Visualizzazione post con etichetta nazismo. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta nazismo. Mostra tutti i post

venerdì, giugno 25, 2021

"Doktor Goebbels Jazz Orchestra"

Queste pagine sono tratte da Doktor Wolf - Storia di Hitler e del nazismo, disponibile su Amazon Kindle.

La Seconda Guerra Mondiale fu condotta anche nell'etere. Il mezzo radiofonico sembrava fatto apposta per la propaganda all'estero. Joseph Goebbels, giusto a scopo di mistificazione e diffusione dell'ideologia bruna, inventò un "jazz del Reich". Consisteva in celebri brani jazz dal testo riveduto e corretto. Spesso le parole delle songs erano macabre: "Fronte rosso, fronte rosso, molto sangue sparso...". Di questo macchinario per le terre oltreconfine, costituito da un'emittente che trasmetteva prevalentemente in inglese, i comuni cittadini del Terzo Reich non sapevano nulla. A loro, anzi, veniva negato assolutamente di andare in escandescenze per lo swing degli americani.


Nella terminologia nazionalsocialista il jazz era "musica negro-americana". In Germania veniva permesso solamente un tipo di jazz moderato. Erano del tutto vietate le jazz sessions, espressione del vero e proprio "jazz negro". I musicisti all'avanguardia non ebbero vita facile. Molti, ebrei ("meticci di secondo grado"), furono trascinati nei campi di concentramento, dove venivano costretti a suonare. Quasi nessuno di loro sfuggì alla morte.
Nonostante le minacce e le repressioni, in Germania non mancarono comunque gli ammutinamenti. Una sera in cui il locale Delphi di Berlino (che nel 1943 era una metropoli di 4 milioni di abitanti) era pieno zeppo di soldati in licenza – perché feriti –, la band attaccò improvvisamente un genere di musica finora poco conosciuta dagli spettatori. Era un jazz negro. La gente smise di ballare e si accalcò sotto il palco, stregata. Col passare dei minuti il ritmo divenne indiavolato: un susseguirsi di note scoppiettanti, una delizia acustica che entrava nelle vene. L'esecuzione era straordinaria, soprattutto per quei giorni in cui ogni suonatore doveva adattarsi a strumenti che non gli erano congeniali (il trombettista, ad esempio, doveva sapersela cavare anche col trombone). Fu un trionfo. Ma il rischio corso era troppo grande e quella fu una delle poche "insurrezioni". Di solito i musicisti non superavano mai il livello di guardia: i censori stavano all'erta.
Goebbels si era accorto che il jazz piaceva agli avieri. Lui stesso non era sprovvisto del senso della musica e il fatto che possedesse anche un filino d'umore, seppure in maniera contorta, è avallato dal piacere evidente che ricavava dal Grande Dittatore, che vedeva e rivedeva in un cinema privato sbellicandosi dalle risa.


Convocò dunque un manipolo di jazzisti alla Haus des Rundfunks della capitale e, sotto vigilanza delle SS, fece eseguire alcune canzoni che venivano immediatamente irradiate verso il territorio nemico. La musica era quella degli americani, mentre il testo era un insieme di frasi che rifacevano il verso a Cole Porter e altre stelle yankee, distorcendo il significato originale. "Tu sei eccezionale, tu sei un aviatore tedesco..." Il canto era sempre in inglese.
L'ammirazione dei tedeschi per i britannici, per lingua, usi, caratteristiche, ha radici che affondano in tempi di gran pezza tramontati. Molti militari del Terzo Reich vivevano una sorta di sdoppiamento della personalità: da un lato c'era il loro apprezzamento per gli inglesi e dall'altra c'era l'amato Führer, il grande costruttore di autostrade. Quando l'aviazione tedesca bombardò Londra e altre città della Terra d'Albione, venne inaugurato un nuovo, truce capitolo negli annali della guerra aerea. La Germania avrebbe poi conosciute sulla propria pelle le tragiche implicazioni di quell'affronto: le bombe di marca tedesca tornarono al mittente in quantità molto ma molto maggiore. Abbiamo già detto di Dresda, ma anche altri luoghi conobbero l'inferno della vendetta. Su Berlino si abbatterono in una sola notte 900 tonnellate di bombe inglesi... Come dicevamo, gli aviatori tedeschi facevano il verso ai britannici in tutto; non solo coltivando gli stessi gusti musicali. Quando Parigi fu occupata, si videro piloti della Luftwaffe girare in Rolls Royce per le avenues; e al collo portavano sciarpe azzurre, alla maniera dei piloti d'Oltremanica. Che cosa pensarono, quando fu loro ordinato di attaccare l'inghilterra? Erano forse talmente imbottiti di droga da essersi resi scevri di ogni sentimentalismo?




Alla propaganda nazista a colpi di jazz si opponeva la psy war degli anglosassoni. Attraverso le loro trasmissioni per la Germania, gli Alleati perseguivano la speranza di potenziare la resistenza intestina contro il regime hitleriano. La scaletta comprendeva programmi divulgativi e news che fornivano agli oppositori di Hitler solidi controargomenti al nazionalsocialismo e li aiutava a non sentirsi da soli, arroccati su posizioni disperate. Nel suo diario, Anna Frank annotava (giugno 1943): "Quando si è demoralizzati, aiuta non poco la voce magica che arriva dall'etere, che sempre ci infonde coraggio e ci fa intendere: 'Mai lasciarsi andare! Verranno giorni migliori!'".
Fin dal primo giorno di guerra vigeva in Germania il divieto di sintonizzarsi su antenne straniere. Il castigo per i "delitti radiofonici" era severissimo: in alcuni casi fu applicata persino la pena capitale. In barba a ciò, molte persone vollero mettere a repentaglio la propria vita. La radio era rimasta l'ultimo legame con il mondo libero, l'unica opportunità di ascoltare opinioni e vedute differenti da quelle di Hitler e del suo Propagandaminister. Nel gergo degli iniziati, l'ascolto clandestino veniva detto "inalazione d'inglese": perché si origliava la voce di Radio Londra tenendo la testa sotto una coperta.



Radio Lussemburgo irradiava programmi in tedesco, redatti e parlati da tedeschi esiliati. E psy war era condotta anche dall'America, basandosi su uno schema semplice: venivano lette notizie autentiche, news vere, senza troppe spiegazioni e senza abbellimenti; gli ascoltatori avrebbero dovuto trarre da sé le conclusioni.
Era la stessa falsariga della BBC, l'emittente più seguita. I programmi di Radio Londra iniziavano con gli inconfondibili colpi di timpani: tre brevi e uno lungo, che riprendevano le prime battute della Quinta Sinfonia di Beethoven ("del Destino") e ricalcavano la lettera 'V' dell'alfabeto Morse – 'V' come "Victory". Una delle armi principali della guerra psicologica condotta dalle rive del Tamigi erano gli sketch satirici. Alcuni personaggi stereotipati (un astuto caporale, una casalinga irrispettosa, due politici da bettola berlinesi) divennero assai popolari, perché commentavano gli avvenimenti in corso facendo divertire l'audience. Per la BBC lavoravano numerosi tedeschi e austriaci.
Altre stazioni radiofoniche molto attive furono Radio Mosca e Germania Libera. Dai microfoni anti-Hitler risuonarono le voci di Thomas Mann («Ascoltatori tedeschi!»), del teologo Paul Tillich (che presentò un programma memorabile) e di Wilhelm Pieck, segretario del Partito Comunista Tedesco. Furono prodotte piccole commedie e canzoni politiche, venivano mandati messaggi di conforto ai soldati prigionieri e venivano lette le ultime novità dalla linea di fuoco.
Ma anche le trasmittenti naziste vibravano senza sosta. Furor teutonicus si fiondava oltre i confini del Reich. Vennero ingaggiati attori che padroneggiavano l'inglese per scenette che prendevano in giro gli uomini politici britannici. Un esempio: Churchill sta facendo il bagno quando un ministro tutto affannato si presenta al suo cospetto. «Signor Churchill, i tedeschi hanno decimato la nostra flotta!» E Churchill ribatte: «Beh, accidenti, porgimi un sigaro e una bottle of whisky».
Prigionieri di guerra erano spinti fin davanti ai microfoni goebbelsiani e costretti ad annunciare che stavano bene e che beneficiavano di un trattamento eccellente: «A good life». Tali programmi andavano in onda regolarmente ed erano seguiti dai parenti dei prigionieri in Europa e in America.
A cominciare dal'42 il governo di Roosvelt fu il bersaglio preferito della propaganda nazista. «Roosvelt è ebreo» veniva decretato. E il testo di una canzone jazz faceva così: "Gli ebrei hanno tutti i motivi per rallegrarsi, loro hanno un nuovo erede e capo: Mister Roosvelt Jones, che manda milizie nel Vecchio Continente per difendere la causa giudea".
Il gruppo di Charlie & His Orchestra suonava per il "Deutschen Kurzwellensender" (emittente a onde corte) in estemporanea. Charlie & His Orchestra era una big band con musicisti tedeschi e stranieri: ne facevano parte belgi, olandesi e italiani. Il "Charlie" che dava il nome all'ensemble era il cantante Karl Schwedler. Era soprannominato "Charlie" perché era stato negli Stati Uniti d'America. Era anche colui che scriveva le lyrics (spesso razziste) delle canzoni. Il più celebre dei membri fu però un altro Charlie: Charlie Tabor, suonatore di tromba il cui destino era di rimanere in attività fino a età inoltrata. Tabor avrebbe partecipato a molti film e programmi televisivi della Germania Occidentale (soprattutto nei decenni Cinquanta e Sessanta).



Questi musicisti in un primo tempo furono lieti che fosse loro consentito di suonare musica americana, guadagnando niente male. Nel '41, nel '42, molte delle migliori orchestre jazz europee si esibivano in locali esclusivi della capitale tedesca. Al Roswitha Bar primeggiava quella di Tullio Nobilia, formata da soli italiani. Ma Charlie & His Orchestra (con Nino Impallomeni alla tromba) offriva senza dubbio il jazz migliore. Anche al di fuori del palcoscenico, gli elementi armonizzavano perfettamente. Mario Balbo, sassofonista, era il buffone della compagnia, sempre predisposto agli scherzi. Una volta Charlie e consorti scesero a una stazione metropolitana ribattezzata "Piazza Adolf Hitler". Dopo aver guardato meglio, si accorsero che Platz non era scritto correttamente: qualcuno aveva aggiunto una 't', e la parola adesso era 'Platzt'. Il tutto si leggeva: "Scoppia Adolf Hitler". Autore di questo tiro mancino era stato... Balbo.
Quando cominciarono i bombardamenti su Berlino, trasmettere dal vivo risultò ostico. Ogni giorno si susseguivano fino a cinque allarmi. La metropoli fu presto una miriade di residui, schegge, rottami. Mentre la popolazione crepava, Charlie & His Orchestra dovevano cantare, cinicamente, Let's go bombing, sul motivo di Let's go slumming di Irving Berlin.
Parecchie città tedesche erano dissestate, le strade e i quartieri non più riconoscibili; tuttavia, nei cinegiornali, girati soprattutto per l'estero, si vedeva una Germania tranquilla e ricca: sfilate di moda con ragazze semisvestite, spettacoli mondani di vario genere, sequenze di benessere e signorilità accompagnate dalla voce allegrotta dello speaker. Per la maggior parte del tempo i musicisti se ne rimanevano in un bunker a giocare a scacchi e ad annoiarsi. Finché ognuno di loro non ricevette una lettera di trasferimento. "Herr Impallomeni... trasferito a Breslau." Il termine "trasferito" (abkommandiert) suonava come un ordine. Nessuno poté dir di no: d'altronde, lavoravano per il ministero di Goebbels... anche se alcuni, fino a quel momento, sembravano averlo ignorato. Per la burocrazia nazista, i componenti di Charlie & His Orchestra occupavano lo stesso rango di soldati regolari.
Furono convogliati verso la Svevia, dove suonarono a Radio Stoccarda. Quando Badoglio, nel 1943, firmò il trattato di collaborazione con gli americani, il leader della big band assicurò ai musicisti italiani che non avrebbero rischiato rappresaglie da parte dei nazisti. «Nell'eventualità che qualcuno voglia crearvi seccature, potete sempre dire che lavorate per il Ministero della Propaganda.»
Swing e jazz continuarono a dilagare imperterriti. Dal 1939 alla fine della guerra, la 'Doktor Goebbels' Jazz Orchestra' (com'era altrimenti detta) non smise mai di eseguire in radio melodie già affermate su testi nuovi che avrebbero dovuto demotivare i nemici.
Il complesso rimase attivo anche dopo l'occupazione americana. A Ludwigsburg e in altre città del meridione tedesco, Charlie & His Orchestra, con un nuovo repertorio e alquanto rimaneggiati (alcuni suonatori se l'erano svignata dopo il tracollo della Germania), intrattennero i soldati occupanti. Nel giugno del '45 l'ensemble era ridotto a un quintetto. Due dei suoi elementi erano tedeschi (uno era Fritz "Freddie" Brocksieper, il batterista). I tedeschi venivano "coperti" dai loro compagni, due italiani e il pianista, olandese. Neanche quest'ultimo poteva certo lamentarsi, dato che in quel frangente postbellico, ad Amsterdam, più di 1.000 persone morivano d'indigenza. «Non vi preoccupate» dicevano ai due tedeschi. «Per quel che ci concerne, voi non siete tedeschi ma turchi
Come può un musicista giustificarsi per essersi messo al servizio di una dittatura? Ci riesce dicendo che vi è stato costretto. Spiega, a chi glielo chiede, che i musicisti, per natura, si occupano puramente di musica e che la politica non li stuzzica. È quel che fecero i componenti di Charlie & His Orchestra. I componenti restanti, cioè. Che erano stati contenti che persino sotto la svastica fosse stato loro concesso di suonare, e suonare il genere per cui stravedevano. Grazie alla loro passione e alla loro abilità, avevano potuto evitare di combattere al fronte e avevano persino ricevuto un'ottima paga. Ora, con gli americani in casa, non gli continuava a mancare nulla: zucchero, caffè, carne e burro abbondavano, così come cigarettes e "occupation marks", le banconote stampate dagli Alleati.
Durante un'esibizione in un ristorante per militi U.S.A., un sergente stelle-e-strisce si alzò e incitò, con la voce grossa del vincitore: «Let's go play!» Al che il trombettista improvvisò un assolo che scatenò l'entusiasmo dei soldati e degli altri astanti, i quali smisero di desinare per tributare una standing ovation. Il sergente manifestò la sua riconoscenza consegnando al suonatore il lasciapassare (la "denazificazione" era in pieno corso) insieme a 47 sterline.



Anche negli Anni Cinquanta e Sessanta i membri della vecchia Charlie & His Orchestra, singolarmente o militando in altre formazioni, raccolsero consensi.
Della big band ingaggiata da Goebbels non si hanno molti documenti sonori. Ma dalle rarissime registrazioni si ricava il senso di vigore, di forza esplosiva... una musica che purtroppo impallidisce di fronte ai testi di contenuto nazionalsocialistico.



.


domenica, giugno 10, 2018

E=m·c²


Questo è uno dei capitoli del mio libro Doktor Wolf - Storia di Hitler e del nazismo,  che prossimamente renderò disponibile come eBook. Vi si parla di Hitler (in uno dei suoi periodi di prima che diventasse Führer e dunque "guida" della Germania) nonché di Albert Einstein.
Su Einstein - come sanno i miei lettori più fedeli - ho già pubblicato un lavoro. Per chi volesse leggerlo, si intitola Einsteiniana.




EINSTEINIANA (essay)   collana unQuartino




Contiene: 

 ***************** 'Einsteiniana', 
**** 'Einstein, la biografia speciale' 
******* e il videogramma 'Genius!'





... e quindi ecco, di seguito, il capitolo tratto da Doktor Wolf.





E=m·c²



«E non tralasci di parlare della teoria della relatività» mi raccomanda Rudnicki.
Ludwig Ludwig approva solennemente: «Ja, ja. Eisenstein».
«Quello era un regista russo» ride Paola.
«Esenin?»
«Un poeta. Esenin era un poeta.»
«Kalinstein» dico, cercando di partecipare allo scherzo. Ma così riesco solo a mandare su tutte le furie il Grande Vecchio.
E dunque: si era nel 1905 quando un ometto dai capelli folti e crespi, ebreo (ma ebrei erano anche Marx e Freud...), rese pubblica un'ipotesi di lavoro che nientificava tutto quello che, nella meccanica tradizionale, aveva attinenza con il problema del movimento. Sotto il titolo di Teoria della Relatività, quegli studi resero famoso il loro autore. Il quale cercò di evitare i bagni nella torma: piegato sulle sue carte, continuò a fare conti – si trattava di fisica? di pura matematica? – sobbalzando ogni qual volta un rumore giungeva dall'esterno. A quel punto tirava fuori il suo orologio da tasca senza catena e con coperchio a scatto, scrutava con preoccupazione il quadrante e la sua fronte si imperlava.
Il lavoro di uno scienziato non deve tener conto della morale; ma quanto più tranquillamente esso potrebbe svolgersi se i capi di governo non cercassero incessantemente di venire in possesso di qualche arma micidiale! Quanto più tranquillamente, se i magnati della finanza (Rockefeller, Rothschild, Montefiore, Hirsch, Guggenheim, Morgan) la smettessero di pressare e spolpare l’ingegno, sfruttandolo per i propri profitti!
Albert Einstein ricacciava nel panciotto l'orologio e tornava ai suoi manoscritti.
Fin da Newton, l'esistenza di una massa costante non era mai stata messa in discussione. La teoria dei quanti di Planck, insieme alle conclusioni tratte dal danese Niels Bohr circa l'autentica struttura degli atomi (e avvalorate da test in laboratorio), sbugiardarono lo scienziato inglese. Per Newton, la massa "definisce" anche l'energia cinetica. Ora, in seguito alle moderne conoscenze, ogni sistema possiede in sé, insieme all'energia cinetica, anche quella termica. Ambedue le energie sono inseparabili. Ciò considerato, se la massa viene rappresentata dall'energia pura, in rapporto alla condizione termodinamica essa non può risultare costante.
Con la teoria della relatività Einstein andò oltre. Basandosi sugli esperimenti di Michelson, che dimostrarono che la velocità della luce non si lascia influenzare dai movimenti dei corpi attraversati, negò la concezione di tempo assoluto. D'ora in poi, grazie anche alla matematica di Lorentz e Minkowski – che ricorre a unità di tempo immaginarie – (ormai pure i fondamenti del calcolo infinitesimale posti da Newton e Leibnitz non reggevano più), non esistono né lunghezze assolute, né corpi perfettamente statici. Viene a mancare anche la possibilità di determinazioni quantitative e quindi la nozione classica di massa quale rapporto costante tra forza e accelerazione.
Vista nel suo insieme, la teoria della relatività è una combinazione di arte matematica, intuizione fisica e profondità filosofica. Appaiono tuttora straordinari il cinismo e l'avventatezza di queste ipotesi, che ammettono addirittura casi in cui i termini "prima" e "dopo" possono capovolgersi. Differentemente dalle scoperte di Max Planck, conosciute solo da un ristretto circolo di esperti, la teoria della relatività fu uno dei temi colloquiali prediletti anche dai "non addetti". Niente riesce a catalizzare la mente umana più degli assiomi sullo spazio e sul tempo, tanto più se questi assiomi sono rivoluzionari. Era stato così anche all'epoca di Galilei e Copernico, quando il sistema astronomico venne mutato completamente.
Al subentrare del XX secolo il mondo fisico si presentava strettino. Einstein fece saltare le barriere visive, aprendo lo sguardo su nuovi territori, dilatando gli orizzonti. Contamporaneamente però smentiva gli assertori di un universo infinito: il firmamento aveva adesso un raggio di soli 108 anni-luce.
Guardava l'orologio; e forse si sentiva un pizzico colpevole. "Ancora quanto?" si chiedeva. E, mentre studiava e pensava, nell'Africa sud-occidentale tedesca erompeva la rivolta degli Ottentotti. L'esercito colonizzatore di Guglielmo II riusciva a tenerla a bada fino a spegnerne del tutto i focolari... In occidente la gente si spostava sempre meno in omnibus (il tram trainato da cavalli) e "scopriva" l'automobile. Per il suo dipinto Il Bacio, che mostra una ragazza nuda, Klimt dovette trascorrere tre mesi in gattabuia. Il Simplicissimus, un periodico umoristico la cui mordace ironia non risparmiava nessuno dei personaggi della politica e del costume sociale, raggiungeva tirature altissime. (La censura sapeva dove colpire e dove, all'opposto, chiudere un occhio o entrambi.)
Mentre Einstein/Nietsnie sudava sul quadrante dell'orologio, il nuovo secolo lasciava intravvedere quel che sarebbe diventato: un'era funesta, piena di colpi di scena e colpi di maglio, di lampi di genio e lampi di morte. La chiave meccanica e il bisturi raccoglievano i primi trionfi. Nel 1909 fu dato l'annuncio della scoperta di un medicamento contro la sifilide: il 'Salversan'. Un decreto governativo stabilì che in Germania i bambini dai nove anni in su potevano lavorare in turni diurni; ciascun turno durava dieci ore. Il Kaiser ricevette a Potsdam la visita dello zar Nicola II. Nel 1911 vi fu la crisi del Marocco, per risolvere la quale il Reich inviò la nave da guerra Panther. Nel 1912-13 si svolsero le guerre balcaniche. "Ancora quanto?" si chiedeva l'omino. Poi, davanti allo specchio, si mostrava una lingua lunga lunga. "Ma sì, tanto il tempo non è che la quarta dimensione dello spazio!"
Il tempo è la quarta dimensione dello spazio. Ciò implica diverse conseguenze per la nostra percezione della realtà, dato che non possiamo limitarci a prendere atto delle novità sulla struttura dell'universo e sulla posizione del mondo e poi relegarle nell’archivio della nostra mente. Giorno per giorno facciamo esperienze che non sono analizzabili con il metodo scientifico, esperienze che non risultano comprensibili alla ragione. Il fatto è che, essendo per così dire prigionieri dentro una rete fenomenica, ci sfuggono i processi che avvengono al di fuori di essa. Tutt'intorno a noi regna la metafisica. (Gli esponenti della Scuola di Vienna credevano di essersi congedati definitivamente dalla metafisica, con due significative eccezioni: Wittgenstein e Karl Popper. Il primo, in special modo, limitò il mondo dello scientificamente esplicabile.) La realtà in sé non ha una struttura tale da essere intesa con i procedimenti della ricerca tradizionale...
"Finora gli scienziati hanno creduto che la realtà è come loro la percepiscono. Ma che ora è?"
La scienza è costretta a "tagliare" tranci di realtà e studiarli singolarmente. Ma non si può conoscere il tutto esaminandone piccole porzioni. È la fine dell'evo cartesiano: dobbiamo accettare il fatto che non tutto può essere posto sul vetrino del microscopio, che chiunque di noi può avere intuizioni non comunicabili, e perciò non catalogabili, e che queste intuizioni hanno uguale importanza di qualsiasi scoperta verificata.
"Ancora quanto?"
Oltre a ciò, nel momento in cui diciamo che il futuro è incerto, sottintendiamo una verità elementare e a un tempo sbalorditiva: che la Creazione... è tuttora in corso. E dove accade la Creazione? Dovunque: anche con l'uomo e nell'uomo. È lo stesso divenire – alcuni la chiamano "evoluzione" –, e il divenire non si svolge nel tempo: è il tempo!


E mentre Nietsnie/Einstein faceva scattare il coperchio dell'orologio da tasca senza catena e sudava, il giovanotto Adolf Hitler si trovava a Vienna, ospite di un asilo per uomini il cui titolare risultava essere un certo Schlomo H., ebreo.
Malaticcio e sprovvisto di mezzi, Adolf raccontò a Schlomo H. di essere orfano; di aver fatto parte, a quindici anni, di un coro, in qualità di baritono; di aver letto appassionatamente i romanzi di Karl May (il Salgari di Sassonia). E si mise prontamente in luce quale disprezzatore della razza ebrea (non gli giovava affatto stare in compagnia di questi "mangiatori d'aglio"), individuo supernevrotico, potenziale suicida. Aprì le sue cartelle mostrandone il contenuto a quegli altri disgraziati che abitavano lì (mendicanti, alcolizzati, studenti squattrinati): acquerelli nello stile di un "realismo radicale", per definizione dello stesso Hitler.
I pezzenti facevano: «Oooh, aaah». Solo Schlomo H. si mostrava scettico.
«Forse ti trovi al cospetto di un genio e lo ignori!» gli diceva il giovanotto, risentito.
E l'anziano ribatteva, sorridente come una sfinge: «L'aglio è una pianta molto salutare. Il botanico svedese Carl von Linné l'ha classificata sotto le liliacee, insieme al giglio, al giacinto, al colchico. I celti chiamavano l'aglio 'leek', che significa qualcosa come 'spezie gustose'. Per i francesi è l' 'ail commun' o anche 'perdrix de Gascogne'. Per gli inglesi 'common garlic'. Nel Ticino lo chiamano 'ai'...»
Hitler si metteva a menare colpi alla cieca. «Largo! Fate largo! Lasciatemi respirare, razza di giuda!» I cenciosi fuggivano in tutte le direzioni per tornare poi verso le rispettive brandine. «Bavosi ignoranti! Non insozzatemi! E via dai miei disegni!»
Placidamente, Schlomo H. seguitava ad alitargli: «Anche i tedeschi ne mangiano in abbondanza. Erroneamente lo chiamavano in passato 'Lauch', dunque 'porro'. In Altdeutsch si chiama 'Clofolauh', che deriva da 'clobo' (spaccare, dividere; un riferimento agli spicchi scindibili). Nel Waldeck dicono 'Knuflook', in Vestfalia 'Knuflaw', nella Boemia settentrionale 'Knóbluch', in Baviera e in Austria, come sai, 'Knofel'. Nella Svizzera dicono 'Chnoblach' mentre in Alsazia è il 'Knöblich'...»
«Basta...» rantolava Hitler, gettandosi sul suo giaciglio, piangente, esausto.
«Generalmente vale la denominazione 'Knoblauch': persino per noi ebrei. Universalmente valido rimane comunque il latino 'Alium sativum'» proseguì Schlomo, alzando la voce e chinandosi fino al pavimento, sgualcendo senza ritegno gli acquerelli sparpagliati: con le mani, con le ginocchia, con i piedi.
Il giovane artista cercava disperatamente distrazione uscendosene la sera. Con le ombre si tramutava in un lupo... in un Wolf. Ma Vienna lo stancava e lo deprimeva. La capitale austriaca confermava la nomea di città allegra e dal sesso facile.
Un giorno lasciò lo scarno rifugio e si diresse dritto filato all'Accademia delle Belle Arti. Il suo scopo: ottenere uno stipendio. Il responso degli esaminatori fu peggio di una doccia fredda: «Caro signore» gli dissero, «a lei dovrebbe essere interdetto di dipingere tutto quanto non sia una parete di cucina».
L'avvilimento, insieme alla tbc, lo mise al tappeto. E chi si prese cura di lui? Schlomo H., titolare di uno di quegli ospizi dove si gela d'inverno e si arde d'estate.


Il piccolo uomo dall'alto Q.I. fu scortato fuori dal suo studiolo. I rappresentanti della stampa riempivano la sala delle conferenze; in mezzo a loro c'erano già gli sgherri della NSDAP.

«Ma non dovevo parlare alle sedici?»
Il gorilla che lo affiancava lo informò: «Ora sono le quattro».

«Del pomeriggio. Dunque le sedici...»
«Dobbiamo rimandare? Facciamo alle sedici e trenta?»
«Vuol dire... le quattro e mezza?»
La guardia del corpo non aggiunse altro. Einstein, dal suo pulto, guardò i portavoci del mondo scientifico (non numerosissimi), i professori interessati e i lacchè, i segretari, i contabili, i tecnici, fiduciari del governo e del capitale.
Qualcuno si mostrò stupito che lui non avesse appunti con sé. Come mai?
Tutti volevano sapere cose assurde. «Non ne ho idea. Voi volete sapere da me l'ora...»
In realtà non glielo aveva chiesto nessuno.
«... e io posso rispondervi solo che tutti quanti siamo nuovamente con un piede dentro le caverne, all'Età della Pietra.»
«Nervoso?» gli chiese un professore.
«Normale! C'è la guerra.»
«Ma dove?»
«Laggiù. Là dietro. In Turchia... mi sembra.» E anche da noi, ribadì mentalmente.

Principiò la sua lezione, andando alla lavagna. No, non aveva bisogno di appunti. Mozart si scriveva in testa concerti interi... Scribacchiò un paio di formule, pensando: "Vogliono sapere quant'è relativo il loro tempo. Io l'ho capito, ma come spiegarglielo? Se non lo capiscono da sé... Bevono e non realizzano che l'acqua è composta da due gas".
Il gesso scricchiolò, lui si asciugò il sudore.
«Nell'Oceano Pacifico» rifletté a voce alta «c'è il meridiano... una linea invisibile, dunque... presso cui cambia la data.» Era difficile. Era come in Hölderlin: l'abisso tra il mondo dell'esperienza sensibile e quello dei concetti e delle parole è invalicabile. Si ricordò allegramente di qualcosa che aveva letto pochi giorni prima su un giornale: uno scienziato teorizzava che la Terra, vista dal cosmo, deve apparire rossiccia. E questo perché la sua atmosfera assorbirebbe l'azzurro dello spettro di luce.
Bislacca prospettiva...
"Che ora è?" tornò a chiedersi. "È già l'ora? O c'è tempo?"




Peter Patti – Doktor Wolf – Storia di Hitler e del nazismo.

Presto disponibile in formato eBook su Amazon. Ai primi che me ne faranno richiesta, manderò il file completo gratis nella casella di posta.


giovedì, giugno 07, 2018

Un capitolo da 'Doktor Wolf', docuromanzo su Hitler

Doktor Wolf - Storia di Hitler e sul nazismo è in procinto di uscire su eBook (Amazon).



Gratis per voi alcuni stralci del libro. Iniziamo da questo, che parla di un fratellastro di Adolf Hitler e dello scandalo della "Contessina Mizzi", che a suo tempo sconvolse Vienna e l'Austria intera.



IL FRATELLASTRO


Era nato a Braunau: dunque, sulla sua provenienza austriaca non vi sono dubbi di sorta. Nella casetta a Hafeld, dove trascorse parte dell'infanzia, abita oggi una famigliola di emigrati turchi: una stupenda ironia del caso, se pensiamo che giusto gli ospiti anatolici, nel mondo alemanno, sono fatti oggetto di intolleranza e discriminazione. Crebbe a Monaco e a Berlino in un'epoca in cui la modernizzazione dell'Europa incedeva spedita. Sia nella capitale bavarese sia in quella prussiana, si aggirava con espressione già allora decisamente circospetta, ombra tra le ombre, strisciando sui muri pieni di affissi. Reclame e manifesti mostravano figure femminili che pubblicizzavano i prodotti più eterogenei: dalle sigarette ai vibromassaggiatori, dai liquori ai mobili. Grugniva, Adolf/Wolf, per il disappunto, e i suoi occhi grigi si rischiaravano solo nel puntarsi sulla scia di una delle automobili costruite da Daimler e che portava l'appellativo "Mercedes".




Poi tornava a inghiottire bile, alitando cattivo sul profilo di qualche graziosa passante che però non si curava di lui. Con le donne non aveva fortuna. Le contadine gli risultavano troppo superficiali e santocchie, mentre quelle di città erano l'estremo opposto: sfrontate e... dispendiose. La loro più grande aspirazione? Riversare denaro nelle tasche dei creatori di pillole per il seno, di venditori di lozioni di bellezza e di spacciatori di apparecchi per la stimolazione corporale. In quegli anni avevano successo le "Pilules Orientales", che promettevano un petto turgido e giovanile, nonché il "vibratore Kolonis", sbraitato dalla pubblicità quale "amico di un seno bello". Il giovane s'adontava, mugugnava e, indossato un costume a strisce orizzontali bianche e nere, al bagno pubblico stupiva: finanche lì si vedevano sempre più ragazze, giovani e meno giovani.
Si schierava dalla parte dei benpensanti, di chi si scandalizzava; tuttavia, spesso e volentieri si recava d'estate sulla riva di fiumi e laghi o su qualche spiaggia del Mar Baltico: la voglia a fior di pelle e i denti digrignanti.
In determinati locali notturni si esibivano famose danzatrici, come Rita Sacchetto o le cinque Barrison Sisters, che mostravano le cosce nude... e qualcosina di più. L'ancora adolescente Wolf si lustrava gli occhi per, più tardi, sognare di un'ideale seduttrice nella solitudine della sua cameretta. Lei ha il volto innocente di una fanciulla e un fisico prosperoso coperto e non coperto dal corsetto rosso, fini calze di seta bianca e coulottes merlettate. Oh, il capriccioso frou-frou con i laccettini da allentare con un dito solo!... Lei si muove voluttuosamente ai piedi del misero giaciglio del giovanotto. Alta, magnifica, imponente, balla per lui sulle sue scarpette laccate, spesso facendogli male apposta coi tacchi...
La civilizzazione si ampliava, il termine "progresso" assumeva un significato magico, fatale. Lampade a gas, bicicletta e telefono divennero di uso pubblico. Si sarebbe detto che il Vecchio Continente stesse conoscendo gli splendori di un nuovo Rinascimento (se non nell'arte, almeno nello spirito d'innovazione). Ma come ignorare il grigiore della provincia tedesca prima del conflitto del Quindici-Diciotto, i lati tenebrosi, medievaleggianti, la "messa in riga" evocata dall'imperialismo prussiano? La sifilide – altrimenti denominata, per delicatezza, "epidemia del piacere" – mieteva tante vittime. Nella Germania del 1909 (Hitler aveva vent'anni) si contavano più o meno 180.000 bambini illegittimi. Ostetriche con e senza qualificazione lavoravano a pieno ritmo per procurare aborti. Wolf/Hitler trotterellava cauto e pronto a mordere tra la lascivia del carnevale senza fine, le orecchie appiattite contro la testa e la coda in mezzo alle gambe, malaticcio, scontento per ciò che i suoi sensi percepivano e, simultaneamente, sbavante di desiderio.
Di statura non alta e l'ossatura tutt'altro che robusta, sfigurava tra capifamiglia dai baffi a manubrio, teutonici sputasentenze e virili brontoloni. Però, come gran parte di loro, dava voce alla propria indignazione ogni qual volta uno scandalo scuoteva la facciata ingannevolmente integra, invulnerabile, della vita sociale. (La principessa ereditaria Luisa di Sassonia aveva piantato il marito per fuggirsene con Enrico Toselli, precettore dei suoi cinque pargoli di sangue blu.)
Anche se l'Austria amava prendersi gioco della Prussia e la Prussia dell'Austria, non bisogna dimenticare che queste due potenze in realtà si temevano e si rispettavano reciprocamente e che, nonostante l'idea di un unico Impero Germanico apparisse quanto mai illusoria e impraticabile, i due paesi non avevano soltanto la lingua come comune denominatore (a prescindere dalle variazioni dialettali).
A diciotto anni Hitler era tornato in Austria, a Vienna. Nostalgia "di casa"? Sviscerato attaccamento alla patria? Probabilmente solo una scelta dettata dalle vicende della vita. Nel 1912, ventitreenne, per sfuggire alla leva militare dell'esercito austriaco si nascose per cinque mesi nell'alloggio del fratellastro Alois, cameriere in quel di Liverpool.




Liverpool era una città industriale in forte espansione. Era il più importante porto europeo per i collegamenti con gli U.S.A. e divenne uno degli obiettivi principali per i flussi migratori dall'Europa continentale. Anche il tragico viaggio inaugurale del Titanic doveva in origine partire dal porto di Liverpool (ma in un secondo momento fu preferita Southampton).
A Liverpool Hitler non si trovò a suo agio. Non conosceva l'inglese e non riusciva a digerire gli usi e i costumi dei britannici. Pioveva spesso. E, sotto la pioggia, le passeggiatrici perdevano la loro arroganza, trasformandosi in patetiche figure dalla smorfia pastricciata.
Alois sopportava a malapena il fratellastro, ma lo sopportava. A volte parlò addirittura della prerogativa di trovargli una sistemazione nel mondo della gastronomia, sebbene il giovanotto non desse l'impressione di volersi aggobbire di lavoro. La moglie di Alois, Brigid Elizabeth Dowling, non celava affatto l'antipatia che nutriva per quell'ometto gramo e grigio che sembrava impersonare lo spirito più reazionario del Continente.
Brigid Elizabeth («Chiamami Lizzy») era una donna sicura di sé, conscia dei propri diritti e forte bevitrice di tè. Era nativa di Dublino e, pur se non bellissima, emanava uno charme matronale. Introdusse Wolf/Adolf all'astrologia (e forse anche all'occulta philosophia) e lo convinse a radersi la parte esterna dei baffi. Non è da escludere che il giovane esiliato si fosse innamorato della cognata e soffrisse non poco della freddezza e dell'aria di superiorità da lei palesate nei suoi confronti. Brigid era la dominatrice di quell'appartamentino in affitto sito sulla cintura del cafarnao di ciminiere (un paesaggio à la William Blake). Quando Alois si trovava al lavoro e Adolf, in opposizione ai propri principi etici, si intratteneva a casa da solo con la donna, lei non si sforzava nemmeno per incoraggiare la conversazione e, anzi, spesso usava un piumino o addirittura il manico di una scopa per costringerlo a cambiare di posizione e trasferirsi dal salottino in cucina, dalla cucina all'atrio.
«Hai avuto coraggio a sposare una straniera» Adolf disse una volta ad Alois.
Il fratellastro lo guardò stralunato. Non gli era sfuggito, inevitabilmente, il sottotono allusivo e ironico contenuto in quelle parole. «Mah!» ribatté, scuotendo la zucca. «Qui gli stranieri siamo noi
Wolf/Adolf grugnì e, rifiutando la ale che Alois gli porgeva – tanto dissimile dalla birra tedesca... –, seguì con gli occhi le circonvoluzioni che "Lizzy" compiva davanti a loro. E il suo sguardo si fece più acuto quando lei, sedutasi accanto al marito, si accese una sigaretta, aspirando il fumo con voluttà e ponendo una mano su una coscia del coniuge. Tra i cerchi grigioblu di fumo, la donna sorrideva all'ospite in segno di sfida. Ogni cosa, nella faccia mediocre ma orgogliosa della femmina britannica, sembrava dire: «Questo è un paese libero».
Di notte, dal suo covaccio improvvisato sul pavimento della cucina, Adolf li sentiva fare all'amore. Il loro letto cigolava e scricchiolava impietosamente e la cognata gemeva senza ritegno, lasciandosi andare perlopiù a una specie di rauco latrato, cosa che quando erano soli – ne era certo – lei non faceva mai.
Per il fratellastro non aveva mai nutrito un'ottima opinione e quella visita glielo fece disprezzare di più, rafforzandogli la convinzione che la famiglia, l'istituzione familiare, non è che una prigione, spirituale e fisica. Amor fraterno... che cosa significa? Pazzia e mania suicida. "La nostra casa" non è che un miserrimo insieme di stanze, strette e brutte, dove un uomo, delle donne e uno stuolo di bimbetti si agitano, fanno rumore, si sgridano e si picchiano reciprocamente. Umidità, oscurità, odori di tutti i generi. Una stalla di conigli, dove ogni emozione viene enfiata fino allo spasimo e un nonnulla fa presto a mutarsi in tragedia. Fratelli, sorelle, zii e zie... nient'altro che una frotta di esseri perversi, sadistici.
"Siamo a metà fratelli. E allora? Non significa nulla. Se tu potessi, mi vedresti volentieri rotolare nel fango e implorarti aiuto solo per dimostrarmi quanto sei magnanimo, quanto tieni a me, tendendomi una mano e facendomi vedere le mammelle scoperte di tua moglie."
Madri e padri, fratelli e sorelle. Ma anche mariti, spose, amanti. Povertà, infelicità. Tentazioni e penosi rimorsi. All'ultimo si rimane da soli, senza un tetto sulla testa, senza una speranza e senza un affetto. "Fratello? Ma che vuol dire? Un salame, questo Alois" pensò. Figli di più madri e vittime dell'unico e solo padre. "Di ariano in lui non c'è mai stato tanto..." concluse.
Alla vigilia della partenza ebbe voglia di fare qualcosa di estremo, di inaudito. Per tale scopo, pagò una prostituta. Ma fu praticamente per nulla: lei aveva insistito che usasse il preservativo e lui con una roba del genere non poteva amicarsi. Aveva inoltre dentro la testa le immagini della madre, Klara, e quella del padre, Alois Hitler, che la picchiava; e, dopo aver picchiato lei, picchiava anche Adolf/Wolf, nonché Alois junior e tutti gli altri figli avuti con le varie mogli. E rivisse i funerali di mamma Klara, stroncata da un cancro al seno, e fu riconquistato dal dolore, un dolore straziante e mai sopito.
Si fermò per un paio di giorni a Londra. Gli piacevano i piccioni di Trafalgar Square. Vagolò nel traffico che opprimeva Piccadilly. Nell'atmosfera dei più orridi scorci vittoriani, si sentì quasi come a casa propria. Però, che prezzi!... E dappertutto regnava un caos indescrivibile. Il popolino rischiava di affogare negli escrementi e l'unica consolazione sembrava essere l'alcool. Ma anche i ceti agiati mostravano una spiccata tendenza alla deboscia e all'anarchia. Non poche volte gli sembrò di cogliere improperi rivolti a Sua Maestà. Dunque, tutta una favola quel che si diceva sull'amore degli insulani per il loro sovrano? È degli anglosassoni l'espressione "The King can do no wrong". Evidentemente George V li rendeva tutt'altro che contenti...
Per strada, anche in pieno giorno, non vedeva che Lizzies. Sorseggiavano il tannino e berciavano bercia'. Ma cos'altro c'era da aspettarsi? Proprio in Inghilterra il movimento femminista andava a gonfie vele. Sylvia Pankhurst e le sue compagne avevano fatto un lavoro eccellente: iniziando meno di un decennio prima, erano riuscite a traforare la solida barriera del conservatorismo.
Un approccio con una passeggiatrice di Pimlico lo lasciò frustrato, debilitato. Fu oltremodo lieto quando il vapore lo portò lontano dalle bianche scogliere di Dover.
La "vescica francese", com'era chiamato il profilattico, era in voga anche in Germania, già dal principio del secolo. Il ritorno nella patria adottiva non gli risollevò il morale: tutt’altro... Dovunque lui andasse, da settentrione al meridione, dalla Sassonia alla Svevia, Dalla Renania alla Baviera, si imbatteva sempre più spesso nei segni del tempo nuovo. La condizione psichica generale si poteva riassumere con un unico vocabolo: isteria. La vita dura condotta dagli appartenenti al Quarto Stato, così come la falsa morale ereditata dai nuovi-vecchi strati altolocati (per i quali la religiosità non era una scelta convinta, bensì la forma esteriore di un obbligo intrinseco al loro habitat sociale), facevano a pugni con le correnti innovatrici dell'epoca.
Spazzare via tutto...
Le sopracciglia gli scendevano fino al mento quando si imbatteva in barbe lunghe, lunghi cappottoni di astrakan, dialoghi in yiddish. La simbiosi apparentemente perfetta di cultura europea e cultura ebraica (anche quella ancora strettamente legata al 'Chassid') aveva portato un numero sempre maggiore di Juden a occupare posizioni-chiave nella società e nelle istituzioni. Ma l'antisemitismo non smetteva di serpeggiare e tendeva anzi a non restare un fenomeno latente: ci furono parecchi casi di emarginazione ed esclusioni. Un esempio: studenti del ginnasio dovevano sentirsi rimproverare, dai compagni e dai professori, di non essere ariani e dunque di non potere afferrare, nella loro profondità, l'essenza e l'arte dei tedeschi. Nella Reichsglocke, giornale dell'era bismarckiana, si potevano leggere non poche frecciatine rivolte a chi faceva parte della stirpe giudaica.
Logicamente non soltanto in Germania l'ebreo veniva deriso, maltrattato, preso a calci. In Russia, molti negozi esponevano sulla porta questa scritta "cristiana":


'Ingresso vietato a cani, polacchi ed ebrei'.


Dove il sostantivo "cani" non occupava il primo posto solo per caso.
Gli ebrei furono costretti al nomadismo, non erano certo nomadi per piacere o vocazione! Quelli stanziatisi nell’Europa centro-orientale sono chiamati ashkenaziti e l’yiddish è la loro lingua.
Yiddish e tedesco si assomigliano non soltanto nel suono: hanno anche parecchie voci in comune. "Schneider", sarto, è una di esse. Eppure molti altri ebrei europei, nel loro vagare alla ricerca di una qualche meta, scelsero di non fermarsi in Germania: anziché integrarsi in qualche comunità ashkenazita in terra tedesca, preferirono proseguire verso la Francia, verso l'Inghilterra, o attraversarono l'Oceano, optando per il continente americano. Tra tutti i medioevi, quello germanico, blindato, dovette loro prospettarsi come il più spaventoso.
Malgrado ogni forma di boicottaggio nei loro confronti, in Germania non furono pochi i "Figli di Abramo" che poterono brillare: non soltanto nel sistema bancario e nel gioco degli scacchi, ma anche come scienziati di spessore internazionale, celebrità della musica, abili uomini politici... Incoerentemente, i più rigidi critici li incolparono di essere all'origine dello smarrimento dei valori in seno alla società tedesca.
Aggirandosi per le vie di Sodoma e Gomorra, Adolf Hitler stringeva gli occhi, come abbarbagliato. Le gonne diventavano più corte, femmine anche giovanissime usavano profumo e cipria... A tutto spiano, lui imprecava contro le mode correnti. E nottetempo, durante le ore di un'insonnia già cronica, fantasticava di scivolare oltre il pendio della perdizione; di cadere tra le grinfie di casalinghe affamate e sadiche. L'inspengibile fuoco della sua giovane età (ondate passionali che presto non avrebbe più conosciute) si consumava probabilmente sotto il manto di Onan. L'implacabile moralista sognava in segreto di essere tra gli invitati di un novello conte Veith...
A Vienna, dal 1904 al 1908, il nobile Marcel Veith aveva dato in affitto la propria figlia; nel salone della propria magione. La ragazza, nota come "contessina Mizzi", aveva quattordici anni quando fu "imprestata" per la prima volta. Gli uomini, dopo aver brevemente conferito con il conte, venivano condotti uno a uno al sofà dove Mizzi se ne stava semistraiata e lasciati soli con lei. Il presupposto dell’accordo era che potevano farle di tutto meno che depredarla della verginità. La contessina, trasfiguratasi celermente da ingenua servetta in serva smaliziata, sapeva d’altronde difendersi benissimo. Nessuno dei clienti se ne andava deluso. Anzi: molti tornarono ancora e ancora.




Nei quasi cinque anni in cui il conte Veith condusse siffatta impresa, la cassa familiare registrò cospicue entrate. Visitatori a non finire. Presumibilmente a quegli uomini era sempre mancato lo sfogo del proibito, era mancata la chance di esercitare variazioni fantasiose (tabù delle muliebri compagne). Ora potevano appagarsi delle gioie di cui avevano soltanto sentito dire o letto, andare al di là dell'atto comune, situare la loro mascolinità, la loro potenza, in una dimensione nuova, scaricandosi (cos'altro è l'eccitazione libidinosa se non un ristagno di energia elettrica?) su una creatura che, per gli anni che contava, poteva essere la loro figlioletta o persino la nipotina. La maggior parte di loro avrebbe volentieri coronato quella mezz'oretta presso la contessina Mizzi rubandole il frutto più prezioso, imbrattandola così, ferendola al centro della sua acerba sensibilità. Quale goduria sarebbe stata! Ma vollero rispettare i patti. Erano uomini d'onore, infine. E Mizzi stessa, che era accondiscendente in tutto, riguardo a quella sua speciale virtù mostrava un'inappuntabilità in vero meravigliosa per una puttanella di quell’età.
A sverginarla riuscì, nel 1906, un tassista del quale si era innamorata. Ma sia lei che il genitore tennero nascosto l'accaduto e persistettero a offrire agli altri clienti le prestazioni routinarie; niente di più o di meno.




Quando scoppiò lo scandalo, Hitler/Wolf era un ragazzo e non sognava neppure di potersi un giorno forgiare del titolo di "Dottore". Il caso del conte Veith e di sua figlia Mizzi fu una vera e propria bomba, le cui ripercussioni durarono per decenni: una faccenda a dir poco trivia che fece tremare Vienna tutta per il raccapriccio e le risate. Venne alla luce l'agenda della fanciulla, che conteneva i nominativi e i recapiti di politici, principi, grandi proprietari terrieri e altre personalità, con le date delle loro visite, le prestazioni e le tariffe. Cittadini al di sopra di ogni sospetto sfogliavano ogni mattina il giornale pieni di apprensione: subodoravano di vedervi stampato il proprio nome... I lettori comuni, apprendendo di volta in volta le novità su quella storia indecente, si battevano la fronte, alcuni comunque (le "rispettabili personalità") rodendosi dall'invidia. La lista degli invischiati ricchi e famosi si allungava ogni giorno di più...
La contessina Mizzi divenne un personaggio proverbiale. Purtroppo per lei, la fama non le fu di alcun vantaggio: non reggendo alla vergogna, la "mezza vergine" mise fine alla propria vita gettandosi nel Danubio.



sabato, maggio 26, 2012

Günter Grass torna all'attacco, stavolta contro l'Europa

Dopo la critica a Israele che così tante polemiche ha suscitato, il Premio Nobel per la Letteratura Günter Grass fa riparlare di sé con una poesia sull'atteggiamento dell'Europa Unita nei confronti della Grecia - che, come risaputo, al momento è lo Stato europeo finanziariamente più debole.
I versi hanno un titolo assai loquace: "Europa's Schande" ("La vergogna d'Europa"), e recitano:

"Messa nuda alla gogna in quanto debitrice,
sta soffrendo una terra verso cui,
come ben sai, debitrice sei tu."

(...)


(Qui fa riferimento alla Wehrmacht:)
"Quelli che con la forza delle armi
si riversarono su un luogo ricco di isole
portavano non solo l'uniforme,
ma anche Hölderlin dentro lo zaino."

(...)

"Dài bevi! Bevi! gridano i commissari della claque,
ma Socrate, incollerito,
ti restituisce il calice ancor pieno.

(...)

Deperirai miseramente senza quel Paese
il cui spirito ti generò, o Europa!"

Il componimento non dice niente di più o di meno di quanto ognuno sa, ma... apriti cielo! Per l'ennesima volta, Günter Grass viene subissato di commenti di disapprovazione.
Da quando, nella sua autobiografia Sbucciando la cipolla (2006), confessò di aver fatto parte delle Waffen-SS - ma vi si arruolò mentre la Seconda Guerra Mondiale era ormai agli sgoccioli -, c'è chi lo accusa di "doppia morale" e, conseguentemente, di "scarsa credibilità". Tuttavia, proprio Grass è sicuramente uno degli intellettuali più integgerrimi che ci sono in Germania, almeno per quanto riguarda la "vecchia guardia".

Le sorti della Grecia, giustamente, stanno nel cuore di chiunque abbia un minimo di sensibilità culturale, e il fatto che l'Europa di Angela Merkel (ma ancor più della Deutsche Bank) miri a far apparire i greci come un popolo di pelandroni, ferisce e, sì, suscita un moto di rabbia, dato che quel Paese è arrivato a tal punto giacché governato dalle regole "neoliberiste" sulle quali si basa la stessa Unione Europea.
Si è recentemente infuocato il dibattito se escludere o meno la Grecia dalla zona euro e disconoscerle o meno il "privilegio" di essere uno Stato membro dell'UE... Dunque è logico che uno scrittore impegnato come Grass ritenesse opportuno dire la sua sull'argomento.
La Grecia sta cercando faticosamente di risollevarsi dalle rovine causate dall'egemonia di banchieri e magnati assortiti (un armatore paga meno tasse, in percentuale, di quanto è costretta a pagare una cameriera!) e alle prossime elezioni - secondo le ultime prognosi - la Sinistra otterrà come minimo il 30% delle preferenze. La situazione nel Paese elleno è disperata: oltre mezzo milione di persone deve mettersi in fila per ottenere un piatto di minestra... Le banche appartengono quasi tutte agli oligarchi, che le hanno fatte indebitare con troppo azzardate manovre speculatorie, e a rimetterci è un popolo che si è sempre distinto per la sua dignità, la sua cultura e il suo umanesimo.

Come nel caso di "Was gesagt werden muss" ("Ciò che deve essere detto": la poesia sulla minaccia di Israele di bombardare l'Iran con armi nucleari), il nuovo intervento dell'84enne Günter Grass mette il dito sulla piaga. Questi suoi versi, pubblicati sulla Süddeutsche Zeitung, hanno di nuovo diviso l'opinione pubblica tedesca: c'è chi difende il poeta-scrittore di Danzica dandogli ragione e chi invece lo mette alla berlina facendo magari riferimento a una sua presunta "senilità". Questi ultimi ovviamente sono i più: trattasi di cittadini decisamente schierati dalla parte dell'alta borghesia e delle classi egemoni... anche se (è triste dirlo ma è così) nella "ricca" Germania ci sono masse enormi di sottoprivilegiati, di sfruttati: i nuovi poveri, coloro che pesano sull'altro piatto della bilancia del capitalismo selvaggio, un sistema che permette a grossi imprenditori, manager altolocati e al loro codazzo di politici di arricchirsi smisuratamente, spudoratamente.
E' la Germania monitorata con occhi acuti da Grass e da altri intellettuali che non si sono lasciati catturare dall'illusione di un facile arricchimento (illusione strombazzata dai giornali e da quasi tutte le emittenti televisive private - ed è ovvio: i media sono quasi tutti nelle mani di chi controlla e gestisce il capitale...). Il monito di questi "ribelli" è esplicito: anche la storia della Repubblica di Weimar si legge come un "successo" raggiunto nonostante la scarsa legittimazione popolare; si trattò di una manipolazione deelle leggi e dei principi democratici. E a cosa condusse? Condusse al malcontento delle masse e alle estremizzazioni a Destra e a Sinistra...


Günter Grass, website in italiano

sabato, gennaio 28, 2012

Da 'Il Prato Nero', 14-11-2002

Oggi sono rimasto a letto fino alle 11, a leggere i diari di Klaus Mann. In esilio dalla "peste bruna", dal nazismo cioè, Klaus Mann viveva e scriveva a un ritmo impressionante. Sì, scrivere necesse: ogni giorno, tutti i giorni dell'anno. Pur se immersi nella povertà, nello sfascio sociale, nella merda, MAI bisogna abbandonare i propri progetti. Dare voce al proprio 'io'. Produrre un'infinità di pagine inchiostrate, un diario di bordo... un PRATO NERO che esorcizzi il vuoto, la volgarità, la morte.


sabato, ottobre 11, 2008

Jörg Haider - 'The swine is dead'

"E' morto il porco - das Schwein", come hanno scritto impietosamente molti visitatori della homepage del quotidiano viennese Der Standard , tanto che i responsabili del sito si sono visti costretti a chiudere l'apposita sezione del forum.


Molti di più sono comunque i riconoscimenti per l'uomo e politico Haider e le testimonianze di dolore per la sua improvvisa scomparsa.



Il 58enne politico austriaco si è spento nelle prime ore della mattinata. Si trovava da solo a bordo della sua automobile di servizio, una Volkswagen Phaeton, quando, dopo un sorpasso, la vettura è uscita fuori strada, andando a sbattere contro un pilone di cemento. L'incidente è avvenuto a sud di Klagenfurt, capoluogo della Carinzia, e più precisamente al'ingresso della località Lambichl, poco distante dal confine sloveno. Haider è spirato in seguito alle gravi ferite riportate al capo e al torace.



La sua è stata una vita da reazionario e razzista. Figlio di una coppia che ha vissuto con entusiasmo gli anni del nazismo, Haider ha cavalcato con successo per almeno vent'anni l'onda della xenofobia, molto forte in Austria - similmente che in Germania. Eclatanti i suoi attacchi verbali contro stranieri ed ebrei. Nel 1991 dovette dimettersi da governatore della Carinzia per aver lodato nel parlamento del Land, di cui era "Capitano" (Presidente di Regione), "la giusta politica di occupazione nel Terzo Reich".


Il suo ritorno alla politica è avvenuta all'insegna di un "ripensamento di strategie". Haider aveva capito che in una democrazia è impossibile conquistare il potere sostenendo tesi estremamente reazionarie, e così aveva smorzato i toni, divenendo un "politico populista" e, in fatto di economia, abbracciando addirittura posizioni keynesiane, e dunque sinistrorse. "Il nazismo? La dittatura più criminale che si è mai vista sulla Terra" è arrivato a dichiarare. Nelle elezioni parlamentari dello scorso 28 settembre, il suo BZÖ ha potuto raggiungere l'11% dei voti, che, insieme ai voti dell'altro partito della coalizione di Destra, l'FPÖ, significa un totale di 29%: la terza forza politica in Austria, subito dopo la Volkspartei e il Partito Socialdemocratico. Una vera "rivoluzione di palazzo".


Non appena si è sparsa la notizia della sua morte, neonazisti e simpatizzanti hanno immediatamente fatto di lui un martire. Su Internet pullulano già le voci che ipotizzano uno "Staatsmord", un omicidio premeditato da parte di determinati circoli governativi.