi dal sapore fortemente "on the road" che richiamano reminiscenze di Dylan e dei Rolling Stones. "How The West Was Won...", che ci immerge - come "E-Bow The Letter" - in un'atmosfera dark, fa capire quale grado di saggezza e maturità abbia raggiunto la band. "Electrolite" (il track conclusivo) lascia una porta aperta verso nuove esperienze creative ed esistenziali, con il suo invito alla semplicità e alla chiarezza di mente: "I'm not scared - I'm outta here".


 

UP   
Copertina orribile, album non meno discutibile. Up ('98) è un'opera a suo modo coraggiosa che abbraccia diversi generi, dal folk acustico all'elettronica. E proprio qui sta il cruccio: nell'elettronica... non sembra a volte di udire l'eco di Enya? O le musiche da film di John Barry? Ma i gusti son gusti... C'è addirittura chi trova Up un album ben riuscito... Intanto, però, l'unica vera song riconducibile ai livelli "comuni" dei R.E.M. è "Lotus", che, guarda caso, è pure l'unico pezzo realmente rock.

Up
è il primo lavoro dei R.E.M. senza Bill Berry. Contrari a voler sostituire l'amico batterista, il gruppo usò per quasi tutti i tracks una "drum machine". Purtroppo per loro, il disco fu pubblicato in un frangente poco propizio, ovvero mentre in America imperversava il butt rock, ossia l'heavy metal più monodimensionale che si possa immaginare. Come il precedente - ma ben più meritevole - New Adventures in Hi-Fi
, anche Up, dunque, non fece andare in tilt i registratori di cassa. Tranne che in Europa. Nel Vecchio Continente, infatti, la band conta ormai più aficionados che in patria...
Come c'era da attendersi, l'assenza di Bill Berry si è fatta sentire, eccome! Riusciranno i nostri (ridotti a "un cane a tre zampe") a risolvere il gravoso problema?


 

REVEAL   
Sìiiii! Il Nuovo Millennio comincia ottimamente. Reveal (2001) è, qualitativamente, senz'altro all'altezza di Automatic For The People, pur se imbottito di idee musicali simili a quelle che caratterizzano Up. Eppure, gli ingranaggi sono  tornati a funzionare.

"Se il nostro ultimo album era Marte, Reveal è Nettuno."
                            (Michael Stipe)


 
"All The Way To Reno" e "Summer Turns To High" (melodico tributo a Brian Wilson, così come lo è, in maniera più palese, "Beachball") valgono già da sole il prezzo dell'intero disco. Anche "Disappear", "Beat A Drum" e "Imitation Of Life" sono splendidi tracks, sebbene somiglino a imitazioni di trascorsi successi (ma forse è proprio per questo che riescono a piacere?). Sopra a tutti bisogna comunque porre "I've Been High", "Chorus And The Ring" e "I'll Take The Rain" (forse la più bella "sad song" dei R.E.M.), ballate dal ritmo tranquillo che trasudano forte emotività.
               

I used to think, birds take wing, 
they sing through life,
so why can't we?

                  (Da: "I'll Take The Rain")
                                                                              A MUST!


Nel 2002 i R.E.M. si aggregano al fitto coro antibellico offrendo sul loro sito WEB la canzone "Final Straw", "free to download".

"Final Straw", esplicita condanna del conflitto in Irak, recita: "Now I don't believe and I never did / That two wrongs make a right / If the world were filled with the likes of you / Then I'm putting up a fight... / Then I raise my voice up higher / And I look you in the eye / And I offer love with one condition / With convinction, tell me why."
Parole acide a Bush e alla sua politica. Con ciò, il gruppo si riallaccia direttamente alla rabbia che aveva espressa nella metà degli Anni Ottanta in Lifes Rich Pageant e in Document, due album che denunciavano i giochi paranoici del potere ("Exhuming McCarthy"), l'ingordigia ("Hyena"), l'imperialismo stelle-e-strisce ("Welcome To The Occupation"; "Flowers Of Guatemala"), l'inquinamento ("Cuyahoga")... Erano i giorni in cui Stipe cantava, in "These Days" (nell'album Lifes Rich Pageant): "We are young despite the years / We are hope despite the times..."
Dall'era Reagen a Bush junior, ben poco è mutato
intorno alla band di Athens, Georgia. 

                                                

Fino al 2011, anno del loro scioglimento ufficiale, i R.E.M. rimangono un trio, fedeli alla loro volontà di non rimpiazzare Bill Berry; ma ovviamente si avvalgono di talentuosi support musicians, sia nei concerti che durante le session in studio. Malgrado il crescente proliferare di gruppi interessanti (Radiohead, Coldplay, Traves, Turin Brakes, Arab Straps, ecc.), Stipe & Co. riescono a mantenere una propria identità - o, più esattamente, uno stile ben definito. Stile che, a conti fatti, si basa sulla personalità del loro lead singer e "poeta" (Stipe, appunto).
Fin dall'inizio Stipe scrive testi che, impreziositi di termini colti, metafore ardite e riferimenti a fatti e persone reali
, possono considerarsi delle piccole composizioni letterarie. Soprattutto i versi ermetici dei primi lavori della band hanno richiesto e richiedono un intenso lavoro di ricerca - ed interpretativo - da parte di biografi e di fans... E quanto, non può essere inteso subito, viene poi spiegato da Buck, Stipe e Mills nelle loro tante interviste. Che sono sempre piacevoli e istruttive.
...A meno che uno non la pensi come
Elvis Costello, il quale arrivò ad affermare: "Ammiravo Stipe molto di più quando i suoi testi rimanevano per me degli indovinelli. Poi si mise a rivelarne il significato, ed essi hanno smarrito per me il loro fascino"...

                                       




            Hanno detto di loro

"In certi momenti non si può fare a meno di pensare che a questo mondo non ci rimane più alcun amico, nessunissimo alleato. Ma poi scopriamo che esistono ancora i R.E.M.... Questi ragazzi di Athens, Georgia, non smetteranno mai, per nostra fortuna, di esprimere continuamente la loro opinione." (Bill Bragg)

"I R.E.M. mi piacciono perché sono affidabili al massimo, non mentono mai e sono meritevoli di fiducia." (Mark Eitzel)

"È ammirevole la maniera in cui i R.E.M. si confrontano con la propria popolarità: sono come santi..." (Kurt Cobain)

"Una volta per tutte: noi non useremo mai le nostre canzoni per uno spot pubblicitario! Basta, chiuso, finito. Abbiamo ricevuto delle offerte considerevoli per questa o quell'altra song, ma abbiamo un conto in banca abbastanza congruo,  quindi a che pro' venderle? Sarebbe ingiusto mettere a repentaglio l'integrità della band." (Mike Mills, 1996)

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sabato, gennaio 07, 2023

La canzone del dopobomba: "Morning Dew"

 Morning Dew = rugiada del mattino


Fu la cantautrice canadese Bonnie Dobson a scrivere "Morning Dew", canzone nota anche come "(Walk Me Out in the) Morning Dew".


Il testo, su melodia folk, racconta una conversazione immaginaria in un mondo post-olocausto nucleare. 

Originariamente registrata dal vivo come esibizione da solista, abbiamo qui, nella perfetta tradizione delle canzoni di protesta di quell'epoca, la voce di Dobson e la sua chitarra acustica.



Nel 1962, "Morning Dew" fu inclusa nell'album Bonnie Dobson Live at Folk City. Successivamente, la canzone è stata registrata da altri musicisti folk e rock contemporanei, inclusi i Grateful Dead nel loro album di debutto, che l'hanno adattata utilizzando un arrangiamento rock elettrico.




lunedì, aprile 04, 2022

In Italia non mancano i talenti e neppure la genialità. Anzi!

 Coraggioso e originale: doppio album dell'ex frontman dei Forza Maggiore, tra sperimentazione, cantautorato e jazz-rock


Doppio album stavolta per Francesco Chiummento: The Story Of Daniel sposato a Resilience ("Dedicated to Greta Thunberg"). Il cantante-metalmeccanico - ma ha lasciato la fabbrica ormai da anni - raggiunge sicuramente così il clou della sua carriera artistica. Testi molto interessanti (c'è una forte componente ambientalista), e una bella confezione con grafica di ottima qualità a racchiudere / a testimoniare / l'originalità di questo singer-songwriter e del suo flauto.



Per ordini: www.facebook.com/francesco.chiummento



The Story Of Daniel 


Daniel (forse l'alter ego dell'autore) è un operaio che usa esprimersi in modo aristocratico, uno che esce fuori dai ranghi anche se ha un carattere riservato. Lascia l'industria, diventa autista... il curriculum di tanti di noi, costretti sempre a reinventarci, a riciclarci. Anche nell'ambito delle relazioni amorose, quest'uomo non ha una biografia straordinaria: lui e la moglie - con la quale ha tre figli - vivono separati. Come spesso accade, arriva una seconda donna, una creatura molto bella ("Francy") ad allievare la solitudine di Daniel, ma anche tale relazione si svolge tra troppi alti e bassi. In un momento di crisi esistenziale, una luce abbaglia il protagonista, tuttavia il presunto prodigio sembra non aiutare come dovrebbe: Daniel si smarrisce ugualmente in una "selva oscura". Vorrebbe avere ali per volare... E, finalmente, ritrova se stesso, in qualche modo, in "I look for my becoming".


In questo che possiamo definire un concept, ci si presenta un Chiummento quale tipico esempio di espressionismo musicale tradotto in canzoni. Il nostro amico lotta a favore dell'ambiente e contro gli "esperimenti insensati". È un cantante, un poeta al fronte, sostenuto dalla passione e... che sa circondarsi di musicisti più che buoni.



Responsabili per la parte sonora sono, in questo caso, oltre allo stesso Francesco Chiummento, Mirko Jymi (tastiere, chitarre e arrangiamenti in cinque dei nove brani) e Alex Catania (tastiere, chitarre e arrangiamenti nei restanti quattro). 


Scorriamo  The Story of Daniel  brano per brano.


La cacofonia colta dell'incipit ("Introduction into the Chamber One") ci traghetta nella storia vera e propria. Parte "Daniel": il flauto discorde di Chiummento copre un buon groovy, il quale a sua volta accompagna un testo cinico e che va come un bisturi dentro il corpo di un'esistenza scombinata. Quando il jazz attacca veramente, ogni cosa sale anche di livello... La traccia è dotata di una bella coda, breve ma efficace.

03: "Bersaglio mobile". Come nella canzone precedente, qui è l'impetuosa chitarra di Alex Catania a impreziosire la composizione, su un testo che tra l'altro recita:


La vita mi sta presentando il conto

a volte è come la tela di un ragno

se potessi cancellare tutti i miei

problemi con anatemi 

eppur sento che devo agire 

mi sembra di morire 

dove dove ritrovar l'ardire.


"Francy" chiude questa piccola trilogia di canzoni che vedono Alex Catania al timone insieme a Chiummento.

"La luce", "Selva oscura" e "Voglio le ali per volare" (rispettivamente quinto, sesto e settimo pezzo del disco) vedono invece Mirko Jymi sulla tolda del comando, e dunque ora sono le atmosfere tastieristiche del maestro italo-brasiliano a contraddistinguere questa frazione del viaggio di Daniel. In "I look for my becoming" ritorna l'energia rock di Alex Catania.  

L'album ha una degna e davvero eccellente chiusura: "Oblio", un "instrumental" che riesce a donarci un trip tra il mistico e il colorato/etnico.





Resilience


Resilience ha diverse chicche. Cominciamo da "Poiana" (traccia numero 9), brano che dovrebbe essere suonato da tutte le radio. Molto bello, con Marco Bruno al flauto, Riccardo Moffa alla chitarra e Paolo Ricca alle tastiere. Sorprende che questo disco sia considerato un "allegato" a The Story of Daniel, poiché è come minimo dello stesso livello. Il lungo "Resilienza" che apre l'album offre, nei suoi 10 minuti, un'atmosfera variamente bucolica. Poi veniamo proiettati in una grande città, dentro qualche club di jazz... 10 minuti trasognati con buone tastiere e una tromba fantastica (Paolo Raineri).



"Vidi l'uomo": un brano in sostenuto, tragico. Con l'ottimo tappeto sonoro e i riusciti arrangiamenti di Mirko Jymi (tastiere, chitarra) e di Paolo Ricca.

"Kaos", terzo brano, vede ancora Paolo Ricca e Paolo Rainieri protagonisti musicali per uno spartito tra jazz e ambient. Testi di Michele Macoratti.

"Progresso": canzone che esalta le qualità canore di Francesco Chiummento, su testo ancora di Macoratti, con la splendida chitarra di Riccardo Moffa a creare le parentesi musicali giuste.

Con "A questo punto" il ritmo viene accelerato. C'è di nuovo Moffa alla guitar a far risaltare e sottolineare la protesta del cantante contro la dissoluzione della natura e della società. 

"Scherzo" è un bell'intermezzo senza parole, anche se vi è presente la voce di Chiummento, e introduce un grande brano: "Alla ricerca della luna", il nostro preferito insieme a "Poiana". Strepitosa qui la voce di Stefania Lapertosa; e anche Chiummento sembra vocalmente superarsi. Un pezzo assolutamente preponderante, e da trasmettere ovunque.

Da questo momento, inizia tutta una serie di titoli e composizioni di peso, molto significativi: "Viaggio a Giakarta", deliziosamente orientaleggiante (Paolo Ricca, Riccardo Moffa); il sunnominato "Poiana", bellissimo brano. Il leggermente fuori di sesto "Guarda", con lo straordinario violino di Lautaro Acosta a mantenere gli equilibri. Molto riuscito "Clark and Joy", un bel rock che è sostenuto dalla chitarra di José Perfetto. Si ritorna ad atmosfere magicamente esotiche, meno occidentali insomma, con "Song of Tatanka Lyolanka", una delle narrazioni più poetiche e piacevoli dell'album. L'elettrica di Marco Roagna è qui co-protagonista. La relativamente breve "Ashantarantarantan" è un'altra delle immersioni meditative nell'Asia più estrema di Chiummento, e fa da apripista a "New Reasons" e "Costruire", sicuramente tra le migliori canzoni mai prodotte da questo artista (si passa dall'inquieta e tormentosa "malattia" dell'uomo moderno ["New Reasons"] a un inno di speranza ["Costruire"]).


 Francesco Chiummento


L'output di Chiummento, pur rifacendosi alla tradizione del rock / del rock d'avanguardia,  rompe con tutti gli elementi convenzionali della convenzionalità. Non tanto nella forma (che comunque nel suo caso non risulta irrigidita) quanto più nell'atto esecutivo.











Francesco Chiummento. Brevi cenni biografici.


                       I soldi sono pochi e l'arte è tanta...


Francesco Chiummento (classe 1954) è un operaio - o, meglio, ex operaio - con la passione per la musica. Ha lavorato per oltre 40 anni in fabbrica come elettromeccanico; l’ultima sua esperienza è stata la Thyssen Krupp di Torino, dove nel 2007 morirono sette operai.

Il suo grande amore per l'universo dei suoni e il suo incontenibile impulso creativo lo ha portato a suonare in diverse band torinesi fin dal 1975, nonché a incidere alcuni dischi autoprodotti. Nel 2001 ha vinto il premio della critica al “Premio Ciampi” di Livorno. Alcuni suoi dischi solisti: Segnali di pace, Delirio, Il Viaggio, Resilience/The Story of Daniel.


    Alcuni nostri altri articoli rapportabili all'artista:

                               L'album Segnali di pace 


Francesco Chiummento - "Il vuoto dentro" (brano sull'alienazione e la solitudine)


                          L'album Il Viaggio



      Link fondamentale:

Francesco Chiummento su Bandcamp




Resilience / The Story of Daniel

PROGETTO GRAFICO: Gaia Chiummento e Gabriele Pellistri

COPERTINA THE STORY OF DANIEL: Cosimo Malorgio

COPERTINA RESILENCE: Gaia Chiummento

FOTO: Alex Catania, Roberta Rustico

STAMPA DISCO: CD Click, Formello, Roma

SUPERVISIONE DISCHI: Mirko Jymi e Paolo Ricca


                                    Ordina a: www.facebook.com/francesco.chiummento




domenica, aprile 04, 2021

Auguri, Francesco De Gregori!

 Uno dei cantautori che ci ha dato di più


   "Viva l'Italia"


Francesco De Gregori è nato a Roma il 4 aprile 1951. Dunque oggi celebra il compleanno (è il 70°). Noi ci uniamo agli auguri e alle celebrazioni riproponendo alcuni suoi brani.

   "Niente da capire" ("Le stelle sono tante...")

   "Alice non lo sa"

   "Pablo"

De Gregori inizia a suonare al Folkstudio di Roma dove conosce, tra gli altri, Antonello Venditti, con il quale pubblica il primo album nel 1971 (Theorius Campus). Il debutto da solista è nel 1973 con Alice non lo sa ma il vero successo arriva due anni dopo con Rimmel, che diventa uno dei dischi più venduti del decennio. Nella sua carriera ha pubblicato 21 album in studio più 16 live, testimonianza delle sue esibizioni dal vivo e delle tournée condivise con amici e colleghi, da Lucio Dalla (celebre il 'Banana Republic Tour') a Pino Daniele.

   "Quattro cani"

   "Rimmel"

   "Pezzi di vetro"

   "La casa di Hilde"

L'ombra di mio padre due volte la mia
Lui camminava ed io correvo
Sopra il sentiero di aghi di pino
La montagna era verde
Oltre quel monte il confine
Oltre il confine chissà
Oltre quel monte la casa di Hilde
Hmm, hmm, hmm, hmm, hmm
Hmm, hmm, hmm, hmm, hmm

Io mi ricordo che avevo paura
Quando bussammo alla porta
Ma lei sorrise e ci disse di entrare...


 

   "Piccola mela"
 

                                                                                                                                                                      


                                                                                                                                                                                 

   "Generale"



martedì, aprile 14, 2020

Musica leggera. Un ricordo di Tony Mimms

Calò in Italia a metà degli Anni Sessanta con quell'orda di gruppi inglesi che avrebbero portato il beat nella nostra penisola. Allora si chiamava ancora Anthony Rutherford, era nato a Glasgow in Scozia e il suo strumento originario, quello con cui aveva imparato a suonare, era la tromba.





Con il suo gruppo The Senate, insieme al cantante e chitarrista Alex Ligertwood (poi con Jeff Beck, nell'Oblivion Express di Brian Auger e nei Santana), al tastierista Mike Fraser (più tardi nei Primitives e quindi negli USA con Stevie Wonder e con l'Average White Band) e a Robbie McIntosh alla batteria, ebbe poco o discreto successo. Solo un single da citare: "L'ombra di un lontano amore". Da notare che, prima di entrare nei Senate, Tony Mimms aveva suonato con Solomon Burke, The Drifter, Ben E. King, Duane Eddy, Lee Dorsey e tanti altri.



 The Senate


I Senate si sciolsero nel 1970. McIntosh andò nei The Primitives di Mal (e soprattutto negli Oblivion Express: poi nella White Average Band, come Ligertwood e Fraser... morì purtroppo per una overdose nel 1974. Sul gruppo e sulla variegata carriera dei suoi componenti, esiste una pagina web che ne parla con ricchezza di dettagli), mentre Anthony Rutherford, alias - appunto - Tony Mimms, fece due dischi da solista, uno dei quali con l'apporto dei Pyrañas, per poi entrare nella RCA come arrangiatore.





Arrangiò album e singoli a volontà. Da ricordare: Volume VIII e Rimini, di Fabrizio De André (il quale lo definiva un "grandissimo musicista", capace di scrivere "le partiture d'archi come i fiati"), nonché gli LP di Claudio Baglioni Questo piccolo grande amore e Gira che ti rigira amore bello, aiutando così il cantautore romano ad avere successo. Oltre la collina, primissimo album di Mia Martini, fu altresì arrangiato da lui, insieme a Jenny e la bambola degli Alunni del Sole... Lavorò inoltre molto con Gianni Morandi; e con Dino, Nada, Mal, i 4 Kents, Gilda Giuliani... Ivan Graziani... Per Mina arrangiò "Ancora dolcemente", dall'album Singolare. Vanta inoltre collaborazioni con Adriano Celentano, Loredana Bertè (in pratica, tutti i grandi successi della Bertè furono arrangiati da Tony Mimms), Renato Zero, Camaleonti (...e camminiamo, LP che fa parte della seconda vita del gruppo, con incroci pop-prog; per quell'album, compose la musica della seconda traccia, "Ho scelto lei"), con Mario Lavezzi, Alberto Radius, con i Blizzard meglio noti come i Cyan (gruppo di supporto di Patty Pravo e che alla fine degli Anni Settanta avrebbero partecipato, in qualità di musicisti di Francesco De Gregori, al tour Banana Republic). E altri ancora.





"Vuca (Wake up)" fu un suo singolo fortunato. L'album S.O.S., suo secondo LP, conteneva nel titolo un messaggio non proprio recondito, che suggeriva una situazione non felicissima. Tony Mimms conobbe infatti diversi periodi bui... e non certo per il lavoro! Anzi: quello andava bene. Arrivò anche a comporre musiche per programmi televisivi della RAI.





Noi lo abbiamo "scoperto" perché il suo nome stava tra i titoli di testa di un film di Celentano, Geppo il Folle, dove era indicato come "Anthony Rutherford Mills".





Morì il 31 gennaio 2005 a Roma, mentre andava a prendere un caffè dopo aver lasciato lo studio di registrazione dove lavorava. A ucciderlo fu un pirata della strada.





Arrangiata da Tony Mimms. È la canzone degli Alunni del Sole "Un'altra poesia" (1973).

  Anche qui c'è lo zampino di Tony Mimms, come conduttore e per l'arrangiamento: "Io me ne andrei" di Claudio Baglioni (1973).

  Arrangiato da Tony Mimms: il brano "Ancora dolcemente", nell'album di Mina dal titolo Singolare (1976).

Anche questo arrangiato da... già, lui. "Dedicato", brano di successo di Loredana Bertè nell'album Sei bellissima. Musica e parole di Ivano Fossati. Producer: Mario Lavezzi, che ne è l'arranger insieme a Anthony Ruderford Mimms.